120369.fb2 2010: Odissea due - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 53

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45. MANOVRA DI FUGA

«… sono Heywood Floyd e trasmetto quello che presumo — e anzi spero — sarà il mio ultimo rapporto dal Lagrange.

«Ci stiamo ora preparando per il ritorno sulla Terra; tra pochi giorni ce ne andremo da questo strano luogo, qui tra Io e Giove, ove ci avvicinammo all’enorme e misteriosamente scomparso manufatto da noi denominato Grande Fratello. Nulla ancora lascia intravvedere dove sia andato… o perché.

«Per vari motivi, sembra desiderabile che non restiamo qui più a lungo del necessario. E potremo partire almeno due settimane prima del previsto impiegando l’astronave americana Discovery come razzo vettore dell’astronave russa Leonov.

«L’idea fondamentale è semplice; le due navi spaziali verranno unite, l’una a cavalcioni dell’altra. La Discovery consumerà per prima tutto il suo propellente, facendo accelerare entrambe le astronavi nella direzione voluta. Quando i serbatoi della Discovery saranno vuoti, ci separeremo da essa come se si trattasse di un primo stadio… e la Leonov accenderà i suoi propulsori. Non se ne servirà prima perché, in tal caso, sprecherebbe energia per trascinare il peso morto della Discovery.

«Ricorreremo inoltre a un altro espediente che — come tanti altri concetti utilizzati nei viaggi spaziali — a tutta prima sembra sfidare il buon senso. Sebbene stiamo cercando di allontanarci da Giove, la nostra prima mossa consisterà nell’avvicinarci al pianeta il più possibile.

«È quanto abbiamo già fatto una volta, naturalmente, quando ci siamo serviti dell’atmosfera di Giove per rallentare la nostra velocità e metterci in orbita intorno al pianeta. Questa volta non arriveremo così vicini ad esso… ma soltanto poco di meno.

«La prima accensione dei propulsori, quassù sull’orbita di Io che dista da Giove trecentocinquantamila chilometri, ridurrà la nostra velocità per cui cadremo verso Giove e ne sfioreremo l’atmosfera. Poi, quando ci troveremo nel punto di massimo avvicinamento, consumeremo il propellente il più rapidamente possibile per aumentare la velocità e inserire la Leonov nell’orbita di ritorno verso la Terra.

«Qual è lo scopo di una manovra così pazzesca? Può essere dimostrato soltanto da calcoli estremamente complessi, ma ritengo che il principio fondamentale possa essere reso del tutto manifesto.

«Consentendo a noi stessi di cadere nell’enorme campo gravitazionale di Giove, acquisteremo velocità… e di conseguenza energia. Quando parlo al plurale, mi riferisco alle astronavi e al propellente che hanno a bordo.

«E noi consumeremo il propellente proprio là — nel fondo del «pozzo di gravità» di Giove — non lo risolleveremo più. Scaturendo dai nostri propulsori a reazione, esso condividerà con noi parte dell’energia cinetica che avrà acquisito. Indirettamente, avremo attinto alla gravità di Giove, affinché ci faccia accelerare per il ritorno alla Terra. Come ci siamo serviti dell’atmosfera gioviana per liberarci della velocità in eccesso all’arrivo. Questo è uno dei rari casi nei quali Madre Natura di solito così frugale ci consente entrambe le possibilità…

«Grazie a questa triplice spinta il propellente della Discovery, il proprio, e la gravità di Giove la Leonov si dirigerà verso il Sole lungo una iperbole che la riporterà sulla Terra cinque mesi dopo. Almeno due mesi prima di quanto avremmo potuto altrimenti raggiungerla.

«Vi domanderete senza dubbio che cosa sarà della cara, vecchia Discovery. Ovviamente non possiamo riportarla sulla Terra grazie al controllo automatico, come avevamo previsto. Senza propellente sarà indifesa.

«Ma assolutamente al sicuro. Continuerà a ruotare intorno a Giove lungo una ellisse estremamente allungata, simile ad una cometa presa in trappola. E forse, un giorno, qualche futura spedizione riuscirà ad avvicinarla una seconda volta, con propellente in più a sufficienza per ricondurla sulla Terra. Tuttavia questo non accadrà, senza dubbio, per molti anni ancora.

«E adesso dobbiamo prepararci alla partenza. V’è ancora molto lavoro da sbrigare, e non potremo riposarci prima che quell’ultima accensione dei propulsori ci abbia spinti verso l’orbita del ritorno.

«Non ci dispiacerà andarcene, anche se non abbiamo raggiunto tutti i nostri scopi. Il mistero — forse la minaccia — della scomparsa del Grande Fratello continua ad assillarci, ma, a questo riguardo, non possiamo far niente.

«Abbiamo fatto del nostro meglio… e stiamo per tornare.

«Qui Heywood Floyd, che si congeda da voi.»

* * *

Seguì uno scroscio di ironici battimani da parte del suo piccolo pubblico, che si sarebbe moltiplicato di parecchi milioni di volte quando la trasmissione fosse stata captata sulla Terra.

«Non mi stavo rivolgendo a voi» esclamò Floyd, lievemente imbarazzato. «In ogni modo non volevo che ascoltaste.»

«Ha parlato con la sua consueta competenza, Heywood» disse Tanya, consolante. «E, ne sono certa, noi tutti concordiamo con ogni cosa che ha detto alla gente sulla Terra.»

«Non proprio con ogni cosa» disse una voce esile, e talmente sommessa che gli altri dovettero tendere le orecchie per udire bene. «Esiste ancora un problema.»

Nel locale delle osservazioni calò all’improvviso un grande silenzio. Per la prima volta dopo settimane, Floyd divenne consapevole del lieve pulsare del condotto principale dell’aria, nonché del ronzìo intermittente che sarebbe potuto essere prodotto da una vespa intrappolata dietro uno dei pannelli delle pareti.

La Leonov, come tutte le astronavi, era piena di tali suoni a volte inesplicabili, che venivano notati di rado, tranne quando cessavano. In questi casi era di solito una buona idea cominciare a indagare senza indugi.

«Non mi risulta che esista alcun problema, Chandra» disse Tanya. «Quale potrebbe essere?»

«Ho impiegato queste ultime settimane preparando Hal al volo di ritorno sulla Terra lungo orbite della durata di mille giorni. Ora tutti questi programmi dovranno essere scartati.»

«Ne siamo spiacenti» rispose Tanya «ma, tenuto conto di come si sono messe le cose, senza dubbio è di gran lunga meglio…»

«Non è questo che intendevo» disse Chandra. Tutti si stupirono; mai, prima di allora, egli aveva interrotto qualcuno e, meno di ogni altro, Tanya.

«Sappiamo quanto è sensibile Hal agli scopi della missione» continuò lui, nel silenzio colmo di aspettativa che seguì. «Ora mi chiedete di dargli un programma che potrebbe causare la sua distruzione. È vero, il piano attuale porrà la Discovery su un’orbita stabile — ma, se quell’avvenimento ha un qualche valore, che cosa accadrà in ultimo all’astronave? Non lo sappiamo, naturalmente… però la prospettiva ci ha spaventati al punto di fuggire. Avete tenuto conto della reazione di Hal a questa situazione?»

«Sta sostenendo seriamente» domandò Tanya, molto adagio «che Hal potrebbe rifiutarsi di ubbidire agli ordini… proprio come nella missione precedente?»

«Non è questo che accadde l’ultima volta. Hal fece del suo meglio per interpretare ordini contrastanti.»

«Questa volta non vi sarà alcun contrasto. La situazione è perfettamente chiara.»

«Per noi, forse. Ma una delle direttive fondamentali date ad Hal è quella di tenere la Discovery lontana dal pericolo. Noi tenteremo di fargliela ignorare. E, in un sistema complicato come quello di Hal, è impossibile prevedere tutte le conseguenze.»

«Non vedo alcuna difficoltà» intervenne Sascia. «Ci limiteremo a non dirgli che esiste un qualsiasi pericolo. Dopodiché il computer non potrà avere riserve concernenti l’attuazione del programma.»

«Fare da babysitter a un calcolatore psicotico» mormorò Curnow. «Mi sembra di far parte di un videodramma fantascientifico di seconda categoria.»

Il dottor Chandra gli scoccò un’occhiata ostile.

«Chandra» domandò Tanya, a un tratto, «ha mai parlato di questo con Hal?»

«No.»

Vi era stata, forse, una lieve esitazione? si domandò Floyd. Sarebbe potuta essere del tutto innocente; Chandra si era forse limitato a controllare la propria memoria. Ma poteva anche darsi che avesse mentito, per quanto la cosa sembrasse improbabile.

«Allora faremo come suggerisce Sascia. Ci limiteremo a caricare il nuovo programma senza dirgli altro.»

«E quando mi interrogherà sul cambiamento di piano?»

«Può farlo… senza un intervento da parte sua?»

«Naturale. La prego di tener presente che Hal venne progettato per essere curioso. Nell’eventualità che l’equipaggio fosse rimasto ucciso, doveva essere in grado di portare a termine una missione utile, di sua iniziativa.»

Tanya rifletté per qualche momento.

«Il problema continua ad essere molto semplice. A lei Hal crederà, non è vero?»

«Senza dubbio.»

«Allora deve dirgli che la Discovery non corre alcun pericolo, e che vi sarà un’altra missione per riportarla sulla Terra a una data successiva.»

«Ma questo non è vero.»

«Non sappiamo se sia falso» ribatté Tanya, e, nella voce di lei, cominciò a insinuarsi un tono spazientito.

«Sospettiamo che esista un grave pericolo, altrimenti non faremmo preparativi per partire prima del previsto.»

«Allora lei che cosa propone?» domandò Tanya, con una voce nella quale si poteva udire, adesso, un chiaro tono di minaccia.

«Dobbiamo dirgli tutta la verità, come la conosciamo… non più menzogne o mezze verità, che sono ugualmente pericolose. E poi dobbiamo consentirgli di decidere per proprio conto.»

«Diavolo, Chandra… è soltanto una macchina!»

Chandra fissò Max con uno sguardo così insistente e feroce che il giovane si affrettò ad abbassare gli occhi.

«Siamo tutti macchine, signor Brailovsky. È soltanto una questione di misura. L’essere basati sul carbonio o sul silicone non fa alcuna differenza fondamentale; tutti dovrebbero essere trattati con il dovuto rispetto.»

Era strano, pensò Floyd, che Chandra — di gran lunga la persona più piccoletta in quel locale — sembrasse ora la più imponente. Ma il confronto si era protratto troppo a lungo. Da un momento all’altro Tanya avrebbe cominciato a impartire ordini perentori, e la situazione sarebbe diventata davvero pericolosa.

«Tanya, Vasili… posso scambiare una parola con voi due? Credo che esista un modo di risolvere il problema.»

L’intervento di Floyd venne accolto con manifesto sollievo e, due minuti dopo, egli si stava rilassando con gli Orlov, nel loro alloggio. (O «il sedicesimo», come lo aveva una volta battezzato Curnow, a causa delle sue intenzioni. Pentendosi però presto della battuta, in quanto era stato costretto a spiegarla a tutti tranne che a Sascia.)

«Grazie, Woody» disse Tanya, porgendogli un’ampolla di plastica contenente il suo prediletto Shemakha dell’Azerbaigian. «Speravo che sarebbe intervenuto. Immagino che abbia… com’è ché dite voi?… un asso nella manica.»

«Credo di sì» rispose Floyd, spremendosi in bocca alcuni centimetri cubici del vino dolce, e gustandolo con gratitudine. «Mi spiace che Chandra stia facendo difficoltà.»

«Anche a me. È una fortuna che abbiamo a bordo soltanto uno scienziato pazzoide.»

«Non è quello che hai detto a me, a volte» sorrise l’accademico Vasili. «In ogni modo, Woody… sentiamo di che si tratta.»

«Ecco che cosa propongo. Lasciamo che Chandra faccia a modo suo, dopodiché vi saranno due sole possibilità.

«Primo: Hal farà esattamente quello che noi vogliamo — vale a dire controllerà la Discovery durante i primi due periodi di accensione dei propulsori. Ricordate che il primo non è critico. Se qualcosa dovesse andare storto durante l’allontanamento da Io, vi sarebbe tutto il tempo di apportare correzioni. Inoltre avremo così il modo di constatare validamente la disponibilità di Hal… a collaborare.»

«Ma il sorvolo ravvicinato di Giove? È questo che conta realmente. Non soltanto consumeremo laggiù quasi tutto il propellente della Discovery, ma il calcolo dei tempi e dei vettori di spinta dovrà essere assolutamente esatto.»

«Non sarebbe possibile passare al comando manuale?»

«Inorridirei dovendo tentare. Un errore anche minimo e o bruceremmo o ci trasformeremmo in una cometa a lungo periodo. Di ritorno qui soltanto tra un paio di migliaia di anni.»

«Ma se non vi fosse alcun’altra alternativa?» insistette Floyd.

«Be’, supponendo di poter passare tempestivamente al comando manuale, e di disporre di una valida serie di orbite alternative calcolate in precedenza… uhm, forse riusciremmo a cavarcela.»

«Conoscendola, Vasili, sono certo che questo «riusciremmo» significa «riusciremo». Il che mi conduce alla seconda possibilità cui ho accennato. Se risultasse una benché minima deviazione di Hal dal programma… dovremmo intervenire.»

«Vuoi dire… disinserirlo?»

«Precisamente.»

«La cosa non è risultata tanto facile l’ultima volta.»

«Da allora abbiamo imparato non poche lezioni. Lasciate fare a me. Vi garantisco che posso «darvi il comando manuale in mezzo secondo.»

«Non esiste alcun pericolo che Hal sospetti qualcosa?»

«Ora sta scivolando nella paranoia, Vasili. Hal non è umano fino a questo punto. Ma Chandra lo è… volendo concedergli il beneficio del dubbio. Ci dichiareremo tutti completamente d’accordo con il suo piano, diremo di essere spiacenti per aver sollevato obiezioni e di avere l’assoluta certezza che Hal si renderà conto del nostro punto di vista. D’accordo, Tanya?»

«D’accordo, Woody. E mi congratulo con lei per la sua preveggenza; quel piccolo dispositivo è stato un’ottima idea.»

«Quale dispositivo?» domandò Vasili.

«Te lo spiegherò uno di questi giorni. Mi spiace, Woody, ma questo è tutto lo Shemakha che mi resta. Voglio conservarlo… fino al momento in cui saremo in orbita verso la Terra.»