120411.fb2 3001 Odissea finale - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 44

3001 Odissea finale - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 44

36. LA CAMERA DEGLI ORRORI

La storia è piena di incubi, alcuni naturali, alcuni creati dall’uomo.

Alla fine del XXI secolo, la maggior parte dei flagelli naturali — vaiolo, peste nera, Aids, i virus orrendi nascosti nella giungla africana — era stata eliminata o almeno tenuta sotto controllo dai progressi della medicina. Tuttavia, non era saggio sottovalutare l’ingegnosità di Madre Natura, e nessuno dubitava che il futuro avrebbe riservato altre spiacevoli sorprese biologiche all’umanità.

Perciò era sembrata una precauzione sensata riservare alcuni campioni di tutti quegli orrori allo studio degli scienziati — ovviamente attentamente sorvegliati, in modo che non avessero la possibilità di diffondersi di nuovo e di portare la distruzione nel seno della razza umana. Ma come si poteva essere del tutto certi che non si verificasse un pericolo del genere?

C’era stato, comprensibilmente, un grido di allarme verso la fine del XX secolo quando avevano proposto di conservare gli ultimi virus del vaiolo nei Centri di Controllo delle Malattie degli Stati Uniti e della Russia. Per quanto fosse improbabile, c’era una possibilità limitata che potessero diffondersi in seguito a incidenti come terremoti, guasti e persino sabotaggi deliberati da parte di terroristi.

Una soluzione che accontentò tutti (tranne alcuni estremisti del movimento «Salvate il deserto lunare!») fu quella di mandarli sulla Luna e conservarli in un laboratorio posto in fondo a un pozzo lungo un chilometro scavato nella montagna isolata chiamata Pico, una delle vette più alte del Mare Imbrium, o Mare delle Piogge. E lì, con il passare degli anni, si erano aggiunti i più eminenti esempi delle deviazioni dell’ingegnosità umana… della pazzia, naturalmente.

C’erano gas e nebbiogeni che, anche a dosi microscopiche, provocavano una morte lenta o istantanea. Certi erano stati inventati da cultori di religioni i quali, pur in preda a turbe mentali, erano riusciti ad acquisire un notevole sapere scientifico. Molti di loro credevano che la fine del mondo fosse alle porte (e che, naturalmente, solo i loro seguaci si sarebbero salvati). Nel caso che Dio fosse così distratto da non eseguire quanto programmato, volevano essere sicuri di poter ovviare alla Sua malaugurata omissione.

I primi assalti di questi micidiali cultori erano stati attuati su bersagli vulnerabili come metropolitane affollate, esposizioni mondiali, stadi sportivi, concerti di musica pop… decine di migliaia di persone rimasero uccise e molte di più ferite, prima che quella follia venisse posta sotto controllo nei primi anni del XXI secolo. Come succede spesso, dal male venne il bene, perché costrinse gli organi mondiali per l’applicazione delle leggi a cooperare come non avevano mai fatto prima, poiché persino gli Stati meno propensi a collaborare e che in realtà erano stati i promotori del terrorismo politico non erano in grado di tollerare questa varietà così casuale e del tutto imprevedibile di attentati.

Gli agenti chimici e biologici usati in quegli attacchi — come anche quelli utilizzati nelle precedenti forme di guerra — andarono a raggiungere la letale collezione di Pico. Anche i loro antidoti, qualora esistessero, vennero immagazzinati insieme con essi. La speranza era che nessuna di queste sostanze dovesse mai più preoccupare l’umanità, ma erano ancora a disposizione, benché sotto stretta sorveglianza, in caso di disperate emergenze.

La terza categoria di elementi immagazzinati dentro la Caverna di Pico, benché potesse essere classificata come flagelli, non aveva mai ucciso o ferito nessuno… almeno direttamente. Prima della fine del XX secolo non se ne conosceva l’esistenza, ma in pochi decenni avevano fatto danni per miliardi di dollari e spesso rovinato esistenze con la stessa efficacia di una qualsiasi infermità del corpo. Erano le malattie che attaccavano il servo più recente e più versatile dell’umanità, il computer.

Con nomi ricavati da dizionari di medicina — virus, prioni, tenie — erano programmi che spesso imitavano, con sorprendente accuratezza, il comportamento dei loro parenti organici. Alcuni erano innocui: poco più che scherzose battute, escogitate per sorprendere o divertire gli operatori con messaggi e immagini inaspettati sui loro schermi. Altri erano molto più maligni: provocatori di catastrofi deliberatamente progettati.

Nella maggior parte dei casi il loro scopo era del tutto mercenario; erano le armi che sofisticati criminali usavano per ricattare banche e organismi commerciali che ora dipendevano completamente dall’efficacia dei loro sistemi. Non appena giungeva l’avvertimento che le loro banche dati sarebbero state cancellate automaticamente a un dato momento, se non avessero trasferito alcuni megadollari su qualche conto cifrato anonimo, la maggior parte delle vittime decideva di non rischiare disastri irreparabili. Pagavano in silenzio, spesso — per evitare imbarazzi in pubblico o anche nel privato — senza notificarlo alla polizia.

Questo comprensibile desiderio di riservatezza rendeva facile ai rapinatori in rete l’esecuzione dei loro colpi; anche quando venivano presi, erano trattati con cortesia da sistemi legali che non sapevano come comportarsi di fronte a crimini così nuovi — e, dopotutto, non avevano fatto del male a nessuno, no? Ovviamente, dopo aver scontato una breve pena, molti criminali venivano segretamente stipendiati dalle loro stesse vittime in base al vecchio assunto che i migliori guardacaccia sono proprio i bracconieri.

Questi criminali del computer erano spinti unicamente dall’avidità e certamente non intendevano distruggere le organizzazioni che saccheggiavano: nessun parassita di buon senso uccide il proprio ospite. Ma c’erano all’opera altri, e più pericolosi, nemici della società…

Di solito, si trattava di disadattati — perlopiù adolescenti maschi — che operavano da soli e, cosa del tutto ovvia, nel segreto più assoluto. Il loro scopo era quello di creare programmi che provocassero semplicemente distruzioni e confusioni, una volta disseminati per l’intero pianeta dalle emittenti via cavo e dalle reti radio oppure su supporti fisici come dischetti e CDROM. Poi si godevano il caos che ne derivava, crogiolandosi nel senso di potere che dava alle loro spregevoli psicologie.

A volte, questi geni pervertiti venivano scoperti e adottati dai servizi d’informazione nazionali per i loro scopi segreti — di solito l’ingresso nelle banche dati dei rivali. Questo utilizzo era decisamente innocuo, poiché le organizzazioni coinvolte avevano almeno un po'’ di senso di responsabilità civica.

Non così le sètte apocalittiche, felicissime di scoprire questi nuovi arsenali, che si impadronivano in tal modo di armi molto più efficaci e di più facile diffusione dei gas o dei germi. Ed erano anche molto più difficili da controbattere, dal momento che potevano essere trasmessi istantaneamente in milioni di uffici e di abitazioni.

Il fallimento della New YorkHavana Bank del 2005, il lancio dei missili nucleari indiani nel 2007 (fortunatamente con le testate disattivate), l’interruzione del Controllo del Traffico Aereo Paneuropeo del 2008, la paralisi della rete telefonica nordamericana, tutto ciò faceva parte delle prove generali ispirate dai cultori dell’apocalisse in vista del Giorno del Giudizio. Grazie alla brillante opera di controinformazione messa in atto da agenzie nazionali di solito prive di contatti reciproci e persino antagoniste, a poco a poco la minaccia venne sventata.

O almeno così si pensava: per parecchie centinaia d’anni non c’erano stati gravi attacchi alle fondamenta della società. Una delle principali armi della vittoria era stata la calotta cerebrale — anche se c’era chi pensava che un simile risultato fosse costato troppo.

Sebbene le discussioni sulla libertà dell’Individuo a fronte dei doveri dello Stato fossero già vecchie quando Platone e Aristotele avevano cercato di codificarle, e probabilmente si sarebbero trascinate sino alla fine dei tempi, una certa comunione d’intenti venne raggiunta durante il Terzo Millennio. Si era stabilito all’unanimità che il comunismo fosse la forma di governo perfetta; sfortunatamente era stato dimostrato — al prezzo di alcune centinaia di milioni di vite — che si poteva applicare solo agli insetti, ai robot della Classe II e a categorie altrettanto limitate. Per esseri umani imperfetti, il male minore era invece la democrazia, spesso definita come «avidità individuale, moderata da un governo efficiente ma non troppo zelante».

Poco dopo la diffusione dell’uso della calotta cerebrale, alcuni burocrati molto intelligenti — e soprattutto zelanti — si resero conto che aveva un potenziale inestimabile come sistema di prevenzione precoce. Durante le procedure di sistemazione, quando il nuovo portatore doveva essere «calibrato» mentalmente, era possibile scoprire molte forme di psicosi prima che avessero la possibilità di diventare pericolose. Spesso ciò serviva anche a stabilire la terapia migliore ma, quando non appariva possibile alcuna cura, il soggetto poteva essere contrassegnato elettronicamente — o in casi estremi allontanato dalla società. Certo, questo tipo di controllo poteva funzionare solo con quelli a cui era stata adattata una calotta cerebrale — ma entro la fine del Terzo Millennio questa divenne essenziale per la vita quotidiana come il telefono cellulare lo era stato all’inizio. In realtà, chiunque non si fosse unito alla stragrande maggioranza veniva automaticamente guardato con sospetto ed etichettato come potenziale deviante.

Manco a dirlo, quando la «sonda mentale», come la chiamavano i suoi critici, cominciò a diventare d’uso generale, ci furono strilli d’orrore da parte delle organizzazioni per i diritti civili: uno dei loro slogan più efficace suonava così: «Calotta o garrotta?» Lentamente, persino con riluttanza, si cominciò ad accettare questa forma di controllo come necessaria precauzione contro mali di gran lunga peggiori; e non fu una coincidenza che, con il generale miglioramento della salute mentale, anche il fanatismo religioso declinasse rapidamente.

Quando la lunga guerra contro i criminali cibernetici terminò, i vincitori si ritrovarono con un’imbarazzante collezione di spoglie, tutte assolutamente incomprensibili per qualsiasi conquistatore del passato. C’erano naturalmente centinaia di virus dei computer, la maggior parte molto difficile da scoprire e da eliminare. E c’erano alcune entità — in mancanza di una definizione migliore — molto più terrificanti. Erano morbi inventati in modo talmente brillante che non esisteva una cura — in alcuni casi nemmeno la possibilità di una cura…

Molti di essi erano stati collegati a grandi matematici che sarebbero rimasti inorriditi da quella corruzione delle loro scoperte. Siccome è tipico dell’animo umano sminuire un vero pericolo dandogli un nome ridicolo, le designazioni erano spesso argute: il Gremlin di Godei, il Meandro di Mandelbrot, la Catastrofe Combinatoria, la Trappola Transfinita, la Controversia di Conway, la Torpedine di Turing, il Labirinto di Lorenz, la Bomba di Boole, il Sofisma di Shannon, il Cataclisma di Cantor…

Sempre che una generalizzazione sia possibile, tutti questi orrori matematici funzionavano in base allo stesso principio. Per agire in modo efficace, non si basavano su cose primitive come il cancellamento della memoria o il deterioramento dei codici, al contrario. Il loro approccio era più raffinato; convincevano la macchina ospite a dare inizio a un programma che non avrebbe potuto essere terminato prima della fine dell’universo o che — e di questo era un esempio micidiale il Meandro di Mandelbrot — comportava una serie letteralmente infinita di passi successivi.

Un esempio banale poteva essere il calcolo di Pi greco o di qualsiasi altro numero irrazionale. Tuttavia, anche il più sciocco computer elettroottico non sarebbe caduto in una trappola così stupida: era finita da tempo l’epoca in cui qualsiasi imbecille poteva rovinarne i meccanismi, riducendoli in polvere mentre cercavano di dividere un numero per zero.

La vera sfida per questi demoniaci programmatori era convincere i loro bersagli che il compito stabilito aveva una conclusione definita che poteva essere raggiunta in un tempo finito. Nella battaglia di ingegni tra l’uomo (più raramente le donne, nonostante modelli esemplari come Lady Ada Lovelace, Ammiraglio Grace Hopper, e Dottor Susan Calvin) e la macchina, la macchina quasi invariabilmente perdeva.

Sarebbe stato possibile — anche se difficile in certi casi e persino arrischiato — distruggere le mostruosità catturate con i comandi ERASE o OVERWRITE, ma rappresentavano un investimento per quanto male indirizzato — talmente immenso in termini di tempo e di ingegnosità che sembrava un peccato sprecarlo. E, più importante, forse li si poteva conservare per studiarli, in qualche luogo sicuro, come salvaguardia in vista di un’epoca in cui qualche genio del male avrebbe potuto reinventarli e disseminarli.

La soluzione era ovvia. I demoni digitali dovevano essere — confinati per sempre, possibilmente insieme — con le loro controparti chimiche e biologiche nella Caverna di Pico.