120384.fb2 2061 Odissea tre - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 23

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19. ALLA FINE DEL TUNNEL

In un piccolo universo chiuso in cui tutti si conoscono non vi può essere shock più notevole che trovarsi faccia a faccia con un perfetto sconosciuto.

Heywood Floyd stava fluttuando nel corridoio che portava al salone quando ebbe questa sgradevole esperienza. Fissò stupefatto l’intruso, chiedendosi come avesse potuto un clandestino rimanere nascosto per tanto tempo. L’altro reagì fissandolo a sua volta tra l’imbarazzato e lo spavaldo, in attesa che Floyd parlasse per primo.

«Victor!» disse infine Floyd. «Scusa, ma proprio non ti ho riconosciuto. Dunque hai fatto il supremo sacrificio per la causa della scienza… o dovrei dire per la causa del tuo pubblico?»

«Sì» rispose cupamente Victor Willis. «Ero riuscito a infilarmi uno di quei maledetti caschi, ma i peli della barba grattavano con un rumore tale che non si sarebbe sentita una parola di quello che avrei detto.»

«Quando esci?»

«Non appena ritorna Cliff… è andato a esplorare una caverna con Bill Chant.»

* * *

Dai dati inviati dalle prime sonde che si erano avvicinate alla cometa, nel 1986, si era capito che il nucleo era parecchio meno pesante dell’acqua, il che poteva significare soltanto che o era fatto di materiale molto poroso o che vi erano nel suo interno molte cavità. Entrambe le spiegazioni si rivelarono corrette.

In un primo momento il capitano Smith, prudente come al solito, non ne volle assolutamente sapere di esplorazioni speleologiche. Dopo qualche tempo, però, cedette quando il dottor Pendoli gli ricordò che il suo primo assistente, il dottor Chant, era un esperto speleologo, e che anzi proprio per questo era stato prescelto per la missione.

«Con la gravità così bassa» aveva detto Pendrill al capitano «una frana è impossibile. Dunque non vi è nessun pericolo di rimanere intrappolati.»

«Ma rimane il rischio di perdersi.»

«Chant lo considererebbe un insulto alle sue capacità professionali. Si è inoltrato per venti chilometri nella Grotta del Mammut. Comunque, può restare collegato con un cavo.»

«E per le comunicazioni?»

«Il cavo contiene anche delle fibre ottiche. E la radio della tuta probabilmente funzionerà benissimo per un bel pezzo.»

«Uhm. E dove vorrebbe scendere?»

«Il punto migliore è quel geyser estinto alla base di Etna Junior. È inattivo da almeno mille anni.»

«E così dovrebbe restare inattivo ancora per un paio di giorni, immagino. Molto bene. C’è qualcun altro disposto ad accompagnarlo?»

«Sì, Cliff Greenberg… ha fatto parecchia speleologia subacquea alle Bahamas.»

«Io ci ho provato una volta… E mi è bastato. Dica a Cliff che è un elemento troppo prezioso per rischiare di perderlo. Può scendere fino a quando continua a vedere l’entrata, non oltre. E se il contatto con Chant si interrompe, non deve cercare di seguirlo se non dietro mio esplicito ordine.»

Ordine che, aggiunse il capitano dentro di sé, darei con estrema riluttanza.

* * *

II dottor Chant conosceva tutte le solite battute sugli speleologi desiderosi di ritornare nel grembo materno, ed era convinto di poter dimostrare che erano prive di fondamento.

«Dev’essere un posto maledettamente rumoroso là dentro, pieno di gorgoglìi e di tonfi» diceva. «A me piacciono le grotte perché sono silenziose e immobili, ed eterne. In centomila anni non cambia nulla…

Le stalattiti si fanno un poco più grandi, ecco tutto.»

Ma ora, mentre galleggiando si addentrava sempre di più nelle viscere della Cometa di Halley, lasciandosi alle spalle il cavo sottile ma resistentissimo che lo collegava a Clifford Greenberg, si rendeva conto che lì le cose stavano diversamente. Non ne aveva la prova scientifica, ma l’istinto del geologo gli diceva che quel mondo sotterraneo era nato soltanto ieri, nella scala temporale dell’universo. Era più giovane di certe città costruite dall’uomo.

Il tunnel dentro il quale stava scendendo con lunghi balzi fluttuanti aveva circa quattro metri di diametro, e l’assenza di peso gli riportava alla memoria l’esplorazione delle caverne subacquee sulla Terra. La bassa gravità rafforzava l’illusione; era proprio come se si fosse appesantito un po’’ troppo, e così continuasse a scendere lentamente verso il fondo. Solo l’assenza di ogni resistenza gli diceva che si stava spostando nel vuoto, e non nell’acqua.

«Ora comincio a non vederti più» disse Greenberg, a cinquanta metri dall’entrata. «La radio continua a funzionare benissimo. Com’è laggiù?»

«Difficile a dirsi… non mi riesce di identificare nessuna formazione, e così non trovo le parole giuste per poter descrivere quello che vedo. Non è roccia… si sgretola appena la tocco. Mi pare di essere dentro una gigantesca forma di groviera…»

«Vuoi dire che è roba organica?»

«Sì. Non ha nulla a che fare con organismi viventi, naturalmente, ma sarebbe una materia prima adattissima per la nascita della vita. Ogni sorta di idrocarburi… i chimici si divertiranno parecchio con questi campioni. Mi vedi?»

«Vedo solo la luce della torcia, e sta diventando sempre più debole.»

«Ah… Ecco qui della vera roccia. Probabilmente è un’intrusione, qualcosa venuto dallo spazio… Ehi, ho trovato l’oro!»

«Dici sul serio?»

«Ci sono cascati in molti, nel Far West… È pirite. Comune sui satelliti esterni, naturalmente, ma non mi chiedere che cosa ci fa qui…»

«Adesso non vedo più niente. Sei sceso di duecento metri.»

«C’è come uno strato geologico ben definito, qui… Si direbbero detriti meteoritici. Dev’essere successo qualcosa di divertente, tempo fa… speriamo di riuscire a datarlo. Accidenti!»

«Ehi, non fare scherzi!»

«Scusa… ci sono un po’’ rimasto. C’è una grande caverna, qui… proprio non me l’aspettavo. Aspetta che giro la torcia… È quasi sferica… Trenta, quaranta metri di diametro. E… incredibile quante sorprese sulla Cometa di Halley… ci sono stalattiti e stalagmiti.»

«Be’, e che c’è di strano?»

«Non c’è acqua allo stato libero, qui, e non c’è calcare… E con questa gravità così bassa. Sembrano fatte di una specie di cera. Un momento mentre le riprendo. Forme fantastiche… Un po’’ come le sgocciolature di una candela. Strano, però…»

«Adesso che c’è?»

Greenberg aveva percepito una nota di eccitazione nella voce del dottor Chant.

«Qualcuna di queste colonne è stata spezzata. Si vedono i pezzi lì per terra. Quasi come se…»

«Và avanti!»

«… come se qualcosa ci fosse finito addosso.»

«Sciocchezze. Potrebbe averle rotte un terremoto.»

«Non ci sono terremoti, qui. Solo microsismi, per via dei geyser. Ci sarà stata magari qualche soffiata più robusta, chissà quando. Comunque, è successo secoli fa. Anche sulle colonne spezzate c’è uno strato di cera… spesso parecchi millimetri.»

Il dottor Chant stava gradualmente recuperando il suo sangue freddo. Non era un individuo particolarmente incline alle fantasie — la speleologia elimina molto in fretta questo tipo di persone — ma l’atmosfera di quel luogo aveva fatto scattare in lui uno strano stato d’animo. E poi quelle colonne spezzate sembravano proprio le sbarre di una gabbia, rotte da chissà quale mostro per fuggire…

Naturalmente era una cosa del tutto assurda — ma il dottor Chant aveva imparato a non trascurare le premonizioni e ogni segnale di pericolo finché non vi avesse visto chiaro. Ciò gli aveva salvato la vita più di una volta; e non sarebbe andato oltre quella caverna fin quando non avesse capito perché provava quella sensazione di paura. Ed era onesto con se stesso quanto basta per riconoscere che «paura» era proprio il termine giusto.

«Bill! Tutto a posto? Che succede?»

«Sto ancora riprendendo. Queste forme mi ricordano le sculture di certi templi indiani. Sono quasi erotiche.»

Il dottor Chant stava deliberatamente pensando ad altro, ignorando il senso di paura che provava e sperando così di coglierlo di sorpresa, per così dire con la coda dell’occhio della mente. Nel frattempo le azioni puramente meccaniche di riprendere con la telecamera e di raccogliere campioni occupavano gran parte della sua attenzione.

Non c’era nulla da temere, si disse, da una salutare paura; solo quando la paura diventava panico poteva uccidere. Era stato preso dal panico solo due volte in vita sua (una volta in montagna, e un’altra sott’acqua) e ancora rabbrividiva ripensandoci. Ma, fortunatamente, era ben lontano dal panico in quel momento, e per una strana ragione: sebbene non capisse perché aveva paura, trovava la paura stessa stranamente rassicurante. C’era, in quella situazione, un elemento comico.

E a un tratto scoppiò a ridere, non una risata isterica, ma di sollievo.

«Hai mai visto quel vecchio film, Guerre stellari?» chiese a Greenberg.

«Certo. L’ho visto cinque o sei volte.»

«Bene, adesso ho capito perché ero preoccupato. Ti ricordi quando l’astronave di Luke entra nell’interno di un asteroide… e si scopre che è finita dentro una specie di rettile gigantesco che si nasconde nelle caverne?»

«Guarda che non è l’astronave di Luke… è la Millennium Falcon di Han Solo. E io mi sono sempre chiesto come facesse quella povera bestia a tirare avanti. Doveva avere sempre fame, lì ad aspettare che le arrivasse qualche boccone dallo spazio. E comunque la principessa Leia sarebbe stata non più di uno stuzzichino.»

«Rischio che io certamente non corro» disse il dottor Chant, ora perfettamente a proprio agio. «Anche se, cosa incredibilmente improbabile, qui esistessero forme di vita, la catena alimentare sarebbe troppo breve. Quindi difficilmente potrei trovare qualcosa più grosso di un topolino. O, più probabilmente, di un fungo… Vediamo un po’’ dove si può andare da qui. Ci sono due uscite, dall’altra parte della grotta. Quella di destra è la più grande. Allora prenderò quella…»

«Quanto cavo ti resta?»

«Oh, mezzo chilometro buono. Ora mi muovo. Sono in mezzo alla grotta… Dannazione, sono rimbalzato contro la parete. Ora ho trovato un appiglio… entro a testa avanti. Le pareti sono lisce, è vera roccia tanto per cambiare. Peccato, però…»

«Qua! è il problema?»

«Non posso andare più avanti. Ci sono altre stalattiti. Troppo fitte perché ci possa passare attraverso… e troppo grosse per poterle rompere senza ricorrere all’esplosivo. Peccato davvero… I colori sono bellissimi. È la prima volta che vedo il verde e il blu sulla Cometa di Halley. Un momento che faccio una ripresa…»

Il dottor Chant riuscì ad appoggiarsi alla parete dello stretto tunnel e puntò la telecamera. Con le dita guantate cercò l’interruttore dell’alta intensità, ma sbagliò e invece spense il faro che illuminava la scena.

«Questa macchina è progettata male» brontolò. «È la terza volta che mi succede.»

Non riaccese subito il faro perché gli era sempre piaciuto l’assoluto silenzio e la totale oscurità delle caverne più profonde. Il lieve ronzìo del respiratore e del condizionatore lo privava del silenzio, ma almeno…

… Ma che cos’era quello? Oltre la barriera di stalattiti che gli impediva di procedere filtrava un lieve chiarore simile alla prima luce dell’alba. E via via che gli occhi si abituavano all’oscurità, quella luce si faceva più intensa, e con una sfumatura verdastra. Ora riusciva anche a vedere la sagoma delle stalattiti che gli stavano di fronte…

«Che succede?» chiese Greenberg preoccupato.

«Nulla. Sto solo guardando.»

E pensando, avrebbe potuto aggiungere. C’erano quattro spiegazioni possibili.

Poteva essere la luce del Sole che filtrava attraverso un materiale trasparente… ghiaccio, cristallo, qualsiasi cosa. Ma a quella profondità? Improbabile…

Radioattività, allora? Non si era dato cura di portare con sé un contatore Geiger: su quel mondo non esistevano elementi pesanti. Però forse valeva la pena di tornare un’altra volta e di controllare.

Oppure qualche minerale fosforescente — questa era l’ipotesi su cui avrebbe scommesso. Ma c’era la quarta possibilità — la più improbabile, e la più eccitante di tutte.

Il dottor Chant non aveva mai dimenticato una notte senza Luna — e senza Lucifero — in riva all’Oceano Indiano. Era andato a camminare sulla spiaggia, sotto le stelle. Il mare era calmissimo, ma di quando in quando un’onda s’infrangeva languidamente ai suoi piedi, e scoppiava in un’esplosione di luce.

Allora era entrato nell’acqua bassa (ancora ricordava com’era calda quell’acqua), e a ogni passo era un’esplosione di luce. La luce scaturiva anche solo battendo le mani vicino alla superficie dell’acqua.

Era possibile che organismi bioluminescenti si fossero evoluti anche lì, nel cuore della Cometa di Halley? Gli sarebbe piaciuto crederlo. Gli pareva un peccato danneggiare tanta bellezza, quel capolavoro della natura — in controluce, davanti a quel debole bagliore, la barriera di stalattiti gli ricordava ora certe grate di ferro battuto che aveva visto in qualche cattedrale — e invece sarebbe dovuto ritornare con l’esplosivo. Nel frattempo, c’era anche l’altra galleria…

«Di qui non si va più avanti» disse a Greenberg. «Ora provo dall’altra parte. Adesso torno indietro riavvolgendo il cavo.» Non disse nulla del misterioso bagliore, che naturalmente era scomparso non appena aveva riacceso il faro.

Greenberg non rispose subito. Strano: probabilmente stava parlando con l’astronave. Chant non se ne preoccupò: avrebbe ripetuto il messaggio di li a poco.

Infatti, di lì a poco Greenberg diede il segnale di ricevuto.

«Ah, Cliff» rispose il dottor Chant. «Ti ho perso per un minuto. Sto tornando indietro per provare con l’altro tunnel. Speriamo che quello sia libero.»

Questa volta, Greenberg rispose subito. «Spiacente, Bill. Dobbiamo tornare immediatamente all’astronave. C’è un’emergenza… No, non riguarda noi, sulla Universe tutto è a posto. Ma forse dobbiamo far ritorno immediatamente sulla Terra.»

* * *

Bastò solo qualche settimana perché il dottor Chant trovasse una spiegazione molto plausibile delle colonne spezzate. Poiché la cometa perdeva la sua massa nello spazio a ogni perielio, la distribuzione della massa stessa cambiava in continuazione. E così, dopo qualche migliaio di anni, la rotazione si faceva instabile e l’orientamento dell’asse cambiava, e con violenza, come l’asse di una trottola che si sta fermando. Ogni volta che ciò avveniva si aveva un terremoto d’intensità 5 della scala Richter, piuttosto violento, dunque.

Ma il mistero della lieve luminescenza non lo risolse mai. Sebbene il problema fosse subito passato in secondo piano per via della tragedia occorsa, per tutto il resto della sua vita il dottor Chant avrebbe avuto l’impressione di aver perso un’occasione d’oro.

Non ne parlò mai con i colleghi, sebbene qualche volta ne provasse la tentazione. Però il dottor Chant lasciò una busta sigillata per la successiva spedizione, da aprirsi nel 2133.