120369.fb2 2010: Odissea due - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 5

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2. LA CASA DEI DELFINI

I delfini nuotavano nella sala da pranzo ogni sera, subito prima del tramonto. Una sola volta, da quando Floyd occupava la residenza del Rettore, erano venuti meno alla loro routine. Questo il giorno dello tsunami del 2005 che, fortunatamente, aveva perduto la maggior parte della sua violenza prima di arrivare a Milo. Quando i suoi amici fossero venuti meno alle loro abitudini una seconda volta, Floyd si sarebbe affrettato a scaraventare la famiglia sull’automobile e a dirigersi verso luoghi più elevati, grosso modo nella direzione di Mauna Kea.

Per quanto i delfini fossero incantevoli, egli doveva ammettere che la loro giocosità era a volte fastidiosa. Il ricco geologo marino che aveva progettato la casa non si era mai preoccupato di bagnarsi perché di solito portava le mutandine da bagno, o anche meno. Ma vi era stata un’occasione indimenticabile in cui l’intero consiglio di amministrazione dell’Università, tutti i suoi membri in abito da sera, stava sorseggiando cocktail intorno alla piscina, in attesa dell’arrivo di un ospite illustre dal continente. I delfini ne avevano dedotto, giustamente, che sarebbero passati in secondo piano. Ragion per cui il visitatore era rimasto stupitissimo venendo accolto da un inzaccherato comitato di ricevimento i cui componenti indossavano accappatoi troppo ampi o troppo stretti; e inoltre il buffet era risultato molto salato.

Floyd si domandava spesso che cosa avrebbe pensato Marion della sua strana e splendida casa sulla riva del Pacifico. Il mare non era mai piaciuto a Marion, ma il mare aveva, in ultimo, avuto la meglio. Sebbene l’immagine stesse ormai cominciando a sbiadire lentamente, egli ricordava ancora lo schermo baluginante sul quale aveva letto anzitutto le parole:

PER IL DOTTOR FLOYD URGENTE E PERSONALE.

E poi le righe di fluorescenti caratteri a stampa che avevano cominciato a scorrere sullo schermo, marchiandogli rapidamente, a fuoco, il loro messaggio nella mente:

SPIACENTI DOVERLA INFORMARE CHE AEREO DEL VOLO 452 LONDRAWASHINGTON RISULTA PRECIPITATO AL LARGO DI TERRANOVA. NAVE DI SOCCORSO SI STA DIRIGENDO VERSO PUNTO INCIDENTE MA SI TEME NON VI SIANO SUPERSTITI.

Se non fosse stato per un capriccio del Fato, egli si sarebbe trovato su quell’aereo. Per alcuni giorni si era quasi rammaricato perché l’incarico affidategli dall’Amministrazione Spaziale Europea lo aveva trattenuto a Parigi; eppure, dalla disputa a causa del carico utile della Solaris gli era stata salvata la vita.

E ora aveva un nuovo lavoro, una nuova casa… e una nuova moglie. Il Fato era intervenuto in modo ironico anche in tutto ciò. Le recriminazioni e le indagini a causa della missione Giove avevano distrutto la sua carriera a Washington, ma un uomo capace come lui non rimaneva mai disoccupato a lungo. Il maggior tempo libero consentito dalla carriera universitaria lo aveva sempre attratto e questo vantaggio, accomunato a una delle più belle località del mondo, era risultato irresistibile. Egli aveva conosciuto la donna destinata a divenire la sua seconda moglie appena un mese dopo la nomina, mentre contemplava le fontane di fuoco a Kilauea insieme a una turba di turisti.

Con Caroline aveva trovato quella serenità che è importante quanto la felicità, e più duratura. Ella era stata una buona matrigna per le due figlie di Marion, e gli aveva dato Christopher. Nonostante i vent’anni di differenza d’età tra loro, capiva i suoi stati d’animo e riusciva a sottrarlo agli occasionali sconforti. Grazie a lei, egli poteva ora contemplare il ricordo di Marion senza sofferenza, anche se una pensosa malinconia gli sarebbe rimasta nel cuore per tutta la vita.

Caroline stava lanciando pesci al delfino più grosso il grande maschio che chiamavano Dorsosfregiato quando un tintinnìo sommesso al polso di Floyd annunciò una telefonata in arrivo. Egli toccò il sottile bracciale di metallo per far tacere l’attutita suoneria d’allarme e impedire che venisse seguita da quella più percettibile, poi si diresse verso il più vicino degli apparecchi di comunicazione sparsi nella stanza.

«Qui il Rettore. Chi parla?»

«Heywood? Sono Victor. Come stai?»

In una frazione di secondo, un intero caleidoscopio di emozioni balenò nella mente di Floyd. Anzitutto irritazione: il suo successore e, egli ne era certo, il maggiore artefice del defenestramento toccategli non aveva mai una sola volta tentato di mettersi in contatto con lui dopo la partenza da Washington. Poi seguì la curiosità: di che mai avrebbero potuto parlare? Quindi vennero la caparbia decisione di rendersi utile il meno possibile, la vergogna a causa di una reazione così infantile e, in ultimo, un empito di eccitazione. Victor Millson poteva essersi messo in comunicazione con lui per un solo motivo.

Nel tono più neutro di cui era capace, Floyd rispose: «Non posso lamentarmi, Victor. Qual è il problema?»

«È sicuro questo circuito?»

«No, grazie a Dio. I circuiti segreti non mi servono più.»

«Um. Be’, allora mi esprimerò in questo modo: rammenti l’ultimo progetto che dirigesti?»

«Non è probabile che possa averlo dimenticato, specie in quanto il Sottocomitato dell’Astronautica mi ha riconvocato per una nuova testimonianza appena un mese fa.»

«Certo, certo. Devo proprio decidermi a leggere le tue dichiarazioni non appena troverò un momento di tempo. Ma sono stato impegnatissimo a causa dei successivi sviluppi, e questo è il problema.»

«Credevo che tutto si svolgesse come previsto.»

«È così… sfortunatamente. Non possiamo far niente per accelerare le cose. Anche la massima precedenza assoluta significherebbe una differenza di appena poche settimane. E questo significa che arriveremmo troppo tardi.»

«Non capisco» disse Floyd, fingendo ingenuità. «Anche se non vogliamo perdere tempo, naturalmente, non esiste alcuna vera scadenza non superabile.»

«Ora esiste invece… anzi esistono. Sono due.»

«Mi stupisci.»

Se anche Victor rilevò una nota ironica, la ignorò. «Sì, esistono due limiti ultimi… l’uno determinato dall’uomo, l’altro no. Risulta adesso che non saremo i primi a tornare sulla… ehm, sulla scena dell’azione. I nostri eterni rivali ci precederanno di almeno un anno.»

«È un vero guaio.»

«Ma non è questo il peggio. Anche se non avessimo concorrenza, arriveremmo troppo tardi. Non vi sarebbe più niente, lassù, al nostro arrivo.»

«Ma questo è ridicolo. Lo avrei saputo, ne sono certo, se la legge della gravitazione fosse stata abrogata dal Congresso.»

«Parlo seriamente. La situazione non è stabile… non posso fornirti particolari, adesso. Rimarrai in casa per il resto della serata?»

«Sì» rispose Floyd, rendendosi conto, non senza un certo compiacimento, che a Washington la mezzanotte doveva essere passata da un pezzo.

«Bene. Entro un’ora ti verrà consegnato un plico. Richiamami non appena avrai avuto il tempo di esaminarne il contenuto.»

«Non sarà piuttosto tardi, quando lo avrò esaminato?»

«Sì, lo sarà. Ma abbiamo già perduto troppo tempo. Non voglio perderne dell’altro.»

Millson mantenne la parola. Esattamente un’ora dopo, una grande busta sigillata venne consegnata nientemeno che da un colonnello dell’aeronautica militare il quale aspettò pazientemente, conversando con Caroline, mentre Floyd leggeva il contenuto del plico. «Temo che dovrò riportare via i documenti quando avrà terminato di leggerli» disse l’altolocato fattorino.

«Sono lieto di saperlo» rispose Floyd, sdraiandosi sull’amaca che prediligeva per leggere.

Il plico conteneva due documenti, il primo dei quali brevissimo. Era stampigliato ULTRA SEGRETO sebbene l’«ULTRA» fosse stato cancellato e la modifica risultasse convalidata da ben tre firme, tutte totalmente illeggibili. Ovviamente il compendio di un altro rapporto molto più lungo, era stato censurato con mano pesante e conteneva molti spazi bianchi che lo rendevano esasperante a leggersi. Per fortuna, le conclusioni potevano essere riassunte con una sola frase: i russi avrebbero raggiunto la Discovery molto tempo prima di quanto potessero farlo i legittimi proprietari. Floyd, essendo già informato di questo, passò rapidamente al secondo documento ma non senza aver prima notato, con soddisfazione, che questa volta erano riusciti a sapere il nome esatto. Come sempre, Dimitri era stato assolutamente preciso. Gli astronauti della prossima spedizione fino a Giove avrebbero viaggiato a bordo dell’astronave Cosmonauta Alexei Leonov.

Il secondo documento, molto più lungo, si limitava ad essere «confidenziale»; trattavasi, in effetti, della prima stesura di un articolo diretto a Science, in attesa dell’approvazione definitiva prima della pubblicazione. Era concisamente intitolato «Il veicolo spaziale Discovery: anomalo comportamento orbitale».

Seguiva una dozzina di pagine con tabelle matematiche e astronomiche. Floyd le sfogliò rapidamente, scegliendo le parole in base al suono e cercando di cogliere ogni sfumatura di giustificazione o anche di imbarazzo. Quando ebbe terminato di leggere, non riuscì a trattenere un sorriso di maliziosa ammirazione. Nessuno sarebbe riuscito a supporre che le basi di rilevamento e gli addetti ai calcoli delle efemeridi erano stati colti di sorpresa e che si stava svolgendo una frenetica manovra di copertura. Teste sarebbero senza dubbio rotolate, ed egli sapeva che Victor Millson avrebbe gioito nel farle rotolare ammesso che la sua non fosse la prima a partire. Anche se, per rendergli giustizia, Victor aveva protestato quando i fondi destinati alla rete di rilevamento erano stati ridotti dal Congresso. Forse questo lo avrebbe salvato.

«Grazie, colonnello» disse Floyd, quando ebbe terminato di esaminare i documenti. «È stato come tornare ai bei tempi avere per le mani rapporti segreti. Ma è una cosa della quale non sento affatto la mancanza.»

Il colonnello rimise con cura la busta nella borsa di cuoio e fece scattare le serrature.

«Il dottor Millson gradirebbe che lei gli telefonasse al più presto possibile.»

«Lo so, ma non dispongo di un circuito sicuro, stanno per giungere qui alcuni visitatori importanti e il diavolo mi porti se andrò in macchina fino al vostro ufficio di Hilo soltanto per dirgli che ho letto i due documenti. Gli riferisca che li ho studiati attentamente e che aspetto con interesse ulteriori comunicazioni.»

Per un momento il colonnello parve sul punto di protestare. Poi ci ripensò, si congedò con freddezza e se ne andò imbronciato nella notte.

«Ma che cos’è questa storia?» domandò Caroline. «Non stiamo aspettando alcun visitatore questa sera, importante o meno.»

«Non sopporto di essere comandato a bacchetta, specie da Victor Millson.»

«Scommetto che ti ritelefonerà non appena avrà avuto il rapporto del colonnello.»

«Allora dovremo togliere il video e fare un po’’ di baccano, come se fosse in corso un ricevimento. Ma, per essere del tutto sincero, a questo punto non ho davvero niente da dirgli.»

«A proposito di che cosa, se mi è consentito domandarlo?»

«Scusami, cara. Sembra che la Discovery ci stia giocando un brutto tiro. Ritenevamo che l’astronave fosse su un’orbita stabile, e invece potrebbe essere sul punto di schiantarsi.»

«Su Giove?»

«Oh, no… questo è assolutamente impossibile. Bowman l’aveva lasciata parcheggiata nel punto interno di Lagrange, lungo il limite tra Giove e Io. Sarebbe dovuta restare là, più o meno, anche se le perturbazioni delle lune esterne l’avrebbero fatta oscillare avanti e indietro. Invece, quello che sta accadendo adesso è qualcosa di molto strano, e non conosciamo la vera spiegazione. La Discovery si sta spostando sempre e sempre più rapidamente verso Io sebbene talora acceleri e talora addirittura torni indietro. Se le cose continueranno in questo modo, l’impatto avrà luogo entro due o tre anni.»

«Credevo che questo non potesse accadere nell’astronomia. La meccanica celeste non dovrebbe essere una scienza esatta? Almeno così è sempre stato detto a noi poveri, ottusi biologi.»

«È una scienza esatta, quando vengono presi in considerazione tutti i dati. Ma intorno a Io accadono alcune cose molto strane. A parte i vulcani, si determinano tremende scariche elettriche… e il campo magnetico di Giove ruota ogni dieci ore. Pertanto la gravitazione non è la sola forza ad agire sulla Discovery; avremmo dovuto pensarci prima… molto prima.»

«Be’, non si tratta più di un tuo problema… E di questo dovresti essere grato.»

Il tuo problema… Le stesse precise parole che aveva pronunciato Dimitri. E Dimitri quell’astuta, vecchia volpe! lo conosceva da molto più tempo di Caroline.

Poteva non essere il suo problema, ma lui continuava a sentirsi responsabile. Sebbene molti altri fossero stati coinvolti, in ultima analisi egli aveva approvato i piani relativi alla Missione Giove, dirigendone poi l’attuazione.

E, sin da allora, era stato tormentato dai dubbi: i suoi punti di vista in quanto scienziato contrastavano con i suoi doveri in quanto burocrate. Avrebbe potuto parlare apertamente e opporsi alla miope politica dell’amministrazione precedente anche se continuava ad essere incerto riguardo a in quale misura l’atteggiamento da lui assunto avesse contribuito al disastro.

Forse sarebbe stato preferibile se avesse considerato chiuso quel capitolo della sua vita, per concentrare ogni pensiero e ogni energia sulla nuova carriera. Ma, in cuor suo, egli sapeva che questo era impossibile; anche se Dimitri non avesse fatto rivivere precedenti rimorsi, essi sarebbero affiorati alla superficie di loro iniziativa.

Quattro uomini erano morti, ed uno era scomparso, là nello spazio esterno, tra le lune di Giove. Egli aveva le mani sporche di sangue e non sapeva come lavarsele.