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13. STRANIERO IN UNA STRANA EPOCA

Indra non era affatto così affettuosa come Poole aveva sperato; forse, tutto sommato, c’era una certa gelosia sessuale nel loro rapporto. E, fatto molto più grave, quella che avevano ironicamente etichettato come la Sconfitta del Dragone provocò la loro prima seria discussione.

Cominciò quasi innocentemente, quando Indra si lamentò: «La gente mi chiede in continuazione perché ho dedicato la mia vita a un periodo così tremendo della storia, e non si accontenta quando rispondo che ce ne sono stati di molto peggiori».

«Ma allora perché ti interessa il mio secolo?»

«Perché rappresenta la transizione tra la barbarie e la civiltà.»

«Grazie. Chiamami pure Conan.»

«Conan? L’unico che conosco è quello che ha inventato Sherlock Holmes.»

«Lascia perdere… scusami se ti ho interrotto. È ovvio che noi appartenenti ai cosiddetti paesi sviluppati pensassimo di essere civili. Almeno la guerra non era più considerata rispettabile e le Nazioni Unite facevano sempre del loro meglio per arrestare le guerre che scoppiavano.»

«Ma senza grande successo; direi che ci riuscivano tre volte su dieci. Tuttavia quello che consideriamo incredibile è il modo con cui la gente, ancora fino ai primi anni del 2000, accettava tranquillamente comportamenti che noi considereremmo orribili. E credeva nelle più stupefatte…»

«Stupefacenti.»

«… sciocchezze, che sicuramente ripugnerebbero a qualsiasi individuo razionale.»

«Esempi, se non ti spiace.»

«Be’, certe vostre perdite davvero inspiegabili mi indussero a fare qualche ricerca, e quello che scoprii mi lasciò di stucco. Sapevi che ogni anno in alcuni paesi migliaia di bambine venivano atrocemente mutilate per preservare la loro verginità? Molte morivano… ma le autorità chiudevano un occhio.»

«D’accordo, era terribile… ma che cosa avrebbe potuto fare il mio governo?»

«Un bel po'’… se avesse voluto. Ma poi avrebbe offeso la gente che lo riforniva di petrolio e comprava le armi, come le mine antiuomo che hanno ucciso e storpiato migliaia di civili.»

«Non capisci, Indra. Spesso non avevamo scelta, non potevamo riformare il mondo intero. E qualcuno non ha detto una volta che «la politica è l’arte del possibile»?»

«Verissimo… il che spiega perché la fanno solo personaggi di secondo piano. Ai geni piace sfidare l’impossibile.»

«Bene, sono contento che voi abbiate una bella scorta di geni, in modo da mettere a posto le cose.»

«Devo cogliere un accenno di sarcasmo? Grazie ai nostri computer, possiamo effettuare esperimenti politici nel cyberspazio prima di metterli in pratica. Lenin è stato sfortunato; è nato cent’anni troppo presto. Il comunismo sovietico avrebbe potuto funzionare, almeno per un po'’, se avesse avuto un microchip. E sarebbe riuscito a evitare Stalin.»

Poole rimaneva sempre stupito della conoscenza che Indra aveva del suo periodo — come pure della sua ignoranza per tante cose che lui dava per scontate. In un certo senso, avevano problemi opposti. Anche se avesse vissuto i cento anni che gli erano stati fiduciosamente promessi, non avrebbe mai imparato a un punto tale da sentirsi a casa sua. In qualsiasi conversazione ci sarebbe sempre stato un riferimento che lui non avrebbe capito e battute di cui non avrebbe colto il significato. Ancora peggio, si sarebbe sempre sentito sul punto di compiere un passo falso… sul punto di fare qualche gaffe che avrebbe imbarazzato persino il suo migliore amico…

Come quella volta che stava facendo colazione, fortunatamente nel suo appartamento, con Indra e il professor Anderson. I pasti che venivano dall’autocucina erano sempre assolutamente accettabili, essendo stati studiati appositamente per le sue necessità fisiologiche. Ma certamente non erano affatto divertenti e sarebbero stati una disperazione per un gourmet del XXI secolo.

Poi, un giorno, era apparso un piatto insolitamente saporito che gli fece venire in mente vividi ricordi di cacce al cervo e dei barbecue della sua gioventù. Tuttavia c’era qualcosa d’insolito nel gusto e nella sostanza, per cui Poole fece l’ovvia domanda.

Anderson si limitò a sorridere ma, per alcuni secondi, sembrò che Indra fosse sul punto di vomitare. Poi si riprese e disse: «Diglielo tu… dopo che abbiamo finito di mangiare».

Ora che ho fatto di sbagliato? si domandò Poole. Mezz’ora dopo, con Indra assorbita piuttosto intenzionalmente dallo schermo all’altro capo della stanza, la sua conoscenza del Terzo Millennio compì un altro grande progresso.

«Cibarsi di cadaveri era una pratica che stava scomparendo persino alla sua epoca», aveva spiegato Anderson. «Allevare animali per… uhm… mangiarli era diventato economicamente insostenibile. Non so quanti acri di terra ci volessero per nutrire una mucca, ma almeno dieci esseri umani potevano vivere delle piante che quell’acro produceva. E forse anche un centinaio con le colture idroponiche.

«Ma ciò che pose fine a quell’orribile affare non fu una questione economica ma una malattia. Cominciò dapprima con i bovini, poi si diffuse ad altri animali… un tipo di virus, credo, che colpiva il cervello e provocava morti particolarmente orrende. Anche se alla fine trovarono una cura, era troppo tardi per riportare indietro le lancette dell’orologio… e in ogni caso il cibo sintetico adesso era molto più economico e lo si poteva ottenere nei gusti che uno preferiva.»

Ricordando settimane di pasti soddisfacenti ma per nulla entusiasmanti, Poole non era affatto convinto. Perché mai allora, si chiese, continuava a sognare malinconicamente costolette di maiale e bistecche alla Cordon Bleu?

Altri sogni erano di gran lunga più angoscianti e temeva che di lì a poco avrebbe dovuto ricorrere all’aiuto del dottor Anderson. Benché avessero fatto di tutto per farlo sentire a casa, l’estraneità e la complessità di quel nuovo mondo cominciavano a ossessionarlo. Durante il sonno, come in un tentativo inconscio di scappare, spesso tornava alla sua vita di prima: ma ciò non faceva che peggiorare le cose, quando si svegliava.

Non era stata una buona idea andare fino alla Torre Americana e guardare laggiù, realmente e non nella simulazione, il paesaggio della sua gioventù. Con l’aiuto di strumenti ottici, quando l’atmosfera era limpida, poteva vedere così da vicino da scorgere i singoli esseri umani impegnati nelle loro attività, a volte lungo strade che ricordava…

E sempre, nei recessi della sua mente, c’era la consapevolezza che laggiù un tempo avevano vissuto tutti quelli che aveva amato. La madre, il padre (prima che se ne andasse con l’Altra Donna), il caro zio George, e la zia Lil, e suo fratello Martin — e non dimentichiamo, una sfilza di cani, a cominciare dai caldi cuccioli della sua prima infanzia per finire con Rikki.

Soprattutto c’era il ricordo — e il mistero — di Helena…

La storia era cominciata quasi per caso, durante i primi giorni del suo addestramento da astronauta, ma era diventata sempre più seria con il passare degli anni. Poco prima di partire per Giove, avevano progettato di sposarsi — quando fosse tornato.

E se non fosse tornato, Helena in ogni caso voleva un bambino da lui. Ricordava ancora la commistione di solennità e ilarità con cui avevano fatto i passi necessari…

Ora, a distanza di mille anni, nonostante tutti i suoi sforzi, non era riuscito a scoprire se Helena avesse mantenuto la promessa. Proprio come c’erano vuoti nei suoi ricordi, così ce n’erano anche nella memoria collettiva dell’umanità. Il peggiore era stato quello creato dal devastante impulso elettromagnetico provocato dall’impatto dell’asteroide del 2304, che aveva spazzato una gran quantità di banche dati mondiali, nonostante tutte le salvaguardie e i sistemi di sicurezza. Poole non poteva fare a meno di chiedersi se i dati dei suoi figli fossero tra tutti gli exabytes che erano andati irrimediabilmente persi. Forse, proprio in quel momento, i suoi discendenti della trentesima generazione se ne andavano in giro sulla Terra, ma lui non l’avrebbe mai saputo.

La cosa che lo aiutò un po'’ fu scoprire che — al contrario di Aurora — alcune signore di quell’epoca non lo consideravano come un bene danneggiato. Al contrario, spesso trovavano la sua piccola alterazione assolutamente eccitante, ma quella reazione alquanto bizzarra non permetteva a Poole di stabilire un rapporto solido. E d’altra parte non ci teneva più di tanto; aveva bisogno solo di qualche salutare e spensierato esercizio.

Spensierato — quello era il guaio. Non aveva più uno scopo nella vita. Ed era assillato dal peso di troppi ricordi; parafrasando il titolo di un libro famoso che aveva letto in gioventù, spesso diceva a se stesso: «Sono uno straniero in una strana epoca».

C’erano anche occasioni in cui guardava il bellissimo pianeta sul quale — se avesse obbedito agli ordini del medico — non avrebbe mai più potuto camminare, e si chiedeva come sarebbe stato conoscere per la seconda volta il vuoto dello spazio. Benché non fosse facile passare per le camere di compensazione senza far scattare allarmi, qualcuno lo faceva lo stesso: quasi ogni anno, un suicida ben deciso eseguiva una breve imitazione di un meteorite nell’atmosfera della Terra.

Forse era proprio un bene che la liberazione facesse la comparsa da una direzione del tutto inattesa.

* * *

«Lieto di incontrarla, comandante Poole… per la seconda volta.»

«Mi spiace… non ricordo… ma vedo così tanta gente…»

«Non c’è bisogno di scusarsi. La prima volta è stato dalle parti di Nettuno.»

«Capitano Chandler! È un vero piacere vederla! Posso offrirle qualcosa?»

«Qualunque cosa che contenga più del venti per cento di alcool sarà gradita.»

«E cosa fa, qui sulla Terra? Mi hanno detto che non oltrepassa mai l’orbita di Marte.»

«Vero, in parte… anche se sono nato qui, penso che sia un posto sporco e puzzolente… troppa gente… e si avvicina di nuovo al miliardo!»

«Più di dieci miliardi ai miei tempi. Ah… per caso ha ricevuto il mio messaggio di ringraziamento?»

«Sì… e capisco che avrei dovuto contattarla. Ma ho aspettato di dirigermi di nuovo verso il Sole. E adesso eccomi qui. Alla sua salute!»

Mentre il capitano Chandler scolava il suo drink con impressionante rapidità, Poole cercò di esaminare il suo visitatore.

Le barbe, persino le barbette a punta come quella di Chandler, erano rarissime in quella società e Poole non aveva mai conosciuto un astronauta che ne portasse una; la coesistenza con i caschi spaziali non è certo confortevole. Sì, un capitano poteva rimanere a bordo magari per anni tra un’attività extraveicolare e l’altra, e in ogni caso la maggior parte del lavoro all’esterno era eseguita dai robot; ma c’era sempre il rischio dell’inatteso, del momento in cui uno deve indossare tuta e casco in fretta.

Era ovvio che Chandler era un tipo eccentrico, e Poole provò un’istintiva simpatia per lui.

«Non ha risposto alla mia domanda. Se non le piace la Terra, che cosa ci fa qui?»

«Oh, perlopiù vedo vecchi amici… è stupendo dimenticare gli intervalli di ore e fare una conversazione in tempo reale. Ma ovviamente non è questo il motivo. Il mio vecchio secchio rugginoso è in riparazione, al cantiere del Bordo. E devo sostituire la corazza; quando diventa sottile solo pochi centimetri, io non dormo tranquillo.»

«La corazza?»

«Ripara dalla polvere. Non ce l’avevate un problema del genere ai vostri tempi, vero? Ma dalle parti di Giove è piuttosto sporco e la nostra velocità di crociera di solito è di parecchie migliaia di chilometri… al secondo! Per cui c’è un continuo picchiettio contro la corazza, come gocce di pioggia sul tetto.»

«Ma sta scherzando?»

«Certo che sì. Se riuscissi a sentire qualcosa, vorrebbe dire che saremmo morti. Fortunatamente, questo tipo di spiacevolezza è molto raro… l’ultimo incidente grave è avvenuto vent’anni fa. Conosciamo tutte le principali scie di comete… è lì che si trova la maggior parte della spazzatura… e stiamo attenti a evitarle… tranne quando andiamo alla loro stessa velocità per raccogliere il ghiaccio.

«Ma perché non viene a bordo a dare un’occhiata, prima che ripartiamo per Giove?»

«Mi piacerebbe moltissimo… ha detto Giove?»

«Be’, Ganimede, ovviamente… Anubis City. Abbiamo un sacco di lavoro da quelle parti e parecchi di noi hanno famiglie che non vedono da mesi.»

Poole non lo udì quasi.

All’improvviso, inaspettatamente, e forse non troppo tardi, aveva trovato una ragione per vivere.

Il comandante Frank Poole era il tipo d’uomo che odiava lasciare un lavoro a metà — e poche particelle di polvere cosmica, anche muovendosi a un migliaio di chilometri al secondo, non lo avrebbero certo scoraggiato.

Aveva lasciato un lavoro a metà su un mondo un tempo noto come Giove.