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Negli istanti finali, mentre si avvicinava alla costa alla tranquilla velocità di cento chilometri all’ora, Poole si domandò se ci sarebbe stato un intervento dell’ultimo minuto. Ma non successe nulla di spiacevole, nemmeno quando passò lentamente lungo la nera faccia minacciosa della Grande Muraglia.
Era inevitabile che il monolito di Europa venisse chiamato così, poiché, diversamente dai fratelli minori sulla Terra e sulla Luna, giaceva orizzontale ed era lungo più di venti chilometri. Benché il suo volume fosse alla lettera miliardi di volte più grande di TMA-0 e TMA-1, le proporzioni erano esattamente le stesse — quello sconcertante rapporto di 1:4:9 che aveva ispirato sciocchezze numerologiche nel corso dei secoli.
Siccome la faccia verticale era alta quasi dieci chilometri, una teoria plausibile sosteneva che, tra le altre sue funzioni, la Grande Muraglia servisse da frangivento, proteggendo Tsienville dalle violente tempeste che a volte irrompevano dal Mare di Galileo. Adesso che il clima si era stabilizzato, erano molto meno frequenti, ma un migliaio di anni prima costituivano un grave ostacolo a qualsiasi forma di vita che emergesse dall’oceano.
Benché fosse nelle sue intenzioni, Poole non aveva mai trovato il tempo per visitare il monolito di Tycho — ancora segretissimo quando era partito per Giove — e la gravità della Terra gli aveva reso inaccessibile il gemello di Oldovai. Ma ne aveva visto le riproduzioni così spesso che gli erano familiari come le proverbiali tasche (e quante persone, si era chiesto sovente, avrebbero riconosciuto il fondo delle loro tasche?) A parte l’enorme differenza di dimensioni, non c’era assolutamente modo di distinguere la Grande Muraglia da TMA-1 o TMA-0 o, se era per quello, dal Grande Fratello in cui si era imbattuta la Leonov orbitando attorno a Giove.
Secondo alcune teorie, forse così folli da essere vere, c’era solo un monolito archetipico, e tutti gli altri — quali che fossero le dimensioni — erano pure e semplici proiezioni o riproduzioni. Poole si ricordò di queste congetture quando notò la levigatezza priva di qualsiasi macchia o rigonfio della torreggiante faccia color ebano della Grande Muraglia. Dopo tanti secoli in un ambiente così ostile, era plausibile che vi apparissero tracce di sudiciume. Eppure era perfettamente pulita, come se un esercito di lavavetri ne avesse appena lavato ogni centimetro quadro.
Poi ricordò: chiunque giungesse nei pressi di TMA-1 e TMA-0 provava l’irresistibile desiderio di toccarne la faccia apparentemente incorrotta, ma nessuno ci era riuscito. Dita, trapani a punta di diamante, fasci laser… tutto scivolava sui monoliti come se fossero rivestiti da una pellicola impenetrabile. O come se — e questa era un’altra teoria molto diffusa — non fossero affatto di questo universo, ma separati da esso da una frazione di millimetro assolutamente invalicabile.
Con calma compì un giro completo della Grande Muraglia, la quale rimase totalmente indifferente al suo progredire. Poi portò la navetta — sempre a guida manuale, nel caso il Controllo di Ganimede facesse un altro tentativo di «recuperarlo» — fino al limite esterno di Tsienville e vi rimase sopra in volo stazionario, cercando il posto migliore per atterrare.
La scena che apparve dalla piccola finestra panoramica del Falcon gli era del tutto familiare; l’aveva esaminata molte volte grazie alle registrazioni, non immaginando che un giorno l’avrebbe osservata dal vero. Sembrava che su Europa nessuno avesse la minima idea di come si pianificasse una città; centinaia di strutture emisferiche erano sparse apparentemente a casaccio su una zona di circa un chilometro di diametro. Alcune erano talmente piccole che persino i bambini umani si sarebbero sentiti impediti al loro interno; benché altre fossero sufficientemente grandi da ospitare una famiglia numerosa, nessuna era più alta di cinque metri.
Ed erano fatte tutte dello stesso materiale che emanava un biancore spettrale nella doppia luce del giorno. Sulla Terra, gli eschimesi avevano trovato una risposta identica alla sfida del loro ambiente glaciale e privo di materie prime; anche gli igloo di Tsienville erano fatti di ghiaccio.
Al posto delle strade c’erano canali. Difatti si adattavano meglio a creature che erano ancora parzialmente anfibie e, a quanto pareva, tornavano nell’acqua per dormire. E anche, si pensava, per cibarsi e accoppiarsi, benché queste due ipotesi non fossero mai state comprovate.
Tsienville era stata chiamata la «Venezia fatta di ghiaccio» e Poole dovette convenire che si trattava di una descrizione calzante. Ma non si vedevano «veneziani»; sembrava che il luogo fosse stato abbandonato da anni.
E questo era un altro mistero; nonostante il fatto che Lucifero fosse cinquanta volte più brillante del Sole lontano e rimanesse fisso nel cielo, gli europidi sembravano essere ancora vincolati a un lontano alternarsi di giorno e notte. Tornavano nell’oceano al tramonto e ne uscivano al levar del Sole — nonostante il fatto che il livello di illuminazione fosse cambiato di pochissimo. Forse c’era un parallelo con la Terra, in cui i cicli vitali di molte creature erano controllati sia dalla debole luce della Luna sia da quella molto più brillante del Sole.
In capo a un’ora sarebbe arrivata l’alba e quindi gli abitanti di Tsienville sarebbero tornati a terra e si sarebbero dedicati ai loro tranquilli affari — come certamente avveniva, secondo i parametri umani. La biochimica basata sullo zolfo che muoveva gli europidi non era efficace come quella basata sull’ossigeno che forniva energia alla stragrande maggioranza degli animali terrestri. Persino un bradipo avrebbe potuto battere nella corsa un europide, perciò era difficile considerarli potenzialmente pericolosi. E questa era la buona notizia; quella cattiva era che, persino con le migliori intenzioni da parte di entrambi gli interessati, i tentativi di comunicare sarebbero stati estremamente lenti — forse addirittura molto fastidiosi.
Era giunto il momento, decise Poole, di riferire al Controllo di Ganimede. Dovevano essere ormai molto in ansia e si chiese come se la stesse cavando il suo complice, il capitano Chandler.
«Falcon chiama Ganimede. Come di sicuro potete constatare, io sono stato… hum… portato proprio sopra Tsienville. Non ci sono segni di ostilità, e poiché qui è ancora notte solare, tutti gli europidi sono sott’acqua. Vi chiamerò appena sarò atterrato.»
Dim sarebbe stato orgoglioso di lui, pensò Poole, mentre, con la stessa delicatezza di un fiocco di neve, depositava il Falcon su uno spiazzo ghiacciato e liscio. Non volle correre rischi per quel che riguardava la stabilità e predispose la spinta inerziale in modo da annullare quasi tutto il peso della navetta — quanto bastava, sperò, per impedire che un eventuale colpo di vento la portasse via.
Era finalmente su Europa: primo essere umano da un migliaio di anni. Chissà se Armstrong e Aldrin avevano provato lo stesso senso di esaltazione quando l’Eagle aveva raggiunto la superficie della Luna? Probabilmente erano stati troppo indaffarati a controllare i sistemi primitivi e del tutto privi di intelligenza del loro Modulo Lunare.
Naturalmente il Falcon aveva fatto tutto in automatico. Adesso la navicella era silenziosa, tranne che per l’inevitabile, e rassicurante, ronzio delle componenti elettroniche ben temprate. Fu un bello spavento per Poole udire la voce del capitano Chandler, naturalmente preregistrata, che interrompeva il filo dei suoi pensieri.
«Ce l’hai fatta! Congratulazioni! Come sai, il nostro programma prevede che si ritorni alla Fascia di Kuiper fra meno di un paio di settimane, ma in ogni caso dovresti avere un sacco di tempo.
«Trascorsi cinque giorni, il Falcon è istruito sul da farsi. Troverà la strada per tornare a casa, con o senza di te. Quindi buona fortuna!»
MISS PRINGLE
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Ciao, Dim… grazie per il cordiale messaggio! Mi sento un po'’ stupido a usare questo programma come se fossi un agente segreto in uno di quei drammoni spionistici tanto popolari prima che nascessi. Nondimeno permette una certa privacy che potrebbe essere utile. Spero che Miss Pringle lo abbia caricato correttamente… ma certo, Miss Pringle, sto scherzando!
Tra l’altro ho ricevuto una valanga di richieste da tutti i media del sistema solare. Per piacere, cerca di tenerli alla larga… oppure passa le richieste al dottor Ted. Lo divertirà occuparsene…
Dal momento che Ganimede mi manda in onda in continuazione, non sprecherò il fiato a raccontarti quello che vedo. Se tutto va bene, dovrebbe succedere qualcosa tra pochi minuti… e allora sapremo se è davvero una buona idea lasciare che gli europidi mi trovino già seduto qui tranquillamente, in attesa di salutarli quando tornano alla superficie.
Qualunque cosa succeda, non sarà una grande sorpresa per me, non certo come lo fu per il dottor Chang e i suoi colleghi, quando atterrarono qui un migliaio di anni fa! Ho risentito il suo famoso messaggio, poco prima di lasciare Ganimede. Devo ammettere che mi ha procurato una strana sensazione… non riesco a fare a meno di chiedermi se qualcosa del genere potrebbe accadere di nuovo… non mi piacerebbe diventare immortale nel modo con cui lo è diventato il povero Chang…
Certo, posso sempre decollare se qualcosa comincia ad andare storto… ed ecco un interessante pensiero che mi è appena venuto in mente… Mi chiedo se gli europidi hanno una storia… qualche tipo di registrazione… qualche ricordo di quello che è successo solo a pochi chilometri da qui, un migliaio di anni fa…