121429.fb2 Cassandra - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 2

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Un ragazzetto del vicinato era morto annegato. Lei l’aveva detto, che sarebbe annegato. L’aveva gridato. E tutti, in città, avevano detto che era stata lei a spingerlo.

Pazza Alis.

È affetta da fantasie, dicevano i medici. Non è pericolosa.

— L’avevano lasciata andare. C’erano scuole speciali, scuole dello stato.

E di tanto in tanto… gli ospedali.

I tranquillanti.

Alis aveva lasciato a casa le compresse rosse. Quando se ne accorse, le sudarono le palme delle mani. Quelle compresse portavano il sonno. Bloccavano i sogni. Strinse le labbra per dominare il panico e decise che non ne aveva bisogno… non ne avrebbe avuto bisogno perché non era sola. Passò la mano sotto il braccio di Jim e camminò al suo fianco, sicura e stranita, su per i gradini che portavano dal parco alle strade.

Si fermò.

I fuochi erano spenti.

Gli edifici spettrali s’innalzavano sopra i loro gusci schiantati e privi di finestre. I fantasmi si muovevano tra le masse delle macerie, e a volte erano quasi invisibili. Jim cercò di sospingerla, ma lei vacillò; la guardò in modo strano, allora, e la cinse con un braccio.

— Tremi — le disse. — Hai freddo?

Alis scosse la testa, cercò di sorridere. I fuochi erano spenti. Si sforzò d’interpretarlo come un buon auspicio. L’incubo era finito. Alzò lo sguardo verso quel viso solido e preoccupato, e il suo sorriso divenne quasi una risata folle.

— Ho fame — disse.

Indugiarono lungamente a cena da Graben’s… lui con la giacca sciupata, lei con il maglione sformato; gli avventori spettrali vestivano molto meglio, e li fissavano; i camerieri li avevano fatti sedere in un angolo vicino alla porta, dov’erano meno visibili. C’erano cristalli incrinati e piatti rotti sui tavoli incorporei, e le stelle ammiccavano fredde nello squarcio sopra lo scintillio pallido dei lampadari spezzati.

Rovine: fredde, pacifiche rovine.

Alis si guardò intorno, calma. Si poteva vivere tra le rovine, purché i fuochi non ci fossero più.

E c’era Jim che le sorrideva senza un’aria di pietà, ma solo con un’aria di disperazione un po’ folle che lei capiva… Jim che stava spendendo da Graben’s più di quanto poteva permettersi, in quel ristorante che lei non aveva mai sperato di vedere all’interno… Jim che le diceva, prevedibilmente, che era bella. L’avevano detto anche altri. Alis provava un vago risentimento nel sentire quelle parole banali da lui… lui, di cui aveva deciso di fidarsi. Gli sorrise con tristezza, quando Jim lo disse, e poi aggrottò la fronte e quindi, temendo di offenderlo con le sue malinconie, sorrise di nuovo.

Pazza Alis. Lui l’avrebbe scoperto e se ne sarebbe andato quella notte stessa, se non fosse stata prudente. Cercò di fingersi allegra, si sforzò di ridere.

E poi nel ristorante la musica s’interruppe, e gli altri avventori smisero di colpo di parlare, e l’altoparlante diede un annuncio vano.

Ai rifugi… ai rifugi… ai rifugi.

Grida. Urla. Sedie rovesciate.

Alis si abbandonò inerte sulla seggiola, sentì la mano fredda e solida di Jim afferrare la sua, vide la faccia spaventata, la bocca che si muoveva chiamandola per nome. Lui la prese fra le braccia, la tirò a sé e si mise a correre.

Fuori l’aria fredda la investì, ed Alis vide di nuovo le rovine, le figure fantasma correvano verso il caos dove gli incendi erano stati più furiosi.

E comprese.

— No! — gridò, tirandogli il braccio. — No! — ripeté, mentre la gente appena intravvista passava intorno a loro e li urtava, in una fuga verso l’annientamento. Jim cedette alla sua certezza improvvisa, le strinse la mano e fuggì con lei controcorrente, mentre le sirene ululavano all’impazzata nella notte… fuggì con lei mentre correva lungo il percorso conosciuto tra le rovine.

Entrarono da Kingsley’s, dove i tavoli erano abbandonati, i piatti dimenticati, le porte socchiuse, le sedie rovesciate. Entrarono nella cucina e scesero nelle cantine, al buio e al freddo, al sicuro dalle fiamme.

Nessun altro li raggiunse. Finalmente la terra tremò, troppo profondamente perché si udisse un suono. Le sirene tacquero e non si fecero più sentire.

Rimasero distesi nel buio, stringendosi e tremando, e sopra di loro infuriò per ore ed ore il rombo degli incendi, e a volte il fumo penetrava e pungeva gli occhi e le narici. C’erano gli scrosci lontani dei muri che crollavano, rombi che squassavano il suolo: poi vennero più vicino, ma non toccarono il loro rifugio.

E alla mattina, quando nell’aria c’era ancora l’odore delle fiamme, risalirono nella luce fosca del giorno.

Sulle rovine aleggiava il silenzio. Gli edifici spettrali adesso erano solidi, ridotti a gusci vuoti. I fantasmi erano scomparsi. Soltanto i fuochi erano strani, alcuni veri, altri no, e lingueggiavano sopra i mattoni scuri e freddi, e quasi tutti si andavano estinguendo.

Jim imprecò sottovoce, più volte, e pianse.

Quando Alis lo guardò aveva gli occhi asciutti, perché da molto tempo non aveva più lacrime.

E lo ascoltò mentre lui parlava di procurarsi viveri e di lasciare la città, loro due insieme. — D’accordo — disse Alis.

Poi contrasse le labbra, chiuse gli occhi per non scorgere ciò che gli vedeva in faccia. Quando li riaprì vide che era ancora vero: la trasparenza improvvisa, l’ondata di sangue. Alis tremò, e Jim la scosse, con un’espressione angosciata sul viso spettrale.

— Cosa c’è? — chiese lui. — Cosa c’è?

Non poteva dirglielo, non voleva. Ricordava il ragazzo che era annegato, ricordava gli altri spettri. All’improvviso si svincolò da lui e fuggì via, nel labirinto delle macerie che, questa mattina, erano solide.