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Il clamore sulla Terra era piacevolmente inaudibile al di là dei milioni di chilometri di spazio. L’equipaggio della Leonov seguì affascinato, ma anche con un certo distacco, i dibattiti alle Nazioni Unite, le interviste ad illustri scienziati, le teorie dei commentatori di notizie, i resoconti circostanziati eppure in netto contrasto l’uno con l’altro, da parte di coloro che avevano avuto incontri ravvicinati. L’equipaggio non poteva contribuire in alcun modo all’agitazione generale, in quanto non aveva assistito ad alcun’altra manifestazione di qualsiasi genere. Zagadka, alias Grande Fratello, rimaneva, come sempre, del tutto indifferente alla presenza dell’astronave. E questa era una situazione davvero ironica; avevano compiuto il lungo viaggio dalla Terra per risolvere un mistero — ma sembrava che la soluzione potesse essere trovata proprio al loro punto di partenza.
Per la prima volta si sentirono grati a causa della bassa velocità della luce e del ritardo di due ore che rendeva impossibili le interviste in diretta sul circuito TerraGiove. Ciononostante, Floyd venne assediato da un tale numero di richieste da parte dei mezzi di comunicazione di massa che, in ultimo, si mise in sciopero. Non v’era niente di più da dire di quanto aveva già detto almeno una dozzina di volte.
E, a parte questo, rimaneva ancora molto lavoro da sbrigare. La Leonov doveva essere preparata per il lungo viaggio di ritorno sulla Terra, affinché potesse essere pronta a partire immediatamente non appena la finestra di lancio si fosse aperta. Il momento della partenza non era affatto critico; anche se lo avessero oltrepassato di un mese, si sarebbero limitati a protrarre la durata del viaggio, Chandra, Curnow e Floyd non se ne sarebbero nemmeno accorti nel loro stato di ibernazione, tornando verso il Sole; ma gli altri dell’equipaggio erano torvamente decisi a partire non appena le leggi della meccanica celeste lo avessero consentito.
La Discovery continuava a porre molti problemi. L’astronave disponeva di propellente appena bastante per il ritorno sulla Terra, anche se fosse partita molto più tardi della Leonov e avesse seguito un’orbita con minimo consumo di energia — un’orbita che avrebbe richiesto quasi tre anni per essere percorsa. Ma ciò sarebbe stato possibile soltanto potendo fiduciosamente programmare Hal per lo svolgimento della missione senza alcun intervento umano, tranne il monitoraggio a lunga portata. Senza la collaborazione del computer, la Discovery sarebbe dovuta essere abbandonata una volta di più.
Era stato affascinante — e invero molto commovente — assistere alla costante rinascita della personalità di Hal, dallo stadio di un bambino affetto da una lesione al cervello a quello di un adolescente interdetto e infine allo stadio di un adulto che dava prova di una lieve condiscendenza. Pur sapendo che queste etichette così antropomorfiche erano assai fuorvianti, Floyd trovava del tutto impossibile evitarle.
E venivano momenti nei quali sentiva che l’intera situazione aveva assistito a videodrammi nei quali adolescenti turbati venivano rimessi in sesto da savi discendenti del leggendario Sigmund Freud! Essenzialmente, la stessa cosa andava ripetendosi adesso all’ombra di Giove.
La psicanalisi elettronica aveva proceduto con una rapidità situata totalmente al di là della comprensione umana man mano che programmi di riparazione e diagnostici balenavano lungo i circuiti di Hal a miliardi di bit al secondo, individuando esattamente possibili difetti di funzionamento e correggendoli. Sebbene quasi tutti questi programmi fossero stati preventivamente messi alla prova con il gemello di Hal, Sal 9000, l’impossibilità di un dialogo in tempo reale tra i due computer costituiva un serio ostacolo. A volte si perdevano ore quando risultava necessario controllare con la Terra una fase critica della terapia.
Infatti, nonostante tutto il gran lavoro di Chandra, la riabilitazione del computer era ancora tutt’altro che completa. Hal continuava a manifestare numerose idiosincrasie nonché tic nervosi, e a volte ignorava addirittura le parole pronunciate, anche se riconosceva sempre gli input da tastiera, effettuati da chicchessia. Nella direzione opposta, i suoi output erano ancora più eccentrici. Venivano momenti in cui dava risposte verbali, ma non voleva visualizzarle sullo schermo. Altre volte faceva entrambe le cose, ma si rifiutava di azionare la stampante. Non forniva giustificazioni né spiegazioni — nemmeno il caparbiamente impenetrabile «io preferisco non farlo» dell’autistico scrivano di Melville, Bartleby.
Tuttavia, non era tanto attivamente disubbidiente quanto riluttante, e inoltre soltanto quando si trattava di certi compiti. Si riusciva sempre, in ultimo, ad assicurarsi la sua collaborazione — a «fargli passare il broncio con la persuasione», come si esprimeva nitidamente Curnow.
Non era sorprendente che il dottor Chandra cominciasse a tradire la stanchezza. In una famosa occasione, quando Max Brailovsky, innocentemente, riesumò un vecchio canard, egli perdette quasi la pazienza.
«È vero, dottor Chandra, che lei scelse il nome Hal per essere di un passo più avanti dell’IBM?»
«Questa è una totale assurdità! Una buona metà di noi proviene dall’IBM, e per anni abbiamo cercato tutti di smentire tale diceria. Credevo che ormai ogni persona intelligente sapesse come il nome HAL derivi da Heuristic Algorithmic (algoritmo euristico).» In seguito Max giurò che era riuscito a udire distintamente le lettere maiuscole.
Secondo il parere personale di Floyd, esistevano almeno cinquanta probabilità contro una che la Discovery riuscisse a tornare sulla Terra. Ma poi Chandra lo avvicinò per fargli una proposta straordinaria.
«Dottor Floyd, posso scambiare qualche parola con lei?»
Dopo tutte quelle settimane di esperienze condivise, Chandra continuava ad essere formale come sempre — non soltanto con Floyd, ma con tutti i membri dell’equipaggio. Nemmeno alla baby dell’astronave, Zenia, si rivolgeva mai senza servirsi del prefisso «signora».
«Ma certo, Chandra. Di che si tratta?»
«Ho virtualmente completato la programmazione per le sei più probabili variazioni sull’orbita Hohmann di ritorno. Cinque di esse sono state provate in una situazione simulata, senza alcun intoppo.»
«Magnifico. Sono certo che nessun altro sulla Terra — anzi nell’intero sistema solare vi sarebbe riuscito.»
«Grazie. Tuttavia, lei sa bene quanto me che è impossibile programmare tutte le eventualità. Hal potrebbe funzionare… anzi, no, funzionare senz’altro… perfettamente, e sarà in grado di far fronte ad ogni emergenza ragionevole. Ma incidenti banali di ogni genere — piccoli guasti degli impianti che potrebbero essere riparati con un cacciavite, fili spezzati, interruttori bloccati — potrebbero lasciarlo impotente e far fallire l’intera missione.»
«È verissimo, naturalmente, e la cosa ha continuato a preoccuparmi, ma che altro possiamo fare al riguardo?»
«In realtà è semplicissimo. Vorrei restare sulla Discovery.»
L’immediata reazione di Floyd consistette nel credere che Chandra fosse impazzito. Ripensandoci, tuttavia, forse egli era soltanto pazzo a metà. Effettivamente, sarebbe potuto essere decisivo, per evitare l’insuccesso, avere a bordo un essere umano — durante il lungo viaggio di ritorno alla Terra della Discovery. Ma le obiezioni erano assolutamente travolgenti.
«È un’idea interessante» rispose Floyd, con estrema cautela, «e apprezzo senz’altro il suo entusiasmo. Ma ha pensato a tutte le difficoltà?» Questa era stata una cosa stupida a dirsi. Chandra doveva avere già archiviato tutte le risposte, in modo da poterle pescare immediatamente.
«Rimarrebbe solo per più di tre anni! Se dovesse capitarle qualche incidente, o se dovesse sentirsi male?»
«Questo è un rischio che sono disposto a correre.»
«E il problema dei viveri, dell’acqua? La Leonov non ne dispone a sufficienza per potersene privare di una parte.»
«Ho controllato l’impianto di riciclaggio della Discovery; può essere reso nuovamente operativo senza troppa difficoltà. Del resto, noi indiani riusciamo a tirare avanti con pochissimo.»
Era inconsueto da parte di Chandra riferirsi alla sua origine, o anche soltanto fare asserzioni di carattere personale; questa «confessione» era il solo esempio che Floyd riuscisse a ricordare. Ma non dubitò affatto di quanto diceva lo scienziato; Curnow aveva fatto osservare, una volta, come il dottor Chandra avesse quel genere di fisico cui si poteva pervenire soltanto dopo secoli di inedia. Anche se la frase sembrava una delle scortesi prese in giro dell’ingegnere, era stata pronunciata senza alcuna malizia anzi con simpatia; sebbene non, naturalmente, alla presenza di Chandra.
«Bene, abbiamo ancora parecchie settimane di tempo per decidere. Ci penserò su e ne parlerò con Washington.»
«Grazie. Le spiace se comincio a fare i preparativi?»
«Ehm… no, affatto, purché non ostacolino i piani attuali. Rammenti… la decisione ultima dovrà essere presa dal Controllo Missione.»
Ed io so esattamente che cosa dirà il Controllo Missione. Era una pazzia, infatti, aspettarsi che un uomo potesse sopravvivere per tre anni solo nello spazio.
Ma, naturalmente, Chandra era sempre stato solo.