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Nella scienza è buona norma non prestar fede a un «fatto» — non importa quanto bene comprovato — fin quando non si inserisca in questo o quel contesto universalmente accettato. Di quando in quando, naturalmente, un’osservazione può demolire un contesto e costringere a crearne un altro del tutto nuovo, ma ciò avviene molto raramente. Di Galileo e di Einstein ne appaiono non più di uno ogni secolo, il che va benissimo per la pace dello spirito.
Il dottor Kreuger accettava in pieno questo principio: quindi avrebbe creduto alla scoperta fatta dal nipote solo quando questi avesse potuto spiegarla, e a suo parere ciò sarebbe stato possibile solo ricorrendo a un intervento diretto di Dio. Utilizzando il rasoio di Occam, strumento ancora perfettamente funzionante, preferiva pensare che Rolf avesse commesso qualche errore; in tal caso, sarebbe stato facile accorgersene.
Ma, con grande sorpresa dello zio Paul, si rivelò molto difficile. L’analisi degli echi radar era ormai un’arte perfettamente padroneggiata, e tutti gli esperti che Paul consultò gli diedero, dopo matura riflessione, la stessa risposta. Inoltre, tutti gli chiesero: «Ma da dove vengono questi rilevamenti?».
«Spiacente,» aveva risposto lui «ma non sono autorizzato a rivelarlo.»
Il passo successivo, dunque, consisteva nell’ipotizzare che la spiegazione impossibile fosse quella esatta, e cominciare a passare al vaglio la letteratura scientifica. Sarebbe stato un lavoro immenso, giacché non sapeva nemmeno da che parte cominciare. Però una cosa era certa: un approccio brutale e diretto era destinato a fallire. Sarebbe stato come se Roentgen, il giorno stesso in cui scoprì i raggi X, si fosse messo in caccia della spiegazione cercandola nelle riviste di fisica dei suoi tempi. L’informazione di cui egli aveva bisogno si trovava nel futuro.
C’era però una remota possibilità che ciò che stava cercando fosse nascosto da qualche parte nell’immenso corpo delle conoscenze scientifiche esistenti. Lentamente e attentamente, il dottor Kreuger elaborò un programma di ricerca automatica pensato più per ciò che andava escluso che non per quanto andava cercato. Tanto per cominciare escludeva tutto ciò che era relativo alla Terra — il che significava milioni e milioni di riferimenti — per concentrarsi solo sulle informazioni relative all’ambiente extraterrestre.
Uno dei vantaggi che venivano al dottor Kreuger dalla sua fama era di poter disporre del computer senza limitazione alcuna: era, questo, parte del compenso che richiedeva alle varie organizzazioni che avevano bisogno della sua sapienza. La ricerca poteva essere costosa quanto si voleva, ma lui non doveva preoccuparsi di pagare il conto.
Invece non ci volle poi molto. Ebbe fortuna, e la ricerca durò soltanto due ore e trentasette minuti, dopo soli 21.456 registrazioni prese in esame.
Gli bastò leggere il titolo dello scritto. Paul era così emozionato che il suo computer non ne riconobbe la voce, e dovette ripetere il comando per mandare il file alla stampante.
Era uno scritto apparso su Nature nel 1981 — cinque anni prima che lui nascesse! — e mentre scorreva rapidamente l’unico foglio capì non solo che suo nipote aveva perfettamente ragione, ma anche, cosa altrettanto importante, come un simile miracolo fosse potuto accadere.
Il redattore di ottant’anni prima doveva avere avuto un certo senso dell’umorismo. Uno scritto sul nucleo dei pianeti esterni non era fatto per attirare l’interesse del lettore casuale; questo però aveva un titolo insolitamente pittoresco. Il suo computer avrebbe potuto dirgli in un tempo ragionevole che si trattava di un riferimento a una canzone allora famosa, ma ciò naturalmente non aveva nessuna importanza.
Comunque, il dottor Paul Kreuger non aveva mai sentito nominare i Beatles e le loro fantasie psichedeliche.