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Non avrebbe mai creduto che fosse possibile, anche con la tecnologia di quell’epoca. Quanti terabytes… petabytes — esisteva una parola sufficientemente capace? — di informazioni dovevano essere stati accumulati nei secoli, e in quale tipo di congegno di memorizzazione? Meglio non pensarci e seguire il consiglio di Indra: «Dimentica di essere un ingegnere… e goditi lo spettacolo».
Stava certamente godendosela ora, benché nel suo piacere apparisse una sensazione spossante di nostalgia. Perché stava volando, o almeno così sembrava, a un’altitudine di circa due chilometri, sopra il paesaggio spettacolare e mai dimenticato della sua giovinezza. Certo, la prospettiva era falsata, dal momento che la Voliera era alta solo mezzo chilometro, ma l’illusione era perfetta.
Volò in cerchio sul Cratere del Meteorite, ricordando come si era arrampicato sui suoi fianchi durante i primi addestramenti da astronauta. Era incredibile che qualcuno potesse aver mai dubitato della sua origine e della correttezza del suo nome. Eppure già nel XX secolo eminenti geologi avevano sostenuto che era vulcanico: solo con l’avvento dell’era spaziale avevano dovuto accettare — con riluttanza — il fatto che tutti i pianeti fossero stati sottoposti a un continuo bombardamento.
Poole era assolutamente sicuro che quella confortevole velocità di crociera fosse più vicina ai venti che ai duecento chilometri all’ora, eppure gli aveva permesso di raggiungere Flagstaff in meno di quindici minuti. E là c’erano le cupole biancheggianti dell’Osservatorio Lowell, che aveva visitato tante volte da bambino, e il cui amichevole personale era stato indubbiamente responsabile della scelta della sua carriera. Talvolta si era chiesto quale professione avrebbe scelto, se non fosse nato in Arizona, proprio vicino al luogo in cui erano state create le più durevoli e credibili tra le leggende marziane. Forse era solo immaginazione, ma a Poole parve di vedere la bizzarra tomba di Lowell, vicino al grande telescopio che aveva alimentato i suoi sogni.
In quale anno, e in quale stagione, era stata catturata quell’immagine? Pensò che provenisse dai satelliti spia che avevano vegliato sul mondo dei primi anni del XXI secolo. Non poteva essere molto dopo la sua epoca, perché il disegno della città era proprio come lo ricordava. Forse, se fosse sceso più in basso, avrebbe visto persino se stesso…
Ma sapeva che era assurdo; aveva già scoperto che quella era la quota più bassa a cui poteva arrivare. Se fosse sceso ancora, l’immagine avrebbe cominciato a spezzettarsi, rivelando la sua componente di pixel. Era meglio tenere quella quota e non distruggere la splendida illusione.
E là… incredibile!… ecco il piccolo parco in cui aveva giocato con gli amici delle medie e del liceo. I Padri della città discutevano in continuazione su come tenerlo in ordine, dal momento che il rifornimento idrico era diventato sempre più critico. Be’, almeno era sopravvissuto fino a quell’epoca — qualunque essa fosse.
E poi un altro ricordo gli riempì gli occhi di lacrime. Lungo quegli stretti sentieri, ogni volta che tornava da Houston o dalla Luna, aveva passeggiato con il suo adorato ridgeback rhodesiano, gettando rametti perché andasse a riprenderli, come uomo e cane hanno fatto da tempi immemorabili.
Poole aveva sperato con tutto il cuore che Rikki si trovasse ancora là a salutarlo quando fosse tornato da Giove e lo aveva lasciato alle cure di Martin, il fratello minore. Per poco non perse il controllo e precipitò per diversi metri prima di riacquistare stabilità non appena prese atto dell’amara verità, che Rikki e suo fratello erano ormai polvere da secoli.
Quando fu di nuovo in grado di guardare correttamente, notò che la striscia scura del Grand Canyon era appena visibile lontano sull’orizzonte. Stava chiedendosi se dirigersi verso di esso — si sentiva sempre più stanco — quando si accorse di non essere solo nel cielo. Qualcos’altro si avvicinava, e certamente non era un uomo volante. Anche se era difficile valutare le distanze in quella sala, gli sembrò decisamente troppo grande.
Be’, pensò, non sono particoìarmente sorpreso di incontrare qui uno pterodattilo… anzi, è proprio il tipo di cosa che mi sarei aspettato. Spero che non abbia brutte intenzioni… o che almeno io possa smettere di volare se le ha. Oh, no!
Uno pterodattilo non era male come supposizione; forse otto su dieci, quanto ad accuratezza. Quello che gli si stava avvicinando adesso, con lenti movimenti delle grandi ali coriacee, era un dragone uscito dritto dal Regno delle Fate. E, per completare il quadro, c’era una bellissima donna sul suo dorso.
O almeno così pensò Poole. L’immagine tradizionale era guastata da un piccolo particolare: gran parte del suo viso era nascosta da un paio di occhialoni da aviatore che sarebbero potuti provenire dall’abitacolo aperto di un biplano della prima guerra mondiale.
Poole fluttuò a mezz’aria, come un nuotatore che si tiene a galla sull’acqua, fin quando il mostro incombente non si avvicinò abbastanza da permettergli di sentire il battito delle ali enormi. Anche quando fu soltanto a meno di venti metri di distanza, non riuscì a stabilire se si trattasse di una macchina o di una biocostruzione: probabilmente entrambe.
E poi scordò il dragone, perché la donna si era tolta gli occhiali.
Il guaio con i luoghi comuni, ha fatto notare un filosofo, probabilmente con uno sbadiglio, è che sono così noiosamente veri.
Ma l’«amore a prima vista» non è mai noioso.
Danil non fu in grado di fornire informazioni; d’altronde Poole non se le aspettava da lui. La sua onnipresente scorta — di sicuro non avrebbe mai superato l’esame di valletto classico — sembrava così limitata nelle sue funzioni che talvolta Poole si chiedeva se non fosse un handicappato mentale, per quanto ciò apparisse improbabile. Capiva il funzionamento di tutti gli elettrodomestici di casa, eseguiva semplici ordini con rapidità ed efficienza e sapeva come muoversi nella Torre. Ma nient’altro; era impossibile intavolare una conversazione intelligente con lui e a qualsiasi cortese domanda sulla sua famiglia rispondeva con uno sguardo assolutamente vuoto. Poole si chiese se anche lui non fosse un biorobot.
Tuttavia fu Indra a fornirgli la risposta di cui abbisognava al più presto.
«Ah, hai incontrato Dragon Lady!»
«È così che la chiamate? Qual è il suo vero nome? E puoi darmi la sua Identità? Non eravamo esattamente nella situazione di toccarci i palmi.»
«Ma certo… no problema.»
«E questa frase, dove l’hai pescata?»
Indra apparve stranamente confusa.
«Non ho idea… in qualche vecchio libro o film. È un buon modo di dire?»
«No, se hai più di quindici anni.»
«Cercherò di ricordarmelo. Ora dimmi cos’è successo… a meno che tu non voglia farmi ingelosire.»
Erano diventati talmente buoni amici da poter discutere di qualsiasi argomento in tutta franchezza. Certo, si erano lamentati ridendo della totale mancanza di interesse romantico nei rispettivi confronti anche se Indra una volta aveva commentato: «Immagino che se fossimo entrambi abbandonati su un asteroide deserto, senza alcuna speranza di essere salvati, potremmo arrivare a qualche accordo.»
«Prima dimmi chi è.»
Si chiama Aurora McAuley; tra le tante altre cose è la presidentessa della Società per gli Anacronismi Creativi. E se il dragone ti è parso impressionante, aspetta di vedere alcune delle sue… uhm… altre creazioni. Come Moby Dick… e un intero zoo pieno di dinosauri che non sarebbero mai venuti in mente a Madre Natura.»
Troppo bello per essere vero, pensò Poole.
Sono io il più grande anacronismo sul Pianeta Terra.