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Per un po’, sembrò che fossero morti tutti. Non mi sentivo addolorato o spaventato, ma credo che lo fossi, perché avevo in mente una sola idea: sarei morto anch’io se avessi perso di vista la badessa. Perciò la seguii dovunque. Lasciavano che andasse di qua e di là a confortare la gente, soprattutto Sibihd, che era impazzita e non faceva altro che dondolarsi e gemere; ma verso l’imbrunire, quando l’abbazia era stata ormai spogliata dei suoi tesori, Thorvald Einarsson portò me e la badessa nello studio dov’era rimasto soltanto un pagliericcio, e sprangò la porta dall’esterno. La badessa mi disse:
— Piccolo Messaggero, ti piacerebbe andare a Costantinopoli, dove sta il sultano turco e ci sono le cupole d’oro e tutti i pagani splendenti? Perché è là che quest’uomo mi porterà per vendermi.
— Oh, sì! — dissi io. E poi chiesi: — Ma porterà anche me?
— Certo — rispose la badessa, e non ne parlammo più. Poi entrò Thorvald Einarsson e disse:
— Thorfinn chiede di te. — Più tardi scoprii che stavano aspettando che morisse: nessun altro dei norvegesi era stato ferito, ma un contadino aveva sfondato il petto di Thorfinn con un’ascia, e si pensava che sarebbe morto prima dell’indomani mattina. La badessa disse:
— È una buona ragione per andare? — E soggiunse: — Voglio dire, mi odia. La collera per la mia presenza non lo farà peggiorare?
E Thorvald rispose: — La gente di qui dice che sei capace di assistere i malati e guarirli. È vero?
— No, affatto, per quello che ne so — disse la badessa Radegunde. — Ma se loro lo credono, forse questo li tranquillizza e li fa star meglio. I cristiani sono sciocchi quanto gli altri popoli, lo sai. Verrò, se vuoi — e benché vedessi che era pallida per la stanchezza, si alzò in piedi. Devo aggiungere che indossava la semplice veste marrone di una delle contadine, perché la sua era a lavare; ma per me aveva la stessa maestà di sempre. E anche per Thorvald, credo.
Thorvald chiese: — Pregherai per lui o lo maledirai?
— Io non prego, e non maledico mai nessuno. Assisto e basta — disse la badessa, e soggiunse: — Oh, lascialo venire, altrimenti urlerà da spaccarti gli orecchi. — E si riferiva a me, perché ero pronto a gridare come un pazzo se avessero cercato di allontanarmi da lei.
Avevano messo Thorfinn nella cappella, un piccolo locale di pietra dove ormai non era rimasto altro che una semplice croce di legno, troppo priva di valore perché valesse la pena di rubarla. Era steso ad occhi chiusi vicino all’altare, su uno strato di pellicce, e aveva la faccia cinerea. Ogni volta che respirava si sentiva una specie di gorgoglio, un suono flebile e sottile; e quando mi avvicinai capii il perché. Nel petto del giovane c’era un grande squarcio rosso da cui spuntavano schegge rosa acuminate, e nello squarcio si vedeva qualcosa che sobbalzava e si abbassava, sobbalzava e si abbassava. Era il suo cuore che batteva. Dalla bocca gli usciva una bava di sangue. Non so, naturalmente, che cosa dicessero perché parlavano in norvegese; ma vidi che cosa facevano e poi ne sentii parlare molto, più tardi, fra la badessa e Thorvald Einarsson. Perciò lo racconterò come se lo sapessi.
La prima cosa che fece la badessa fu fermarsi all’improvviso sulla soglia e portarsi le mani alla bocca, come in un gesto d’orrore. Poi gridò furiosamente alle due guardie:
— Volete far morire il vostro compagno di freddo e di umidità? È così che vi trattate fra di voi? Portate qui un po’ di fuoco, e qualche panno di lana da mettergli addosso! No, non altre pelli, idioti, ma lana che aderisca addosso e assorba l’umidità. Presto, andate!
Uno degli uomini ribatté stizzito: — Non prendiamo ordini da te, nonna.
— Ah no? — disse la badessa. — Allora mi toglierò questa veste di lana e la metterò addosso al ragazzo, e me ne starò qui seduta tutta la notte, nuda e flaccida e vecchia come sono! Che cosa dirà lo spirito di questo giovane quando entrerà nel Valhall? Che i suoi amici non hanno voluto cedergli una piccola parte del loro bottino per aiutarlo a lottare per la vita? È questo il vostro cameratismo? Sbrigatevi, o mi spoglierò e vi svergognerò entrambi per il resto della vostra vita!
— Bene, prendi i panni dalla sua parte del bottino — disse quello che aveva la voce bassa, e l’altro corse fuori. Poco dopo c’era un fuoco acceso nel camino; e l’uomo portò un panno di lana color ruggine («Della mia parte di bottino» disse uno dei due a voce alta, sebbene fosse uno dei colori meno costosi, non come il blu e il rosso) e la badessa lo drappeggiò leggermente addosso al giovane, accostandoglielo con cura ai fianchi ma senza muoverlo. Non sembrava che Thorfinn soffrisse, ma il colorito non migliorò. Ma poi aprì gli occhi e disse con un filo di voce, come uno spettro, un bisbiglio esile e gorgogliante come il suo respiro:
— Tu… vecchia strega. Ma ti ho battuto… alla fine.
— Sì, mio caro? — chiese la badessa. — Come?
— Il tesoro — disse lui, — per i miei parenti. E finalmente sono vissuto da uomo. Ho combattuto… e ho avuto una donna… quella con i grossi seni, Sibihd… Le piacesse o no. È stato bello.
— Già, Sibihd — disse la badessa in tono mite. — Sibihd è impazzita. Non ascolta nessuno e non parla con nessuno. Sta seduta e si dondola e geme e si sporca e non vuol mangiare, anche se inghiotte quando la si imbocca con un cucchiaio.
Il giovane cercò di aggrottare la fronte. — Stupida — disse finalmente. — Stupide suore. Le bestie fanno così.
— Davvero? — chiese la badessa, come se per lei fosse un’idea nuova. — Questo è molto strano. Perché non ho mai sentito che un papero faccia un occhio nero all’oca o le dia una botta in testa con una pietra o le pianti un coltello nella pancia, quando ha finito. Quando Dio mette nei loro cuori il desiderio, l’oca si acquatta e il papero arriva di corsa. E una cagna in calore balza dalla finestra se le chiudi la porta. Poveri stolti! Perché non vi siete accampati a tre ore da qui, più a valle, e non avete aspettato? In meno d’una settimana tutte le giovani spose del villaggio sarebbero venute la notte di nascosto a vedere com’erano gli stranieri. Sì, e anche molte nubili e persino qualcuna delle mie ragazze. Ma non potevate aspettare, vero?
— No — disse il giovane, con l’ombra d’un tono baldanzoso. — Meglio… così.
— Così — disse lei. — Oh, sì, mio caro, la vecchia nonna sa bene com’è. Il piacere per il tempo di contare fino a tre o quattro, e il resto è divertente come far rotolare un pietrone su per un pendio.
Thorfinn sorrise, un sorriso spettrale. — Sei una puttana, nonna.
La badessa incominciò ad accarezzargli la fronte. — No, nipotino — disse. — Ma non tutto il latino è quello dei padri della Chiesa, sai, per quanto siano grandi. Si possono trovare molte cose negli strani libri scritti da autori vissuti molti secoli prima della nascita di nostro Signore. Ascolta. — E si piegò verso di lui e disse, a voce bassa:
Il giovane era troppo debole e non fece altro che guardarla sorpreso. Allora la badessa disse:
— Mi sembra un dio chi può sederti accanto e parlarti; quando ti sono vicina il mio spirito si spezza, il mio cuore trema, la mia voce si spegne, e non posso neppure parlare. Ardo sotto la pelle e non posso vedere; c’è un rombo nei miei orecchi e io sudo come per la febbre; divengo più pallida dell’erba tagliata e mi sento completamente trasformata: e so che la Morte mi è venuta vicina.
Il giovane disse, in tono spaventato: — Nessuno prova tutto questo.
— Sì, invece — disse la badessa.
E lui, allarmato: — Stai cercando di uccidermi!
— No, mio caro. Non voglio, semplicemente, che tu muoia vergine.
Era strano, il fatto che lui dicesse così e continuasse a tenere la mano che aveva afferrato attraverso il panno di lana. Lei gli accarezzò la testa e il giovane bisbigliò: — Salvami, vecchia strega.
— Farò del mio meglio — disse la badessa. — Tu farai del tuo meglio non parlando, e io non tormentandoti più, e tutti e due cercheremo di dormire.
— Prega — disse Thorfinn.
— Bene — disse lei. — Ma ho bisogno d’una sedia. — E le guardie, forse perché vedevano che lui le teneva la mano, portarono uno dei grandi scranni di legno dell’abbazia, che erano troppo semplici e pesanti per portarli via, credo. Allora la badessa Radegunde sedette e chiuse gli occhi. Thorfinn parve addormentarsi. Mi avvicinai a lei, sul pavimento; probabilmente mi addormentai quasi subito, perché all’improvviso mi accorsi che una luce grigia entrava nella cappella, il fuoco si era spento, e qualcuno stava scuotendo Radegunde che dormiva ancora sul seggio, con la testa piegata da un lato. Era Thorvald Einarsson, e gridava eccitato nel suo strano tedesco: — Donna, come hai fatto? Come hai fatto?
— Che cosa? — domandò la badessa con voce impastata. — È morto?
— Morto? — esclamò il norvegese. — È guarito! Guarito! Il polmone è risanato e la ferita si è chiusa e le costole rotte si sono saldate! Persino i muscoli del petto stanno incominciando a rimarginarsi!
— Bene — disse la badessa, ancora semiaddormentata. — Lasciami in pace.
Thorvald la scosse di nuovo, e lei ripeté: — Oh, lasciami dormire! — Questa volta il norvegese la sollevò in piedi di peso e lei gridò: — La mia schiena, la mia schiena! Oh, per tutti i santi, i miei reumatismi! — E nello stesso istante una voce sofferente, sotto il panno di lana, una voce sofferente ma di un uomo, non di uno spettro, disse qualcosa.
— Sì, ti sento — disse la badessa. — Vuoi diventare subito seguace del Cristo Bianco, in questo momento. Ma, Domine noster, ti prego di far capire a queste teste cocciute che ho bisogno d’una tinozza d’acqua calda con dentro la menta romana! Sono troppo vecchia per dormire tutta la notte su una seggiola, e sono indolenzita dalla testa ai piedi.
La voce di Thorfinn divenne più forte.
— Riferiscigli — disse in tedesco la badessa Radegunde a Thorvald, — che non lo battezzerò e non lo assolverò fino a che non sarà cambiato. Quel ragazzino vuole soltanto qualcuno più potente del vostro dio Odin o del vostro dio Thor, che lo tolga dai guai alla prossima occasione. Chiedetegli questo: adotterà Sibihd come sorella? La pulirà quando s’insozza e l’imboccherà e le cingerà le spalle con il braccio, parlandole con affetto e gentilezza fino a quando sarà guarita? Il Cristo non cancella i nostri peccati solo perché li commettiamo daccapo; e questo è ciò che vuole e che voi tutti volete, un Dio che dona e dona e dona, ma Dio non dona: Dio prende e prende e prende. Toglie tutto ciò che non è Dio fino a quando non resta altro che Dio, e nessuno di voi lo capirà! Non esiste la remissione dei peccati; esiste soltanto il cambiamento, e Thorfinn deve cambiare prima che Dio lo accetti.
— Badessa, sei molto eloquente — disse Thorvald con un sorriso. — Ma perché tutto questo non glielo dici tu?
— Perché sono tutta dolorante — rispose Radegunde. — Oh, fatemi immergere nell’acqua calda! — E Thorvald la sostenne mentre lei usciva zoppicando. Quella mattina, dopo che ebbe fatto il bagno caldo (mi lasciarono stare davanti alla porta, quando piansi e gridai) incominciò a curare Sibihd, prima cullandola fra le braccia e parlandole per dirle che adesso era al sicuro e promettendole che presto i norvegesi se ne sarebbero andati; e poi, quando Sibihd si calmò un poco, la condusse a passeggiare nel bosco, con Thorvald che ci scortava per assicurarsi che non scappassimo via, e la piccola, bruna suor Hedwic, che era sempre rimasta con Sibihd ad assisterla. La badessa camminava per un po’ sotto il mite sole d’autunno, e poi sollevava verso l’alto il viso di Sibihd, toccandola gentilmente sotto il mento, e diceva: — Vedi? Il cielo di Dio c’è ancora — e poi: — Guarda, ecco gli alberi del buon Dio; non sono cambiati — e le diceva che il mondo era come prima e che Dio era ancora misericordioso, anche se alcune altre anime avevano raggiunto i beati ed erano più felici ad attenderci lassù in Paradiso di quanto noi avremmo potuto esserlo o illuderci di esserlo sulla povera Terra. Suor Hedwic teneva la mano di Sibihd. Nessuno mi prestava più attenzione che se fossi stato un cane, ma ogni volta che la povera suor Sibihd vedeva Thorvald si ritraeva, e si capiva benissimo che Hedwic non sopportava di guardarlo; ogni volta che lo scorgeva distoglieva il viso, chiudeva con forza gli occhi e si mordeva il labbro inferiore. Era una giornata serena, quasi calda, come capitano a volte in autunno, e la badessa trovò qualche fiorellino azzurro ritardatario in un angoletto riparato vicino a un tronco, e lo mise nelle mani di Sibihd, dicendo che Dio aveva fatto tante cose belle. Suor Sibihd aveva abbastanza presenza di spirito per tenere stretti i fiori, ma teneva gli occhi fissi, e sarebbe inciampata e caduta se Hedwic non l’avesse guidata.
Suor Hedwic disse timidamente: — Forse soffre perché è stata contaminata, badessa. — Aveva l’aria di vergognarsi molto. Per un momento la badessa guardò con occhi acuti la giovane suor Hedwic e poi ia povera Sibihd. Quindi disse:
— Cara figlia Sibihd e cara figlia Hedwic, ora vi dirò qualcosa di me stessa che non ho mai detto ad anima viva eccettuato il mio confessore. Sapete che da giovane studiai ad Avignone, e poi fui mandata a Roma, per imparare di più? Ebbene, ad Avignone lessi molto i nostri padri della Chiesa, ma anche i poeti pagani, perché ha detto giustamente Ermenrich di Ellwagen, come il letame sparso su un campo l’arricchisce perché dia un maggiore raccolto, così è impossibile produrre l’eloquenza divina senza gli scritti immondi dei poeti pagani. Ciò è vero, ma anche pericoloso; tuttavia io non la pensavo così perché ero molto orgogliosa e credevo che se le poesie pagane non mi facevano nessuna impressione, era così perché avevo ricevuto il dono della castità da Dio stesso, e disprezzavo i piaceri sensuali e coloro che ne erano tentati. Avevo dimenticato, capite, che la castità non viene donata una volta per tutte come un anello nuziale che vien messo per non essere mai tolto; è invece un giardino che ogni giorno dev’essere sarchiato, innaffiato e potato, altrimenti ben presto rimangono soltanto rovi e sterpi.
«Come ho scoperto, le parole dei poeti non mi tentavano, perché le parole sono soltanto segni sulla pagina e non hanno altra vita che quella che prestiamo loro. Ma a Roma non c’erano soltanto i vecchi libri, figlie mie; c’era ben di peggio.
«C’erano le statue. Ora, dovete capire che non sono come quelle che potete immaginare leggendo i nostri libri, come san Giovanni o la Madonna; gli antichi erano così abili nel lavorare la pietra che era come una magia. Tu stai davanti al marmo e trattieni il respiro, aspettandoti che si muova e parli. Non sono affatto statue, ma donne e uomini nudi e bellissimi. È una città piena di dei marini che versano l’acqua, figlia Sibihd e figlia Hedwic, di atleti che lanciano il disco, di corridori e lottatori e giovani imperatori e favoriti dei re: ma non camminano per le strade come uomini veri, perché sono tutti di pietra.