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3. RIENTRO

Anche a prescindere dall’incidente, il ritorno sulla Terra non era stato facile.

Il primo trauma era venuto subito dopo che la dottoressa Rudenko l’aveva risvegliato dal suo lungo sonno. Accanto a lei c’era Walter Curnow, e sebbene Floyd non fosse ancora pienamente cosciente si era accorto subito che qualcosa non andava. I due l’avevano salutato con un calore esagerato che non riusciva a nascondere la tensione. Solo quando si fu del tutto ripreso gli dissero che il dottor Chandra era morto.

Oltre l’orbita di Marte il suo corpo aveva cessato di vivere e la morte era avvenuta così gradualmente che gli strumenti di controllo non avevano potuto individuarne il momento esatto. Il cadavere, alla deriva nello spazio, aveva continuato a seguire l’orbita della Leonov e già da lungo tempo era stato distrutto dai fuochi del Sole.

La causa della morte non si era potuta determinare, ma Max Brailovsky aveva una sua idea — pochissimo scientifica, d’accordo, ma che nemmeno la dottoressa Rudenko si sentiva di respingere.

«Non poteva più vivere senza Hal.»

E Walter Curnow aveva aggiunto anche: «Chissà Hal come la prenderà. È da qualche parte nello spazio, e ascolta tutte le nostre trasmissioni. Prima o poi lo verrà a sapere».

E ora anche Curnow non c’era più — come tutti quanti, del resto, tranne la piccola Zenia. Erano vent’anni che non la vedeva, ma puntualmente ogni Natale lei gli mandava una cartolina. L’ultima era ancora fissata alla parete vicino alla scrivania: c’era una troika carica di doni che correva tra le nevi dell’inverno russo, mentre un branco di lupi dall’aria molto affamata la seguiva con lo sguardo.

Quarantacinque anni! Certe volte gli sembrava che il ritorno della Leonov sulla Terra tra gli applausi di tutta l’umanità fosse avvenuto soltanto ieri. Applausi, sì, ma stranamente freddi; rispetto, certo, ma senza vero entusiasmo. La missione su Giove aveva avuto fin troppo successo; aveva aperto un vaso di Pandora di cui si doveva ancora finire di scoprire tutto il contenuto.

Soltanto un pugno di uomini sapeva dell’esistenza della cosiddetta Anomalia Magnetica Tycho Uno (TMA-1), e cioè del monolito nero trovato sepolto sulla Luna. Solo dopo lo sfortunato volo su Giove della Discovery il mondo apprese che quattro milioni di anni prima un’intelligenza non umana era passata per il sistema solare lasciando il suo biglietto da visita. La scoperta destò stupore, ma non giunse del tutto inaspettata: erano decenni che ci si attendeva qualcosa del genere.

Questa visita era avvenuta quando la specie umana ancora non esisteva. E sebbene la Discovery avesse subito un misterioso incidente nei pressi di Giove, non vi era prova alcuna che si fosse trattato di qualche guasto meccanico. Per quanto il TMA-1 avesse importantissime implicazioni sul piano filosofico, dal punto di vista pratico l’umanità continuava a essere sola nell’universo.

Ma ora non era più così. A soli pochi minutiluce di distanza — a un passo, dunque, secondo il metro cosmico — vi era un’intelligenza in grado di creare una stella e, per scopi misteriosi, in grado di distruggere un pianeta mille volte più grande della Terra. E, cosa ancora più preoccupante, questa intelligenza sapeva dell’esistenza degli uomini, a giudicare dall’ultimo messaggio che la Discovery aveva inviato dalle lune di Giove prima di venir distrutta dalla nascita di una nuova stella, Lucifero:

TUTTI QUESTI MONDI SONO VOSTRI — TRANNE EUROPA.

NON METTETE PIEDE SU EUROPA.

La nuova stella — che, luminosissima com’era, rischiarava a giorno le notti tranne quei pochi mesi all’anno in cui si trovava dietro il Sole — aveva portato all’umanità speranza e paura. Paura, perché l’ignoto, soprattutto quando appare dotato d’immensi poteri, suscita sempre questa emozione primordiale. Speranza, per via di come si era trasformata, per causa sua, la scena politica mondiale.

Più volte si era detto che solo una minaccia dallo spazio avrebbe potuto unire l’umanità. Se la nascita di Lucifero fosse una minaccia, non era certo; ma di sicuro era una sfida. E questo, come si vide, fu sufficiente.

Heywood Floyd aveva osservato i mutamenti geopolitici dall’ospedale orbitale Pasteur, da lontano, quasi fosse anche lui un’intelligenza aliena. Dapprima non aveva nessuna intenzione di restare nello spazio, una volta guarito perfettamente. Ma con sconcertata seccatura dei medici guarì solo dopo un tempo lunghissimo.

Ripensando a quel periodo con la serenità degli anni successivi, Floyd aveva capito perché allora le sue ossa stentavano a saldarsi. Il motivo era che non aveva nessuna voglia di tornare sulla Terra: non c’era nulla che l’aspettasse sulla grande sfera azzurra e bianca che riempiva il suo cielo. C’erano momenti in cui capiva bene come mai Chandra avesse potuto perdere la voglia di vivere.

Solo per caso non era con la sua prima moglie durante quel viaggio su Europa. Ora Marion era morta, e il ricordo di lei pareva far parte di un’altra vita, della vita di un altro. Le due figlie avute da lei erano diventate due cortesi estranee, ciascuna con una famiglia propria.

Ma Caroline l’aveva persa per sua colpa, sebbene in pratica non avesse avuto nessuna possibilità di scelta. Sua moglie non era riuscita a capire (del resto, l’aveva davvero capito, lui?) perché mai avesse preferito lasciare la bella casa che avevano per esiliarsi per anni e anni nei gelidi spazi lontani dal Sole.

Floyd aveva capito, nemmeno a metà della missione, che Caroline non l’avrebbe aspettato; però aveva sperato che Chris l’avrebbe capito e perdonato. Ma nemmeno quella consolazione gli era stata concessa; troppo a lungo suo figlio era rimasto senza un padre. Quando infine Floyd era ritornato, Chris aveva già trovato un altro padre nell’uomo che aveva preso il suo posto nella vita di Caroline. Il distacco era ormai assoluto e irrimediabile; Floyd credette che non se ne sarebbe mai dato pace; invece, naturalmente, aveva superato la cosa in un modo o nell’altro.

Il suo corpo aveva subdolamente appoggiato i suoi desideri inconsci. Quando, dopo la lunga convalescenza all’ospedale Pasteur, aveva infine fatto ritorno sulla Terra, subito aveva presentato sintomi così allarmanti — tra cui un sospetto di necrosi ossea — che l’avevano immediatamente rimandato all’ospedale orbitale. E lì poi era rimasto, a parte qualche breve escursione sulla Luna, adattandosi perfettamente alla bassissima gravità — da zero g a un sesto della gravità terrestre — determinata dalla lenta rotazione dell’ospedale spaziale.

Non conduceva una vita da eremita — tutt’altro. Anche durante la convalescenza dettava rapporti, testimoniava davanti a innumerevoli commissioni parlamentari, rilasciava interviste. Era un uomo famoso, e gli piaceva esserlo — finché durò. La fama lo compensava in parte delle profonde ferite interiori.

Gli anni tra il 2020 e il 2030 erano passati così in fretta che ora solo a fatica riusciva a richiamarli alla mente. C’erano state le solite crisi, i soliti scandali, i soliti disastri — soprattutto il gran terremoto in California, di cui aveva osservato con orrore le conseguenze attraverso gli schermi di rilevamento della stazione. Al massimo ingrandimento, in condizioni ottimali, erano in grado di mostrare anche i singoli individui; ma da quel suo osservatorio oltremondano non era possibile identificarsi con quei puntolini che formicolando fuggivano dalle città in fiamme. Soltanto le telecamere a terra mostravano l’autentico orrore della catastrofe.

Durante quel decennio, per quanto i risultati si sarebbero manifestati soltanto in seguito, le grandi zolle tettoniche della politica continuarono a muoversi inesorabili come i continenti — ma in senso opposto, quasi che il Tempo stesse scorrendo alla rovescia. Infatti, all’inizio dei tempi sulla Terra vi era stato un unico supercontinente, Pangea, che con il trascorrere degli anni si era spaccato e suddiviso. Allo stesso modo la specie umana si era divisa in tribù e nazioni innumerevoli; e ora si stava ricomponendo in unità via via che le diversità linguistiche e culturali di un tempo si attenuavano.

Era un processo che Lucifero aveva sì accelerato, ma che era iniziato già da alcuni decenni, quando l’avvento dell’età dei jet aveva messo in movimento il turismo planetario. Quasi contemporaneamente — non si trattava, com’è naturale, di una semplice coincidenza — i satelliti e le fibre ottiche avevano rivoluzionato le comunicazioni. Il 31 dicembre dell’anno 2000 si giunse all’unificazione delle tariffe telefoniche, e una telefonata intercontinentale venne a costare quanto una chiamata urbana: la specie umana accolse il nuovo millennio trasformandosi in un’unica, grande famiglia loquace.

Come in tutte le famiglie, i rapporti tra i membri non erano sempre pacifici, ma si trattava di dispute che non minacciavano più l’esistenza dell’intero pianeta. Quando — per la seconda e ultima volta — si fece ricorso all’arma atomica, vennero sganciate tante bombe quante la prima volta, e cioè due. E sebbene i kiloton fossero di più, il numero delle vittime fu molto minore perché vennero bombardati campi petroliferi quasi disabitati. A questo punto i Tre Grandi — la Cina, gli Stati Uniti e l’URSS — si mossero con lodevole rapidità e saggezza isolando i Paesi in guerra fin quando i sopravvissuti non ebbero ripreso a ragionare.

Nel decennio 2020–2030 una guerra tra le grandi potenze era impensabile quanto lo sarebbe stata, nel secolo precedente, una guerra tra Stati Uniti e Canada. La causa di ciò non era da ricercarsi in un miglioramento di fondo della natura umana e nemmeno in un unico fattore determinante — se non forse nella preferenza che normalmente si ha verso la vita rispetto alla morte. Inoltre la pace non era stata in larga misura nemmeno costruita consapevolmente: prima che gli uomini politici si rendessero conto di quello che era successo, invece della macchina della guerra si era messa a funzionare, e a funzionare bene, la macchina della pace…

Non fu uno statista o un ideologo a inventare il movimento degli «Ostaggi per la pace»; esso nacque parecchio tempo dopo che qualcuno si accorse che c’erano sempre circa centomila turisti russi negli Stati Uniti e mezzo milione di americani nell’Unione Sovietica, la maggior parte dei quali intenti al loro tradizionale passatempo, e cioè quello di lamentarsi dei servizi igienici. E, cosa forse più importante, in questi due gruppi vi era una percentuale molto elevata di individui che non si potevano assolutamente sacrificare — i figli dei ricchi, dei privilegiati, dei potenti.

Inoltre, anche volendo, non sarebbe più stato possibile preparare una guerra su vasta scala. Negli anni Novanta era nata l’età della trasparenza quando intraprendenti agenzie giornalistiche avevano cominciato a mettere in orbita satelliti di osservazione dotati di obiettivi paragonabili a quelli che i militari impiegavano da trent’anni. Il Pentagono e il Cremlino impazzirono di rabbia, tra l’indifferenza della Reuter, dell’Associated Press e delle telecamere, funzionanti ventiquattro ore su ventiquattro, dell’Agenzia Giornalistica Orbitale.

Nel 2060 il disarmo non era ancora totale, ma il mondo poteva dirsi pacificato, e le ultime cinquanta bombe nucleari erano sotto stretto controllo internazionale. Vi fu una scarsissima opposizione a che un monarca molto amato, Edoardo VIII, venisse eletto primo Presidente Planetario: solo una decina di Stati si opposero. Si andava dalla Svizzera, sempre ostinatamente neutrale (ma i cui ristoranti e alberghi accoglievano a braccia aperte il nuovo personale amministrativo), alle Malvine, i cui abitanti, attaccati all’indipendenza con un amore che rasentava il fanatismo, si opponevano a ogni tentativo compiuto dagli inglesi e dagli argentini di attribuirsi quelle isole.

Lo smantellamento dell’industria degli armamenti — di proporzioni vastissime e in larga misura parassitaria — aveva dato una spinta incredibile, e in qualche caso anche pericolosa, all’economia mondiale. Le materie prime e le intelligenze di prim’ordine non sparivano più come inghiottite da un buco nero — né, peggio ancora, venivano utilizzate a scopi distruttivi. Potevano venir usate per riparare i danni e la trascuratezza di secoli, per ricostruire il mondo.

E per costruire nuovi mondi. L’umanità aveva davvero trovato «l’equivalente morale della guerra», nonché una sfida in grado di assorbire l’eccesso di energia della specie umana — e per millenni e millenni.