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L’arrivo di un passeggero così celebre aveva provocato un certo scompiglio nel piccolo mondo ristretto del Goliath, ma l’equipaggio vi si era adattato di buon animo. Ogni giorno, alle diciotto in punto, tutto il personale si riuniva per la cena nel quadrato ufficiali, che a zero g poteva contenere comodamente almeno trenta persone, se disposte uniformemente lungo le pareti. Tuttavia, per la maggior parte del tempo le zone di lavoro del rimorchiatore spaziale erano tenute alla gravità lunare, per cui era inevitabile che ci si mettesse a livello del pavimento e in quelle condizioni più di otto persone costituivano già una folla.
La tavola semicircolare pieghevole che si estendeva attorno all’autocucina all’ora dei pasti poteva ospitare appena l’equipaggio di sette persone, con il comandante al posto d’onore. Una persona in più creava problemi talmente irrisolvibili che a turno a ogni pasto qualcuno doveva mangiare da solo. Dopo alcune discussioni pacate, si decise di fare la scelta seguendo l’ordine alfabetico — non dei nomi propri, che non venivano usati quasi mai, ma dei soprannomi. Poole ci aveva impiegato un po'’ di tempo prima di abituarcisi. «Bolts» (tecnico strutturale); «Chips» (computer e comunicazioni); «First» (primo ufficiale); «Life» (medicina e sistemi di mantenimento della vita); «Props» (propulsione ed energia) e «Stars» (orbite e navigazione).
Durante il viaggio di dieci giorni, ascoltando le storie, le barzellette e i lamenti dei suoi temporanei compagni di viaggio, Poole aveva appreso di più sul sistema solare che durante i mesi passati sulla Terra. Ovviamente, a bordo erano tutti felici di avere come pubblico un ascoltatore nuovo e forse un po'’ ingenuo, ma era raro che Poole si facesse allettare dalle loro storie più immaginose.
Eppure a volte era difficile stabilire dove tracciare il limite. Nessuno credeva sul serio all’Asteroide d’oro, che di solito veniva considerato come una burla risalente al XXIV secolo. Ma che dire dei plasmoidi mercuriani, di cui non meno di una dozzina di testimoni affidabili aveva parlato durante gli ultimi cinquecento anni?
La spiegazione più semplice era che fossero correlati ai fulmini a palla, responsabili di tanti rapporti su «oggetti volanti non identificati» sulla Terra e su Marte. Ma alcuni osservatori giuravano che avevano manifestato una certa decisione — persino curiosità — quando li avevano incontrati da vicino. Sciocchezze, avevano risposto gli scettici pura e semplice attrazione elettrostatica!
Inevitabilmente da qui si passava alla discussione sulla vita nell’universo, e Poole si era ritrovato — non per la prima volta — a difendere la propria epoca dagli eccessi di credulità e di scetticismo. Sebbene la mania degli «Alieni fra noi» si fosse già placata quando era ragazzino, ancora nel 2020 l’Agenzia spaziale era afflitta da maniaci che sostenevano di essere stati contattati — o rapiti — da visitatori provenienti da altri mondi. Le loro illusioni erano state rafforzate dal sensazionalismo dei media e l’intera sindrome venne in seguito accolta nella letteratura medica con il nome di «Morbo di Adamski».
Paradossalmente, la scoperta di TMA-1 aveva messo fine a quelle meschine sciocchezze, dimostrando che, sebbene ci fosse ovviamente intelligenza altrove, a quanto pareva non aveva voluto immischiarsi con il genere umano per parecchi milioni di anni. TMA-1 aveva anche confutato in modo convincente il manipolo di scienziati fermamente convinti che la vita al di sopra del livello dei batteri fosse un fenomeno talmente improbabile che la razza umana doveva essere l’unica in questa galassia… se non nel cosmo.
L’equipaggio del Goliath si interessava più di tecnologia che della politica e dell’economia dell’epoca di Poole ed era particolarmente affascinato dalla rivoluzione che aveva avuto luogo durante la sua precedente vita: la fine dell’era del combustibile fossile, determinata dallo sfruttamento dell’energia del vuoto. Trovarono difficile immaginare le città avvolte dallo smog del XX secolo e gli sperperi, l’avidità e gli spaventosi disastri ambientali dell’età del petrolio.
«Non prendetevela con me», disse Poole, cercando di ribattere scherzosamente dopo una salva di critiche. «In ogni caso, considerate il guaio creato dal XXI secolo.»
Ci fu un coro di «Cosa vuoi dire?» attorno al tavolo.
«Be’, appena la cosiddetta «epoca dell’energia infinita» ha avuto inizio e ognuno si è ritrovato con migliaia di kilowatt di energia pulita ed economica con cui giocare… sapete bene cos’è successo!»
«Ah, vuoi dire la Crisi Termica. Ma è stata sistemata.»
«Alla fine… dopo aver coperto metà della Terra con materiale riflettente per far rimbalzare il calore del Sole di nuovo nello spazio. Altrimenti sarebbe bollita come Venere adesso.»
La conoscenza che l’equipaggio aveva della storia del Terzo Millennio era così sorprendentemente limitata che Poole — grazie ai corsi intensivi seguiti nella Città delle Stelle — riusciva facilmente a stupirli con particolari di eventi verificatisi secoli dopo la sua epoca. Tuttavia, lo lusingò scoprire quanto conoscessero bene la storia della Discovery; era diventata una delle registrazioni più note dell’era spaziale. Quella gente la considerava un po'’ come lui avrebbe potuto considerare una saga vichinga; dovette più volte ricordare a se stesso che si trovava a metà strada nel tempo tra il Goliath e le prime navi ad attraversare l’oceano occidentale.
«Nel vostro ottantaseiesimo giorno», gli ricordò Stars a cena durante la quinta serata, «siete passati a duemila chilometri dall’asteroide 7.794… e ci avete mandato dentro una sonda. Ti ricordi?»
«Certo», rispose Poole un po'’ brusco. «Per me è come se fosse successo meno di un anno fa.»
«Ah, mi spiace. Be’, domani saremo ancora più vicini all’asteroide 13.445. Ti piacerebbe dargli un’occhiata? Con l’autopilota e il fermo immagine, dovremmo avere una finestra complessiva di dieci millisecondi.»
Un centesimo di secondo! Quei pochi minuti sulla Discovery erano sembrati parecchio frenetici, ma ora tutto sarebbe accaduto a una velocità cinquanta volte superiore.
«Quanto è grande?» domandò Poole.
«Tredici metri per venti per quindici», rispose Stars. «Sembra un mattone spaccato.»
«Peccato che non abbiamo una sonda da sparargli», disse Props. «Avete mai pensato a cosa sarebbe successo se il 7.794 vi avesse colpito di rimbalzo?»
«Non ci è mai successo. Ma siamo riusciti a dare agli astronomi un sacco di informazioni utili, per cui abbiamo corso volentieri il rischio… In ogni modo, non mi sembra che un centesimo di secondo valga la pena. Grazie lo stesso.»
«Capisco. Una volta visto un asteroide, li hai visti tutti…»
«Non è vero, Chips. Quando ero su Eros…»
«Come ci hai raccontato almeno una dozzina di volte…»
La mente di Poole si escluse dalla discussione fin quando non fu altro che un rumore di fondo senza alcun significato. Era tornato indietro di mille anni, rammentando l’unico momento di eccitazione della missione della Discovery prima del disastro finale. Benché lui e Bowman sapessero perfettamente che il 7.794 era solo un pezzo di roccia privo di vita e di aria, tutto ciò non aveva influenzato minimamente i loro sentimenti. Era l’unica materia solida che avevano incontrato da quella parte di Giove e l’avevano osservata con le stesse emozioni di marinai che, dopo un lungo viaggio, costeggiassero una terra sulla quale non potessero scendere.
Ruotava lentamente su se stesso e c’erano chiazze variegate di luce e di ombra distribuite a casaccio sulla superficie. A volte scintillava come una finestra lontana, quando superfici lisce o sporgenze di materia cristallina lampeggiavano nel sole…
Ricordò anche la tensione che aumentava nell’attesa di sapere se la loro mira era stata precisa. Non era facile colpire un bersaglio così piccolo, distante duemila chilometri, che si muoveva alla velocità relativa di venti chilometri al secondo.
Poi, contro la parte scura dell’asteroide, c’era stata un’improvvisa, abbagliante esplosione di luce. La piccola sonda — uranio 238 puro — aveva impattato con la velocità di un meteorite: in una frazione di secondo tutta la sua energia cinetica si era trasformata in calore. Uno sbuffo di gas incandescente era apparso brevemente nello spazio e le telecamere della Discovery avevano registrato le linee dello spettro in rapida estinzione, alla ricerca di segnature rivelatrici di atomi luminescenti. Poche ore più tardi, sulla Terra, gli astronomi conobbero per la prima volta la composizione della crosta di un asteroide. Non vi furono grosse sorprese, ma diverse bottiglie di champagne cambiarono di mano.
Lo stesso capitano Chandler non aveva partecipato granché alla discussione molto democratica che si era svolta attorno al tavolo semicircolare: a lui bastava che il suo equipaggio si rilassasse ed esprimesse le proprie sensazioni in quell’atmosfera informale. C’era solo una regola non detta: niente discorsi seri durante i pasti. Se c’erano problemi tecnici od operativi, dovevano affrontarli altrove.
Poole era rimasto sorpreso — e un po'’ scioccato — nello scoprire che l’equipaggio conosceva i sistemi del Goliath molto superficialmente. Spesso aveva fatto domande alle quali avrebbero dovuto rispondere con facilità, e invece gli avevano detto di rivolgersi alla banca dati dell’astronave. Ma dopo un po'’ capì che il tipo di addestramento intensivo ricevuto ai suoi tempi non era più possibile: i sistemi di bordo erano troppo complessi perché la mente di un uomo o di una donna potessero padroneggiarli. I diversi specialisti dovevano sapere solo quello che facevano i loro equipaggiamenti, non come lo facevano. L’affidabilità dipendeva dalle riserve e dal controllo automatico, e l’intervento umano avrebbe potuto essere più dannoso che utile.
Fortunatamente nessun intervento fu necessario durante quel viaggio; quando il nuovo sole di Lucifero dominò il cielo sopra di loro, il viaggio terminò senza che nulla fosse successo, come ogni comandante avrebbe potuto sperare.