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Dopo aver messo in ordine, uscii fuori per dare un’occhiata alla serata. Mi ero trasferito qui solo da pochi giorni. Prima ero stato nei boschi. Ora mi trovavo al limitare della zona ricoperta dalla vegetazione, e avevo avuto appena il tempo di sistemarmi — rimontare la capanna e i mobili, esplorare la zona, disporre i rivelatori, far abituare i polmoni all’aria più fine. Stentavo ancora a trovare la mia giusta dimensione.
Mi mancavano i riflessi dorati del sole sulla soffice polvere marrone scuro, l’asprezza maschile e la dolce fragranza femminile dei pini e del loro verde che s’innalzava verso il cielo, un ruscello che mormorava e scintillava, il richiamo degli uccelli, e un vapiti dalle splendide corna che era diventato mio amico e prendeva il cibo dalle mie mani. (Gli piacevano molto le bucce di cetriolo. L’avevo chiamato Charlie.) Non si può vivere sei mesi in uno stesso luogo, passando dallo splendore dell’autunno al ferreo candore dell’inverno, per rinascere con la terra sotto l’alito della primavera — non si può farlo senza che qualcosa di quel luogo ti rimanga nelle ossa, per sempre.
Tuttavia avrei continuato a ricordare quella parte della regione, e quando Jo Madzeleski disse che non avrebbe potuto prolungare la mia permanenza, decisi di tornarci per tutto il tempo che restava. Questo faceva parte del mio piano; lei amava la natura quanto me, ma il suo cuore era tutto per le montagne, e questo l’avrebbe aiutata ad essere dell’umore giusto. Comunque, anch’io ero felice di esserci tornato. E mentre mi allontanavo dalla capanna, oltrepassando il mio rozzo velivolo, in modo che nulla di artificiale si trovasse tra me e il mondo, d’un tratto tutto il mio essere tornò ad appartenere completamente al luogo dove mi trovato.
Questa base si trovava in un prato alpino. L’erba cresceva folta ed umida, elastica sotto i piedi, trapuntata di margherite. Qua e là troneggiavano massi grandi come edifici, le pietre grigiastre erose dal ghiaccio che un tempo aveva scavato il piccolo lago che scintillava e si increspava poco lontano: per me era il segno che anch’io potevo partecipare dell’eternità. Tutto intorno, la catena di Wind River si stagliava con le sue vette innevate ed il blu intenso delle rocce in un cielo vertiginosamente profondo, nel quale vidi planare un’aquila. La luce del sole che spioveva da ovest, riuscendo in qualche modo ad addolcirlo; e le cime erano animate da ombre.
Sentivo l’odore delle piante, più austero che nella foresta, ma non meno intenso. Un pesce guizzò, ne vidi il rapido bagliore e un attimo dopo sentii il rumore dell’acqua, che turbò appena la quiete assoluta. Anche se non c’era una brezza vera e propria, sentivo l’aria accarezzarmi il viso.
Abbottonai il giaccone di lana scozzese, presi il necessario per fumare, e mi guardai intorno. Già un paio di volte avevo intravisto un orso. Sapevo che non era il caso di tentare un approccio con quell’animale come avevo fatto con Charlie, ma certo potevamo dividere il territorio amichevolmente, e se avessi imparato presto le sue abitudini avrei potuto collocare dei rivelatori e registrare la sua vita — e se era femmina, avrebbe avuto anche dei cuccioli…
No. Devi far ritorno alla civiltà alla fine di questa settimana. Ricordi?
Oh, ma potrei tornare.
Come in risposta a quel pensiero, sentii un rumore di eliche sopra di me. Crebbe fino a che non apparve un altro velivolo. Jo stava arrivando all’appuntamento prima del previsto. Le avevo detto: — Vieni a cena al tramonto — Ed eccola più presto di quanto sperassi. Il cuore mi batteva forte. Rimisi in tasca la pipa e la borsa del tabacco e camminai in fretta per andarle incontro.
Lei atterrò, e saltò giù dalla bolla prima che i motori si fossero fermati del tutto. I suoi movimenti erano sempre stati vivaci ed aggraziati. Per il resto non era granché: bassa, tarchiata, il naso schiacciato, gli occhi pallidi e tondi sotto i corti capelli neri. Per l’occasione aveva sostituito l’uniforme da guardiaboschi con una tuta aderente dai colori iridescenti: un abito che non poteva migliorarla granché, neanche se avesse saputo come indossarlo.
— Benvenuta — dissi, poi le strinsi entrambe le mani e le rivolsi un grande sorriso.
— Ciao. — Sembrava senza fiato. Il suo sorriso cominciò a riprendere colorito. — Come stai?
— Bene. Però mi dispiace andare via, naturalmente. — Feci un sorriso sarcastico, per cancellare ogni traccia di autocommiserazione.
Lei guardò altrove. — Stai per tornare da tua moglie. Non correre troppo. — Sei in anticipo, Jo. Vorrei che fosse già tutto pronto. Ora dovrai entrare e guardare mentre lavoro.
— Ti do una mano.
— Mai, quando sei mia ospite. Siedi, rilassati. — La presi per un braccio e la guidai verso la capanna.
Lei si lasciò sfuggire una risata incerta. — Hai paura che ti sia d’intralcio, Pete? Non ti preoccupare. Conosco queste unità scomponibili — dovrei, dopo tre anni…
Io sono qui da quattro, e questo dopo più di sei anni trascorsi in altre zone selvagge prima di decidere che questa era quella che volevo conoscere a fondo, perché per me era la più splendida di tutte.
— … e hanno solo un posto pratico dove mettere ogni genere di cose — stava dicendo lei. Poi si fermò, obbligandomi a fare lo stesso, scosse lievemente la testa, aspirò a fondo l’aria e il bagliore de! sole. — Per piacere, non voglio metterti fretta. È una serata così bella. Eri all’aperto a godertela.
Sottinteso: E non te ne sono rimaste molte, Pete. Il progetto di documentazione è terminato ufficialmente lo scorso anno. Sei l’ultimo dei pochissimi inviati che siano riusciti ad ottenere il permesso speciale di restare per finire le loro sequenze: e adesso, niente più ritardi, niente più proroghe, la parola d’ordine è «Tutti Fuori».
La mia risposta implicita: Eccetto voi guardie forestali. Un manipolo di persone con lauree in ecologia, biologia del territorio e chissà cos’altro… pochi privilegiati scelti tra un’orda di aspiranti… e questo vi dà il diritto di dettare legge?
— Be’ sì — dissi, e proseguii: — Me la godrò, specialmente ora che sono in compagnia.
— Grazie, molto gentile, signore. — Non le riuscì di sembrare allegra.
Le strinsi forte il braccio. — Sai, mi mancherai, Jo. Mi mancherai terribilmente. — Durante questo ultimo anno, mentre davo forma al mio progetto, l’avevo coltivata. Non solo partite a carte e lunghe conversazioni al sensifono; no, incontri in carne ed ossa per fare escursioni, passeggiate, picnic, pesca, per studiare gli uccelli, i cervi, le stelle. Un inviato diventa bravo a coltivarsi la gente, ed anche se negli ultimi dieci anni avevo avuto poche occasioni di usarla, questa abilità non era svanita. Con la stessa facilità con cui respiravo, potevo mostrare interesse per le sue osservazioni piuttosto banali, le sue opinioni piuttosto melense… — Vieni a trovarmi quando avrai una vacanza.
— Oh, io… ti chiamerò ogni tanto… se a Marie non… dispiacerà.
— Volevo dire vieni di persona. L’immagine olografica, il suono stereo, anche l’odore e la temperatura ed ogni altro tipo di circuito che una persona può pagare per l’uso di… un sensifono non è la stessa cosa che avere un amico davanti a sé.
Lei sussultò. — Sarai in città.
— Non è poi così male — dissi col mio atteggiamento più spavaldo. — Appartamenti della grandezza giusta, molto più grandi di quella baracca di plastica laggiù. Insonorizzati. Aria filtrata e condizionata. Tutto l’agglomerato è schermato e pattugliato. Veicoli corazzati a disposizione per quando vuoi uscire.
— E una maschera per naso e bocca! — Disse lei, quasi soffocando.
— No, no, questo non è più necessario da un pezzo. Hanno ridotto la polvere, il monossido, i cancerogeni ad un livello, almeno nella mia città, che…
— I cattivi odori. I sapori. No, Pete, mi dispiace. Non sono un fiorellino delicato, ma le visite che sono obbligata a fare a Boswash sono il massimo che riesco a sopportare… dopo aver conosciuto questa regione.
— Anch’io sto pensando di trasferirmi in campagna — dissi. — Affittare un cottage in un’areagricola, sbrigare la maggior parte di lavoro via sensifono, senza bisogno di andare in città se non quando mi assegneranno l’incarico di documentare qualcosa laggiù.
Lei fece una smorfia. — Spesso mi capita di pensare che le areagricole siano peggiori di qualsiasi metropoli.
— Uh? — Fui sorpreso che lei potesse ancora sorprendermi.
— Oh, più pulite, più tranquille, meno pericolose, gli abitanti non sono costretti a rimanere gomito a gomito, è vero — ammise. — Ma almeno quella gente di città, frenetica, ringhiosa, tenace, ha una certa libertà, una certa… vitalità. Può anche essere la vita di un branco di topi, ma è autentica, ha un minimo di struttura, e di spontaneità e… Lontano dalle città, non è solo la natura ad essere irregimentata, ma anche la gente.
Be’, non so in che altro modo si potrebbero organizzare le cose per nutrire una popolazione mondiale di quindici miliardi di persone.
— Va bene — dissi. — Capisco. Ma questo argomento è deprimente. Facciamo due passi. Ho trovato delle genziane in fiore.
— Così presto nella stagione? Possiamo arrivarci a piedi? Mi piacerebbe vederle.
— Adesso sono troppo lontane, temo. Ho dovuto camminare per parecchi giorni. Comunque, lascia che ti mostri il cespuglio di mirtilli del luogo. Varrebbe la pena di visitarlo, vieni alla fine dell’estate.
Mentre le afferravo di nuovo il braccio, lei disse, in quel suo modo goffo, — Sei diventato un esperto, vero Pete?
— Difficile evitarlo — borbottai. — Dieci anni a raccogliere materiale sensitivo sul Sistema Riserve.
— Dieci anni… frequentavo ancora il liceo quando tu hai cominciato. Conoscevo soltanto i parchi regolari, dove si faceva la fila su un sentiero lastricato per vedere una sequoia o un geyser, e prenotavo il diritto di nuotare con un mese di anticipo. Mentre tu…
Le sue dita si chiusero intorno alle mie, forti e calde. — Non è giusto mettere fine alla tua permanenza.
— La vita non è mai «giusta».
Ce n’è maledettamente troppa di vita umana. Troppo poca di qualsiasi altra specie. E dobbiamo conservare un po’ di ambienti naturali, una riserva necessaria per quel che è rimasto dell’ecologia del pianeta; una fonte di conoscenza per i ricercatori che stanno tentando di imparare abbastanza su questa ecologia per salvarla prima del collasso definitivo; nessuno ne parla, ma è un concetto ben presente nella mente di chi ragiona, e cioè il fatto che se ci sarà il disastro, le riserve saranno l’ultimo vivaio di speranza della Terra.
— Voglio dire — proseguì Jo a fatica, — naturalmente aree come questa stavano per essere distrutte dalla folla: amate fino alla morte, come ha scritto qualcuno — così l’unica cosa da fare è stata quella di chiuderle a tutti, eccetto che a pochi custodi e scienziati, e questo era politicamente impossibile a meno che «tutti» non significasse tutti — Ah, sì, era tornata alla sua abitudine di passare in rassegna i più triti luoghi comuni. — E dopotutto, i documentari sensitivi che artisti come te hanno realizzato saranno sempre disponibili, e… — Il luogo comune svanì. — Tu non puoi ritornare, Pete! Mai più!
Le sue dita ricordarono dov’erano e mi lasciarono andare. Le mie le inseguirono e la strinsero, con gentilezza calcolata. Intanto, i miei battiti acceleravano. Era un bene che le parole apparissero inopportune in questo momento, perché la mia bocca era arida.
Un inviato dovrebbe essere più sicuro di sé. Ma la posta era maledettamente alta. Avevo fatto in modo che a Jo importasse di me, non solo nel modo benevolo dei suoi colleghi, tanto isolati dall’umanità da potersi permettere la benevolenza, ma proprio di me, di questo atomo-Pete che voleva passare il resto dei suoi tremuli giorni sulle montagne del Wind River. Ma fino a che punto le importava?
Passeggiammo intorno al lago. Il sole era calato dietro ai picchi — per alcuni minuti, le nevi ad est sembrarono avvolte dalle fiamme — e le ombre si infittirono. Sentii il fischio di una civetta in amore. Nel blu maestoso del cielo, Venere brillò all’improvviso. L’aria divenne più tagliente, facendo scorrere il sangue più velocemente.