120384.fb2 2061 Odissea tre - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 22

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18. IL VECCHIO FEDELE

La cauta esplorazione della cometa era già iniziata mentre la Universe rimaneva ancora nelle tenebre polari. Dapprima alcune UME monoposto sorvolarono sia la faccia diurna, sia quella notturna riprendendo tutto ciò che sarebbe potuto risultare interessante. Completata l’esplorazione preliminare, gli scienziati s’imbarcarono sulla navetta di bordo per collocare attrezzature e strumenti nei punti strategici.

La Lady Jasmine assomigliava pochissimo alle rozze piattaforme spaziali dei tempi della Discovery, in grado di funzionare solo a zero g. La navetta era praticamente una piccola astronave progettata per trasportare personale e carico tra l’astronave madre in orbita e la superficie di Marte, della Luna o dei satelliti di Giove. Il primo pilota, che la trattava come la gran dama che era, si lamentava con scherzoso risentimento che girare attorno a una miserabile cometa era un compito che mal si addiceva alla dignità della sua nave.

Quando il capitano Smith fu certo che la Cometa di Halley non nascondeva — almeno in superficie — sorpresa alcuna, si alzò dal polo antartico. Uno spostamento di dieci o dodici chilometri portò la Universe in un mondo tutto diverso: da un crepuscolo scintillante che sarebbe durato per mesi a un ambiente che conosceva il passaggio dalla notte al giorno. E, con l’alba, la cometa tornò lentamente alla vita.

Quando il Sole saliva sopra l’angusto orizzonte, assurdamente vicino, i suoi raggi illuminavano obliqui gli innumerevoli piccoli crateri che segnavano il nucleo. La maggior parte restavano inattivi, giacché gli stretti sfiatatoi erano bloccati da incrostazioni di sali minerali. In nessun altro punto della Cometa di Halley si vedevano colori così spiccati; tanto che in un primo momento i biologi avevano creduto, a torto, che anche qui, come sulla Terra, la vita stesse iniziando in forma di alghe microscopiche. E molti non avevano ancora abbandonato questa speranza, sebbene fossero molto riluttanti ad ammetterlo.

Da altri crateri sbuffi di vapore s’innalzavano verso il cielo secondo traiettorie innaturalmente rettilinee perché non esisteva vento. Di solito null’altro accadeva per un paio d’ore; poi, via via che il calore del Sole scaldava l’interno congelato del nucleo, la Cometa di Halley cominciava, come diceva Victor Willis, «a soffiare come un branco di balene».

La metafora era pittoresca, ma non molto accurata. Gli sbuffi di vapore che salivano dalla faccia diurna della cometa non erano intermittenti, ma continuavano per ore e ore senza smettere mai. E poi non ricadevano sulla superficie, ma salivano dritti verso il cielo fin quando non si dissipavano nella nebbia luminosa che essi stessi contribuivano a creare.

In un primo momento, l’equipe scientifica si accostò ai geyser con la stessa cautela di un gruppo di vulcanologi che si affacci sul cratere dell’Etna in un periodo di grande attività. Ma presto tutti si resero conto che sulla Cometa di Halley le eruzioni, per quanto spaventevoli a vedersi, erano innocue; l’acqua usciva dagli sfiatatoi con la stessa pressione di un normalissimo idrante, ed era appena appena tiepida. Pochi secondi dopo essere sfuggita dai bacini sotterranei si trasformava di colpo in vapore acqueo e cristalli di ghiaccio; la Cometa di Halley era perpetuamente investita da una tempesta di neve che cadeva verso l’alto. Ma anche a quella modestissima velocità, l’acqua non tornava mai là da dove era venuta. Ogni volta che girava attorno al Sole, la cometa perdeva nell’insaziabile vuoto dello spazio altra insostituibile linfa vitale.

Dopo un’insistente opera di persuasione, il capitano Smith acconsentì a far scendere la Universe a cento metri dal Vecchio Fedele, il geyser più grande che vi fosse sulla faccia diurna. Era una vista davvero notevole: una colonna biancogrigiastra di vapore acqueo che sorgeva come un albero gigantesco da uno sfiatatoio sorprendentemente piccolo posto nel mezzo di un cratere di trecento metri di diametro — probabilmente una delle formazioni più antiche della cometa. Non passò molto tempo che gli scienziati presero ad aggirarsi dentro il cratere, raccogliendo campioni di minerali multicolori (purtroppo completamente sterili) e immergendo con indifferenza termometri e sonde dentro la torreggiarne colonna fatta di vapore, di ghiaccio e di nebbia. «Se vi scaraventa nello spazio,» ammonì il capitano «non vi aspettate che venga a salvarvi tanto presto. Anzi, ci limiteremo ad attendere che ricaschiate giù.»

«Come sarebbe?» aveva chiesto Dimitri Mihailovic perplesso. Come al solito, Victor Willis fu il primo a rispondergli.

«Nella meccanica celeste, le cose non succedono sempre come ci si aspetta. Sulla Cometa di Halley, un oggetto che venga scagliato a moderata velocità nello spazio continuerà a muoversi sostanzialmente lungo la stessa orbita della cometa… ci vorrebbe una bella velocità perché le cose andassero altrimenti. Quindi, dopo una rivoluzione le due orbite s’intersecheranno un’altra volta, ed ecco che vi ritrovereste là dove siete partiti. Settantasei anni dopo, naturalmente.»

Non lontano dal Vecchio Fedele vi era anche un’altra cosa che nessuno avrebbe potuto prevedere. Quando lo videro per la prima volta, gli scienziati non riuscivano a credere ai loro occhi. Grande parecchi ettari, esposto al vuoto dello spazio, si stendeva un lago, un normalissimo lago, all’apparenza, tranne per il fatto che era completamente nero.

Ovviamente non poteva essere acqua; gli unici liquidi in grado di esistere in quell’ambiente potevano essere olii organici molto pesanti o catrame. In realtà il lago Tuonela era fatto di una sostanza simile alla pece, perfettamente solida tranne per un sottilissimo straterello superficiale di meno di un millimetro di spessore, che era vischioso. In quella gravità minima, ci dovevano essere voluti anni — e forse molti giri attorno ai caldi fuochi solari — perché l’ammasso di pece divenisse piatto come una lastra di vetro.

Fin quando il capitano Smith non lo proibì, il lago di pece fu una delle attrazioni turistiche più popolari della Cometa di Halley. Qualcuno (ma nessuno si fece avanti a reclamare per sé quel dubbio onore) aveva scoperto che era possibile camminare sul lago quasi come sulla Terra; la superficie infatti era vischiosa quel tanto da tenere i piedi al loro posto. In breve tempo, quasi tutto l’equipaggio si fece filmare mentre camminava — si sarebbe detto — sull’acqua.

Poi il capitano Smith fece un’ispezione alla camera stagna, vide le paratie abbondantemente spalmate di catrame e andò su tutte le furie.

«Già è abbastanza brutto» disse a denti stretti «che l’esterno dell’astronave sia tutto sporco di questa… di questa fuliggine. La Cometa di Halley è il posto più lurido che abbia mai visto.»

Dopo di che, non si fecero altre passeggiate sul lago Tuonela.