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— Okay — disse. — Ascolta. Non ho capito il tuo nome e non voglio neppure saperlo. Ma chiunque tu sia, sei sulla mia proprietà, in casa mia. Ti ordino di andartene e di non farti vedere mai più.
— Io non me ne andrò — disse lei testarda abbassando lo sguardo a terra. — Non me ne andrò finché lui non promette di aiutarmi.
— In questo caso non esiterò a chiamare la polizia — le ricordò Trigger.
— Io non me ne andrò.
Trigger guardò Cathay e scrollò le spalle senza sapere cosa fare. Penso che entrambi si fossero ormai resi conto che questa esperienza di vita stava diventando un po’ troppo cruda.
Cathay rifletté un momento, guardando fisso la donna negli occhi. Poi si chinò e raccolse una manciata di fango. La soppesò in mano e poi la scagliò verso la donna. La colpì alla spalla sinistra con un tonfo umido e il fango colò giù.
— Vattene — disse, — vattene di qui.
— Io non me ne vado — disse lei.
Lui le lanciò un’altra manciata di fango, colpendola in pieno volto. Lei boccheggiò e sputò.
— Vattene — disse lui raccogliendo dell’altro fango. Questa volta la colpì ad una gamba, ma a quel punto era stato imitato anche da Trigger e la donna venne colpita ripetutamente.
Senza rendermi conto esattamente di ciò che stava accadendo, raccolsi del fango da terra e lo lanciai. E anche Denver. Respiravo affannosamente e non sapevo perché.
Quando finalmente lei si voltò e fuggì, mi accorsi che avevo i muscoli della mascella duri come l’acciaio. Mi ci volle parecchio per rilassarli e quando ci riuscii, i denti mi dolevano.
Ci sono due strutture a Beatnik Bayou. Una è una vecchia e cadente stazione di servizio con tavola calda chiamata la Capanna di Zucchero, completa di una pompa di benzina arrugginita sul davanti e di una logora scritta sulla vetrina. Da un lato dell’edificio c’è un furgoncino Dodge grigio posato su blocchi di cemento, accanto ad un mucchio di rottami di automobili arrugginiti e ricoperti di erbacce. Il camioncino non ha ruote. Di fianco c’è una Toyota berlina senza finestrini né motore. Una strada malconcia corre davanti alla capanna in direzione del molo. Dall’altro lato la strada curva intorno ad un cipresso ricoperto di muschio…
… e finisce contro un muro. È un po’ una scossa. Ma per quanto dodici acri siano parecchi per un parco dei divertimenti privato, non è abbastanza grande per suscitare l’illusione di essere davvero là. Là, in questo caso, dovrebbe essere la Louisiana del 1951. Trigger è affascinata dal ventesimo secolo, che per lei va dal 1903 al 1987.
Ma nella maggior parte dei casi l’illusione funziona. Raramente si vedono i muri, perché ci sono di mezzo gli alberi. Comunque io mi immergo nell’atmosfera del luogo non tanto con gli occhi, quanto con il naso, le orecchie e la pelle. Come l’odore del legno marcio, il rumore delle rane che saltano nell’acqua, o il debole ronzio del compressore della distilleria, il luccichio d’argento dei pesciolini quando li raccolgo dai contenitori metallici sul retro della capanna, la sensazione del legno riscaldato dai raggi del sole quando mi siedo sul molo a pescare.
Ci vuole un sacco di energia per far funzionare il sole, per cui abbiamo parecchi giorni di nebbia e notti assai lunghe, anche questo contribuisce a creare l’illusione. Sfido chiunque ad andare a spasso di notte per il Bayou con i grilli che cantano e le rane che gracidano senza pensare di essere tornato sulla Vecchia Terra. A parte la gravità della Luna, naturalmente.
Trigger ha ereditato del denaro. Ma anche così, e con lo stipendio da insegnante, il bayou è un luogo costoso da mantenere. Prima era un ambiente più convenzionale, ma lei scoprì presto che le paludi richiedevano una minore manutenzione, e comunque le piace quell’atmosfera indolente. Ha aperto la tavola calda, ha comperato da alcuni artisti le false automobili e ha fatto in modo che l’Ufficio Turistico Lunare lo inserisse nell’elenco delle ricostruzioni storiche. Morirebbero se sapessero la verità sulla Toyota, ma non sarò certo io a spifferarla.
L’unica altra struttura decisamente non appartiene alla Louisiana di nessun periodo. È una tenda indiana piantata su di un leggero pendio, appena fuori di vista della Capanna di Zucchero. Cheyenne, credo. Passiamo lì la maggior parte del tempo quando siamo al bayou.
E ci andammo anche dopo l’episodio con la donna incinta. Il pavimento è di argilla battuta e al centro arde sempre un fuoco. Ci sono un sacco di cuscini sparsi intorno e due grossi materassi ad acqua.
Cercammo di parlare dell’incidente. Credo che Denver fosse il più colpito, ma dal modo in cui Cathay stava seduto mentre Trigger gli massaggiava la schiena, capivo che anche lui era piuttosto seccato. La sua voce era turbata.
Io confessai di essermi spaventato, ma c’era molto di più, e mi sentivo tutt’altro che pronto a parlarne. Trigger e Cathay lo sapevano e lasciarono correre per il momento. Trigger prese la pipa e la riempì con foglie di similpianta.
Era una pipa con il bocchino lungo. Lei la accese e poi si appoggiò all’indietro con il bocchino tra le labbra e il fornello stretto fra le dita dei piedi. Esalò un fumo dolce, color miele. Mentre fuori il giorno finiva, lei passò la pipa. Aveva un buon sapore e mi calmò in modo meraviglioso. Era facile addormentarsi in quel modo.
Ma io non dormii. Non proprio. Forse ero troppo avanti con la pubertà perché la droga contenuta nella pianta potesse ancora agire come sonnifero. O forse ero troppo stimolato emotivamente. Denver si addormentò piuttosto in fretta.
Ma non Cathay e Trigger. Fecero l’amore dall’altra parte della tenda, e lo fecero in un modo tanto lento e sognante che capii subito che erano sotto l’influsso della droga. Anche se Cathay è sulla quarantina e Trigger ha superato i cento, hanno entrambi il corpo di due ragazzi di tredici anni ed il metabolismo che si adatta all’età.
Non ci fu una vera e propria conclusione, ma il loro atto sfumò lentamente, per gradi, un po’ come si era soliti fare prima che l’orgasmo diventasse un fattore decisivo. Scoprii che mi dava una grande felicità rimanere sdraiato su un fianco a guardarli con gli occhi socchiusi.
Parlarono per un po’. Più mi sforzavo di sentire e più mi veniva sonno. Ad un certo punto non riuscii più a lottare per rimanere sveglio.
Divenni conscio di un corpo caldo vicino a me. Era ancora buio, l’unica luce era quella delle braci del fuoco.
— Mi spiace, Argus — disse Cathay, — non intendevo svegliarti.
— Va bene così. Abbracciami. — Lui lo fece ed io mi contorsi finché la mia schiena fu sistemata comodamente contro di lui. Per lungo tempo mi limitai ad assaporare la cosa. Non pensavo a niente, se non al suo respiro caldo sul mio collo o al suo pene che si induriva contro la mia schiena. Se questo si può chiamare pensare.
Quante notti avevamo dormito così negli ultimi sette anni? Troppe per poterle contare. Ci conoscevamo in tutti i modi possibili. Un anno fa lui era una femmina e prima di allora lo eravamo stati tutt’e due. Ora eravamo entrambi maschi ed era bello anche così. Una parte di me pensava che non avesse molta importanza di che sesso eravamo, ma un’altra parte si domandava come sarebbe stato essere una femmina e conoscere Cathay come maschio. Quello non lo avevamo ancora provato.
A quel pensiero provai un brivido di desiderio. Era passato troppo tempo da quando avevo avuto una vagina. Volevo Cathay tra le mie gambe, come l’aveva avuto Trigger poco prima.
— Ti amo — mormorai.
Lui mi baciò un orecchio. — Anch’io ti amo, sciocco. Ma quanto mi ami?
— Cosa vuoi dire?
Sentii che cambiava posizione e si sollevava appoggiando la testa ad una mano. Le sue dita si avvolsero ad un ricciolo dei miei capelli.
— Voglio dire, mi amerai ancora quando non sarò più alto del tuo ginocchio?
Scossi la testa, sentendo improvvisamente freddo. — Non voglio parlare di questo.
— Questo lo so molto bene — disse lui, — ma non posso permettere che tu lo dimentichi. Non è qualcosa che scomparirà.
Mi girai sulla schiena e sollevai lo sguardo verso di lui. C’era un debole sorriso sul suo viso, mentre sfiorava con le dita le mie labbra e i miei capelli, ma i suoi occhi erano preoccupati. Cathay non è più in grado di nascondermi molte cose.
— Deve capitare — sottolineò lui, senza pietà. — Per le ragioni che mi hai sentito spiegare alla donna. Mi sono impegnato a tornare all’età di sette anni. C’è un’altra bambina che mi aspetta. Ti assomiglia molto.
— Non farlo — dissi io sentendomi infelice. Cathay mi asciugò una lacrima dagli occhi.
Gli ero grato perché non mi faceva notare quanto fossi ingiusto. Lo sapevamo entrambi. Lui lo accettava, e continuava come meglio poteva.
— Ti ricordi il nostro discorso sul sesso? Penso che fosse circa due anni fa. Non molto dopo che mi hai detto per la prima volta che mi amavi.
— Ricordo. Ricordo tutto.
Lui mi baciò. — Ma io devo riparlarne lo stesso. Forse servirà. Tu sai che eravamo d’accordo che non avrebbe avuto alcuna importanza di che sesso fossimo. Poi ti feci notare che tu saresti cresciuto, mentre io sarei ritornato ragazzino. Che sessualmente ci saremmo divisi.
Io annuii, sapendo che il nostro amore era molto più profondo di quelle differenze. Che non avevamo bisogno del sesso per farlo funzionare. Può funzionare.
Questo era vero. Cathay era vicino a tutti i suoi vecchi studenti. Essi erano adulti ora, ma venivano spesso a trovarlo. Solo per il piacere di stare vicini, di parlare e di abbracciarsi. Più avanti c’entrava anche il sesso, ma tutti loro capivano che presto sarebbe finito.
— Non penso di avere questa prospettiva — dissi cauto. — Loro sanno che in pochi anni maturerai ancora. Lo so anch’io, ma ho lo stesso la sensazione…
— Che sensazione?