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Questa volta, Floyd era consapevole di stare sognando…
Non era mai riuscito a dormire bene a gravità zero, e la Universe stava procedendo in caduta libera alla massima velocità. Di lì a due giorni sarebbe cominciata la decelerazione, che sarebbe continuata poi per due settimane fino al rendezvous con Europa.
Le cinture di sicurezza erano sempre o troppo larghe o troppo strette, comunque lui le regolasse. O faceva fatica a respirare o si svegliava fuori dalla cuccetta.
Una volta si era svegliato a mezz’aria e si era dibattuto impotente per parecchi minuti finché, esausto, era riuscito a raggiungere la parete più vicina nuotando nell’aria. Solo allora si era ricordato di quello che avrebbe dovuto fare, e cioè limitarsi ad attendere; l’impianto di ventilazione lo avrebbe sospinto in breve tempo contro la griglia di uscita dell’aria senza sforzo alcuno da parte sua. Era una cosa che, con la sua esperienza, sapeva benissimo, ma si era lasciato prendere dal panico.
Ma quella notte aveva regolato le cinture alla perfezione, e quando sarebbe ritornato il peso, probabilmente avrebbe fatto fatica a riabituarsi. Era rimasto sveglio per pochi minuti soltanto, ripensando a quanto si era detto a cena, e poi si era addormentato.
In sogno la conversazione era continuata. C’era qualche cosa di diverso, ma che lui aveva accettato senza sorpresa. Victor Willis, per esempio, aveva ancora la barba — o, meglio, mezza barba, da una parte soltanto della faccia. Ciò serviva a delle ricerche in corso, si disse Floyd nel sogno, sebbene non avesse la minima idea di quale potesse essere l’obiettivo di queste ricerche.
Comunque, Floyd aveva altro cui pensare. Doveva difendersi dalle accuse dell’Amministratore Spaziale Millson, che stranamente ora faceva parte del gruppo. Floyd si chiese come avesse fatto a salire a bordo della Universe (che si fosse imbarcato clandestinamente?). Che Millson fosse morto da quarant’anni aveva scarsa importanza.
«Heywood» disse il suo vecchio avversario, «la Casa Bianca è furibonda.»
«Davvero? E perché?»
«Quel messaggio radio che ha inviato a Europa. Aveva l’autorizzazione del Dipartimento di Stato?»
«Non mi è sembrata necessaria. Ho chiesto solo il permesso di atterrare.»
«Appunto. A chi l’ha chiesto? A uno Stato legalmente riconosciuto? Ho paura che sia tutto molto irregolare.»
Il volto di Millson sbiadì gradualmente, sempre blaterando. Meno male che è solo un sogno, pensò Floyd. E adesso che che cosa succede?
«Be’, dovevo immaginarmelo. Salve, vecchio amico. Grande o piccolo a volontà, eh? Ovviamente nemmeno il TMA-1 potrebbe stare nella mia cabina, e il suo Grande Fratello potrebbe ingoiarsi tutta quanta la Universe in un boccone.»
Il monolito nero era lì, forse galleggiando nell’aria, a due metri dalla cuccetta. Con un sussulto Floyd si accorse a un tratto che aveva la stessa forma e le stesse dimensioni di una pietra tombale. Sebbene gliel’avessero fatto notare più volte, fino a quel momento la diversità delle dimensioni aveva attutito l’impatto psicologico. Ora, per la prima volta, quella somiglianza lo turbava… gli pareva sinistra. «Lo so che è soltanto un sogno, ma alla mia età non mi piace che mi si ricordi…»
«Comunque, che ci fai qui? Sei venuto a portare un messaggio di Dave Bowman? Sei tu Dave Bowman?
«Be’, non è che mi aspettassi una risposta; non sei mai stato un gran chiacchierone, non è vero? Però ogni volta che ti sei fatto vivo sono successe delle cose. A Tycho, sessant’anni fa, hai mandato quel segnale su Giove, per comunicare che ti avevamo trovato. E guarda che cosa hai combinato a Giove quando ci siamo andati dieci o dodici anni dopo!
«Che intenzioni hai adesso?»