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Jim colse per un attimo una visione… quasi un sogno… Il mondo natio della creatura. Un mondo di sicurezza e di pace… secondo il punto di vista di Quilcon. Ma neppure l’estraneità di quel mondo riuscì a cancellare del tutto la sensazione di tranquilla bellezza che la mente di Quilcon trasmetteva a quella di Jim. Essi, Quilcon e la sua gente, erano una specie molto intelligente. Avevano sviluppato a livelli eccezionali le leggi della matematica e le teorìe della logica, ma l’esiguità del loro sviluppo corporeo aveva loro impedito d’indagare in altri campi della scienza la cui esistenza era stata dimostrata alle loro menti proprio dalla logica e dalla matematica che avevano elaborato. I più ricchi d’intelligenza fra loro erano creature frustrate la cui esistenza era resa tollerabile soltanto da un’infinita capacità di stoico adattamento.
Ma di tutti loro, Quilcon era fra i più inquieti, ribelli e ambiziosi. Nessuno di loro aveva mai osato intraprendere un viaggio come il suo. Un’ondata di pietà e di comprensione s’irradiò da Jim Ward.
«Farò un patto con lei», esclamò Jim, fremente e affannato. «Riparerò il motore se lei mi insegnerà i principi del suo funzionamento. Se lei non li possiede, adesso, se li potrà procurare senza grandi difficoltà. La mia gente deve avere una nave come questa».
Cercò di visualizzare nella propria mente cosa avrebbe significato per la Terra possedere il volo spaziale un secolo… o addirittura cinque secoli prima che il lento avanzare della scienza e della tecnica umane lo rendesse possibile.
La creatura continuò a tacere.
Poi infine parlò. «Farò un patto con lei», disse Quilcon. «Lasci che io sia l’altro di lei, e le darò ciò che vuole».
«L’altro di me? Di che cosa sta parlando?»
«Per lei è difficile capire. Si tratta d’un unione… come quella che facciamo nel nostro mondo. Quando due o più di noi vogliono essere insieme, noi andiamo insieme nello stesso cervello, lo stesso corpo. Adesso io sono solo, ed è un’esistenza insopportabile poiché ho conosciuto cosa voglia dire avere un altro di me».
«Lasci che entri stabilmente nel suo cervello, nella sua mente, e che viva lì con lei. Insegneremo al suo e al mio popolo. Porteremo questa nave in tutti gli universi che le creature viventi possono sognare. O così, o moriremo insieme entrambi, poiché è passato troppo tempo perché io possa tornare al mio mondo. Questo mio corpo sta morendo».
Stupefatto dall’ultimatum di Quilcon, Jim Ward fissò quella brutta lumaca là sulla parete. Il suo corpo bruno pulsava, scosso da violente pulsazioni di dolore, e Jim sentì emanare da esso una sensazione di delirio e terrore crescenti.
«Presto! Lasci che venga lì da lei!» implorò la creatura.
Jim avverti una sensazione… come se delle dita gli stessero sondando il cranio, cercando, implorando di poter entrare. Si sentì raggelare. S’immaginò gli anni futuri, e pensò a un’esistenza con questa mente aliena dentro la sua. Le due menti avrebbero forse lottato per la conquista definitiva del suo corpo, e lui sarebbe forse finito schiavo nel proprio cadavere vivente…
Cercò di sondare i pensieri di Quilcon, ma non riuscì a trovare nessuna sensazione, nessun intento di conquista. C’erano invece gradevolezze quasi umane intrecciate a un nuovo mondo di scienza e pensiero.
Seppe che Quilcon avrebbe mantenuto la promessa di consegnare agli uomini della Terra i segreti di quella nave. Già questo, da solo, sarebbe valso il prezzo del suo sacrificio… sempre che di sacrificio si trattasse.
«Vieni!» Fu un invito pacato.
Fu come se un torrente di luce liquida fluisse nel suo cervèllo. Fu accecante, straziante nella sua intensità. Gli parve di sentire, più che vedere, l’involucro bruno di Quilcon che tremolava dentro l’emisfero trasparente, per poi raggrinzirsi fino a sembrare una piccola noce marrone.
Ma nella sua mente c’era adesso l’unione, e Jim si soffermò ad assaporare, tremando all’improvvisa, indicibile realtà, la nuova conoscenza. Seppe cos’era Quilcon, e la gioia zampillò dentro di lui ancor più avida di quella luce abbagliante. Un pensiero fiorì nel suo cervello: il sesso sta forse soltanto nella diversità delle funzioni corporee, nella grana della pelle e nel tono della voce?
Riandò col ricordo a un altro giorno… quando il cielo e la terra sottostante erano pieni di morte, e anche un piccolo ospedale da campo. Una figura pallida, distesa su una branda, aveva mormorato: «Starai bene, Jim. Io vado… avanti, credo, ma tu starai bene. Lo so. Non sentire troppo la mia mancanza».
Si era convinto che per lui non ci sarebbe stata più pace, ma adesso c’era di nuovo pace in lui, e la voce di Quilcon era come quella voce, di tanto tempo prima, poiché man mano la creatura sondava i suoi pensieri, la sua innata capacità accordò sentimenti e pensieri alieni con quelli d’un terrestre, e infine disse: «Ora, tutto è a posto, Jim Ward?»
«Sì… sì, è proprio così». L’intensità dei sentimenti che erompevano in lui quasi l’accecò. «Ed io voglio chiamarti Ruth, come un’altra Ruth…»
«Mi piace questo nome». La sua voce aveva una punta di timidezza, mentre esprimeva il suo gradimento. E Jim non trovò affatto strano il fatto di non poter vedere il suo interlocutore, poiché nella sua mente c’era una visione molto più bella di quanto avrebbe potuto essere una concreta immagine terrestre.
«Avremo tutto», disse. «Tutto ciò che il tuo mondo e il mio possono offrire. E vedremo tutti gli altri mondi».
Ma, com’era stata così pratica l’altra Ruth, anche questa lo era. «Prima di tutto dobbiamo riparare il motore. Vogliamo farlo, adesso?»
La figura solitaria di Jim Ward si riscosse. Si avviò verso la rampa a spirale e nuovamente scomparve nelle profondità della nave.