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L’immagine di Giove, con i suoi nastri di candide nubi, le fasce maculate color rosasalmone e la Grande Macchia Rossa che sembrava fissarli come un occhio minaccioso, rimaneva costantemente sullo schermo del ponte di volo. Il pianeta era pieno per tre quarti, ma nessuno stava contemplando il disco illuminato; tutti gli sguardi si concentravano sulla falce di oscurità al margine. Là, sul lato di Giove immerso nella notte, l’astronave cinese stava per affrontare il suo momento della verità.
Ma questo è assurdo, pensò Floyd. Non possiamo vedere assolutamente nulla dalla distanza di quaranta milioni di chilometri. Inoltre non servirebbe; la radio ci dirà tutto quello che vogliamo sapere.
La Tsien aveva chiuso due ore prima tutti i circuiti suono, video e dati, quando le antenne per le trasmissioni a grande distanza erano state ritratte nell’ombra protettiva dello scudo anticalore. Soltanto il faro onnidirezionale continuava a trasmettere, indicando con assoluta precisione la posizione dell’astronave cinese mentre si tuffava verso quell’oceano di nubi vaste quanto continenti. Lo stridulo bip… bip… bip… era il solo suono che si udisse nel localecomando della Leonov. Ognuno di quegli impulsi era partito da Giove più di due minuti prima; nel frattempo, il veicolo spaziale che li emetteva sarebbe già potuto essere una nube di gas incandescente sul punto di disperdersi nella stratosfera gioviana.
Il segnale a volte si attenuava, a volte diventava penetrante. Poi i bip divennero distorti; parecchi di essi mancarono completamente, ma, subito dopo, la sequenza ricominciò. Un alone di plasma si stava formando intorno alla Tsien e ben presto avrebbe interrotto ogni comunicazione finché l’astronave non ne fosse riemersa. Se mai questo fosse accaduto…
«Posmotri!» gridò Max. «Eccola!»
A tutta prima Floyd non riuscì a scorgere nulla. Poi, subito al di qua dell’orlo del disco illuminato, intravvide una minuscola stella splendente là ove nessuna stella poteva trovarsi, contro la parte di Giove immersa nell’oscurità.
Sembrava assolutamente immobile, sebbene egli sapesse che doveva spostarsi alla velocità di cento chilometri al secondo. Adagio divenne più luminosa; e poi non fu più un puntino privo di dimensioni, ma cominciò ad assumere una forma allungata. Una cometa creata dall’uomo stava saettando attraverso il cielo notturno gioviano, lasciando dietro di sé una scia di incandescenza lunga migliaia di chilometri.
Un ultimo bip assai distorto e curiosamente protratto giunse dal faro onnidirezionale, poi non si udì altro che il sibilo senza significato della radiazione di Giove, una delle tante voci cosmiche le quali non avevano nulla a che vedere con l’uomo o con le sue opere.
La Tsien era inaudibile, ma non invisibile, ancora. Potevano vedere, infatti, che la minuscola scintilla allungata si era allontanata in misura percettibile dal lato del pianeta esposto al sole e sarebbe presto scomparsa dietro quello buio. Nel frattempo, se tutto si fosse svolto secondo il piano, Giove avrebbe catturato l’astronave, distruggendone la velocità indesiderata. Quando la Tsien fosse emersa, dopo aver girato intorno al mondo gigantesco, sarebbe stata un altro satellite di Giove.
La scintilla si spense. La Tsien era scomparsa oltre la curvatura del pianeta e il lato in ombra. Non vi sarebbe stato più nulla da vedere o da udire fino a quando non fosse emersa dall’oscurità… se tutto andava bene, entro meno di un’ora. Sarebbe stata, quella, un’ora molto lunga per i cinesi.
Per lo scienziato Vasili Orlov e per l’ingegnere addetto alle comunicazioni Sascia Kovalov, l’ora doveva trascorrere con estrema rapidità. Molte cose avrebbero potuto apprendere dalle osservazioni di quella piccola stella; i momenti dell’apparizione e della scomparsa e, soprattutto, lo spostamento Doppler del radiofaro fornivano informazioni vitali sulla nuova orbita della Tsien. I computer della Leonov stavano già assimilando i dati e fornivano i tempi previsti della ricomparsa, basati sulle diverse ipotesi concernenti la decelerazione nell’atmosfera gioviana.
Vasili spense lo schermo del computer, si voltò sulla poltroncina girevole, sganciò la cintura di sicurezza e si rivolse ai curiosi pazientemente in attesa.
«La Tsien riapparirà al più presto tra quarantadue minuti. Perché voi spettatori non andate a farvi una passeggiata, affinché noi possiamo concentrarci nel mettere ordine in tutti questi dati? Ci rivediamo fra circa trentacinque minuti. Sciooo! Nuukhodi!»
Con riluttanza gli indesiderati si ritirarono dal ponte di volo; ma, non senza disgusto di Vasili, tutti si trovavano di nuovo lì dopo meno di mezz’ora. Egli li stava ancora rimproverando per la loro scarsa fiducia nei suoi calcoli quando, dagli altoparlanti, irruppe il familiare bip… bip… bip… del faro onnidirezionale della Tsien.
Vasili parve attonito e mortificato, ma ben presto si unì allo spontaneo scroscio di applausi. Floyd non era riuscito a vedere chi fosse stato il primo a battere le mani. Per quante rivalità potessero esistere, erano tutti astronauti, lontani dalla Terra più di quanto se ne fosse mai allontanato qualsiasi altro uomo «Ambasciatori del Genere Umano» stando alle nobili parole del primo Trattato Spaziale delle Nazioni Unite. Se anche non volevano che i cinesi riuscissero, non auguravano loro il disastro.
Inoltre, Floyd non poté fare a meno di pensarlo, erano non poco egoisticamente interessati. Le probabilità a favore della Leonov cominciavano adesso ad aumentare in misura significativa; la Tsien aveva dimostrato che la manovra di frenaggio nell’atmosfera gioviana era effettivamente possibile. I dati relativi a Giove risultavano esatti; l’atmosfera del pianeta non conteneva sorprese impreviste e forse fatali.
«Bene!» disse Tanya. «Presumo che dovremmo trasmettere ai cinesi un messaggio di congratulazioni. Ma, anche se ci regolassimo in questo modo, non risponderebbero.»
Alcuni dei russi si stavano ancora burlando di Vasili, che fissava con scoperta incredulità i risultati indicatigli dal computer.
«Non riesco a capire!» esclamò. «Dovrebbero trovarsi ancora dietro a Giove! Sascia, dammi una lettura della velocità sul loro faro!»
Cominciò a svolgersi con il computer un nuovo dialogo silenzioso; poi Vasili emise un fischio lungo e sommesso.
«C’è qualcosa che non va. Si trovano su un’orbita di cattura, senz’altro… ma tale orbita non consentirà loro l’appuntamento con la Discovery. L’orbita che seguono adesso li condurrà molto al di là di Io… potrò comunque disporre di dati più precisi quando avrò controllato la loro traiettoria per altri cinque minuti.»
«In ogni modo, devono essere su un’orbita sicura» osservò Tanya. «Potranno sempre correggerla in seguito.»
«Forse. Ma questo costerebbe loro giorni, anche se disponessero del propellente necessario. Cosa di cui dubito.»
«Sicché possiamo ancora batterli.»
«Meglio non essere così ottimisti. Distiamo ancora tre settimane da Giove. Possono completare una dozzina di orbite, prima che arriviamo là, e scegliere quella più favorevole per l’appuntamento.»
«Una volta di più… supponendo che dispongano di propellente a sufficienza.»
«Naturale. Ma a questo riguardo dobbiamo limitarci a supposizioni ragionate.»
Tutta questa conversazione si svolse in un russo talmente rapido ed eccitato, che Floyd riuscì a capire ben poco. Quando Tanya ebbe compassione di lui e gli spiegò che la Tsien stava seguendo un’orbita sbagliata ed era diretta verso i satelliti esterni, la sua prima reazione fu: «Allora possono trovarsi in gravi difficoltà. Che cosa farete se chiederanno aiuto?»
«Vuole scherzare. Può forse supporre che facciano una cosa simile? Sono di gran lunga troppo orgogliosi. E, in ogni caso, sarebbe impossibile. Non possiamo modificare il piano della nostra missione, e lei lo sa benissimo. Anche se disponessimo del propellente necessario…»
«Ha ragione, certo; ma potrebbe essere difficile spiegare la cosa al novantanove per cento del genere umano, che non sa nulla di meccanica orbitale. Dovremmo cominciare a riflettere su alcune delle complicazioni politiche… se non fossimo in grado di aiutarli le cose si metterebbero male per noi tutti. Vasili, vuole darmi i dati relativi alla loro orbita definitiva, non appena li avrà elaborati? Scenderò nella mia cabina a fare qualche calcolo.»
La cabina di Floyd o meglio un terzo di cabina continuava ad essere occupata in parte dalle provviste, molte delle quali ammonticchiate sulle cuccette con tendine ove avrebbero riposato Chandra e Curnow una volta emersi dal loro lungo sonno. Egli era riuscito a fare sgombrare un angusto spazio per i suoi effetti personali, e inoltre gli avevano promesso il lusso di altri due interi metri cubi, non appena qualcuno fosse stato libero per dargli una mano nei necessari spostamenti.
Floyd fece scattare la serratura della piccola consolle per le comunicazioni, premette i tasti della decifrazione e chiese i dati relativi alla Tsien che gli erano stati trasmessi da Washington. Si domandò se i suoi anfitrioni fossero riusciti a decifrarli. Il codice era basato sul prodotto di numeri primi con duecento cifre e la National Security Agency aveva posto in gioco la propria reputazione garantendo che anche il più veloce dei computer esistenti non sarebbe riuscito a trovarne la chiave prima del Grande Bang alla fine dell’universo. Si trattava di un’asserzione che non sarebbe mai potuta essere provata… ma, forse, soltanto smentita.
Una volta di più egli esaminò attentamente le eccellenti fotografie dell’astronave cinese, scattate quando essa aveva rivelato la sua vera natura ed era sul punto di abbandonare l’orbita terrestre. V’erano anche fotografie scattate successivamente non altrettanto nitide perché l’astronave si trovava ormai lontana dalle apparecchiaturespia dello stadio finale mentre la Tsien si scaraventava verso Giove. Furono queste ultime a interessarlo soprattutto; e ancor più utili potevano essere i disegni in sezione dell’astronave e le valutazioni relative al rendimento.
Anche attenendosi alle supposizioni più ottimistiche, riusciva difficile capire che cosa sperassero di fare i cinesi. Dovevano aver consumato almeno il novanta per cento del loro propellente per quella corsa pazzesca attraverso il sistema solare. A meno che non si trattasse di una missione letteralmente suicida — la qual cosa non poteva essere esclusa — soltanto un piano comprendente l’ibernazione e un successivo soccorso poteva avere senso. E il servizio segreto non riteneva che la tecnologia cinese relativa all’ibernazione fosse così progredita da rendere possibile tale scelta. Ma il servizio segreto sbagliava spesso, e ancor più spesso rimaneva confuso dalla valanga di nudi fatti che doveva valutare — il «rumore di fondo» nei circuiti delle informazioni. Aveva svolto un lavoro straordinario per quanto concerneva la Tsien — tenuto conto della brevità del tempo a disposizione — ma Floyd si augurò che il materiale trasmessogli fosse stato filtrato più accuratamente. Alcuni di quei dati erano ovviamente da scartare e non avevano alcun possibile rapporto con la missione.
Ciò nonostante, quando non si sapeva che cosa si stesse cercando, era importante evitare ogni pregiudizio e ogni preconcetto; informazioni che a tutta prima potevano sembrare non pertinenti, o addirittura assurde, potevano risultare indizi vitali.
Con un sospiro, Floyd ricominciò a esaminare le cinquecento «pagine» di dati, mantenendo la propria mente il più possibile ricettiva, mentre diagrammi, cartine, fotografie — alcune talmente confuse da non rappresentare quasi nulla — notizie, elenchi di delegati a conferenze scientifiche, titoli di pubblicazioni tecniche e persino documenti di carattere commerciale, scorrevano rapidamente sullo schermo ad alta risoluzione. Un efficientissimo sistema spionistico industriale si era ovviamente impegnato a fondo; chi mai avrebbe potuto immaginare che un così gran numero di moduli di olomemoria giapponesi o di microcontrollori svizzeri a flusso di gas o di rivelatori di radiazione tedeschi, potessero essere stati depositati sul fondo del lago asciutto di Lop Nor — la loro prima pietra miliare lungo la traiettoria verso Giove?
Parte di quel materiale doveva essere stato incluso negli elenchi per sbaglio; non poteva avere alcun concepibile rapporto con la missione. Se i cinesi avevano ordinato segretamente mille sensori agli infrarossi per il tramite di una fittizia società anonima con sede a Singapore, la cosa poteva riguardare soltanto i militari; sembrava estremamente improbabile che la Tsien prevedesse di divenire il bersaglio di missili sensibili al calore. E quest’altra «voce» era davvero buffa: equipaggiamento specializzato per rilevazioni e prospezioni, proveniente dalla Geofisica dei Ghiacciai, Inc., di Anchorage, nell’Alaska. Quale cervello rammollito poteva aver immaginato che a una spedizione nello spazio profondo occorressero…?
A un tratto il sorriso si raggelò sulle labbra di Floyd; egli sentì la pelle accapponargli sulla nuca. Dio mio… non avrebbero osato! Ma avevano già osato moltissimo; e ora, finalmente, tutto divenne chiaro.
Egli riportò sullo schermo le fotografie e i piani ipotetici dell’astronave cinese. Sì, era, sia pur soltanto appena, concepibile… quelle scanalature sulla parte posteriore, lungo gli elettrodi di deflessione della spinta, potevano essere all’incirca delle dimensioni giuste…
Floyd chiamò il ponte di volo. «Vasili» domandò «non ha ancora elaborato i dati relativi alla loro orbita?»
«Sì, li ho elaborati» rispose l’ufficiale di rotta, con un tono di voce stranamente sommesso. Floyd capì immediatamente che qualcosa era emerso. Tirò a indovinare.
«Si stanno dirigendo verso Europa, non è così?»
Vi fu un’esclamazione esplosiva di incredulità all’altro capo del filo.
«Come lo sapeva?»
«Non lo sapevo… L’ho semplicemente supposto.»
«Non può esservi alcun errore… Ho controllato i dati in sei punti diversi dell’orbita. La manovra di frenaggio ha funzionato esattamente come loro volevano. Si trovano sull’esatta traiettoria verso Europa… non può essere accaduto per caso. Saranno là tra diciassette ore.»
«E poi entreranno in orbita.»
«Forse. Non occorrerebbe molto propellente. Ma quale sarebbe lo scopo?»
«Oserò fare un’altra supposizione. Secondo me, procederanno a una rapida esplorazione… e poi atterreranno.»
«Lei è pazzo… o sa qualcosa che noi ignoriamo?»
«No… si tratta soltanto di una semplice deduzione. Vi prenderete a calci per esservi lasciati sfuggire ciò che è ovvio.»
«Okay, Sherlock Holmes, perché qualcuno dovrebbe voler scendere su Europa? Che cosa c’è là, in nome del cielo?»
Floyd si stava godendo quel piccolo momento di trionfo. Naturalmente, non era ancora escluso che si sbagliasse in pieno.
«Che cosa c’è su Europa? Soltanto la sostanza più preziosa dell’universo.»
Aveva detto troppo. Vasili non era uno sciocco e gli strappò la soluzione dell’enigma dalle labbra.
«Ma certo… l’acqua!»
«Precisamente. Miliardi e miliardi di tonnellate d’acqua. Abbastanza per riempire tutti i serbatoi di propellente… incrociare intorno a tutti i satelliti e averne ancora in abbondanza per raggiungere la Discovery e tornare sulla Terra. Mi spiace di doverlo dire, Vasili… ma i nostri amici cinesi ci hanno battuti in astuzia una volta di più.
«Sempre presumendo, naturalmente, che riescano a farcela.»