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L’ultimo editto di Sascia diceva:
BOLLETTINO RUSSO № 8
OGGETTO: Tovarisc
Ai nostri ospiti americani:
Francamente, amici, non riesco a ricordare l’ultima volta che ci si è rivolti a me con questo termine. Ad ogni russo del secolo ventunesimo, esso ricorda la nave da Battaglia Potiëmkin, berretti rossi e bandiere rosse e Vladimir Ilich che parla agli operai dai predellini di vagoni ferroviari. Sin da quando ero bambino mi sono sempre sentito chiamare bratets o druzhok — scegliete.
Sarete i benvenuti.
Compagno Kovalev
Floyd stava ancora ridacchiando di questo avviso quando venne raggiunto da Vasili Orlov mentre galleggiava lungo il ponte di osservazione, diretto al ponte di volo.
«A stupirmi, tovarisc, è come Sascia abbia potuto trovare il tempo di studiare qualcos’altro oltre all’ingegneria e alla fisica. Eppure non fa che citare poesie e commedie a me del tutto ignote, e parla l’inglese meglio di… be’, di Walter.»
«Siccome si è dedicato alla scienza, Sascia è — come dite voi? — la pecora nera della famiglia. Suo padre era professore di inglese a Novosibirsk. In casa era consentito parlare il russo soltanto dal lunedì al mercoledì. I giorni dal giovedì al sabato venivano dedicati all’inglese.»
«E le domeniche?»
«Oh, il francese o il tedesco, a settimane alterne.»
«Ora so esattamente che cosa intendete con nekulturny; mi sta come un guanto. Sascia si sente forse in colpa a causa della sua… defezione? E, con un simile ambiente familiare, come mai è diventato ingegnere?»
«A Novosibirsk si impara presto chi sono i servi e chi sono gli aristocratici. Sascia era un giovanotto ambizioso, oltre ad essere intelligentissimo.»
«Proprio come lei, Vasili.»
«Et tu Brute! Vede, posso citare anche Shakespeare… Bozhe moi!… cos’era mai quello?»
Floyd era stato sfortunato. Stava galleggiando voltato di spalle alla finestra di osservazione «non aveva veduto un bel nulla. Quando si girò, pochi secondi dopo, rimaneva soltanto la scena familiare del Grande Fratello che bisecava il gigantesco disco di Giove, così come aveva fatto sin dal momento del loro arrivo.
Ma a Vasili, per un attimo destinato a rimanere impresso in eterno nella sua memoria, quel netto profilo aveva presentato una scena completamente diversa e del tutto impossibile. Era stato come se una finestra si fosse spalancata su un altro universo.
La visione si era protratta per meno di un secondo, prima che un riflesso involontario, il battito delle palpebre, la escludesse. Egli aveva contemplato un raggruppamento e non già di stelle, ma di soli, quasi avesse veduto il gremito cuore di una galassia, o il centro di un ammasso globulare. E, in quel momento, Vasili Parlov si era dimenticato per sempre dei cicli della Terra. Da allora in avanti gli sarebbero sembrati intollerabilmente vuoti; persino la formidabile Orione e lo sfarzoso Scorpione sarebbero stati raggruppamenti appena percettibili di fioche stelle che non meritavano una seconda occhiata.
Quando osò riaprire gli occhi, tutto era scomparso. Ma no, non completamente. Nel centro stesso del ristabilito rettangolo nero come ebano, stava ancora splendendo una fioca stella.
Ma una stella non si sposta mentre la si contempla. Orlov batté di nuovo le palpebre, per schiarire la vista degli occhi pieni di lacrime. Sì, il movimento era reale; non lo stava immaginando.
Una meteora? Fu un indizio dello stato di choc del primo scienziato Vasili Orlov il fatto che già svariati secondi erano trascorsi quando egli rammentò come le meteore siano impossibili nello spazio vuoto.
Poi la stella si offuscò all’improvviso, divenendo una striatura di luce e, dopo pochi battiti cardiaci, la striatura scomparve oltre l’orlo di Giove. Nel frattempo Vasili, riavutosi dallo stupore, era diventato una volta di più l’osservatore freddo e spassionato.
Già aveva valutato con buona approssimazione la traiettoria dell’oggetto. Non potevano esservi dubbi: puntava direttamente verso la Terra.