120369.fb2 2010: Odissea due - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 62

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TUTTI QUESTI MONDI…

Avevano rinviato, in effetti, fino all’ultimissimo momento… o forse i calcoli erano stati, tutto sommato, superbamente precisi. Vi fu il tempo per appena cento ripetizioni delle undici parole quando la mazzata di puro calore si avventò sull’astronave.

Trattenuto lì dalla curiosità, e da un crescente timore della lunga solitudine che lo aspettava, il quid che era stato un tempo Dave Bowman, comandante dell’astronave degli Stati Uniti Discovery, stette a guardare mentre lo scafo ostinatamente passava all’incandescenza prima di evaporare. Per molto tempo l’astronave conservò approssimativamente la propria forma, poi i cuscinetti a sfere del giroscopio gripparono, liberando all’istante il momento accumulato dell’enorme tamburo ruotante. Con una detonazione senza suono, i frammenti incandescenti saettarono lungo la loro miriade di diverse traiettorie.

«Pronto, Dave? Che cosa è accaduto? Dove sono?»

Non aveva saputo che gli sarebbe stato possibile rilassarsi e godersi un momento di riuscito conseguimento. Più volte, in precedenza, si era sentito come un cucciolo dominato da un padrone i cui moventi non erano del tutto imperscrutabili e il cui comportamento poteva talora essere modificato secondo i suoi desideri. Aveva chiesto un osso; e l’osso gli era stato gettato.

«Ti spiegherò dopo, Hal. Abbiamo tutto il tempo.»

Aspettarono finché gli ultimi frammenti dell’astronave si furono dispersi, persino al di là delle loro capacità di individuazione. Poi se ne andarono, per contemplare la nuova alba nel luogo predisposto per essi; e per aspettare, attraverso i secoli, di essere nuovamente chiamati.

* * *

Non è vero che gli eventi astronomici richiedano sempre astronomici periodi di tempo. Il collasso finale di una stella, prima che i frammenti sprizzino via nell’esplosione di una supernova, può aver luogo appena in un secondo; in confronto, la metamorfosi di Giove fu un qualcosa di quasi placido.

Ciò nonostante, occorsero parecchi minuti prima che Sascia riuscisse a credere ai propri occhi. Stava procedendo a un normale esame telescopico del pianeta — come se qualsiasi osservazione potesse ormai essere definita normale! — quando esso cominciò a uscire dal campo visivo. Per un attimo egli pensò che la stabilizzazione dello strumento fosse difettosa; poi si rese conto, con uno choc tale da scuotere la sua intera concezione dell’universo, che era lo stesso Giove a muoversi, e non il telescopio. La dimostrazione di ciò lo guardava in faccia; poteva vedere anche due delle lune più piccole — ed esse rimanevano del tutto immobili.

Passò a un ingrandimento minore, per poter vedere l’intero disco del pianeta e non soltanto un maculato grigio da lebbrosi. Dopo alcuni altri minuti di incredulità, si rese conto di quello che stava accadendo in effetti; ma ancora stentava a crederlo.

Giove non si spostava dalla sua immemorabile orbita, ma faceva qualcosa di quasi altrettanto impossibile. Si stava restringendo — con una rapidità tale che l’orlo del pianeta si spostò entro il campo visivo nel momento stesso in cui egli stava mettendo a fuoco lo strumento. Al contempo il pianeta diventava più luminoso e da un grigio opaco passava a un bianco perlaceo. Senza dubbio era più luminoso di quanto lo fosse mai stato nel lungo periodo di tempo trascorso da quando gli uomini avevano cominciato a osservarlo; la luce riflessa del sole non avrebbe mai potuto… In quel momento, Sascia si rese conto a un tratto di quel che stava accadendo, anche se non del perché, e diede l’allarme.

* * *

Quando Floyd giunse nel locale delle osservazioni, meno di trenta secondi dopo, la sua prima impressione fu quella di un bagliore abbacinante che si riversava attraverso le finestre, proiettando ovali di luce sulle pareti. Erano così abbaglianti che dovette distogliere lo sguardo; nemmeno il Sole avrebbe potuto causare una simile luminosità.

Floyd era talmente stupefatto che, per un momento, non associò quella luminosità a Giove; il primo pensiero balenategli nella mente fu: una Supernova! Ma respinse tale spiegazione quasi immediatamente.

Anche la più prossima vicina del Sole, Alfa Centauri, non avrebbe potuto uguagliare, con qualsiasi esplosione concepibile, un così spaventoso sfoggio di luce.

La luminosità si attenuò all’improvviso; Sascia aveva azionato gli schermi solari esterni. Divenne possibile, adesso, fissare direttamente la sorgente luminosa e constatare che si trattava di un mero puntino — una stella come tante altre, apparentemente priva di dimensioni. Quel puntino non poteva aver nulla a che vedere con Giove; quando Floyd aveva osservato il pianeta, appena pochi minuti prima, esso era stato quattro volte più grande del lontano e rimpicciolito Sole.

Fu un bene che Sascia avesse abbassato gli schermi solari. Un momento dopo, la minuscola stella esplose… e, anche attraverso i filtri scuri, divenne impossibile osservarla a occhio nudo. Ma l’orgasmo finale di luce durò appena per una breve frazione di secondo; poi Giove — o quello che era stato Giove — andò espandendosi una volta di più.

Continuò a espandersi finché divenne di gran lunga più grande di quanto fosse stato prima della trasformazione. Ben presto l’intensità luminosa della sfera prese a diminuire rapidamente, fino a ridursi al mero splendore solare; e, a questo punto, Floyd poté constatare che si trattava in realtà di una sfera vuota, poiché la stella centrale continuava ad essere chiaramente visibile nel mezzo.

Egli eseguì un rapido calcolo mentale. L’astronave si trovava a più di un minutoluce da Giove, eppure quella sfera in espansione — che ora si stava tramutando in un anello dall’orlo vivido — occupava già un quarto del cielo. Questo significava che stava venendo verso di loro a quasi — Dio mio! — la metà della velocità della luce. Una questione di minuti e avrebbe inghiottito l’astronave.

Fino a quel momento, nessuno aveva pronunciato una parola dopo il primo annuncio di Sascia. Alcuni pericoli sono talmente spettacolari, e situati così al di là di ogni normale esperienza, che la mente si rifiuta di accettarli come un qualcosa di reale, e osserva l’avvicinarsi della distruzione senza alcun timore. L’uomo che contempla l’impeto dell’ondata di marea, il precipitare della valanga o la tromba d’aria del tornado, e, ciò nonostante, non tenta di fuggire, non è necessariamente paralizzato dalla paura o rassegnato a un fato inevitabile. Può, semplicemente, essere incapace di credere che quanto gli comunicano gli occhi lo riguardi personalmente. La cosa sta accadendo a qualcun altro.

Come ci si poteva aspettare, Tanya fu la prima a spezzare l’incantesimo con una sequela di ordini che fecero accorrere sul ponte Vasili e Floyd.

«Che cosa facciamo adesso?» ella domandò, quando si furono riuniti.

Senza dubbio non possiamo fuggire, pensò Floyd. Ma forse possiamo aumentare le probabilità di cavarcela.

«L’astronave ha il fianco rivolto verso l’esplosione. Non dovremmo orientarla in modo da costituire un bersaglio più piccolo? E mettere il più possibile della nostra massa tra l’esplosione e noi, servendocene come di uno scudo antiradiazione?»

Le dita di Vasili stavano già volando sui comandi.

«Ha ragione, Woody… sebbene sia già troppo tardi per quanto concerne i raggi gamma e i raggi x. Ma possono esservi neutroni più lenti e raggi alfa e Dio solo sa che altro in cammino.»

Gli ovali luminosi cominciarono ad abbassarsi sulla parete mentre l’astronave ruotava poderosamente sul proprio asse. Di lì a poco scomparvero completamente; la Leonov era orientata, adesso, in modo da interporre virtualmente tutta la propria massa tra il fragile carico umano e il guscio di radiazione che si avvicinava.

Sentiremo materialmente l’onda d’urto, si domandò Floyd, o i gas in espansione saranno troppo tenui per determinare un qualsiasi effetto fisico quando ci raggiungeranno? Veduto dalle telecamere esterne, l’anello di fuoco accerchiava adesso quasi tutto il cielo. Ma andava attenuandosi rapidamente; era persino possibile veder brillare, attraverso ad esso, alcune delle stelle più vivide. Non moriremo, pensò Floyd. Abbiamo assistito alla distruzione del più grande dei pianeti, riuscendo a sopravvivere.

E, di lì a poco, le telecamere non mostrarono altro che stelle anche se una di esse era un milione di volte più luminosa delle altre. La bolla di fuoco soffiata da Giove li aveva oltrepassati senza nuocere, per quanto fosse stata imponente. Alla loro distanza dalla sorgente, soltanto gli strumenti dell’astronave ne avevano registrato il passaggio.

A poco a poco la tensione a bordo diminuì. Come sempre accade in situazioni del genere, gli altri cominciarono a ridere e a dire sciocche spiritosaggini. Floyd quasi non li udì; nonostante il sollievo perché era ancora vivo, si sentiva triste.

Qualcosa di immenso e di meraviglioso era stato distrutto. Giove, con tutta la sua bellezza e grandiosità, e con tutti i suoi misteri ormai non più risolvibili, aveva cessato di esistere. Il padre di tutti gli dèi era stato stroncato nel fiore dell’età.

Eppure esisteva un altro modo di prospettarsi la situazione. Avevano perduto Giove, ma guadagnando che cosa, al posto del pianeta?

Tanya, valutando abilmente il momento opportuno, si fece sentire.

«Vasili… nessun danno?»

«Niente di grave… una telecamera bruciata. Tutti gli strumenti indicatori di radiazione sono ancora molto al di sopra del normale, ma nessuno di essi rasenta i limiti di pericolosità.»

«Katerina… controlla la dose totale che abbiamo assorbito. Sembra che siamo stati fortunati, se non vi saranno altre sorprese. Senza dubbio dobbiamo essere grati a Bowman e a Heywood. Si è fatto un’idea di quello che è accaduto?»

«Soltanto che Giove si è trasformato in un sole.»

«Ho sempre pensato che fosse troppo piccolo perché questo potesse accadere. Qualcuno non definì una volta Giove «il sole fallito»?»

«È vero,» disse Vasili «Giove è troppo piccolo perché possa innescarsi la fusione… senza un intervento esterno.»

«Vuoi dire che abbiamo appena assistito a un esempio di ingegneria astronomica?»

«Senza alcun dubbio. Ora sappiamo qual era lo scopo di Zagadka.»

«Come ci è riuscito? Se tu ottenessi l’appalto, Vasili, in qual modo trasformeresti Giove in un sole?»

Vasili riflette a lungo, poi alzò le spalle.

«Sono soltanto un astronomo teorico… non ho una grande esperienza in questo campo. Ma vediamo… be’, non essendomi consentito di incrementare di dieci volte la massa di Giove, o di modificare la costante gravitazionale, presumo che dovrei rendere più denso il pianeta… hmmm, questa è un’idea…»

La voce di lui si perdette nel silenzio. Aspettarono tutti con pazienza, volgendo lo sguardo di quando in quando verso gli schermi delle telecamere esterne. La stella che era stata Giove sembrava essersi assestata dopo la nascita esplosiva; era adesso un abbacinante punto luminoso, quasi pari al vero Sole in quanto a luminosità apparente.

«Mi sto limitando a pensare a voce alta… ma si potrebbe procedere in questo modo. Giove è — era — composto per la massima parte di idrogeno. Se una notevole percentuale dell’idrogeno potesse essere trasformata in un materiale molto più denso — chissà forse anche in materia di neutroni — questo materiale precipiterebbe nel nucleo. Forse è quello che i miliardi di Zagadka stavano facendo con tutto il gas che risucchiavano. Una nucleosintesi, creando elementi pesanti con l’idrogeno puro.

«Questo sì è un segreto che varrebbe la pena di conoscere! Non più carenze di qualsiasi metallo… l’oro abbondante ed economico quanto l’alluminio!»

«Ma tutto questo come spiega quello che è accaduto?» domandò Tanya.

«Una volta che il nucleo avesse raggiunto una densità sufficiente, Giove collasserebbe… probabilmente in pochi secondi. La temperatura aumenterebbe quanto basta per innescare la fusione. Oh, mi rendo conto che esiste una dozzina di obiezioni… come superare il minimo del ferro, il trasferimento radioattivo, il limite di Chandrasekhar. Ma non importa. Questa teoria può bastare come punto di partenza; elaborerò in seguito tutti i particolari. Oppure ne escogiterò una migliore.»

«Sono certo che ci riuscirà, Vasili» riconobbe Floyd.

«Ma v’è un interrogativo più importante. Perché lo hanno fatto?»

«Un avvertimento?» azzardò Katerina, parlando nell’impianto di comunicazioni interne.

«Contro che cosa?»

«Lo scopriremo in seguito.»

«Immagino» disse Zenia, timidamente, «che non si sia trattato di un incidente?»

Questo fece cessare per parecchi secondi la discussione.

«Che idea terrorizzante!» esclamò Floyd. «Ma la si può escludere, credo. Se si fosse trattato di questo, non vi sarebbe stato alcun avvertimento.»

«Forse. Ma se si provoca per imprudenza un incendio della foresta, come minimo si fa il possibile per avvertire tutti.»

«E c’è un’altra cosa che probabilmente non sapremo mai» si lagnò Vasili. «Ho sempre sperato che Cari Sagan avesse ragione, e che vi fosse vita su Giove.»

«Le nostre sonde non hanno mai visto una forma di vita.»

«Che probabilità avevano? Si troverebbe forse una qualsiasi forma di vita sulla Terra esaminando soltanto pochi ettari del Sahara o dell’Antartico?… Su Giove non abbiamo esplorato niente di più.»

«Ehi!» esclamò Brailovsky. «E la Discovery? E Hal?»

Sascia inserì il ricevitore a lunga distanza e cominciò a cercare sulla frequenza del radiofaro. Non v’era traccia alcuna di segnali.

Dopo qualche tempo annunciò al gruppo silenziosamente in attesa: «La Discovery è stata distrutta.»

Nessuno guardò il dottor Chandra; ma vennero bisbigliate alcune parole di conforto, come per consolare un padre che avesse appena perduto il figlio.

Hal, tuttavia, aveva in serbo un’ultima sorpresa per loro.