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E ora la Universe si muoveva così velocemente che la sua orbita non assomigliava più nemmeno lontanamente a quella di qualsiasi altro corpo celeste del sistema solare. Mercurio, l’astro più vicino al Sole, al perielio supera di poco una velocità di cinquanta chilometri al secondo; la Universe aveva toccato i cento chilometri al secondo il primo giorno — e con solo metà dell’accelerazione che avrebbe potuto raggiungere se non fosse stata appesantita da parecchie migliaia di tonnellate d’acqua.
Per poche ore fu Venere, quando passarono all’interno della sua orbita, l’oggetto più luminoso di tutto il cielo — dopo il Sole e Lucifero. Il suo minuscolo disco era appena visibile a occhio nudo, ma anche il telescopio più potente non avrebbe potuto scorgere molto di più. Venere custodiva i suoi segreti gelosamente quanto Europa.
La Universe si avvicinava tanto al Sole — passando all’interno dell’orbita di Mercurio — non per prendere una scorciatoia, ma per approfittare dell’attrazione gravitazionale dell’astro per aumentare di velocità. Siccome la natura ama mantenere l’equilibrio, il Sole avrebbe perso la velocità guadagnata dalla Universe; ma le conseguenze di questa diminuzione non sarebbero state misurabili per alcune migliaia di anni.
Il capitano Smith approfittò del passaggio al perielio dell’astronave per recuperare un po’’ di quel prestigio che aveva perduto con la sua opposizione.
«Ora capite» disse «perché ho fatto passare l’astronave attraverso il Vecchio Fedele. Se non avessimo tolto tutta quella sporcizia dallo scafo, in questo momento ci staremmo surriscaldando pericolosamente. Infatti dubito che i controlli automatici avrebbero potuto reggere al sovraccarico… già ora è dieci volte il normale irraggiamento terrestre.» Osservando attraverso filtri quasi completamente neri il Sole, enorme e rigonfio, i passeggeri erano più che disposti a credergli. Furono ben felici quando il Sole riacquistò le sue normali dimensioni e continuò poi a rimpicciolire di poppa mentre la Universe attraversava l’orbita di Marte, diretta verso l’obiettivo della sua missione.
I «cinque grandi» si erano tutti riconciliati, ciascuno a suo modo, con l’imprevisto mutamento di programma. Mihailovic continuava a comporre, copiosamente e rumorosamente, e lo si vedeva soltanto quando usciva dalla cabina per prendere i pasti, quando raccontava storielle audaci e tormentava tutti, con particolare predilezione per Willis. Greenberg si era nominato, senza incontrare opposizione, membro onorario dell’equipaggio, e passava gran parte del tempo in plancia.
Maggie M vedeva la situazione con malinconico divertimento.
«Gli scrittori» faceva notare «dicono sempre che lavorerebbero molto di più se solo si trovassero in qualche posto senza distrazioni. Per esempio a fare il guardiano di un faro, o in prigione. Dunque io non mi posso lamentare di nulla… tranne del fatto che le mie richieste di documentazione non vengono esaudite, dato che prima vengono i messaggi con diritto di precedenza.»
Anche Victor Willis era giunto alla stessa conclusione, e stava lavorando sodo a parecchi progetti a lunga scadenza. Egli aveva anche un altro motivo per starsene chiuso nella sua cabina; sarebbero dovute passare alcune settimane prima che si potesse presentare con l’aspetto di uno che ha dimenticato di radersi.
Yva Merlin passava ore e ore nella saletta di proiezione a rivedere i suoi classici favoriti. Per fortuna si era fatto in tempo a provvedere la Universe di una biblioteca e di una cineteca prima della partenza; l’una e l’altra non erano particolarmente ben fornite, ma c’era comunque materiale sufficiente per più di una vita.
C’erano tutte le opere cinematografiche più importanti, a partire dai primordi del cinema. Yva Merlin le conosceva quasi tutte, ed era ben lieta di dividere con altri le sue conoscenze.
A Floyd, naturalmente, piaceva moltissimo starla ad ascoltare, perché in quei momenti lei diventava ai suoi occhi un vero essere umano, e non più un’immagine simbolica. Era triste e affascinante al tempo stesso che solo attraverso un universo artificiale di immagini Yva riuscisse a stabilire un contatto con il mondo reale.
Una delle esperienze più strane della vita piuttosto ricca di avvenimenti di Heywood Floyd fu proprio quella di starsene seduto nella semioscurità a fianco di Yva, da qualche parte oltre l’orbita di Marte, a guardare la versione originale di Via col vento. C’erano dei momenti in cui poteva vedere il famoso profilo di lei stagliarsi contro quello di Vivien Leigh, e poteva metterli a confronto sebbene fosse impossibile affermare che una delle due attrici fosse migliore dell’altra; entrambe erano sui generis.
Quando si riaccese la luce, vide con stupore che Yva stava piangendo. Le prese la mano e le disse teneramente: «Anch’io ho pianto, quando è morta Diletta».
Yva ebbe un lieve sorriso.
«Io piangevo per Vivien» disse. «Quando ho girato il remake, ho letto molto su di lei. Ha avuto una vita così tragica. E parlare di lei, qui in mezzo ai pianeti, mi fa venire in mente quello che Laurence Olivier disse quando la riportò da Ceylon in pieno esaurimento nervoso. Larry disse ai suoi amici: «Ho sposato una donna venuta dallo spazio».»
Qui Yva s’interruppe, e un’altra lacrima le scese (in un modo piuttosto teatrale, non poté fare a meno di pensare Floyd) lungo la guancia.
«E vuoi sapere una cosa ancora più strana? Vivien Leigh girò il suo ultimo film esattamente cent’anni fa. Sai com’era intitolato?»
«No… Avanti, prendimi ancora di sorpresa.»
«Più sorpresa sarebbe Maggie… se davvero sta scrivendo quel libro con cui continua a minacciarti. L’ultimo film di Vivien Leigh s’intitola La nave dei folli.»