120384.fb2 2061 Odissea tre - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 51

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43. SALVATAGGIO

Il primo problema che si trovarono a dover affrontare il capitano Laplace e il suo equipaggio, appena toccata la terraferma, fu di riorientarsi. Ogni cosa a bordo della Galaxy aveva cambiato di posto.

Le astronavi vengono progettate avendo in mente due diverse modalità di funzionamento: o in assenza di gravità o, quando i propulsori sono in funzione, con il peso perpendicolare all’asse dell’astronave stessa. Adesso invece la Galaxy era disposta pressoché orizzontalmente, e quindi il pavimento era divenuto parete. Era esattamente come stare dentro un faro caduto sul fianco; bisognava dunque risistemare ogni cosa e il cinquanta per cento delle apparecchiature non funzionava a dovere.

Eppure la situazione aveva i suoi vantaggi, e il capitano Laplace ne approfittò. L’equipaggio aveva tanto da fare per risistemare l’astronave — dando la priorità ai servizi igienici — che il morale degli uomini non lo preoccupava più. Fin quando lo scafo fosse rimasto stagno e i generatori a muoni avessero continuato a produrre energia, non correvano nessun pericolo immediato; bastava solo sopravvivere per venti giorni, dopo di che la salvezza sarebbe scesa dal cielo con la Universe. Nessuno ventilò la possibilità che le ignote entità di Europa potessero opporsi a un altro atterraggio. Al primo — come tutti sapevano — non si erano opposte; e di certo non avrebbero impedito una spedizione di salvataggio…

Europa, però, rappresentava ora un ambiente meno favorevole. Mentre la Galaxy andava alla deriva sul mare aperto, non aveva risentito dei terremoti che continuamente squassavano il piccolo mondo. Ma ora che l’astronave aveva trovato una sede — fin troppo permanente — sulla terraferma, ogni poche ore era scossa da fenomeni sismici. Se fosse atterrata normalmente, e cioè in posizione verticale, si sarebbe di certo rovesciata.

I terremoti erano più sgradevoli che pericolosi, ma terribili per coloro che avevano sperimentato i terremoti famosi di Tokio nel 2033 o di Los Angeles nel 2045. Né consolava molto sapere che i fenomeni sismici avevano un andamento del tutto prevedibile, diventando più violenti ogni tre giorni e mezzo, quando Io si faceva più vicino. E neppure era di conforto sapere che l’attrazione gravitazionale di Europa provocava danni analoghi su Io.

Dopo sei giorni di lavoro indefesso, il capitano Laplace riconobbe che le condizioni dell’astronave non erano ulteriormente migliorabili. Concesse quindi un giorno di riposo — che la maggior parte dell’equipaggio trascorse dormendo — e stese un programma di massima per la seconda settimana da trascorrere sul satellite.

Gli scienziati, com’è naturale, desideravano esplorare il nuovo mondo sul quale erano involontariamente finiti. Secondo le mappe radar trasmesse da Ganimede, l’isola era lunga quindici chilometri e larga cinque; il punto più alto sul livello del mare era a soli cento metri — non abbastanza, aveva fatto cupamente rilevare qualcuno, per metterli al riparo da un’ondata di marea davvero brutta.

Era difficile immaginare un luogo più tetro e desolato; mezzo secolo di esposizione ai deboli venti e alle piogge di Europa non aveva neppure scalfito la lava che ricopriva metà dell’isola, né aveva ammorbidito i contorni dei massi di granito che fuoriuscivano dai letti di lava solidificata. Ma quel luogo era divenuto la loro casa, e bisognava quindi trovargli un nome.

Il capitano respinse con fermezza certi nomi: Ade, Inferno, Purgatorio… Ci voleva qualcosa di più allegro. Si prese in seria considerazione l’idea di battezzare l’isola «Roseland», e la proposta venne respinta con trentadue voti negativi contro dieci, più cinque astenuti.

Alla fine, all’unanimità, passò il semplice nome «Haven».