120369.fb2 2010: Odissea due - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 14

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10. UN GRIDO DA EUROPA

Dormire con gravità zero è un’arte che deve essere imparata; a Floyd era occorsa quasi una settimana per trovare il modo migliore di ancorare braccia e gambe in modo che non finissero per conto loro in posizioni scomode. Ormai era un esperto e non aspettava più con ansia il ritorno alla gravità; anzi, il solo pensarvi gli causava di quando in quando incubi.

Qualcuno lo stava scrollando per destarlo. No… forse sognava ancora! L’intimità era sacra, a bordo delle astronavi; nessuno entrava mai nella cabina di un altro membro dell’equipaggio senza aver prima bussato. Strizzò le palpebre, ma gli scrollamenti continuarono.

«Dottor Floyd… si svegli, la prego! La vogliono sul ponte di volo!»

E nessuno lo chiamava mai dottor Floyd; la formula più ufficiale con la quale si fossero rivolti a lui per settimane era semplicemente «Doc». Che cosa stava accadendo?

Aprì gli occhi con riluttanza. Si trovava nella sua minuscola cabina, dolcemente trattenuto dal bozzolo in cui dormiva. Così, almeno, gli diceva una parte della sua mente; ma allora perché stava vedendo… Europa? Distavano ancora milioni di chilometri da quella luna di Giove.

Ecco il familiare aspetto a reticolo, i triangoli e i poligoni formati della linee che si intersecavano. E, senza dubbio, quello era il Grande Canale… no, si sbagliava. Come poteva esserlo dato che lui si trovava ancora nella sua piccola cabina a bordo della Leonov?

«Dottor Floyd!»

Si destò completamente e si rese conto che la mano sinistra gli stava galleggiando a pochi centimetri appena di distanza davanti agli occhi. Come era strano che la disposizione delle linee sul palmo fosse così simile alla mappa di Europa! Ma d’altro canto, l’economica Madre Natura si ripeteva sempre, su scale enormemente diverse, come i minuscoli gorghi formati dal latte versato entro il caffè, la disposizione circolare delle nubi in un ciclone, le braccia a spirale di una nebulosa.

«Mi scusi, Max» disse. «Che cosa c’è? È accaduto qualcosa di grave?»

«Così riteniamo. Ma non a noi… è la Tsien a trovarsi in difficoltà.»

La comandante, l’ufficiale di rotta, il primo ingegnere erano trattenuti dalle cinture di sicurezza sulle loro poltroncine del ponte di volo; gli altri dell’equipaggio orbitavano ansiosamente afferrandosi ai maniglioni, oppure fissavano i monitor.

«Spiacente di averla fatta destare, Heywood» si scusò in tono brusco Tanya. «Ecco qual è la situazione. Dieci minuti fa abbiamo ricevuto un dispaccio con precedenza assoluta dal Controllo Missione. La Tsien ha smesso di trasmettere. È accaduto del tutto all’improvviso, mentre trasmetteva un messaggio cifrato; vi sono stati istanti di trasmissione ingarbugliata… poi più nulla.»

«E il loro faro onnidirezionale?»

«Interrotto anche quello. Non lo riceviamo più.»

«Perdiana! Deve trattarsi di qualcosa di grave… Un grosso guasto. Avete qualche teoria?»

«Molte… ma si tratta soltanto di supposizioni. Una esplosione… un cedimento del ghiaccio… un terremoto.»

«Non lo sapremo mai… a meno che qualcun altro non scenda su Europa… o a meno che noi non sorvoliamo la luna da vicino per darci un’occhiata.»

Tanya scosse la testa. «Non abbiamo sufficiente deltavi. Il massimo avvicinamento consentiteci è cinquantamila chilometri. Da questa distanza non vedremmo un granché.»

«Allora non possiamo fare assolutamente nulla.»

«Non proprio, Heywood. Il Controllo Missione ci ha dato un suggerimento. Vorrebbero che spostassimo circolarmente la grande antenna paraboloide, nell’eventualità che riusciamo a captare qualche debole trasmissione di emergenza. Si tratta — com’è che dite voi? — di un’eventualità improbabile. Ma vale la pena di tentare. Che cosa ne pensa?»

La prima reazione di Floyd fu decisamente contraria.

«Questo significherebbe interrompere il nostro collegamento con la Terra.»

«Naturale. Ma si interromperà comunque quando passeremo dietro a Giove. E basteranno appena due minuti per ristabilire il circuito.»

Floyd tacque. Il suggerimento era ragionevolissimo, eppure, oscuramente, lo turbava. Dopo aver riflettuto per svariati secondi, si rese conto a un tratto del motivo per cui era tanto avverso all’idea.

Le difficoltà della Discovery erano cominciate quando il «grande disco» — l’antenna principale e paraboloide — aveva perduto il contatto con la Terra, per motivi che, ancora adesso, non risultavano del tutto chiari. Ma senza dubbio vi era stato di mezzo Hal, e pertanto non esisteva il pericolo che una situazione analoga si determinasse sulla Leonov. I computer russi erano piccole unità autonome; non esisteva una singola intelligenza che li controllasse tutti quanti. Per lo meno, non una intelligenza non umana.

I russi stavano ancora aspettando, pazienti, la sua risposta.

«Sono d’accordo» egli disse infine. «Avvertiamo la Terra di quello che stiamo per fare e mettiamoci in ascolto. Presumo che tenterete su tutte le frequenze SPAZIO MAYDAY.»

«Sì, non appena avremo effettuato le correzioni Doppler. Come sta procedendo la cosa, Sascia?»

«Dammi altri due minuti e avrò in azione la ricerca automatica. Per quanto tempo dovremmo rimanere in ascolto?»

Tanya indugiò appena prima di rispondere. Floyd aveva ammirato più volte la decisione della comandante Tanya Orlova, e una volta si era consentito di dirglielo, Con un raro sfoggio di umorismo, ella aveva risposto: «Woody, un comandante può sbagliare, ma non può mai essere incerto.»

«Ascolteremo per cinquanta minuti e riferiremo alla Terra per dieci. Poi ricominceremo daccapo.»

Non v’era niente da vedere o da udire; i circuiti automatici setacciavano i rumori di fondo meglio di qualsiasi senso umano. Ciò nonostante, di quando in quando, Sascia aumentava il volume del monitor audio e il rombo delle fasce di radiazione di Giove colmava la cabina. Era uno scroscio simile a quello delle onde che si frangono su tutte le spiagge della Terra, con occasionali crepitii esplosivi causati dalle supersaette dell’atmosfera gioviana. Di segnali umani, nessuna traccia e, a poco a poco, i membri dell’equipaggio che non erano di servizio si allontanarono silenziosamente.

Mentre aspettava, Floyd eseguì alcuni calcoli mentali. Qualsiasi cosa potesse essere accaduta alla Tsien, risaliva ad almeno due ore prima, quando la notizia era stata riferita dalla Terra.

Ma la Leonov sarebbe dovuta essere in grado di captare un messaggio direttamente, con un ritardo inferiore al minuto, e pertanto i cinesi avevano avuto già tutto il tempo di riprendere le trasmissioni. Il loro protratto silenzio faceva pensare a qualche incidente catastrofico, ed egli si sorprese a immaginare innumerevoli possibilità disastrose.

I cinquanta minuti parvero lunghi come ore e ore. Quando furono scaduti, Sascia orientò di nuovo il complesso dell’antenna verso la Terra e riferì l’esito negativo dell’ascolto. Mentre sfruttava il resto dei dieci minuti per trasmettere una serie di messaggi rinviati, sbirciò interrogativo Tanya Orlova.

«Vale la pena di tentare ancora?» domandò, con un tono di voce che esprimeva chiaramente il suo pessimismo.

«Ma certo. Potremo ridurre il periodo di ascolto… ma continueremo ad ascoltare.»

All’ora stabilita, il grande disco venne puntato una volta di più verso Europa. E, quasi immediatamente, il monitor automatico cominciò a far lampeggiare la luce spia di ALLARME.

La mano di Sascia scattò sul comando del volume e la voce di Giove tornò a colmare la cabina. Sovrapposto ad essa, come un bisbiglio contro il rombo di un temporale, si udiva il suono sommesso, ma inequivocabile, delle comunicazioni umane. Impossibile riconoscere la lingua, sebbene Floyd fosse certo, giudicando dall’intonazione e dal ritmo, che non si trattasse del cinese, ma di qualche lingua europea.

Sascia si avvalse abilmente dei comandi di sintonia fine e di ampiezza di banda, e le parole divennero più chiare. Si trattava indubbiamente della lingua inglese… ma il significato delle frasi continuava ad essere inintelligibile in modo esasperante.

V’è una combinazione di suoni che ogni orecchio umano riesce a cogliere all’istante, anche nell’ambiente più rumoroso. Quando essa emerse all’improvviso dai rumori di fondo gioviani, parve a Floyd di non poter essere desto. Doveva trovarsi intrappolato in qualche sogno fantastico.

I suoi colleghi impiegarono un po’’ più di tempo per reagire, poi lo fissarono con altrettanto stupore e con una sospettosità che adagio andava affacciandosi. Infatti, le prime parole riconoscibili provenienti da Europa furono: «Dottor Floyd… spero che lei possa udirmi.»