121687.fb2 Corso per corrispondenza - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 2

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Jim fissò i campi lontani, e rifletté. Quella non era roba terra terra. Una matematica come quella non poteva far parte d’un corso per corrispondenza alla buona. Raccolse la grossa busta e si concentrò sul nome del mittente. Tutto quello che vi era scritto diceva: M.H. Quilcon Schools, Henderson, Iowa. E ogni lezione era firmata, in calce, con una riproduzione in ciclostile della vistosa firma «M.H. Quilcon».

Jim raccolse la prima lezione e cominciò a leggerla lentamente, con la massima attenzione, alla ricerca, quasi, di ciò che poteva trovarsi nascosto fra le righe, un qualche mistico messaggio.

Alla fine di luglio la sua gamba si era irrobustita quanto bastava a consentirgli di camminare senza bastone. Procedeva con lentezza, zoppicando, e di tanto in tanto la gamba cedeva come se il ginocchio non riuscisse a sostenere il peso. Ma Jim imparò presto a recuperar l’equilibrio prima di cadere, e si godette tutto il brivido di poter camminare di nuovo.

Alla fine di luglio era ormai arrivata la decima lezione del corso per corrispondenza, e Jim seppe di essere giunto fin dove poteva farcela da solo. Viveva in uno stupore incantato, mentre si aggirava in quel nuovo, meraviglioso mondo scientifico che gli si era schiuso davanti agli occhi. Sapeva che erano stati compiuti grandi passi nella tecnologia e nella produzione, ma gli pareva incredibile che un scoperta fondamentale come quella della coordinazione d’energia si fosse limitata a produrre, per tanti mesi, macchine di guerra. A produrle soltanto: si chiese come mai il principio non fosse stato applicato più direttamente dentro le stesse armi, nel loro stesso funzionamento… ma non ne capiva abbastanza per sapere se fosse o no possibile. Non riusciva ancora a capire da dove provenisse quell’energia che era alla base del sistema.

La decima lezione era stampata male come tutte le precedenti. Ma era assai più consistente: lo spessore del fascicolo era quello d’un libro. Quando l’ebbe finito, Jim si era ormai reso conto che era indispensabile, per lui, saperne di più sulle origini e i fondamenti della nuova scienza. Doveva parlare con qualcuno che ne sapesse qualcosa. Ma non conosceva nessun altro che ne avesse sentito parlare. E anche lui, non aveva visto in giro nessuna pubblicità della M.H. Quilcon Schools. Tutto ciò che ne sapeva era contenuto in quella prima circolare e nelle dieci lezioni.

Non appena ebbe completato i compiti per casa relativi alla decima lezione, e li ebbe affidati alle cure del signor McAfee, Jim Ward decise di recarsi personalmente a Henderson, nello Iowa, a far visita alla Quilcon Schools.

Desiderò aver trattenuto presso di sé i fogli coi compiti svolti: avrebbe potuto portarli laggiù più in fretta di quanto avrebbero impiegato attraverso i normali canali della posta.

L’accelerato si fermò a Henderson, Iowa, appena quel tanto che gli consentì di scendere. Riparti, poi, subito, e Jim Ward si guardò intorno.

L’uomo dall’aria assonnata che fungeva da bigliettaio, spedizioniere e custode lo fissò meravigliato e sputò un cospicuo fiotto ambrato di tabacco attraverso lo scrittoio, fuori della finestra.

«Cerca qualcuno, signor mio?»

«Sto cercando Henderson, Iowa. È questa?» chiese Jim, dubbioso.

«C’è proprio arrivato, signor mio. Ma non cammini troppo in fretta, altrimenti se ne troverà fuori. I confini di Henderson sono a un solo isolato oltre lo spaccio di Smith».

Jim notò il cartello sopra la porta e diede un’occhiata alla scritta che non aveva visto prima: Henderson, Iowa. Pop. 806.

«Sto cercando un certo signor M.H. Quilcon. Dirige una scuola per corrispondenza, qui da qualche parte. Lo conosce?»

L’intero personale della stazione tornò a frugarsi il cervello e infine sbottò, pensieroso: «Col prossimo ottobre saranno ventinove anni che vivo qui. Mai sentito un nome simile qui intorno… e li conosco tutti».

«C’è qualche scuola per corrispondenza qui da voi?»

«La signorina Marybell Anne Simmons di tanto in tanto dà qualche lezione come estetista, ma è l’unica scuola di quel genere che io conosca».

Stupito, Jim Ward mormorò i suoi ringraziamenti e uscì a lenti passi dalla stazione. Il panorama che gli si parò davanti era sconcertante. Si chiese se la popolazione non fosse drasticamente diminuita da quand’era stato fatto il censimento scritto sul cartello, là dentro.

Un piccolo emporio fatiscente lo fronteggiava sul lato opposto della strada. Un po’ più là era un minuscolo edificio scheletrico che una scritta qualificava come Ufficio dello Sceriffo. Al di qua della strada Jim vide lo spaccio di Smith, a una settantina di metri di distanza, con una sella e un sacco di fertilizzante esposti in vetrina. Nella direzione opposta in un unico blocco occhieggiavano l’ufficio postale, la banca e quello che veniva pubblicizzato come un giornale con relativa tipografia.

Jim s’incamminò verso quest’ultimo edificio mentre, dalla sconquassata veranda dell’emporio, alcuni sfaccendati seguivano incuriositi il suo avanzare strascicato nella polvere.

La direttrice dell’ufficio postale alzò gli occhi dalla bracciata di corrispondenza che stava suddividendo fra le varie cassette quando Jim entrò. Lo salutò con un allegro «allò!» che parve cadere tintinnando dalla sua formosa figura.

«Sto cercando un uomo chiamato Quilcon. Ho pensato che lei potesse darmi qualche informazione su di lui».

«Kweelcon?» Corrugò le sopracciglia. «Non c’è nessuno, qui, con quel nome. Com’è scritto?»

Prima che lui potesse rispondere la donna lasciò cadere una manciata di lettere sul pavimento. Jim fu certo di aver visto quella che lui aveva spedito alla scuola prima di partire.

Mentre la donna si chinava per raccogliere le lettere, un’ombra bruna parve sfrecciare attraverso il pavimento. Jim ebbe la fugace impressione di un’enorme lumaca marrone che si muoveva con la velocità del fulmine.

La direttrice cacciò un grido di rabbia e batté i piedi sul pavimento. Un attimo dopo si era già ripresa.

«Un armadillo», spiegò. «Quella dannata bestia gira qui intorno da mesi e pare che nessuno riesca ad ammazzarlo». Ricominciò a classificare la corrispondenza.

«Credo che gliene manchi una», disse Jim. La donna non stringeva più tra le mani la busta che lui aveva riconosciuta per propria.

La donna scrutò il pavimento tutt’intorno. «Le ho raccolte tutte, grazie. Adesso… come ha detto che era il nome?»

Jim si sporse oltre il bancone e scrutò il pavimento. Ne era certo… Ma era ovvio che non c’erano più lettere in vista, là sotto, e non c’era nessun altro posto dove poteva essersi ficcata.

«Quilcon», sillabò Jim. «Io stesso non sono sicuro della pronuncia, ma è scritto proprio così».

«Non c’è nessuno a Henderson con quel nome. Ma… si, aspetti un momento. È strano, sa?, ma un mese fa ho visto una busta partire da qui con quel nome scritto sull’angolo in alto a sinistra. Quel giorno pensai che era un nome strano, e mi chiesi chi poteva avercelo messo, ma non l’ho mai scoperto, e ho pensato di essermelo immaginato. Come fa a sapere che doveva venir qui a cercarlo?»

«Potrei aver ricevuto io quella lettera che lei ha visto in partenza quel giorno, no?»

«Be’, perché non lo chiede al signor Herald? È al giornale, qui alla porta accanto. Ma sono certa che non c’è nessuno, qui a Henderson, con quel nome».

«Pubblicate un giornale, qui?»

La donna scoppiò a ridere. «Lo chiamiamo così. Il signor Herald possiede una banca e una grossa fattorìa, e pubblica gratis il giornale… è un hobby. Non è gran cosa, ma qui a Henderson lo leggono tutti. Al sabato ne fa un’edizione completa, stampata. Questo, invece, è il quotidiano».

Gli mostrò un foglietto ciclostilato, non molto leggibile. Jim lo sbirciò, poi mosse verso l’uscita. «Grazie lo stesso».

Quando uscì nuovamente nel sole d’estate, c’era qualcosa che gli rodeva il cervello, una sorta di sensazione del tipo là-dentro-ti-sei-dimenticato-di-qualcosa. Non riuscì però a focalizzarne il motivo e si sforzò d’ignorarla.

Poi, quando attraversò la soglia della tipografia, ci arrivò. Quel foglietto ciclostilato di notizie: assomigliava in modo sorprendente ai fogli delle lezioni che aveva ricevuto da M.H. Quilcon. Lo stesso inchiostro purpureo. I fogli un po’ spiegazzati. Ma gli parve una pazzia voler trovare un collegamento tra i due fatti. Tutti i fogli ciclostilati si assomigliano.

Il signor Herald era un ometto corpulento con una frangetta tutt’intorno al cranio calvo. Jim gli ripeté la sua domanda.

«Quilcon?» Il signor Herald si mordicchiò le labbra pensieroso. «No, sono certo di non avere mai udito quel nome. Un nome bizzarro… Sono certo che lo ricorderei, se l’avessi udito».

Jim Ward si rese conto che ulteriori indagini in quel luogo sarebbero state una pura perdita di tempo. C’era qualcosa di sbagliato da qualche parte. Le informazioni altamente tecniche contenute nel suo corso per corrispondenza non potevano certo essere uscite da quella cittadina moribonda.

Gettò un’occhiata al foglietto di notizie che giaceva sulla scrivania cosparsa di carte, accanto a una vecchia Woodstock. «Bel giornaletto, quello che pubblica qui», disse a Herald.

Il signor Herald scoppiò a ridere. «Be’, non è granché in verità, ma mi diverte farlo e la gente se la gode a leggere dei maiali perduti dalla signora Kelly e della pertosse dei figli di Dorius. Serve a vivacizzare un po’ l’atmosfera».

«Ha mai fatto nessun lavoro per conto di altri, stampato o ciclostilato?»

«Sono sempre a disposizione di chi voglia, ma sono tre anni che non ho più nessun cliente esterno».

Jim si guardò intorno con occhio indagatore. La vecchia Woodstock pareva l’unica macchina per scrivere presente nella stanza.

«Tanto vale che riparta», disse. «Ma, mi chiedevo se non potrebe lasciarmi usare la sua macchina per buttar giù un appunto e lasciarlo all’ufficio postale, se mai Quilcon si facesse vivo».

«Certo, faccia pure. Si accomodi».

Jim sì sedette alla sferragliante macchina e batté qualche riga mentre il signor Herald scompariva nel retro della tipografia. Poi Jim si alzò e si cacciò in tasca il foglio. Avrebbe tanto voluto aver portato con sé un foglio d’una delle lezioni.