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Fu come se si fosse destato da un sogno… o da un sogno entro un sogno. La porta tra le stelle lo aveva riportato nel mondo degli uomini, ma non più come un uomo.
Per quanto tempo era rimasto lontano? Per un’intera esistenza… anzi no, per due: l’una in avanti, l’altra a ritroso.
Come David Bowman, comandante e ultimo superstite dell’equipaggio dell’astronave americana Discovery, era stato catturato da una trappola gigantesca, predisposta tre milioni di anni prima e regolata in modo da reagire soltanto al momento giusto e al giusto stimolo. Era precipitato attraverso ad essa da un universo all’altro, imbattendosi in meraviglie alcune delle quali adesso capiva, mentre altre sarebbero rimaste per sempre incomprensibili. Aveva percorso, ad una velocità continuamente accelerata, infiniti corridoi di luce, fino a diventare più veloce della luce stessa. Sapeva che questo era impossibile; ma sapeva altresì, ormai, come vi si poteva riuscire. Il buon Dio era sottile, aveva detto Einstein, mai però malevolo.
Era passato attraverso un sistema di smistamento cosmico — una stazione Gran Central delle galassie — per emergere, protetto grazie a forze ignote dalla sua furia, in prossimità della superficie di una stella gigante rossa.
Là aveva assistito al paradosso di un’aurora su un sole, quando la brillante Nana Bianca, compagna dell’astro morente, era salita nel cielo di quest’ultimo — un’ardente apparizione — trascinando sotto di sé un’ondata di marea fatta di fuoco. Egli non aveva provato alcun timore, ma soltanto meraviglia, anche quando la capsula spaziale lo aveva portato in basso, nell’inferno sottostante…
… per condurlo, al di là di ogni logica, in un appartamento d’albergo mirabilmente arredato, nel quale non si trovava nulla che non gli fosse del tutto familiare. Tuttavia quegli oggetti, per la maggior parte erano finti; finti i libri sugli scaffali, finte le scatole di cereali e finti i barattoli di birra nel frigorifero; e molte delle scatole, sebbene avessero etichette famose, contenevano tutte lo stesso blando alimento, che aveva la stessa consistenza del pane, ma un sapore quasi uguale a quello di qualsiasi altro cibo da lui immaginabile.
Si era reso conto ben presto di essere un esemplare in qualche giardino zoologico cosmico, entro una gabbia accuratamente ricreata ispirandosi alle immagini di vecchi programmi televisivi. E si domandava quando sarebbero apparsi i suoi guardiani, e con quale aspetto fisico.
Com’era stata pazzesca questa prospettiva! Sapeva adesso che tanto sarebbe valso sperare di vedere il vento, o speculare sulla vera forma del fuoco.
Poi la spossatezza della mente e del corpo lo aveva sopraffatto. Per l’ultima volta David Bowman si era addormentato.
Un sonno strano, in quanto sentiva di non essere del tutto inconscio. Come una nebbia strisciante attraverso la foresta, qualcosa gli invadeva la mente. Se ne rendeva conto soltanto vagamente, poiché il pieno impatto della cosa lo avrebbe distrutto con la stessa rapidità e la stessa certezza degli incendi infurianti intorno a lui. Sotto lo spassionato scrutinio del fenomeno, egli non provava né speranza né paura.
A volte, durante il lungo sonno, sognava di essere desto. Anni erano trascorsi; a un certo momento si guardava in uno specchio e vedeva una faccia rugosa che a malapena riconosceva come la propria. Il suo corpo stava correndo verso la dissoluzione, le lancette dell’orologio biologico giravano pazzamente verso una mezzanotte che non avrebbero mai raggiunto. Infatti, all’ultimo momento il tempo si fermò… e si invertì.
Le sorgenti della memoria venivano sfruttate; mediante controllate reminiscenze egli riviveva il passato e man mano veniva svuotato di conoscenza ed esperienza mentre tornava indietro verso la fanciullezza. Ma nulla andava perduto; tutto ciò che era stato, in ogni momento della sua vita, veniva trasferito altrove per essere più sicuramente custodito. Nel momento stesso in cui un certo David Bowman cessava di esistere, un altro David Bowman diveniva immortale, andando al di là delle necessità della materia.
Era un dio embrionale, non ancora pronto alla nascita. Per ere aveva galleggiato in un limbo, consapevole di quello che era stato, ma non di quello che era divenuto. Si trovava ancora in una condizione fluida… in un punto intermedio tra la crisalide e la farfalla. O forse soltanto tra il bruco e la crisalide…
E poi la stasi venne interrotta: il Tempo rientrò nel suo piccolo mondo. Il lastrone nero, rettangolare, che all’improvviso gli apparve dinanzi, era come un vecchio amico.
Lo aveva già veduto sulla Luna; lo aveva incontrato in orbita intorno a Giove; e sapeva, in qualche modo, che i suoi antenati si erano imbattuti in esso molto tempo prima. Sebbene il lastrone contenesse segreti non ancora sondati, non rappresentava più un mistero totale; egli capiva adesso alcuni dei suoi misteri.
Si rendeva conto che non si trattava di un unico oggetto, ma di una moltitudine di oggetti; e che, qualsiasi cosa potessero stabilire gli strumenti di misura, aveva sempre le stesse dimensioni — era tanto grande quanto si rendeva necessario.
Come sembrava ovvio, adesso, il rapporto matematico dei suoi lati, la sequenza quadratica 1:4:9! E quanto era ingenuo aver immaginato che la serie finisse lì, con tre sole dimensioni!
Nel momento stesso in cui egli metteva a fuoco la mente su queste semplicità geometriche, il rettangolo vuoto si colmò di stelle. L’appartamento d’albergo — seppure era mai realmente esistito — tornò a dissolvevi nella mente del suo creatore; e là, di fronte a lui, ecco il vortice luminoso della galassia.
Sarebbe potuto essere un qualche meraviglioso modello, incredibilmente particolareggiato e incapsulato in un blocco di plastica. Ma si trattava invece della realtà, ora afferrata da lui come un tutto, con sensi più sottili della vista. Volendo, poteva accentrare l’attenzione su ogni singola stella tra i cento miliardi di stelle che formavano la galassia.
Ecco dove si trovava, alla deriva in quel gran fiume di soli, a metà strada tra i fuochi addensati del nucleo galattico e le solitarie e sparse stellesentinelle lungo i margini. Ed ecco laggiù la sua origine, al lato opposto di quel baratro nel cielo, di quella fascia sinuosa nel cielo, svuotata di ogni stella. Sapeva che tale caos informe, visibile soltanto grazie al bagliore che ne delineava gli orli e proveniva da fuochi nebulosi situati molto più in là, era la sostanza ancora inutilizzata della creazione, la materia prima dell’evoluzione futura. Là il Tempo non aveva ancora avuto inizio; soltanto quando i soli che ardevano adesso sarebbero stati spenti da lunghe ere, la luce e la vita avrebbero riplasmato quel vuoto.
Inconsapevolmente egli lo aveva attraversato un tempo; ora, di gran lunga più preparato, sebbene non conoscesse affatto l’impulso dal quale era spinto, doleva riattraversarlo…
La galassia irruppe dalla cornice mentale entro la quale l’aveva racchiusa; stelle e nebulose si riversarono oltre di lui, dando luogo a un’illusione di velocità infinita. Soli fantasma esplosero e rimasero indietro mentre egli scivolava, simile a un’ombra, attraverso i loro nuclei.
Le stelle si stavano diradando, lo splendore della Via Lattea andava diminuendo e si riduceva a un pallido fantasma della luminosità che egli aveva conosciuto — e che avrebbe potuto conoscere di nuovo, un giorno. Era tornato nello spazio che gli uomini definivano reale, nello stesso punto dal quale lo aveva abbandonato, secondi o secoli prima.
Era vividamente conscio di ciò che lo circondava e di gran lunga più consapevole che nella precedente esistenza di una miriade di «input «sensoriali provenienti dal mondo esterno. Poteva concentrare l’attenzione su uno qualsiasi di essi, ed esaminarli scendendo a particolari virtualmente illimitati, fino a contemplare la struttura fondamentale e quantica del tempo e dello spazio al di sotto della quale esisteva soltanto il caos.
Inoltre poteva muoversi, sebbene non sapesse in qual modo. Ma aveva mai realmente saputo come si muovesse, anche quando possedeva un corpo? L’ordine gerarchico dal cervello alle membra era un mistero cui non aveva mai dedicato alcuna riflessione.
Uno sforzo della volontà e lo spettro di quella stella vicina si spostò verso il blu, esattamente di quel tanto che egli desiderava. Stava cadendo verso di essa quasi alla stessa velocità della luce; sebbene potesse spostarsi più rapidamente, volendo, non aveva alcuna fretta. Esistevano ancora molte informazioni da valutare, molti dati da prendere in considerazione… e molti di più ancora da procurarsi. Questo, lo sapeva, era il suo scopo attuale; ma sapeva altresì che tale scopo costituiva soltanto un aspetto di qualche piano più vasto, che gli sarebbe stato rivelato a tempo debito.
Non pensava affatto al varco tra gli universi che andava restringendosi così rapidamente dietro di lui, né alle ansiose entità riunite intorno ad esso nella loro primitiva astronave. Facevano parte delle sue reminiscenze; ma ricordi più irresistibili lo stavano chiamando adesso, lo richiamavano nel mondo che non aveva mai pensato di poter rivedere.
Ne udì le miriadi di voci divenire sempre e sempre più forti — mentre anch’esso si ingrandiva, tramutandosi da una stella quasi invisibile contro l’estesa corona solare, in una falce sottile e infine in un luminoso disco biancoazzurrognolo.
Sapevano che stava arrivando. Laggiù, su quel globo gremito, i segnali di allarme dovevano lampeggiare sugli schermi radar, i grandi telescopi di individuazione stavano di certo frugando il firmamento — e la storia, così come gli uomini l’avevano conosciuta, si avvicinava alla conclusione.
Un migliaio di chilometri più in basso divenne consapevole del fatto che un assopito carico di morte si era destato e si stava muovendo lungo la propria orbita. Le deboli energie che conteneva non costituivano per lui alcuna minaccia; anzi, avrebbe potuto utilizzarle proficuamente.
Penetrò nel labirinto dei circuiti, e, rapidamente, trovò la strada fino al centro letale. Quasi tutte le diramazioni potevano essere ignorate; erano vicoli ciechi escogitati a scopo protettivo. Sotto l’esame di lui, l’espediente risultava infantilmente semplice; risultò facile lasciarseli tutti indietro.
Restava adesso un ultimo, unico ostacolo — un rozzo ma efficace relais meccanico, che teneva a distanza due contatti. Fino a quando fossero rimasti separati, non vi sarebbe stata energia per attivare la sequenza ultima.
Egli si avvalse della propria forza di volontà — e, per la prima volta, conobbe la sconfitta e la delusione. I pochi grammi del microinterruttore non vollero muoversi. Continuava ad essere una creatura fatta di pura energia; per il momento, il mondo della materia inerte rimaneva al di là della sua portata. Bene, esisteva un modo semplice di risolvere la difficoltà.
Aveva ancora molto da imparare. La corrente pulsante da lui indotta nel relais fu così potente da fondere quasi la bobina prima di azionare il meccanismo di scatto.
I microsecondi trascorsero adagio, ticchettando. Fu interessante osservare le lenti esplosive concentrare nel punto focale le loro energie, come il debole fiammifero che accende una striscia di polvere da sparo, la quale, a sua volta…
I megatoni fiorirono in una detonazione silenziosa che causò una breve e falsa alba sulla metà addormentata del mondo. Simile alla Fenice sorta dalle fiamme, egli assorbì quanto gli occorreva e scartò il resto. Molto più in basso, lo scudo dell’atmosfera, che proteggeva il pianeta da tanti pericoli, assorbì le radiazioni più pericolose. Ma non sarebbero mancati alcuni uomini e animali sfortunati, che avrebbero perduto per sempre la vista.
Dopo l’esplosione, parve che la Terra fosse rimasta ammutolita. La babele delle onde corte e medie tacque completamente, riflessa verso il basso dalla ionosfera accresciuta all’improvviso. Soltanto le microonde continuarono ad attraversare lo specchio invisibile, in lenta dissoluzione, che circondava adesso il pianeta, ma erano quasi tutte troppo strettamente unite in fasci perché egli potesse riceverle. Alcuni radar a grande potenza continuavano a centrarlo, ma ciò non rivestiva alcuna importanza. Non si diede neppure la pena di neutralizzarli, come avrebbe potuto fare facilmente. E, se altre bombe avessero dovuto venire dalla sua parte, le avrebbe accolte con la stessa indifferenza. Per il momento disponeva di tutta l’energia che gli occorreva.
E ora stava scendendo, lungo ampie e distanziate spirali, verso il perduto paesaggio della sua fanciullezza.