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La badessa si batté l’indice sulla fronte. I pirati si stavano avvicinando, a due o tre per volta. In seguito ho sentito dire che i norvegesi amano gli indovinelli, e quello era una specie di enigma: la badessa li divertiva.

— Se è nella tua testa — disse Thorvald, che s’era fermato dietro gli altri, in piedi e a braccia conserte, — possiamo tirarlo fuori, no? — E toccò l’impugnatura del coltello.

— Se mi spaventi, mi confonderò e non ricorderò più nulla — disse con calma la badessa. — Inoltre, vuoi giocare quel vecchio gioco? Hai visto come ha funzionato l’ultima volta. Mi meraviglio di te, fratello della madre di Ranulf.

— Allora contratterò — disse Thorvald con un sorriso.

— E gli altri? — disse Radegunde. — Tutti o nessuno: decidete voi se volete risparmiarmi guai e pericoli e diventare ricchi. — E voltò loro le spalle. Gli uomini si avviarono lungo la riva del fiume e confabularono abbassando le voci, così non li sentimmo più. Padre Cairbre, che era vecchio e miope, gridò: — Non li sento! Cosa stanno facendo? — E io dissi prontamente: — Io ho gli occhi buoni, padre Cairbre — e lui mi sollevò perché vedessi. Apparvi alla finestra proprio nel momento in cui la badessa Radegunde era rivolta verso la torre. Si batté la mano sulla bocca. Poi si avviò alla porta e chiamò (con una voce che avevo imparato a rispettare, per timore degli sculaccioni): — Piccolo Messaggero, scendi! Vieni subito da me! E porta con te padre Cairbre.

Io ero felice. Non immaginavo che lo facesse per cercare di proteggermi, se qualcosa fosse andato male. Il mio unico pensiero era che avrei visto tutto da vicino. Così, semisoffocato, passai tra la folla nella stanza della torre, calpestando piedi e gonne, e ogni due secondi dovevo ripetere: — Ma devo andare! La badessa mi vuole! — E intanto lei, là fuori, gridava come un’imperatrice: — Lasciate passare il bambino! Fate largo al bambino! Lasciate passare il prete irlandese! — fino a che io, spingendo e protestando, arrivai fino al muro (nessuno, naturalmente, aveva intenzione di aprirci la porta), e ci fu un grande trambusto e finalmente qualcuno portò una scala a pioli. Io passai subito, ma il vecchio prete ci mise più tempo, sebbene il muro fosse basso, come ho già detto, perché i costruttori non si erano decisi a trasformare l’abbazia in una vera e propria fortezza.

Fuori era molto meglio, lontano da tutta la gente, e io corsi soddisfatto dalla badessa; lei disse soltanto: — Stammi vicino, qualunque cosa succeda — e immediatamente distolse l’attenzione da me. Padre Cairbre aveva impiegato tanto tempo a uscire che gli stranieri avevano finito di consultarsi e stavano tornando indietro, tutti venti o trenta, verso l’abbazia e la badessa Radegunde, e verso di me. Vidi che padre Cairbre tremava. Avevano un aspetto truce, visti da vicino, con quei lunghi capelli spettinati e gli strani abiti sgargianti. Ricordo che avevano un odore diverso dal nostro; ma non ricordo quale, dopo tutti questi anni. Poi la badessa si rivolse a loro nella loro strana lingua, così bizzarramente leggera e cantilenante sulle loro labbra barbute, e quindi disse qualcosa in latino a padre Cairbre, e lui annunciò, con voce tremante:

— Questo è il prete, padre Cairbre, che ripeterà le nostre contrattazioni nella nostra lingua perché la mia gente possa sentirle. Non posso trattare alle sue spalle. E questo è il mio figliolo adottivo, che mi è molto caro, e che ora, credo, può soddisfare la curiosità. — (Io mi sforzavo di stare eretto come un uomo, ma di nascosto mi aggrappavo con una mano alla gonna della badessa: dunque era di questo che ridevano gli stranieri!) Il discorso continuò, ma io lo riferirò come se avessi compreso il norvegese, perché sarebbe tedioso ripetere tutto due volte. La badessa Radegunde disse: — Allora volete contrattare?

Tutti gli stranieri annuirono, con l’aria di pensare: — Dopotutto, perché no?

— E chi parlerà per voi? — chiese la badessa.

Si fece avanti un uomo: riconobbi Thorvald Einarsson.

— Ah, sì — disse la badessa in tono asciutto. — Il gruppo non ha capi. Il gruppo senza capi è d’accordo? Manterrà l’impegno? Non voglio traditori, non voglio uomini che mancano alla parola!

Vi fu un borbottio generale. Thorvald (com’era grande e grosso, visto da vicino!) disse in tono conciliante: — Io non navigo con uomini del genere. Incominciamo.

Sedemmo tutti quanti.

— Ora — disse Thorvald Einarsson, inarcando le sopracciglia, — se conosco bene come vanno queste cose, incnT,ineerai tu. E se non sbaglio, incomincerai dicendo che siete molto poveri.

— Ma no — rispose la badessa. — Noi siamo ricchi. — Padre Cairbre gemette e un gemito generale gli rispose oltre le mura dell’abbazia. Soltanto la badessa e Thorvald Einarsson sembravano imperturbabili: era come se stessero facendo un gioco che nessun altro capiva. La badessa continuò: — Siamo molto ricchi. Là dentro c’è molto argento, molto oro, molte perle, molte stoffe ricamate e molti tessuti fini, molte sculture di legno, e molti libri con oro sulle pagine e gemme sulle copertine. Tutto questo è vostro. Ma abbiamo di più e di meglio: erbe e medicine, sistemi per impedire che il cibo vada a male, e la conoscenza per guarire i malati; tutto questo è vostro. E abbiamo di più e di meglio anche di questo: abbiamo la conoscenza del Cristo e la perfetta comprensione dell’anima, e anche queste sono vostre, se volete; non dovete far altro che accettarle.

Thorvald Einarsson alzò la mano. — Ci accontentiamo dei primi — disse. — E magari un po’ dei secondi. Così è più pratico.

— E sciocco — disse la badessa educatamente. — Come al solito. — Ancora una volta ebbi l’impressione stranissima che quei due stessero giocando un gioco che gli altri neppure immaginavano. Lei soggiunse: — C’è una cosa che non potrete avere, ed è la più preziosa di tutte.

Thorvald Einarsson la guardò con aria interrogativa.

— La mia gente. La loro sicurezza mi è cara più di me stessa. Non dovrete torcere loro neppure un capello, per nessuna ragione. Pensateci: potrete entrare abbastanza facilmente nell’abbazia con le armi, ma quelli là dentro hanno una gran paura di voi, e alcuni degli uomini sono armati. In una grande folla, anche un esperto guerriero si trova impacciato. Scivolerete e vi cadrete addosso senza volerlo e senza sapere ciò che fate. Date ascolto al mio consiglio. Perché fare i macellai quando potrete ricevere il tesoro come i re, senza dover far nulla? E poi ne avrete ancora altrettanto, quando vi condurrò ai nascondigli. Una montagna di tesori degni di un conte. Pensateci! E rinunciare a tutto questo per gli schiavi, metà dei quali si ammaleranno e moriranno prima che arriviate a casa… e che dovrete sfamare, se vorrete che servano a qualcosa. Vergogna a quelli di voi che non accettano i buoni consigli! Immaginate cosa direte alle vostre mogli e alle vostre famiglie: ecco alcune miserabili pezze di stoffa con macchie di sangue che non si cancellano, ecco perle e gemme ridotte in polvere nel combattimento, ecco un ricamo strappato che era intero fino a quando qualcuno non l’ha calpestato durante la battaglia, e avevo preso diversi schiavi ma sono morti di malattia, e ho sbattuto una suora giovane e graziosa, e volevo portarla con me, ma si è buttata in mare. E si, c’era ben di più, e tutto intero, ma abbiamo deciso di non prenderlo. Era troppo disturbo, vedete.

Era un discorso pittoresco, e i norvegesi si divertivano. Radegunde alzò la mano.

— Gente! — gridò in tedesco, e soggiunse: — Scorridori del mare, ascoltate ciò che vi dico: lo ripeterò nella vostra lingua. — (E così fece.) — Gente, se i norvegesi ci combattono, non difendetevi, ma fracassate tutto! Donne, prendete i vostri coltelli da cucina e fate a pezzi le stoffe preziose! Uomini, con le asce e i martelli distruggete gli altari e le sculture di legno! E tutti quanti, sbriciolate le perle e spaccate le gemme sui pavimenti! Rompete le bottiglie del vino! Calpestate gli oggetti d’oro e d’argento e rendeteli informi! Strappate i libri miniati! Staccate dai muri gli arazzi e bruciateli!

«Ma — continuò con voce improvvisamente blanda, — se questi uomini saranno così saggi da accettare i nostri doni, ammucchiamo tutto ciò che abbiamo ai loro piedi, senza nascondere nulla, perché i loro parenti ammirino con stupore la splendida ricchezza che porteranno, anche se a noi non resteranno altro che i nostri muri spogli.

Se qualcuno aveva mai dubitato che la badessa Radegunde fosse ispirata da Dio, ogni dubbio dovette dileguarsi in quel momento: chi poteva resistere al vigore ardente del suo primo discorso, o all’unzione benevola del secondo? I norvegesi erano rimasti a bocca aperta. Vidi che le guance di padre Cairbre erano rigate di lacrime. Poi Thorvald disse: — Badessa…

S’interruppe. Ritentò, ma s’interruppe di nuovo. Poi si scosse, come per liberarsi da un incantesimo, e disse:

— Badessa, i miei uomini sono senza donne da molto tempo.

Radegunde lo guardò con aria sorpresa. Sembrava non riuscisse a credere a ciò che aveva udito. Squadrò il pirata, perplessa, e poi gli girò intorno come per misurarlo. Lo fece più volte, guardando ogni parte di quel corpo colossale mentre lui diventava sempre più rosso. Finalmente indietreggiò, lo squadrò ancora una volta e, con le braccia conserte come una contadina, annunciò a gran voce, in norvegese e in tedesco:

— Cosa? Hanno perso l’uso delle mani?

A suo modo era irresistibile. I norvegesi risero. I nostri risero. Rise persino Thorvald. E risi anch’io, sebbene non sapessi di cosa stavano ridendo tutti. L’ilarità si smorzò, e poi ricominciò dietro le mura dell’abbazia, irresistibilmente, e si spense ancora e ancora ricominciò. La badessa attese fino a quando i norvegesi smisero di ridere e poi gridò in tedesco per imporre silenzio, fino a che si sentì solo qualche risatina qua e là. Poi disse:

— Questi bravi uomini… padre Cairbre, riferiscilo alla gente… questi bravi uomini mi perdoneranno la mia sciocca battuta. In verità non volevo dar scandalo od offendere qualcuno; ma l’ilarità fa bene, assesta le acque del corpo, come dicono i medici. E i miei sanno che non sempre sono solenne e buona come dovrei. Anzi, sono una grande peccatrice e causa di scandalo. Thorvald Einarsson, siamo d’accordo?

L’omaccione (che non era divertito quanto gli altri, posso assicurarvelo!) guardò i suoi e sembrò capire quello che voleva sapere. Disse: — Entrerò con cinque uomini per vedere che cosa avete. Lasceremo andare quella povera gente nel cortile, ma non quelli che stanno dentro l’abbazia. Poi cercheremo ancora. Le porte saranno chiuse e sorvegliate dai miei; se ci sarà qualche tradimento, il patto non avrà più valore.

— Verrò con voi — disse Radegunde. — È molto giusto e la mia presenza calmerà la gente. Vederci insieme li rassicurerà, e capiranno che non succederà niente di male. Sei un uomo buono, Torvald… perdonami, ti ho chiamato come faceva tanto spesso tuo nipote. Vieni, Piccolo Messaggero, resta con me.

«Aprite la porta! — gridò poi. — Non c’è pericolo! — E con i cinque uomini (uno era il giovane Thorfinn che aveva inveito contro di lei) attendemmo mentre i grandi tronchi venivano rimossi. All’interno c’era poco spazio, ma la gente si ritrasse alla vista dei terribili guerrieri e ci aprì un varco.

Mi voltai indietro. I norvegesi erano entrati e s’erano fermati appena all’interno del muro, ai due lati della porta, con le spade sguainate e gli scudi imbracciati. La folla si aprì più lentamente per lasciarci passare quando raggiungemmo la torre principale, mentre la badessa ripeteva di continuo: — State calmi, state calmi. Va tutto bene — e si rivolgeva a questo e a quello chiamandoli per nome. Fu molto più difficile quando la gente soffocò le grida nel sentire i grossi tronchi che si chiudevano con un rombo di tuono, e noi eravamo vicinissimi alla scala: le sentii dire qualcosa in quella strana lingua straniera; sembrava una frase di scusa. Qualcosa che probabilmente significava: — Mi dispiace, ma dobbiamo attendere. — Sembrò che passasse un secolo prima che la scala si sgombrasse in parte, e io capii ciò che aveva inteso la badessa quando aveva parlato dell’impaccio causato dalla gente: un uomo poteva mulinare l’arma in mezzo alla folla, ma non molto, e probabilmente avrebbe finito per cadere addosso a qualcuno. Raggiungemmo la grande sala con l’enorme crocifisso di legno dipinto e quello piccolo di oro e perle, e i drappi scarlatti ricamati di fili d’oro, dietro i quali avevo giocato tante volte ai briganti prima di scoprire cosa fossero i briganti veri: quegli uomini alti e spaventosi, i cui occhi luccicavano di avidità nel vedere ciò che immaginavano avesse ogni villaggio. Quasi tutte le suore erano rimaste nella grande sala; ma era meno affollata, perché tutti si erano raccolti intorno alle pareti all’ingresso dei norvegesi. Le ragazze più giovani erano tutte in un angolo, terrorizzate (si sentiva l’odore, come si può sentire sempre), e quando il giovane Thorfinn andò per prendere il piccolo crocifisso d’oro e di perle, suor Sibihd gridò con voce alta e spezzata: — È il corpo di nostro Signore! — e spiccò un balzo, staccandolo dalla parete prima che lui potesse afferrarlo.

— Sibihd! — esclamò la badessa, con una voce brusca come non l’avevo mai sentita. — Rimettilo al suo posto, o sentirai il peso della mia mano, ti assicuro!

Ecco, è strano, no?, che una giovane donna abbastanza disperata per non temere la morte per mano d’un pirata norvegese si spaventasse per la minaccia di qualche schiaffo della sua badessa? Ma la gente è così. Suor Sibihd rimise il crocifisso al suo posto (e il giovane Thorfinn lo prese) e arretrò in mezzo alle suore, singhiozzando: — Quello sconsacra il nostro Dio!

— Sciocca! — esclamò la badessa. — Dio solo può consacrare o sconsacrare: l’uomo non può. Quello è un pezzo di metallo.

Thorvald disse qualcosa a Thorfinn, bruscamente, e quello riappese controvoglia il crocifisso al gancio, con un’espressione truce che sembrava dire: nessuno mi dà mai quello che voglio. Non successe niente altro di particolare nella grande sala o nello studio della badessa o nei magazzini, e neppure nelle cucine. I norvegesi erano taciturni e tenevano le mani sulle spade, ma la badessa continuava a parlare con calma in entrambe le lingue. Ai nostri diceva: — Vedete? Va tutto bene, ma dovete stare fermi e zitti. Dio ci proteggerà. — Il suo viso era sereno e tranquillo, e io pensavo che era una santa, perché aveva salvato suor Sibihd e noi tutti.

Ma quella atmosfera pacifica, naturalmente, non durò. Era inevitabile che qualcosa andasse male, in mezzo a quella folla; ancora oggi non so che cosa accadde. Eravamo in un angolo del lungo refettorio, il posto dove mangiano in un’abbazia le suore o i frati, quando qualcosa mi spinse contro il muro e io caddi, quasi soffocato dal peso della badessa che mi gravava addosso. La testa mi risuonava e da tutte le parti c’era un vociare tremendo, bestemmie e grida, un tumulto spaventoso come se i muri stessero andando a pezzi e crollassero addosso a tutti. Sentii la badessa che ripeteva bisbigliando qualcosa in latino, al mio orecchio. C’erano suoni sordi e flaccidi, più tremendi del resto, e oggi so che era il rumore che fa l’acciaio mentre penetra nella carne. Tutto questo apparve continuare per l’eternità: e poi ebbi l’impressione che il pavimento fosse bagnato. Infine venne il silenzio. Sentii la badessa Radegunde che si sollevava. Disse:

— Dunque è così che lavate i pavimenti, nel nord. — Quando alzai la testa della canne e vidi che cosa intendeva, vomitai nell’angolo. Poi lei mi prese tra le braccia e mi tenne con la faccia sul suo seno in modo che non vedessi, ma era inutile, perché avevo già visto: tutti quelli stesi a terra con le budella di fuori, come mucchi di pesci morti, il vecchio Walafrida con il manico di una scure che gli spuntava dal petto, seduto a occhi chiusi in una tale calca di cadaveri che non era neppure caduto disteso, e la giovane apicoltrice del villaggio, Uta, che era sempre così allegra, stesa riversa con le lunghe trecce e la veste intrisa di rosso e una grande macchia sul ventre. Respirava in fretta e aveva gli occhi sbarrati. Quando le passammo accanto, il suono del suo respiro cessò.

La badessa disse in tono mite: — I suoi sono molto pericolosi, conte Spaccabudella.

Thorvald Einarsson ci urlò qualcosa e la badessa rispose a voce bassa: — Perdonami, mio buon amico. Hai protetto me e il bambino, e te ne sono grata. Ma nulla tradisce la conoscenza del tedesco come una parola che morde, non è così? E dovevo essere sicura.

Allora ricordai che l’aveva chiamato Torvald e gli aveva rammentato il figlio della sorella, in modo che lui si sentisse in dovere di proteggerci se fosse successo qualcosa. Ma adesso l’avrebbe fatto infuriare, pensai, e chiusi gli occhi. Invece Thorvald rise e disse, in uno strano tedesco: — Non ho fatto altro che difendere te e il tuo cucciolo. Non sei riconoscente?

— Oh, moltissimo, ti ringrazio — disse la badessa, con lo stesso calore che avrebbe usato per una suora che le avesse portato una rosa dal giardino, o per un’altra che avesse copiato bene il suo lavoro, o quando io le portavo una notizia, oppure se Ita la cuoca preparava una buona minestra. Ma Thorvald non sapeva che quel calore era per tutti, e quindi sembrava soddisfatto. Ormai eravamo arrivati nel giardino, e l’aria era meno irrespirabile; la badessa mi mise giù, sebbene tremassi; e mi aggrappai alla sua gonna gualcita e incrostata di sangue. Lei disse: — Oh, mio Dio, che bucato ci hai imposto! — Si avviò verso il portone, e Thorvald Einarsson si mosse per seguirla. Senza voltarsi indietro, lei disse: — Non insistere, Thorvald, non c’è motivo di rinchiudermi. Ho quarant’anni e non posso certo fuggire nella palude, con i miei reumatismi e i dolori alle ginocchia e la mia gente che ha tanto bisogno di me.

Ci fu un momento di silenzio. Vidi un’espressione strana passare sulla faccia dell’uomo. Disse sottovoce:

— Non ho parlato, badessa.

Lei si voltò, sorpresa. — Hai parlato. Ti ho sentito.

Thorvald disse in tono strano: — Non ho parlato.

Certe volte i bambini capiscono al volo quando qualcosa non va e sanno rimediare; ricordo che dissi, molto in fretta: — Oh, a volte lei fa così. La mia matrigna dice che la vecchiaia le confonde le idee. — E poi chiesi: — Badessa, posso andare dalla mia matrigna e da mio padre?

— Sì, certo — disse lei. — Su corri, Piccolo Messaggero… — E poi s’interruppe, guardò nell’aria come se vi vedesse qualcosa che noi non potevamo vedere. Quindi disse, con molta dolcezza: — No, mio caro, è meglio che resti qui con me. — E allora capii, come se l’avessi visto con i miei occhi, che non dovevo andare dalla mia matrigna e da mio padre perché erano morti.