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37. OPERAZIONE DAMOCLE

Poole non ebbe molti contatti con la squadra all’opera per preparare l’arma che tutti speravano di non dover usare. L’operazione — chiamata in modo sinistro ma appropriato DAMOCLE — era talmente specialistica che non vi poteva contribuire di persona in alcun modo. Inoltre aveva notato che i membri di quella forza d’attacco dovevano appartenere a una specie quasi aliena. E in effetti uno dei membri più importanti si trovava in un manicomio — Poole era rimasto sorpreso nel constatare che esistevano ancora posti del genere — e la presidentessa Oconnor aveva suggerito più di una volta che almeno altri due fossero pronti a raggiungerlo.

«Ha mai sentito parlare del Progetto Enigma?» chiese a Poole, dopo una seduta particolarmente deludente.

Quando Poole scosse la testa, lei continuò: «Mi sorprende… avvenne solo pochi decenni prima della sua nascita: mi ci sono imbattuta quando ho incominciato a cercare materiale per DAMOCLE. Un problema molto simile… in una delle vostre guerre misero insieme in gran segreto un gruppo di eminenti matematici allo scopo di «sfondare» un codice nemico… tra l’altro, per riuscirci costruirono uno dei primi veri computer.

«E c’è una graziosa storiella — spero che sia vera — che mi fa venire in mente il nostro piccolo gruppo. Un giorno il primo ministro andò a fare una visita d’ispezione e in seguito disse al direttore dell’Enigma: «Quando le ho detto di frugare in tutti gli angoli per riunire gli uomini che le servivano, non mi aspettavo che mi prendesse così sul serio».»

Era probabile che tutti gli angoli giusti fossero stati frugati per trovare gli uomini del progetto DAMOCLE. Tuttavia, siccome nessuno sapeva se avessero dovuto lavorare entro un limite di giorni, settimane o anni, sulle prime fu difficile creare un senso di urgenza. Anche la necessità di segretezza costituiva un problema; dal momento che non serviva a nulla diffondere l’allarme in tutto il sistema solare, non più di cinquanta persone erano a conoscenza del Progetto. Ma erano le persone che contavano — che potevano schierare tutte le forze necessarie, e le uniche che potessero autorizzare l’apertura della Caverna di Pico, per la prima volta in cinquecento anni.

Quando Halman riferì che il monolito riceveva messaggi con frequenza sempre maggiore, non ci furono più molti dubbi che qualcosa stesse per succedere. Poole non fu il solo che trovò difficile addormentarsi la sera in quel periodo, anche con l’aiuto dei programmi contro l’insonnia della calotta cerebrale. Prima di riuscire ad addormentarsi, si chiedeva spesso se si sarebbe svegliato l’indomani. Ma alla fine tutti i componenti dell’arma vennero assemblati — un’arma invisibile, impalpabile e inimmaginabile per quasi tutti i guerrieri vissuti dall’inizio dei tempi.

Nulla avrebbe potuto apparire più innocuo ed elementare di quella tavoletta perfettamente normale contenente una memoria di un terabyte, utilizzata da milioni di calotte cerebrali ogni giorno. Ma il fatto che fosse incastonata in un blocco massiccio di materiale cristallino, avvolto da strisce metalliche, indicava che si trattava di qualcosa di assolutamente straordinario.

Poole la prese con riluttanza; si chiese se il corriere cui era stato affidato il terribile compito di portare il nucleo della bomba atomica di Hiroshima alla base aerea del Pacifico da cui era stata lanciata avesse provato le stesse sensazioni che provava lui. E nondimeno, se tutte le loro paure erano giustificate, probabilmente la sua responsabilità era ancora maggiore.

E non aveva nemmeno la certezza della riuscita della prima parte della sua missione. Siccome nessun circuito poteva essere assolutamente sicuro, Halman non era stato ancora informato del progetto DAMOCLE; Poole lo avrebbe informato una volta tornato su Ganimede.

Poi poté sperare solo che Halman accettasse di fare la parte del cavallo di Troia — e, forse, di essere distrutto nel processo.