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La depressione passò rapidamente: c’era tanto da fare e da vedere. Un migliaio di vite non sarebbe bastato e il problema era scegliere tra le miriadi dì svaghi che quell’epoca era in grado di offrire. Cercò, non sempre con successo, di evitare le banalità e di concentrarsi sulle cose realmente importanti, in particolare la sua educazione.
La calotta cerebrale — e la tastiera delle dimensioni di un libro che vi si accompagnava, inevitabilmente chiamata il jukebox cerebrale era di enorme utilità in quel posto. Ben presto possedette una piccola biblioteca di tavolette di «sapere istantaneo», ognuna contenente tutto il materiale necessario a un corso di laurea. Dopo averne introdotta una nel jukebox cerebrale, dandole la velocità e gli assestamenti d’intensità che meglio gli si confacevano, appariva un lampo di luce, seguito da un periodo di incoscienza che poteva durare anche un’ora. Ogni volta che si risvegliava, sembrava che si fossero aperte nuove zone della mente, benché lui venisse a conoscenza della loro esistenza solo quando le cercava. Era quasi come essere il proprietario di una biblioteca che avesse improvvisamente scoperto scaffali di libri che non sapeva di possedere.
Nella maggior parte dei casi poteva disporre a suo piacimento del proprio tempo. Per puro senso del dovere — e anche per gratitudine — si sottoponeva a qualsiasi richiesta gli giungesse da parte di scienziati, storici, scrittori e artisti attivi nei media, anche se spesso non ne comprendeva il significato. Inoltre riceveva inviti in continuazione dai cittadini delle quattro Torri, ma in realtà era costretto a declinarli tutti quanti.
Più allettanti — e i più difficili da rifiutare — erano gli inviti che venivano dal magnifico pianeta che si stendeva sotto di lui. «Certo che sopravviverebbe», gli aveva spiegato il professor Anderson, «se vi andasse per un breve periodo con il corretto sistema di supporto, ma non se la spasserebbe. E potrebbe indebolire ulteriormente il suo sistema neuromuscolare. In realtà, non si è mai ripreso pienamente da quel sonno millenario.»
Indra Wallace, l’altra sua guardiana, lo proteggeva dalle intrusioni non necessarie e lo consigliava sulle richieste da accettare e su quelle da rifiutare cortesemente. Da solo, Poole non avrebbe mai capito la struttura sociopolitica di quella cultura incredibilmente complessa, ma ben presto si accorse che c’erano alcune migliaia di supercittadini, anche se in teoria tutte le distinzioni di classe erano state abolite. George Orwell aveva avuto ragione: ci sarebbe sempre stato qualcuno più uguale di altri.
A volte, condizionato dalla sua esperienza del XXI secolo, Poole si era chiesto chi pagasse per quella ospitalità — o forse un giorno gli avrebbero presentato l’equivalente di un enorme conto d’albergo? Ma Indra lo aveva prontamente rassicurato: lui era un pezzo da museo unico e inestimabile, per cui non avrebbe mai dovuto preoccuparsi di considerazioni così banali. Gli avrebbero fornito tutto quello che voleva entro i limiti della ragionevolezza. Poole si chiese quali fossero quei limiti, non immaginando che un giorno avrebbe cercato di scoprirli.
Le cose più importanti nella vita capitano per caso: aveva predisposto il suo schermo murale sulla scansione casuale e senza suono, quando un’immagine straordinaria aveva attirato la sua attenzione.
«Smetti la scansione! Alza il volume!» esclamò a voce inutilmente alta.
Riconobbe la musica, ma ci vollero alcuni minuti prima che riuscisse a identificarla. Il fatto che la parete fosse piena di esseri umani alati che piroettavano con grazia uno attorno all’altro era d’indubbio aiuto. Ma persino Ciajkowski sarebbe rimasto assolutamente sconcertato nel vedere quella esecuzione del Lago dei cigni — con i ballerini che volavano davvero…
Poole guardò incantato per parecchi minuti fin quando non si convinse completamente che si trattava di realtà e non di simulazione: anche ai suoi tempi non si poteva mai essere del tutto sicuri. Era probabile che il balletto venisse eseguito in uno dei tanti ambienti a bassa gravità — uno molto vasto, a giudicare da alcune immagini. Avrebbe potuto persino essere lì, nella Torre Africana.
Ci voglio provare, decise Poole. Non aveva mai perdonato l’Agenzia spaziale per aver messo al bando uno dei suoi massimi piaceri, il lancio in formazione con paracadute ad apertura ritardata, anche se poteva capire che l’Agenzia non volesse rischiare di perdere un costoso investimento. I dottori avevano decisamente disapprovato il suo precedente incidente con il deltaplano; per fortuna le sue giovani ossa si erano ristabilite del tutto.
Be’, rifletté, nessuno può fermarmi… a meno che il professor Anderson…
Con suo grande sollievo, il medico la giudicò un’eccellente idea e Poole fu assai contento di scoprire che ognuna delle Torri aveva la sua Uccelliera, su al livello di un decimo di g.
In pochi giorni gli presero le misure per le ali, nemmeno lontanamente simili alle eleganti versioni indossate dagli esecutori del Lago dei cigni. Al posto di piume, avevano delle membrane estensibili e, dopo aver afferrato le maniglie attaccate alle nervature di supporto, Poole si rese conto di assomigliare più a un pipistrello che a un uccello. Tuttavia, il suo «Scansati, Dracula!» lasciò del tutto indifferente il suo istruttore, che a quanto pareva non aveva alcuna familiarità con i vampiri.
Durante la prima lezione, venne legato a una leggera imbragatura, in modo che non si spostasse da tutte le parti mentre gli insegnavano i movimenti di base e, cosa più importante, mentre imparava il controllo e la stabilità. Come molte capacità acquisite, non era così facile come sembrava.
Si sentiva ridicolo in quella imbragatura di salvataggio — come ci si poteva far male a un decimo di gravità? — e si rallegrò perché gli bastarono solo poche lezioni; indubbiamente il suo addestramento di astronauta gli era servito. Come gli disse il suo Maestro d’Ala, era il miglior allievo che avesse mai avuto; ma forse lo diceva a tutti.
Dopo una decina di voli liberi in una sala di quaranta metri per lato, attraversata da diversi ostacoli facilmente superati, a Poole venne dato il via libera per il primo assolo e si sentì di nuovo il ragazzino diciannovenne in procinto di decollare con il vecchio Cessna all’aeroclub di Flagstaff.
Il poco emozionante nome di «Voliera» non si addiceva al luogo in cui sarebbe avvenuto il suo primo volo. Sebbene apparisse ancora più vasto dello spazio che racchiudeva foreste e giardini giù al livello di gravità lunare, era quasi della stessa grandezza, dal momento che occupava l’intero piano della Torre leggermente rastremata. Quello spazio circolare, alto mezzo chilometro e con un raggio di più di quattro chilometri, appariva davvero immenso, non essendoci caratteristiche su cui posare lo sguardo. Le pareti di un azzurro uniforme contribuivano all’impressione di spazio infinito.
Poole non aveva creduto a quello che il Maestro d’Ala gli aveva detto — «Può scegliere il paesaggio che preferisce» — e intendeva lanciargli quella che sicuramente sarebbe stata una sfida impossibile. Ma al primo volo, alla vertiginosa altitudine di cinquanta metri, non godette di distrazioni visive. Certo, una caduta da un’altitudine equivalente di cinque metri nella gravità terrestre dieci volte più pesante avrebbe potuto spezzare l’osso del collo di chiunque; tuttavia, persino un graffio era altamente improbabile in quel luogo, poiché il pavimento intero era coperto da una rete di cavi flessibili. La sala era un gigantesco trampolino; ci si poteva davvero divertire, pensò Poole, anche senza ali.
Con decisi colpi d’ala verso il basso, Poole si sollevò in aria. In un baleno gli parve di trovarsi a cento metri e di continuare a salire.
«Rallenti!» urlò il Maestro d’Ala. «Non riesco a seguirla.»
Poole si drizzò, poi tentò una lenta picchiata. Si sentì la testa e il corpo leggeri (meno di dieci chilogrammi!) e si chiese se non fosse aumentata la concentrazione d’ossigeno.
Era meraviglioso — del tutto diverso dalla gravità zero, dal momento che comportava più di una sfida fisica. La cosa che più gli poteva assomigliare era l’immersione subacquea: avrebbe voluto veder svolazzare uccellini, a imitazione del pesce corallo altrettanto colorato che lo aveva accompagnato così spesso nelle scogliere tropicali.
Il Maestro d’Ala lo guidò attraverso una serie di manovre: picchiate, gran volte, volo rovesciato, volo stazionario… Alla fine disse: «Non c’è altro che le possa insegnare. Ora si goda il panorama».
Per un breve attimo Poole perse quasi il controllo cosa che probabilmente ci si poteva aspettare che accadesse. Perché, mentre volava attraverso uno stretto passo, a soli pochi metri da sgradevoli rocce frastagliate senza il minimo segnale di avvertimento, si ritrovò circondato da montagne dalla cima coperta di neve.
Ovviamente non poteva essere reale; quelle montagne erano fatte della stessa sostanza delle nuvole e avrebbe potuto volare dritto attraverso di esse, se avesse voluto. Nondimeno, con una virata si allontanò dalla parete scoscesa (c’era un nido d’aquila su una sporgenza e dentro due uova che Poole pensò di poter toccare, se solo si fosse avvicinato) e si diresse verso spazi più aperti.
Le montagne svanirono; all’improvviso fu notte. E poi apparvero le stelle — non le poche migliaia dei miseri cicli della Terra, ma innumerevoli legioni. E non solo stelle, ma i vortici a spirale delle lontane galassie, i brulicanti sciami ravvicinati di soli degli ammassi globulari.
Non c’era alcuna possibilità che tutto ciò fosse reale, anche se fosse stato magicamente trasportato in qualche mondo in cui esistessero simili cieli. Perché quelle galassie si allontanavano proprio mentre le osservava, le stelle si spegnevano, esplodendo, dopo essere nate in vivai stellari di ardenti brume infuocate. Per ogni secondo, passava forse un milione di anni…
Quello spettacolo irresistibile sparì con la stessa rapidità con cui era apparso: si trovò di nuovo nel cielo vuoto, solo con il suo istruttore, nello scialbo cilindro azzurro della Voliera.
«Penso che sia abbastanza per il primo giorno», osservò il Maestro d’Ala, librandosi a qualche metro sopra Poole. «Quale paesaggio le piacerebbe la prossima volta che viene a volare?»
Poole non ebbe esitazioni. Con un sorriso, rispose alla domanda.