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Erano poche le madri nel Paese delle Donne che parlavano dei propri bambini chiamandoli “figli di guerrieri”. Myra era un’eccezione. Quando era nato il suo primo figlio, Myra aveva usato quella frase in ogni occasione possibile. Non lo chiamava mai “il mio piccolo Marky” e neppure “Marcus”: era sempre “il mio piccolo guerrriero”.
Era nato con capelli e grandi occhi neri. Questa rassomglianza con Barten veniva ricordata a tutti almeno dieci volte al giorno. Quando, dopo un mese, tutti i capelli neri caddero e gli occhi divennero chiari, Myra sembrò considerare questo cambiamento un affronto personale, operato da qualche umano.
Morgot perdeva raramente tanto la pazienza come quando si affrontava questo argomento. In una stagione così fredda come quella che stavano passando, la famiglia era costretta a trascorrere molte ore nella cucina riscaldata ad ascoltare le lamentazioni di Myra. Quando non ne poteva più, Morgot esplodeva: — Myra, se dici ancora una parola sugli occhi o sui capelli di tuo figlio, andrò al Concilio e suggerirò che lo mandino all’orfanotrofio. Se continui con questa storia quel povero bambino crescerà insicuro e infelice e sarà colpa tua. — Morgot era pallida e aveva le labbra serrate per la rabbia.
— Ho solo detto…
— Hai solo detto che la levatrice ha commesso qualche mostruosità scientifica per cambiare il codice genetico del bambino (cosa impossibile) o che le infermiere hanno scambiato i bambini. Questa è un’affermazione ridicola perché Marcus non ha mai lasciato la stanza dove sei stata dal momento in cui è nato, e tu l’hai portato con te a casa il giorno dopo. — Morgot aprì la porta di metallo del forno e vi gettò due ceppi posizionandoli con cautela, cercando di riprendere il controllo di sé.
— Del resto — suggerì Stavia — Marcus è molto carino. — Raccolse la scopa, spazzando il pavimento e volgendosi per scaldarsi al fuoco prima che Morgot chiudesse il portello. La pentola sopra il fornello aveva cominciato a fumare e l’aria nella stanza era quasi estiva, con la sua nebbiolina e l’odore dell’erba. — Il bimbo assomiglia molto a Jerby; ha sicuramente una forte rassomiglianza con il resto della famiglia.
— Con questa famiglia — soggiunse Myra con disgusto.
— Sì, la nostra famiglia. La Margotsdaughters. E che cosa c’è che non va? Barten è bello ma è come un serpente a sonagli. Immagino che sia fantastico a letto ma al di là di quello è un serpente. Tutti lo dicono… — Frugò nella dispensa tra i canestri di tè alle erbe cercandone uno alla frutta.
— Chernon lo dice, vuoi dire — ringhiò Myra.
Stavia si sentì avvampare, il calore saliva dentro di lei come se avesse una fornace nello stomaco. — Chernon dice che tutti lo pensano alla guarnigione. Quello che voglio dire è che, se Marcus non assomiglia a Barten, forse non si comporterà come lui e tu dovresti esserne contenta. — Con dita tremanti, Stavia misurò la quantità di tè da deporre nella teiera e poi vi versò l’acqua calda.
Myra si rinchiuse in un silenzio oltraggiato; il suo sogno romantico di maternità si era infranto grazie agli allattamenti a notte tarda, alla continua necessità di lavare pannolini, e a un bambino che continuava a sembrare e a comportarsi come un bambino, non come un giovane eroe. Era più che convinta che quando avesse portato quel bambino da suo padre guerriero a cinque anni, Barten probabilmente lo avrebbe ripudiato.
Morgot scosse il capo e tornò a impacchettare delle provviste in grandi sacchetti di tela; lei e Stavia sarebbero partite l’indomani per un breve viaggio verso Susantown. — Stavia, hai preparato i vestiti e il resto del necessario?
— Sì, mamma.
— Joshua mi ha detto che gli farebbe piacere se lo accompagnassi per le spese.
— Joshua verrà con noi, domani?
— Penso che sia una buona idea, sì. Ci sono stati diversi attacchi degli zingari sulla strada per Susantown negli ultimi mesi.
— Chissà di che aiuto potrà esservi — soggiunse Myra — un servo!
— Stai di nuovo citando Barten? — le chiese la madre con un tono pericolosamente irritato.
— Be’, quando ho portato il bambino a vedere suo padre, Barten ha detto…
Morgot trasse un profondo sospiro. — Myra. Almeno un anno fa ti ho detto di non ripetermi mai le opinioni di Barten sul modo in cui viviamo nel Paese delle Donne. Non ci interessa l’opinione dei guerrieri sulla vita nel Paese delle Donne, soprattutto sulle cose che non conoscono. Non si tratta solo di cattive maniere, è fondamentalmente una mancanza di rispetto… per me, per il Concilio, per i comandamenti; lo hai fatto già due volte. Un’altra volta ancora e andrai davanti al Concilio.
— Non oserai! — Myra era pallida di rabbia. — Non oserai!
— Perché sei mia figlia? È precisamente perché sei mia figlia che lo farò. Se non riesci ad accettare un’ammonizione da me, allora è il momento che l’accetti da altri. Le giovani donne spesso non vanno d’accordo con le madri. L’adolescenza è un periodo della vita in cui si stabiliscono distacchi e indipendenza. A volte le figlie hanno bisogno di cambiare casa. È accettabile far ciò e nessuno se ne meraviglia. Ma è necessaria una nota del Concilio. — La voce di Morgot suonava come se avesse recitato un discorso preparato in precedenza e Stavia si rese conto con stupore che era esattamente quello che era avvenuto. Quelle erano le parole che Morgot aveva pianificato di pronunciare, un discorso che probabilmente l’aveva tenuta sveglia a letto mentre ci pensava.
— Mi cacci via! — disse Myra con un lamento.
— Oh, per carità, Myra. Non ha assolutamente detto di volerti cacciare — esplose Stavia. — Ha semplicemente detto che se non accetti le sue correzioni forse saresti più felice altrove.
— Ti prego di non immischiarti, piccola puttana!
Stavia stava per esplodere ancora una volta; ma la mano di sua madre posata sulla sua spalla la fermò. — No, Stavia, non degnarla di una risposta.
La conversazione cadde. Ora Morgot aveva ripreso nuovamente il controllo di sé, era molto arrabbiata ma anche molto calma. — Myra, se sei così innamorata di Barten, cosa che mi sembra evidente, pensa a questo. Stai attirando su di lui una spiacevole attenzione con la tua costante mancanza di cortesia; qualcuno potrebbe rimproverarlo per quello che fai o dici. È questo che vuoi?
— Non m’importa. Non puoi castigarlo come stai cercando di fare con me. È un guerriero e non vive nel Paese delle Donne e vorrei proprio non viverci neppure io!
— Lo immagino — il viso di Morgot era perfettamente calmo, privo di espressione. Osservandolo Stavia ebbe voglia di urlare. Myra aveva appena detto qualcosa di imperdonabile e Stavia non sapeva neppure di cosa si trattasse. Si strinse nelle spalle mentre Morgot continuava il suo discorso: — Bene, lo terrò in considerazione, Myra. Ne riparleremo quando tornerò — si volse e lasciò la stanza.
Myra si volse furiosa verso Stavia, cercando chiaramente una cattiveria da dire.
Stavia non gliene diede la possibilità, versò due tazze di tè e se ne andò. Joshua doveva essere nella sua stanza riscaldata in un angolo del cortile e Stavia voleva andarci, là o da qualche altra parte, pur di non rimanere nella stessa stanza con Myra.
— Non la capisco — borbottò a Joshua che si stava facendo la barba con un vecchio rasoio che maneggiava con abilità. Solo i guerrieri potevano potare la barba. I servitori dovevano essere glabri. I rasoi, come ogni altro oggetto di acciaio, erano una proprietà preziosa. La maggior parte della produzione dell’acciaio del Paese delle Donne serviva per fabbricare rasoi, scalpelli e strumenti medici. I guerrieri lavoravano con abilità il bronzo nella fornace della guarnigione.
— Ho sentito molte delle cose che ha detto — disse Joshua, bevendo un sorso dalla tazza che Stavia gli aveva portato. Nello specchio i suoi grandi occhi chiari le rivolsero uno sguardo amichevole; il suo viso aveva zigomi alti e pronunciati e una mascella squadrata. I lunghi capelli scuri ricaddero sulla veste da servitore mentre si volse verso lo specchio alla ricerca dei punti dove doveva completare la rasatura. — Ha appena avuto un bambino. Probabilmente soffre di depressione postparto. Poi bisogna tenere a mente che razza di persona è quel piccolo bastardo di Barten. Una delle sue peggiori caratteristiche è il gusto che ci mette a sconvolgere emotivamente le persone. Si comporta così con Myra ogni volta che la vede. Per lui è una manifestazione di potere, penso. O forse c’è qualcosa o qualcuno che lo spinge a comportarsi così… è un pensiero che ha cominciato a frullarmi in mente. Myra sta allevando il bambino e studiando contemporaneamente. Si deve alzare due o tre volte a notte; e noi sappiamo che non è mai stata molto brava a scuola. Dalle sei mesi e penso che si calmerà.
— Non se Barten continua a stuzzicarla così.
Johsua assunse una particolare espressione poi cominciò a insaponare le sopracciglia. — C’è qualcosa di particolare che la turba?
— Barten vuole che accetti gli ideali dei guerrieri. Vuole che lasci il Paese delle Donne.
— Per diventare una puttana? — Joshua posò il rasoio e si volse a guardarla con le due virgole di sapone sopra gli occhi, un sopracciglio ancora non rasato.
— Le dice che può tenerla con sé, lei e il bambino. Da qualche parte nella foresta.
La bocca di Joshua si contorse per la rabbia. — Lo hai detto a Morgot?
— Ho promesso a Myra di non farlo.
— Ma lo stai dicendo a me…
— Non ho promesso che non lo avrei detto a te.
— Lo sai che lo dirò a Morgot.
— Quello che fai tu è una tua scelta — disse lei incerta. Perché sentiva di aver lanciato una specie di maleficio su Barten, o comunque di averlo maledetto come Ifigenia aveva maledetto suo padre? — Io ho mantenuto la mia promessa.
— Oh, Stavia — sorrise lui. — Davvero. — Si asciugò il volto con un asciugamano, poi infilò le lunghe braccia nelle maniche della giacca di pecora con uno stemma lucente appuntato sul petto. — Andiamo a vedere cosa offre il mercato.
Lasciarono la casa, Joshua con una grande sacca per la spesa su una spalla e Stavia con un cestello piatto per le cose che non potevano essere piegate.
Era tardo aprile, un giorno di sole raffreddato dai venti del mare dell’Artico, che di tanto in tanto soffiavano gelati. Stavia conficcò i pantaloni negli stivali e abbottonò la giacca imbottita fino al collo.
— È freddo — si lamentò infilando le orecchie sotto il cappello che allacciò sotto il mento. — Non abbiamo altra legna da bruciare nella stufa e dovrebbe essere primavera.
— È solo un poco in ritardo, questo è tutto. Abbiamo ancora molta legna nei magazzini.
— Per un altro mese, forse — osservò lei con un tono di disappunto.
— Sarà sufficiente — le disse lui per confortarla. — Rilassati, Stavia.
S’incamminarono lungo una strada sulla quale si allineavano case di pietra, interrotte solo dalle alte finestre delle cucine — le cui candele servivano per illuminare le vie nelle ore notturne — e da doppie porte di legno. Non c’erano finestre nelle case di pietra, nessuna apertura da cui potesse sfuggire il calore. All’interno delle case c’erano botole grigliate che lasciavano passare il calore proveniente dalle stanze più basse. Tutte le finestre avevano un doppio vetro. C’erano degli scuri isolanti da chiudere quando la temperatura si faceva più fredda. Le case a due a due avevano un muro in comune per ridurre ulteriormente la perdita di calore e così anche i cortili avevano un muro in comune.
Alcune delle porte rimanevano aperte e si potevano scorgere i giardini dove d’estate le fontane riflettevano le piante che crescevano e i fiori che sbocciavano ricchi di nuovi colori. Ora sembravano desolate, spazzate dal vento invernale.
— Pensavo ci potessimo fermare dal fiorista — le disse Joshua. — Non abbiamo ancora provveduto al nostro cortile, per questa estate. Potremmo cominciare ad acquistare qualcosa per la cucina. Abbiamo bisogno di semi e fiori; il negozio di Wella ha sempre dei mazzi di fiori.
— Mi piacerebbero delle lobelie — disse Stavia — e dei nasturzi, di quelli che si appendono ai cestelli sul muro.
— Morgot ha detto che voleva un vasetto di gerani rosa. Ha detto che Jemina Borddaughter ne avrebbe procurati un po’.
— Mettiamoli dall’altra parte dove non potranno essere sciupati dal resto della spesa — sospirò Stavia. La zona riservata ai fiori era sempre stata una spesa superflua rispetto a ciò che si poteva mangiare o conservare e tendeva a diventare sempre più bella di anno in anno. Morgot e Stavia di solito cercavano di posizionare le piante fiorite in modo che il giardino avesse un aspetto allegro e interessante. Ma quell’anno Morgot era preoccupata dal bambino di Myra e da altre questioni.
— Joshua, la mamma è preoccupata per qualcosa?
— Non più del solito, perché?
— Sembra… diversa.
L’uomo si interruppe prima di rispondere. — È turbata dal comportamento di Myra. Barten è l’ultima persona di cui avrebbe voluto che Myra s’infatuasse. Tuttavia ho detto a Morgot quello che ho appena ripetuto a te. Lascia che passino sei mesi e vedrai che si calmerà. Altre ragazze della sua età hanno avuto dei bambini, staranno tutte assieme e condivideranno le stesse esperienze: prima che ve ne possiate accorgere diventeranno delle dignitose matrone.
— Myra?
— Potrebbe succedere — Joshua si strinse nelle spalle poi divenne pallidissimo e si tenne il capo come se gli dolesse. — Maledizione!
— Joshua, cosa succede?
Lui rise senza convinzione. — Non si dovrebbero mai dire le bugie. Farlo fa venire l’emicrania.
— Vuoi dire che Myra…
— Penso… — ansimò — penso che anche tra vent’anni ci saranno poche possibilità che Myra si comporti diversamente da quanto fa adesso — disse stirandosi e massaggiando la pelle sotto gli occhi.
— Allora la mamma ha ragione. Myra dovrebbe andare a vivere da qualche altra parte.
— Tua madre è molto impaziente. Vorrebbe che tutto fosse già successo ieri.
— Myra è troppo giovane per avere un bambino.
— Le donne hanno avuto bambini all’età di Myra per tutta la storia dell’umanità — disse lasciando scivolare la mano e sbattendo le palpebre come per controllare se provava dolore. — Hai ragione, tuttavia. Myra era troppo giovane ma Barten si è gettato su di lei come un coyote su un agnello… ho la sensazione che qualcuno gli abbia suggerito di farlo. Era molto attaccato a Tally, poi di colpo…
— Stai bene?
— Sì, Stavvy, è solo una vertigine che mi prende quando penso troppo intensamente a qualcosa.
La strada curvava per poi inerpicarsi seguendo la dolce curva delle mura della città. Costeggiava le pareti scure delle case e si congiungeva con la piazza pubblica seguendo circonvolute rampe di scale. Dietro di loro, giù per la collina e attraverso il muro occidentale, la Strada delle Processioni correva sino alla spiaggia dove i battelli da pesca beccheggiavano a gruppi, ormeggiati ai moli disposti a zig zag. Il primo giorno d’estate l’intera popolazione, guidata dal Concilio, sfilava in parata dalla città sino alla costa implorando lo sguardo protettore della Signora perché accordasse la sua benevolenza alle oneste pescatrici, contadine e pastorelle. Queste conducevano delle capre con nastri infilati sulle corna mentre le contadine suonavano i campanelli dai loro carri.
Dalla cima della collina una strada lunga e dritta scendeva verso la piazza mentre la guarnigione si trovava sulla sinistra. Proprio davanti c’erano le strade del mercato, un groviglio di strette viuzze che in estate erano affollate di negozi, baracche e bancarelle. Attraverso la piazza del mercato correva la Strada degli Itineranti che conduceva alle strade delle Tessitrici e delle Ricamatrici e verso la Porta Orientale, dove si trovavano i quartieri degli itineranti fuori dalle mura. In quel momento c’erano solo poche dozzine di persone che vivevano nel quartiere degli itineranti: un gruppo di anziani che si affidavano alla misericordia delle Signora, parte di una troupe di acrobati che si era accampata vicino a Marthatown in modo che le ragazze potessero frequentare la scuola del Paese delle Donne, dei carrettieri che si erano fermati alla bottega del fabbro e un rabdomante ingaggiato per trovare un buon pozzo per le allevatrici di anatre che vivevano in una valle isolata a cinque miglia a est dalla città. Si diceva che i servi che accudivano alle anatre puzzassero come il loro bestiame. In ogni caso la distanza da Marthatown era stata accuratamente calcolata per evitare la puzza anche quando il vento veniva da est. Il quartiere degli itineranti era sempre ricco di fascino, sebbene interdetto alle ragazze che, così si pensava, potevano essere tentate dall’idea di un viaggio romantico a lasciare la città per diventare delle vagabonde.
Sulla destra c’erano la Strada della Fattoria, che serpeggiava attraverso campi coltivati e foreste, i magazzini che le contadine usavano come abitazioni e il muro meridonale della città, fuori dal quale sorgevano caseifici e fattorie, tra recinti per le pecore e fienili disseminati per le terre che portavano alle concerie e in seguito ai pascoli e ai campi. Nel punto in cui le quattro strade si congiungevano, in cima alla collina, si trovava, proprio al centro di tutto, la Cappella della Signora davanti alla quale c’era la Fontana della Dolce Fine.
— Una gallina nuova — disse Stavia con entusiasmo aspergendo un po’ d’acqua dalla Fonte per la Signora e gettando una monetina per i poveri nella scatola fuori dalla Porta della Signora mentre mormorava — Cibo e riparo per coloro che non ne hanno, amen. — Poi aggiunse: — Una gallina grassa, possiamo?
— Ci saranno delle galline nuove, sì — scherzò Joshua. — Dobbiamo prendere anche un po’ di grano. E ci sono delle verdure fresche alla bancarella di Cheviot. Possiede quell’area protetta a sud di Rial’s Ridge. Ottiene la lattuga fresca due settimane prima di tutte le altre.
Stavia non gli chiese come lo sapesse. I servitori, alcuni di essi, quelli buoni, sapevano semplicemente le cose. Sapevano dell’arrivo di qualche visitatore prima che arrivasse, sapevano quando la gente aveva dei problemi, quando stava per accadere qualcosa. Questa facoltà che alcuni dei servitori possedevano, tuttavia, non veniva mai menzionata. Stavia una volta ne aveva parlato e Morgot l’aveva zittita in una maniera che le aveva fatto comprendere che l’argomento era tabù. I servitori di certo non amavano ostentarla. Alcune persone, Myra per esempio, non se ne accorgevano neppure, ma del resto Myra non faceva molta attenzione a nulla se non a lei e a Barten.
Gironzolarono tra negozi e bancarelle, fermandosi per prendere il pollo a una, e la lattuga a un’altra. Non c’era molta gente al negozio delle sementi, così terminarono prima del previsto. Joshua scosse la borsa con aria pensosa.
— Non c’è molta roba da comprare, vero? — Il servitore che aveva posto la domanda era un uomo panciuto con una piccola bocca molto mobile. — Non da quando hanno razionato la distribuzione.
— No, non molta — ammise Joshua.
— Ho sentito delle voci che dicono che il Concilio eseguirà un altro razionamento entro l’anno. Non per la guarnigione, naturalmente. Solo per noi; pensi che lo faranno davvero?
Joshua si strinse nelle spalle. Spesso i servitori delle donne che facevano parte del Concilio venivano interrogati su quello che stava accadendo ma, come membri della famiglia, erano incoraggiati a mostrarsi reticenti. — Non si può mai dire.
L’uomo si allontanò e Stavia sussurrò: — Se razionano la distribuzione delle sementi, la gente soffrirà la fame quest’inverno. Non possiamo vivere di frutta secca e pesce. E quali verdure potremo conservare se la fabbrica di vetro non produrrà altre giare?
— Così dice Morgot — convenne Joshua. — È la vecchia questione del potere, Stavia. Potrebbero fare più giare se avessero più energia. Visto che c’è solo un impianto idroelettrico è una questione di priorità: o si fabbrica il vetro per le finestre, per le giare, per le lenti, o si fabbricano medicine per guarire la gente, o acciaio per i coltelli da cucina o per un milione di altre cose. Facciamo tutto quello che possiamo con i mulini ad acqua.
— Forse il raccolto sarà migliore quest’anno.
— Anche questo è possibile.
— Avremo delle razioni in più visto che Myra ha avuto un bambino?
Joshua scosse il capo. — No, la nostra razione rimarrà uguale; Jerby se ne è andato e Myra è rimasta incinta lo stesso anno.
Non sembrava possibile che fosse passato un anno da quando Jerby se ne era andato da suo padre guerriero. Era venuto a casa a metà estate e Myra era rimasta incinta. Poi a metà dell’inverno, Jerby era tornato a casa di nuovo. E così Chernon le aveva chiesto di dargli degli altri libri perché quelli che aveva non erano quelli giusti, e lei doveva dargliene altri, perché già gliene aveva procurati molti. Non poteva rifiutarsi ma… Stavia scacciò quel pensiero. Poi era nato il piccolo Marcus ed era quasi venuto il momento del carnevale estivo.
— Myra non prenderà parte al carnevale questa volta, vero?
— Tu cosa ne pensi? — chiese lui.
Stavia sospirò. — Lo farà se Barten glielo chiede. Lei ha partecipato l’ultima volta, grossa come un melone. Mi sono sorpresa che lui abbia voluto passare il carnevale con lei. Visto che era incinta ho pensato che… be’, lo sai.
— Lo sai perché lo ha fatto?
La ragazzina scosse il capo. — No. Be’, forse. Forse voleva mostrare a tutti che poteva fare il padre.
— Potrebbe essere stato così — replicò Joshua, scuotendo la testa, dubbioso.
— Joshua, ogni coniglio può diventare padre!
— Lo sappiamo io e te, Stavvy, ma Barten può avere le idee confuse al riguardo. Forse ha pensato di dover provare qualcosa.
— Myra andrà al carnevale se lui la vorrà. Solo per impedire che se la spassi con qualcun’altra.
— Penso di sì.
— Non dovrebbe restare incinta un’altra volta così presto.
— E questo probabilmente è giusto — Joshua trovò una mela conservata dall’inverno. — Questa dovrebbe andar bene con il pollo, una salsa di mela.
— Se non potremo prendere gli gnocchi mi piacerebbe della purea.
— Ci sono rimaste delle patate ma siamo a corto di farina.
— Chi cucinerà quando io, tu e Morgot saremo via?
— Sylvia ha invitato Myra a trasferirsi con la sua famiglia.
— Povera Sylvia… Myra probabilmente non sarà una bella compagnia.
— No. Non direi.
— Joshua. Lo so che non dovrei chiederlo ma voglio veramente saperlo. È stato difficile tornare?
— Probabilmente la cosa più difficile che io abbia mai fatto — rispose lui. Vuoi che ci fermiamo alla sala da tè?
— Davvero possiamo? Ci sono rimasti dei buoni per il tè? Mi parlerai di quell’esperienza, non voglio insistere se non sono affari miei.
— Non penso che tu stia insistendo, Stavvy. No. Te ne parlerò se mi prometti di non ripeterlo a nessuno, salvo a Morgot, naturalmente. — Attraversarono la strada e imboccarono un vicolo sinuoso che terminava in una piccolissima piazza, protetta dal vento da grandi mura, nella quale si trovano dei tavoli. Si sedettero a uno di essi, posando il cestello e la borsa della spesa sopra una sedia vuota.
Quando fu loro portata la teiera fumante con un vassoio di dolcetti ripieni di marmellata, Joshua versò per entrambi e poi si protese sulla tavola, con le mani a coppa intorno alla tazza fumante. — Sono tornato, parzialmente a causa della guerra tra Annville e Abbyville.
— Non sapevo che ce ne fosse stata una.
— Non c’era ragione che lo sapessi. È stato venti anni fa. Avevo diciotto anni. Ero nella guarnigione di Abbyville ma ero troppo giovane per combattere, naturalmente, e quando le centurie marciarono io stavo in un canto a osservare… Avevo un amico tra i guerrieri. Si chiamava Cornus. Noi lo chiamavamo Corny. Un burlone, un pagliaccio. L’uomo più divertente che abbia mai conosciuto. Ci faceva ridere tutta la notte a volte. Mi sarebbe piaciuto avere la capacità di scrivere, solo per mettere sulla carta alcune delle sue battute.
“Be’, fu ucciso in battaglia. Seppi che era stato ferito nel momento in cui accadde, anche se mi trovavo a chilometri di distanza. Riuscii a sentire il suo dolore, mi accorsi del momento in cui morì perché il dolore terminò. Non me lo hai chiesto, Stavvy. Posso vedere che ti mordi le labbra. Morgot ti ha detto di non chiederlo, ma io te lo dirò lo stesso. È una qualità che abbiamo noi servitori. Noi lo chiamiamo Lunga-Sensazione o Lungo-Tempo. Non tutti ce l’hanno. Ma alcuni di noi sì.”
— Solo i servitori? — sussurrò. — Non i guerrieri?
— Mettila così. Io non so di nessuno che abbia… chiamala come vuoi… che stia nella guarnigione. Se gli ufficiali e i compagni si accorgono che ce l’hai, ed è difficile a volte non farlo notare, non lo gradiscono. Gli ufficiali non si fidano di coloro che ce l’hanno. Be’, in ogni caso, la morte di Cornus gravò su di me. Non avevo pensato di chiederlo prima, ma lo feci quando la guerra terminò. Perché avevano dichiarato guerra ad Annyville? E gli ufficiali mi risposero che la guarnigione di Abbyville era stata insultata, o forse era stata la città a esserlo o forse il monumento alla guarnigione.
— Insultata come?
— Non lo so. C’erano delle voci che dicevano che alcuni dei nostri guerrieri erano caduti in un’imboscata ed erano morti, ma non si sapeva niente di certo. Da quello che posso dirti nessuna delle donne fu mai in pericolo. Abbyville non era in pericolo e neppure Annville. Ma noi andammo alla guerra e una gran parte della guarnigione fu uccisa.
— E questo ti convinse a tornare?
— No, non solo questo; sai, nella guarnigione spendi circa un quarto del tempo a esercitarti e ad addestrarti per la battaglia, poi un poco di tempo viene impiegato per la manutenzione dell’equipaggiamento e dei campi di addestramento, ma molte ore le passi a partecipare alle competizioni. Ad Abbyville non si giocava a palla-corpo, come qui. Palla-battaglia la chiamavano. Ogni centuria ha una squadra che affronta le altre. Poi le centurie vincenti si affrontano nel secondo turno. Ci sono dodici uomini a squadra e porte a ogni limitare di campo. Lo scopo del gioco è tirare la palla dentro la porta superando le guardie avversarie e segnare un punto.
— Più o meno so di cosa si tratta.
— Be’ è una specie di guerra. La gente di solito non viene uccisa giocando a palla-battaglia ma viene ferita e la squadra vincente ha diritto a ogni tipo di onore e riconoscimento. Lasciatelo dire, se sei un buon giocatore di palla-battaglia e scoppia una guerra il tuo comandante può decidere di metterti nelle retrovie o trovarti qualcosa da fare di completamente differente dal combattimento. Nessun comandante vuole che i suoi giocatori migliori vengano feriti o uccisi. Alla fine dell’anno, quando rimangono due squadre, non c’è un uomo nella guarnigione che non vesta i colori dell’una o dell’altra. Ci sono bevute e risse. È proprio come una guerra, solo che gli uomini vi prestano più attenzione. Voglio dire, non è che la guerra ci sia continuamente mentre ci sono dei campionati di palla-battaglia tutti gli anni.
— Tu giocavi?
— Giocare? Diavolo, Stavia, io ero una star in porta. Ero così bravo che il mio comandante mi aveva assegnato come porta ordini solo per evitare che mi facessi male durante le esercitazioni. Ero così bravo proprio perché ero in grado di capire cosa stava per fare ciascun giocatore e da dove sarebbe arrivata la palla. Lo sapevo…
Lei lo guardò cercando di capire.
— Vedi, Stavia, quando tutte le gare terminavano, niente era cambiato. Se la mia squadra vinceva o perdeva ci sarebbero stati vantaggi o svantaggi è vero. Se vincevo avevo nastri da indossare e tutti bevevano con me e ci ubriacavamo insieme. Se perdevo nessuno brindava a me ma erano tutti comunque ubriachi. In ogni caso non cambiava niente. Il sole sorgeva il giorno dopo, come sempre; il fiume continuava a scorrere. La pioggia cadeva come al solito; la notte calava, le stelle brillavano, gli uomini andavano all’armeria, le donne andavano agli appuntamenti d’amore, i bambini nascevano e i ragazzi andavano dai loro padri guerrieri e niente cambiava. Corny era morto e nulla era cambiato. Oh, certo ebbe un funerale da eroe. Diedero a un ragazzo le sue insegne da portare quando la centuria sfilò in parata; i tamburi rullarono e la gente pianse, ma lui era morto. Non fu sino a quando mi misero di servizio come portaordini che mi resi conto di tutto, ma una volta che compresi la verità decisi di tornare al Paese delle Donne.
— Ti hanno insultato?
— Oh, sì, lo fecero. Mi insultarono e qualcuno mi tirò anche delle pietre ma io continuai sulla mia strada. Poi, dopo che fui tornato, vagabondai per circa un mese mentre le donne mi osservavano per vedere se sarei stato in grado di reggere. Mi dissero che c’era una possibilità qui e scelsi Marthatown.
— E hai cominciato a studiare?
— Giusto. Comincia dall’inizio, mi dissero. Nella scuola dei servitori. Tutti i guerrieri imparano a leggere, a scrivere, a cantare e un po’ a far di conto. I servitori devono iniziare daccapo. Tuttavia per noi è un poco più facile che per voi donne. Visto che abbiamo iniziato in ritardo ci è consentito di specializzarci.
— E tu ti sei specializzato in medicina.
— Dovevo imparare qualcosa che avrebbe potuto servire a cambiare le cose. Divenni assistente infermiere e incontrai Morgot; così finii per entrare nella sua casa. A causa di Corny.
— Quelli che ritornano non possono imparare un’attività artigianale, vero? O un’arte?
— Oh, possiamo se ne abbiamo voglia; un’arte l’abbiamo: quella dei misteri. — assunse un’espressione comica.
— Non ne ho mai sentito parlare.
— Sono soprattutto i servitori a studiarla — sorrise lui. — Sebbene non solo loro; e, per favore, non ripetere quello che hai sentito. Non avrei dovuto dirtelo. — Tuttavia il suo sguardo le suggerì che lo aveva fatto solo per vedere cosa lei avrebbe detto o fatto.
Morgot, Joshua e Stavia partirono presto, la mattina successiva, sul carro trainato dai muli; i quattro animali tiravano con energia procedendo sulla strada che si dirigeva a est verso le colline. Joshua guidava il carro. Morgot stava in fondo alla carretta raggomitolata, con il capo appoggiato ai sacchi di provviste e gli occhi chiusi. Era rimasta sveglia quasi per tutta la notte con il piccolo Marcus, per cambiarlo e porgerlo a Myra che lo allattava. Ora giaceva nella branda del carro, che beccheggiava leggermente, raggomitolata per dormire, recuperando le troppe notti insonni. Stavia lesse finché gli occhi non le fecero male poi saltò sul sedile del carro osservando il panorama che cambiava attorno a loro. Le colline più vicine erano verdi, alcune brillanti a causa del grano che cominciava a maturare, altre punteggiate da piccole macchie scure come orsetti accovacciati. Dietro di esse le montagne boscose limitavano le valli, su fino al cielo striato a oriente da cumuli di nuvole. Il freddo vento dei giorni precedenti aveva lasciato spazio al calore; fiori selvatici erano sbocciati lungo la strada, gialli, bianchi e oro. Stavia si drizzò osservando il panorama circostante.
— Quanto siamo lontani?
— Due giorni di viaggio. Siamo quasi a metà strada per arrivare a Susantown.
— Cosa c’è, a metà strada?
— Un albergo per i viaggiatori. È a metà strada anche tra Abbyville e Mollyburg. Una specie di crocevia.
— Incontreremo qualcuno?
— Morgot deve incontrare qualcuno — disse lui a bassa voce. — Deve discutere un accordo commerciale. Rifornimenti di grano, credo.
— È molto preoccupata per il razionamento. Immagino che l’anno scorso il raccolto non sia stato buono.
— Be’, in realtà è stato uguale al solito.
— E allora perché razionarlo?
— Perché siamo di più. Sono nati più di duecento bambini a Marthatown l’anno scorso e altrettanti quello prima.
— Quelli che sono morti dovrebbero aver riequilibrato il numero…
— Non è morta molta gente, non ci sono state malattie contagiose quest’anno. Nessuna incursione o battaglia.
— Cosa ha intenzione di fare Morgot?
— Credo che voglia trattare uno scambio tra il pesce secco di Marthatown e il grano prodotto all’interno del paese.
La strada cominciava a salire verso le colline. Morgot prese la guida mentre Joshua e Stavia camminavano a fianco del carro per evitare che gli animali si stancassero. Non lontano dalla strada, sulle colline, una squadra adibita al rimboschimento stava lavorando in una radura, deponendo alberelli fronzuti dentro alcune buche che poi venivano ricoperte di terra. Morgot salutò la squadra al lavoro, poi scese a ispezionare il terreno soffice che ospitava i nuovi alberi che spuntavano tra le nodose radici di quelli vecchi. Al limitare della radura qualcosa si mosse, scivolando via simile a una macchia chiara.
— Un cervo? — chiese Morgot incredula.
— Ne abbiamo visti diversi — le disse la caposquadra.
— Pensavo che il programma di ripopolamento fosse stato realizzato molto più a nord.
— Sì, Morgot. Ma è stato dodici anni fa.
— È già passato tanto tempo…?
— Potrebbero essere cervi selvatici. Sopravvissuti da prima delle Convulsioni.
Stavia stava ancora osservando il punto dove la cosa era scomparsa nella foresta. Si era trattato di un animale di incredibile grazia e velocità. Un cervo. Ne aveva visti nelle illustrazioni, naturalmente, ma non se ne vedevano allo stato brado da generazioni. Dopo le Convulsioni, erano stati rinvenuti alcuni esemplari di cervo provenienti da un parco, o forse da uno zoo, a nord. Era stato realizzato un programma di ripopolamento che prevedeva che ogni anno ne fossero lasciati allo stato brado alcuni capi. Stavia lo sapeva, ma vederne uno dal vero era un avvenimento eccezionale! Erano molto diversi dalle pecore e dalle capre, e anche dalle renne del libro di Beneda.
Proseguirono sino alle prime colline. Qualcosa di strano al limitare del paesaggio attirò l’attenzione di Stavia. A sud della loro posizione si estendeva un territorio dove non vi erano campi o boschi, questi avevano lasciato spazio a un tappeto di colore nero e grigio che si estendeva verso sud e verso est, perdendosi in lontananza. — Guardate! Cosa è?
— Una devastazione del freddo — osservò Morgot dal retro del carro, sedendosi per guardare meglio. — Non ne avevi mai vista una prima, vero? Ce ne sono poche qui e intorno al Paese delle Donne, ma se si va verso sud, oltre i pascoli di Emmaburg, è impossibile attraversare il territorio a causa delle devastazioni. A sud e a est tutta la terra ha un aspetto simile a quello. L’intero continente è andato distrutto. Guarda, usa il mio binocolo.
Stavia puntò il prezioso binocolo spostando gli occhi sulla distesa grigia dall’aspetto canceroso. — Ma là non ci cresce niente. — La terra sembrava disseccata; persino le pietre parevano fuse e contorte.
— Assolutamente nulla — convenne Morgot. — Ricordi la battuta di Cassandra in Ifigenia a Troia: “Ho visto la terra devastata e bruciata a brandelli e la desolazione nata dai nobili grembi”, be’, quello è uno dei posti di cui parlava.
— È pericoloso?
Morgot agitò la mano davanti a sé. — Molto caldo. Non per il fuoco ma per le radiazioni; se ti avventurassi in quella zona pochi giorni dopo ti cadrebbero tutti i capelli e moriresti. Comunque una desolazione di quel tipo non è pericolosa come altre, almeno puoi vederla. Ne esistono alcune che non sono così evidenti. Rocce e piante hanno un aspetto normale, ma la zona è ugualmente letale. Ne esiste una così a sud di Marthatown. Le chiamano desolazioni mascherate.
— Come si fa a capire che c’è una desolazione mascherata?
— Abbiamo ancora alcuni rilevatori di radiazioni risalenti a prima delle Convulsioni. Quando parte una squadra di esplorazione ne porta sempre uno con sé. O comunque si fornisce di una buona mappa.
— Una desolazione — ripeté Stavia osservando la roccia scura e nuda che si estendeva in tre direzioni. — Come hanno fatto a provocare un disastro simile?
— Con le loro armi micidiali. Lo sai.
— Sì. Immagino che dovrei saperlo.
Quella notte si accamparono in una radura di eucalipti. L’aria era profumata dall’aroma delle foglie medicamentose. Le capre erano legate in un Campetto e il carro seminascosto sotto le fronde.
— Non accendiamo il fuoco — disse Morgot. — Ci sono stati degli attacchi di zingari lungo la strada e non voglio attirare la loro attenzione con il bagliore del bivacco.
— Cosa vogliono?
Morgot si interruppe prima di rispondere come se volesse scegliere bene le parole. — Oh, di solito stuprare e rubare, razziare carri e animali, prendere del cibo e a volte uccidere.
— Da dove vengono?
— Per la maggior parte dalle guarnigioni. Uomini che non vogliono tornare nel Paese delle Donne perché è considerata una cosa disonorevole, ma che non sono abbastanza forti da sopportare la disciplina militare. Se la prendono con tutti, ma in particolare con le donne. Si sentono in colpa per aver lasciato le guarnigioni e questo li rende ancora più pericolosi. Si uniscono in gruppi, con qualche zingara e creano una banda.
— Perché non abbiamo portato con noi una scorta di guerrieri? — Stavia osservò i volti dei suoi compagni di viaggio alla luce del bivacco. Sembravano non averla sentita. — Morgot?
— Non ti preocupare per questo, Stavia. Sono sicura che andrà tutto bene.
Stavia invece era sicura che non avrebbe dormito, ma quando riaprì gli occhi era mattina. Joshua stava preparando il tè. — In piedi, ragazzina. Sorveglia le bestie al ruscello in modo che non abbiano la pancia piena di acqua fredda quando partiamo.
Morgot stava seduta sul ciglio del torrente; sembrava un poco più vecchia di Stavia. Aveva la pelle luminosa come avorio mentre raccoglieva l’acqua con un vecchio straccio, bagnandosi. — Bene, figlia mia — disse in tono di approvazione. — Partiremo presto così arriveremo al Riposo del Viaggiatore prima di sera.
Fecero colazione in fretta poi spensero il fuoco e partirono. Guardandosi indietro Stavia poteva vedere il fumo del loro bivacco che stillava dalla radura come una nebbia; in fondo alla valle saliva al cielo un’altra nebbiosa piuma di fumo. Zingari? Una banda di minatori itineranti? O una troupe di attori? Sia Morgot che Joshua osservarono il fumo senza fare commenti.
Attraversarono a lungo le colline nude in salita. A sera arrivarono presso una radura molto simile a quella dove si erano accampati la notte precedente. Dagli alti alberi secchi che circondavano la radura rami e foglie pendevano come un sipario aromatico. In quella radura, tuttavia, c’era un edificio lungo e basso costruito per metà in pietra e per metà in travi di legno, con il tetto spiovente e un grosso portale. Fuori dal muro di cinta c’era una mezza dozzina di carri: un paio di essi erano dipinti vivacemente, appartenevano a gente di spettacolo, poi vi erano tre carri ornati con frammenti di metallo e lingotti tratti dalle miniere e dalle cave della montagna, e infine un carro simile al loro.
Sopra la porta c’era una insegna: IL RIPOSO DEL VIAGGIATORE. La porta si apriva su un cortile che ospitava le stalle. Una porta introduceva in una stanza comune con il pavimento di assi, pregna dell’ odore del cibo. Due donne sino a quel momento in attesa dall’altra parte della stanza, vennero da Morgot, salutandola con uno sguardo severo. Riservarono una rapida occhiata a Stavia.
— Mia figlia — annunciò Morgot. — E questi è Joshua. Mi accompagnano nel viaggio.
Le donne assentirono, presentandosi. — Melanie Hagnessdaughter Triptor Susantown, Jessica Hagnessdaughter Triptor Susantown. Sorelle di Susantown. Abbiamo ordinato la zuppa. Volete unirvi a noi?
Joshua si scusò dicendo che doveva andare a staccare i muli e metterli nella stalla. Disse che avrebbe cenato nelle stanze dei servitori. Stavia era indecisa. Avrebbe potuto andare con lui o rimanere, scelse questa soluzione ma in seguito se ne pentì. La conversazione riguardò principalmente il commercio, il raccolto, lo scambio del pesce secco e delle radici. Quegli argomenti potevano essere interessanti, ma non se ne parlava per tutta la sera. Una volta che si fu saziata, Stavia si rannicchiò in un angolo vicino al fuoco astraendosi dalle loro conversazioni che le arrivavano intermittenti.
— … potremmo fare in modo che fosse ridotto di un terzo almeno — udì dire Morgot.
— D’accordo — disse una delle sorelle.
— Manderemo i nostri agenti.
— E noi i nostri.
— Fatelo. Grazie, sorelle.
Poi Mogort venne a scuoterla. — Andiamo, Stavia. È ora di andare a letto.
Sembrava così stanca, pensò Stavia, così stanca. Quando furono fianco a fianco nei loro letti al piano di sopra, posò confortevolmente il suo braccio su quello di Morgot che le mormorò una risposta.
— Dormi bene, Stavvy.
— Dormi bene, Morgot.
Tornarono per un’altra strada. A mezzogiorno circa Joshua fermò i muli e si sedette come per mettersi in ascolto, grattandosi la fronte con l’incavo tra l’indice e il pollice.
— Cosa c’è? — chiese Morgot.
— È successo qualcosa. Qualcosa è cambiato. Qualcuno ha percorso questa strada…
— Possiamo tornare indietro.
— No, non credo — aizzò i muli e questi si rimisero nuovamente in marcia. Verso sera, quando venne nuovamente il momento di stabilire il campo Joshua si protese nel carro e disse a bassa voce: — Morgot!
— Mm.
— Penso che ci siano dei problemi.
— Pensavo che avessi detto che questa strada era sicura.
— Lo credevo anch’io. Forse questa mattina qualcuno aveva deciso di prendere un’altra strada ma in seguito ci ha ripensato ed è tornato da questa parte… Non lo so. Non posso sentirli sinché non decidono di passare all’azione. A volte le cose cambiano. Non c’è stato molto movimento lungo il bosco nelle ultime due miglia. Nessun uccello, solo un silenzio innaturale.
— Oh, Signora!
— Be’, staremo a vedere cosa succede, vero?
— Cosa pensi?
Lui chiuse gli occhi con la fronte aggrottata, come se si stesse concentrando. — Direi che siano una mezza dozzina. Non di più.
— Cosa possono volere?
— Cosa state dicendo voi due? — chiese Stavia — Chi ha deciso di fare cosa? Stiamo per essere attaccati?
— Probabilmente, sì. Stiamo discutendo se sia più opportuno scappare e sperare che non ci inseguano o accamparci e vedere cosa vogliono. Così potremmo fornirgli un’esca.
— Offrirgli un’esca? — la voce di Stavia tremava come un topolino spaventato.
— Direi che dipende da Stavia, non è vero? — disse Joshua.
Mogrot assentì: — Stavvy, voglio che tu mi prometta una cosa.
Stavia deglutì tremante, era in uno di quei momenti in cui l’attrice Stavia prendeva il controllo della Stavia di tutti i giorni. E stava per dire qualcosa di pericolosamente imprudente. Le promesse venivano fatte solo in occasioni molto importanti; non erano roba da tutti i giorni. — Perché? Cosa? — chiese.
— Qualunque cosa accada non dovrai mai farne parola.
— Non hai bisogno che te lo prometta. Se non vuoi che dica nulla non lo farò.
— No, non è abbastanza. Voglio la tua promessa.
Rabbrividì. Poi l’attrice Stavia disse con calma: — Oh, va bene, Morgot. Lo giuro sulla mia appartenenza al Paese delle Donne. Non ho alcuna idea di quello che sta per succedere.
— Forse è meglio così — assentì Morgot. — Gli tendiamo una trappola, Joshua; e speriamo di aver giudicato bene che non sono più di sei.
Guidarono i muli in una fitta macchia di alberi e Stavia osservò con stupore Joshua che apriva un pannello sul lato del carro e ne traeva diverse lunghezze di catena. Con questa, impastoiarono i muli al carro e questo a un albero, stringendo il legami con molti giri di corda pesante.
— Potrebbero tentare di liberare gli animali durante la notte — spiegò — o di portarsi via il carro. Così non possono farlo; non ne potranno staccare neanche uno e scapparsene via.
Allora Morgot predispose attorno al carro diverse piccole pire. Ne preparò cinque con la legna che fece raccogliere a Stavia, che impilò tutt’intorno al bivacco. Quando ebbe terminato, cosparse ogni pira con una polvere speciale e tracciò una miccia che arrivava sino al carro. La polvere aveva l’odore penetrante dei fuochi artificiali.
— Ora mangiamo — disse Joshua, accendendo un piccolo fuoco a una certa distanza dagli altri. — Prenderemo il tè, mangeremo la zuppa e distenderemo le coperte qua, in piena vista. Non appena farà buio torneremo vicino al carro. Capito?
— Stavia, sali su un albero — ordinò Morgot. — Ho sparso la polvere dappertutto.
Stavia spalancò la bocca per protestare, poi la richiuse nuovamente. Protestare era inutile. Non sapeva contro cosa protestare. Stavano succedendo troppe cose delle quali non comprendeva il significato.
E neppure le era venuta in mente un’idea migliore quando l’oscurità calò come un sipario e lei si ritrovò rannicchiata su un grosso ramo a diversi metri dal carro, avvolta in una coperta che la proteggeva dai rami appuntiti.
— Non dire una parola — le aveva raccomandato Morgot. — Non emettere un suono. Se senti male, soffri in silenzio e non far rumore.
Riusciva a sentire solo una conversazione sussurrata, un borbottio di persone che si preparano al sonno. Niente di interessante. Oscurità. Sconfortante. Un cielo pieno di stelle. Da qualche parte qualcosa si muoveva nel sottobosco.
Stavia era carica di tensione.
Poi venne il richiamo di un uccello, forse un segnale. Non di Joshua. Non di Morgot. Poi vide alcune persone che si muovevano verso il carro.
Un grido. Lo sfavillare di una luce, che si sprigionava in diverse direzioni come un fuoco d’artificio e fiamme che divamparono dalle cataste che Morgot aveva predisposto. Stavia vide della gente sotto di sé, figure che si agitavano con frenesia vicino ai muli, nei pressi del carro, e numerosi altri sconosciuti che giravano in circolo, presi di sorpresa. Uno di essi tentò di girare il capo ma fu decapitato e la sua testa rotolò lungo la collina. Un arco argentato sfavillò nel punto ove si era trovato il suo capo. La sagoma circolare scomparve. Stavia aprì la bocca per urlare poi decise di mordersi a sangue la lingua.
Qualcun altro urlò poi rimase immobile a guardare il punto dove un tempo c’era stato il suo braccio. Si era avventato verso il punto dove avrebbe dovuto esserci il giaciglio di Morgot protendendo una mano che ora non era più al suo posto. Altre grida, urla di dolore, qualcosa che volteggiava simile a un piatto d’argento. Stavia non riuscì a impedirsi di emettere un gemito.
Sotto di lei, qualcuno alzò lo sguardo, la vide, sogghignò con i denti marci e cominciò ad arrampicarsi sull’albero. Nuovamente il disco d’argento sfavillò alla luce del fuoco e lo tagliò in due.
Poi calò una grande silenzio. Si udiva solo il crepitare dei fuochi. Una brezza leggera tra le fronde degli alberi. Johsua si trovava accanto al carro, impegnato a infilare qualcosa sotto il fondo. Una manopola alla cui estremità c’era una catena con una lama ricurva all’estremità. Morgot gliene porse una simile poi prese un paio di tenaglie con l’impugnatura di legno e cominciò a togliere le pastoie ai muli.
— Peccato — disse Morgot. — Ahimè, questo è il destino dei figli dei guerrieri. — La sua voce era pacata, senza intonazione, priva di emozioni, eppure vi era una nota di stanchezza come quando tornava da una lunga seduta del Concilio o quando Stavia la svegliava nel mezzo della notte, chiedendo una tazza di tè fumante. — Stavia, puoi scendere adesso.
— Sto scendendo.
— Vai direttamente nel carro, figlia mia. Non voglio che tu veda tutto questo orrore.
— Quanti… quanti erano?
— Joshua?
— Ne ho contati sette. Penso che uno sia riuscito a scappare — la sua voce aveva un’intonazione irritata e depressa.
— Raccolgo le coperte — Morgot si aggirò per il campo scavalcando le sagome deformi che le intralciavano il passo. Tornò dopo pochi attimi. — Dovremo lavarle, Josh. Guarda la spalla di quello.
L’uomo obbedì chinandosi sul cadavere. — Un tatuaggio di Melissaville — disse. — Quello laggiù ha il marchio di Mollyburg.
— Io ne ho visto uno di Annville e uno di Tabitahtown; penso che gli altri fossero zingari.
— Sembra quasi che fossero stati indirizzati da queste parti, vero? — chiese Joshua. — Presi un po’ di qui e un po’ di là.
— Cosa ne pensi?
— Penso che quello che è scappato avese il marchio di Marthatown. Oltre a questo non ho molto da dire. Strano. Non capisco. Non ho ancora un’idea precisa.
— Qualcuno potrebbe venire a cercarli.
Joshua sospirò. — Ricordo che ci deve essere un burrone a circa un paio di chilometri.
Anche Morgot sospirò. — Stavia, va’ a metterti vicino a quella roccia. Stendi la tua coperta e restaci finché non ti chiamo.
— Mamma, cosa…?
— Ricordati la promessa, Stavia.
— Ho promesso di non parlarne in seguito.
— Adesso è “in seguito”. Non dire un parola.
Stavia tornò a mordersi la lingua già martoriata. Non le avrebbero spiegato nulla. Non avrebbero detto nulla. Avrebbero lasciato le cose come stavano. Entrò nel carro. Una delle tavole che costituivano le brande dentro di esso era fuori posto. Le sferrò un calcio per rimetterla a posto. Sotto c’era qualcosa. Chiaramente era una specie di arma. Armi. Ma Joshua non era un guerriero. E Morgot…
E lei aveva promesso di non fare domande.
Alzò lo sguardo scoprendo gli occhi luminosi di Joshua che la fissavano, con un’espressione di ammonimento.
Prese le sue coperte e si diresse alla roccia che Morgot le aveva indicato distendendovisi accanto, completamente sveglia, mentre Morgot e Joshua raccoglievano ciò che rimaneva nel carro. Dopo un poco, Joshua si diresse verso oriente, borbottando tra i denti rivolto alla luna. Morgot accese le lanterne e girovagò attorno all’accampamento con una piccola spegnendo ciò che rimaneva dei fuochi salvo uno, cancellando tutte le impronte, gettando terra sopra le macchie di sangue rimaste sul terreno, che poi spazzava con arbusti prima di ricoprirlo con pezzi di legno e pietre. Dopo un poco si avvicinò a Stavia, si sdraiò a sua volta e si addormentò.
Poco dopo l’alba, Joshua tornò al carro vuoto. Morgot e Stavia lo raggiunsero e si prepararono a partire.
— Pensi che arriveremo a casa prima di cena? — chiese Stavia mentre ripiegava le coperte macchiate di sangue in una pila ordinata sul retro del carro, badando di non incontrare direttamente lo sguardo né della madre né di Joshua. Chiunque o qualunque cosa fosse in realtà quell’uomo.
Tutto quello che riusciva a ricordare erano le parole di Myra: “Bell’aiuto sarà, è solo un servo!”.
Durante il carnevale estivo, quando Stavia ebbe compiuto i dodici anni, venne un nuovo mago particolarmente abile da Tabithatown. Furono rappresentati come al solito due spettacoli al giorno nel teatro estivo, si svolsero le danze per le strade e i volgari festeggiamenti nelle taverne. Prima del carnevale Myra era andata al centro medico facendovi ritorno con un marchio rosso sulla fronte e un impianto sul braccio. Sembrava pallida e stanca ma era stranamente eccitata, o così almeno pensò Stavia, sebbene Morgot non avesse fatto commenti.
— La dottoressa ha detto che il mio equilibrio ormonale è stato sconvolto dalla nascita di Marcus — si lamentò la sorella maggiore con Stavia. — Quest’affare sul braccio dovrebbe riequilibrarmi.
— Sono molto efficaci — borbottò Morgot; — Sono contenta che la dottoressa Charlotte ci abbia pensato.
Stavia aveva udito a malapena i loro discorsi. Stava per iniziare il carnevale estivo e Chernon sarebbe venuto a casa.
— Stavia, dovresti procurarti qualche vestito nuovo — si lamentò Myra. — Dovrebbe proprio, Morgot. Ha dodici anni ma si veste come una bambina. Sottovesti e gonne dritte. Niente di carino.
— Stavia farà come vuole — disse Morgot. — Se si sente comoda così, non ci sono problemi.
Stavia non voleva dei vestiti nuovi; i suoi confortevoli pantaloni e la lunga camicia erano soffici dopo tanti lavaggi e vi si sentiva a suo agio come in una seconda pelle. Le camicie, di lino per l’estate, di lana o di pelle in inverno, erano confortevoli e ancora larghe. Non voleva essere diversa o indossare abiti differenti. Niente doveva cambiare o essere cambiato; Chernon stava per tornare a casa e se davvero lei gli piaceva gli sarebbe andata bene anche così.
Ma il Chernon che venne a casa per quel carnevale era un ragazzo stranamente timido e solitario. Era un Chernon con una voce più profonda, con la barba ancora rada sul volto, un Chernon che osservava Stavia con una nuova intensità, come se lei possedesse qualcosa che lui desiderava. Lo sentiva. Confidò a Beneda che l’insistenza dei suoi sguardi la faceva sentire a disagio.
— È perché presto avrà quindici anni — disse Beneda. — Mamma ha calcolato il tempo che gli manca.
Oh, Chernon. Quindici anni! Era il momento in cui avrebbe dovuto scegliere se diventare un guerriero o tornare nel Paese delle Donne. Cosa avrebbe scelto? Non ci aveva neppure pensato che stava per compiere quindici anni. Ora tutte le complicate giustificazioni che aveva fatto dentro di sé per aver infranto i comandamenti, tutte quelle complesse scuse erano diventate inutili. Come avrebbe potuto pensare di fornire dei libri a un guerriero? Quale giustificazione avrebbe trovato?
Ma il giovane non era ancora un guerriero. Non ancora. Aveva ancora tempo a disposizione per decidere se tornare a casa e lei doveva sfruttare quel tempo, per poco che fosse.
Avrebbe chiesto. Era Chernon, certo che avrebbe avuto delle richieste da porle. Doveva essere pronta per quel momento.
Avvenne solo al secondo giorno. — Nell’ultimo dei libri che mi hai dato c’è qualcosa che vorrei che tu mi spiegassi, Stavvy. Me lo sono scritto. — La sua voce era fredda e perentoria.
Lei deglutì, stringendo le mascelle sin quasi a farsi male. Non ci sarebbero stati rinvii, doveva accadere adesso. Il discorso che si era preparata fluì come una marea; se avesse aspettato un solo attimo, non sarebbe stata capace di pronunciare neppure una parola. — Non posso più darti i libri, Chernon.
Sul viso del giovane comparve un’espressione sorpresa, turbata quasi. In seguito pensò che si era trattato di un vero shock. Come se il giovane non l’avesse ritenuta capace di dire una cosa del genere. — Nessun… nessun libro?
— Stai per compiere i quindici anni. A quell’età si deve scegliere. Se scegli… se scegli una soluzione, scegli di rinunciare a tutti i libri. Se scegli l’altra, be’, potrai avere tutti i libri che desideri. Non voglio renderti difficile la decisione. — Si era preparata quel discorso, ripetendolo più volte; l’aveva pronunciato in maniera chiara e semplice, proprio come aveva avuto intenzione di fare.
E allora perché si sentiva così male?
Il suo volto. Era pallido. Poi divenne rosa, rosso e infine ancora bianco. Volse il capo. E infine disse: — Non sei gentile.
Lei rabbrividì. Come poteva dire che non era gentile? Sì, lei aveva infranto le regole per lui. Non era stato “gentile” da parte di Chernon pensare che avrebbe continuato a farlo. Doveva fare la sua scelta. — Chernon?
— Lasciami in pace. — Duro e offeso.
— Chernon. — Ferita e piena di orrore.
— Vattene a casa e lasciami solo! — In quel momento non osava neppure pensare a cosa avrebbe potuto dire Michael. In quel momento, non gli importava. Ciò che era accaduto non sarebbe mai dovuto accadere. Non gli piaceva.
La ragazzina era così paralizzata dallo stupore da non poter neppure discutere. Se ne andò. Le strade dei quartieri residenziali erano silenziose, separate dalle zone dove si svolgeva il carnevale da barricate e gruppi di donne anziane che sorvegliavano, ma la ragazzina udiva i rumori della musica e delle risa provenienti dalla collina. Era Chernon che non era “gentile”! Aveva forse pensato che, dato che aveva contravvenuto i comandamenti una volta per lui, lo avrebbe fatto per sempre? Non gli importava di ciò che sarebbe stato di lei?
Si trovava in cucina, raggomitolata su se stessa, quando arrivò Myra.
— Dov’è Morgot? — chiese la sorella.
— Di sopra — borbottò Stavia.
— Stavia, Barten dice che potrebbe scoppiare una guerra!
Stavia sussultò, versando il tè sul tavolo. Quella terribile parola per lei era priva di senso. — Guerra? Cosa vuoi dire con “guerra”?
— Con Susantown. La guarnigione di Susantown sta meditando di attaccarci.
— È ridicolo. Abbiamo un accordo di pace con Susantown.
— Ma la guarnigione pensa che quell’accordo sia un insulto o qualcosa del genere; la nostra guarnigione ha delle spie che hanno riferito queste notizie al comandante di Barten.
— Michael? Il Vicecomandante Michael? Il padre di Jerby?
— Stavia. Mi stai prestando attenzione? Sto dicendoti che potrebbe scoppiare una guerra.
Dal corridoio arrivò la voce di Morgot, calma e tranquillizzante. — Sì, anch’io ho sentito dire qualcosa del genere.
— Ma abbiamo un accordo con loro — ripeté Stavia, spiegando quanto le sembrasse priva di senso la notizia. — Un trattato!
— A volte succedono queste cose — disse Morgot con voce irritata. — Facciamo dei trattati, accordi, facciamo del nostro meglio ma per qualche motivo le cose vanno per il verso sbagliato. Immagino che il comandante abbia delle spie a Susantown?
— Barten ha detto che il suo centurione, Stephon, ne ha alcune.
— La maggior parte delle guarnigioni possiede un sistema di spionaggio. Be’, siamo contente di avere degli uomini valorosi che ci difendono. E noi siamo grate di ciò, vero Stavia?
Stavia assentì, accorgendosi a malapena di essersi mossa. Oh, sì, era grata del fatto che ci fossero dei guerrieri a difenderla. Davanti a lei, sul tavolo, dalla tazza di tè fumante, si era rovesciata una scia lunga e ricurva come una spada di liquido. Chernon. Guerra. Chernon era troppo giovane. Non lo avrebbero costretto a combattere. Non ancora. Mancavano dieci anni al momento in cui avrebbe dovuto combattere; o forse avrebbe scelto di tornare a casa…
— Quando pensano — stava chiedendo Morgot — che avverrà l’attacco?
— Nessuno lo sa con precisione. Nei prossimi mesi. Quando lo scopriranno marceranno direttamente contro Susantown. Prima che i guerrieri di Susantown possano venire qui a minacciarci.
— Molto saggio. I comandanti della guarnigione sono dei tattici eccellenti; in particolare Michael e Stephon. Be’, immagino che Barten non vedrà l’ora di entrare in azione.
— Perché…? Barten non andrà a combattere — disse incerta Myra. — Non è… non ha ancora venticinque anni.
Morgot ebbe un brusco cenno di assenso. — Oh, sì. Li ha compiuti il mese scorso; lo so perché abbiamo esaminato alcuni dei registri della guarnigione un paio di settimane fa e l’ho notato. C’erano più di cento ragazzi nati nell’anno in cui è nato Barten, troppi per una centuria sola, così alcuni di loro sono stati inseriti in quella dell’anno successivo. Alcuni dei ventiquattrenni ne hanno in realtà venticinque e possono partecipare alla battaglia. Nessuno presta molta attenzione a questi dati anagrafici, salvo che in caso di una guerra perché in quel caso, naturalmente, il Comandante richiama ogni uomo disponibile.
— Ma è troppo giovane — gemette Myra con voce spaventata.
— Myra, non mi stai a sentire. Di certo sai che non nascono esattamente cento nuovi ragazzi ogni anno. Una volta, ai tempi di mia madre, ci furono duecento bambini nello stesso anno così formarono due centurie. Barten ha venticinque anni anche se è inserito in una centuria di ventiquattrenni. Andiamo, adesso. Non vorrai rovinare la sua felicità con questi ragionamenti negativi. Devi scoprire da lui quale stemma dovrai tessergli da indossare in battaglia.
— Stemma?
— Non ti ha chiesto di cucirgli qualche indumento da indossare sulla corazza? Pensavo che tutti gli amanti lo facessero? Ah, bene, forse sono cambiate le cose da quando ero ragazza. Ricordo di averne cucito uno per Michael. Aveva uno stemma: tre vespe in campo d’oro. Per la velocità, capisci. E la resistenza — scosse il apo aggirandosi per la cucina.
— Devi chiedergli quale stemma vuole — disse Stavia, infrangendo il silenzio, interrompendo così la concentrazione dell’espressione di Myra, e ponendo fine al suo stesso dolore e alla sua preoccupazione.
— Non credo che si sia reso conto di dover andare con loro — disse Myra. — Naturalmente mi ha detto quanto lo desidera.
— Naturalmente! — Naturalmente.
— Devo trovare Barten. Dobbiamo incontrarci più tardi ma lo devo vedere adesso. Ora… — Se n’era già andata, quasi di corsa, con le mani che si agitavano davanti al viso come banderuole.
Stavia andò a cercare la madre. — Veramente hai cucito una camicia per Michael? — Non era questa la domanda che aveva avuto intenzione di porle. Non era neppure l’argomento di cui voleva parlare, ma ciò di cui voleva discutere era troppo personale, troppo pericoloso anche per essere semplicemente menzionato.
— Sì. Avevo diciassette anni e lui era il più bel giovane che avessi mai visto in vita mia. Aveva appena compiuto venticinque anni. Mi disse che mi amava e che io ero la delizia del suo cuore.
— Michael ha detto veramente così? — chiese Stavia incredula.
Morgot rise. — Certo. Naturalmente, era più giovane allora. Più portato agli eccessi di romanticismo.
— È lui il padre di Myra?
— Oh no, cara, no. Non concepii Myra che un paio d’anni più tardi e non fu Michael suo padre.
— Chi era allora?
— Stavia!
— Scusami.
— Sei curiosa, lo so. Comunque, non consideriamo buona educazione discutere l’identità dei padri, Stavvy. Non ha rilevanza nel Paese delle Donne. Lo sai. Non chiediamo. È stato deciso molto, molto tempo fa che per il Paese delle Donne sarebbe stato molto più opportuno non parlarne. Chi è il padre biologico di Myra non ha importanza, a meno che lei non abbia una relazione con un guerriero che è troppo strettamente imparentato con lei. Se accadesse, naturalmente glielo direi. — Le parole di Morgot sembravano a loro volta quelle di una donna che aveva preparato e pianificato il discorso e Stavia si rese conto che era proprio così, che quello era un discorso che si era preparata a dire se non a Stavia almeno a Myra. — O, se non lo facessi io, lo farebbe la donna che si occupa degli appuntamenti. Teniamo dei registri.
— Myra è andata a cercare Barten. — Ma lei, Stavia, non avrebbe potuto andare a cercare Chernon perché il ragazzo le aveva detto di lasciarlo da solo… Non lo avrebbe detto se avesse fatto quello che le aveva chiesto, se gli avesse portato dei nuovi libri. Sarebbe stato carino se lei avesse fatto tutto quello che lui le aveva chiesto.
— Be’, naturalmente Myra è andata a cercare Barten. Vorrà passare ogni attimo disponibile con lui. — Improvvisamente la voce di Morgot era diventata strana, poi tacque come se fosse calato un muro tra di loro.
Myra impiegò le ultime due notti del carnevale per cucire una camicia per Barten. Vi aveva ricamato uno stemma con due alberi verdi in cima a una montagna; simboleggiavano la foresta, asserì Myra. Dove non esisteva il Paese delle Donne, sebbene, con un tatto che le era inusuale, non lo dicesse.
Quattro giorni dopo il carnevale, Stavia andò al muro sperando di vedere Chernon; sperando di sentire da lui che non aveva avuto intenzione di dirle quelle parole, ma non riuscì a trovarlo.
Chernon trascorreva molto tempo al campo degli Zingari con Michael e Stephon, bighellonando con loro quando sedevano attorno al fuoco di un bivacco, pronto a correre da Jik per prendere un’altra pinta di birra o ad accendere la pipa di salice, ascoltandoli mentre facevano piani per la possibile battaglia contro Susantown e ascoltando la loro opinione sulle donne.
— Lasciala marcire un poco nel suo brodo — gli raccomandò Michael. — Tornerà sulla sua decisione. Comportati come se fossi ferito od offeso e nessuna donna potrà resisterti. Tutte le donne sono pronte a credere che è stata colpa loro se glielo fai credere. Dovrà tornare da te, vedrai…
Era tardi e il fuoco era ridotto a poche braci e i visi degli uomini sfavillavano rossi, illuminati da una luce tenue; la birra aveva sciolto loro la lingua ed erano poco propensi a muoversi. Mentre tornavano lentamente alla guarnigione, Michael fu salutato da qualcuno all’ingresso del campo, un uomo dal viso cadaverico con una cicatrice prodotta da un colpo di spada che scendeva dallo zigomo alla mascella. Chernon non lo aveva mai visto prima ma l’uomo salutò Michael e Stephon come se li conoscesse molto bene.
— Besset — borbottò Stephon — ci stavamo domandando dove fossi finito.
— Per poco non ci rimanevo — si lamentò l’uomo, sedendosi accanto a loro mentre lanciava a Chernon un’occhiata interrogativa.
— Lui è Chernon — gli spiegò Michael — un ragazzo molto in gamba, Chernon. Sa che i Comandanti devono ottenere informazioni, puoi dire quello che sai; è un ragazzo a posto. Perché dici che per poco non ci rimanevi? — Gli offrì una pinta di birra quasi vuota e un boccale.
L’uomo che avevano chiamato Besset bevve a lungo, sospirò, si asciugò la bocca con l’avambraccio. — Dopo la morte che mi hai organizzato mi sono unito al gruppo di zingari come avevamo deciso.
— Diavolo, Besset, sono passati due anni da quando abbiamo messo in giro la voce che eri morto.
— Be’, non sono stato lontano da qui. La banda cui mi ero unita ha girato parecchio. Siamo andati a Tabithatown e da là fino alla costa da dove abbiamo tagliato per Annville. Abbiamo reclutato un uomo qui e uno là. Più della metà dei vagabondi che si sono uniti al gruppo venivano dalle guarnigioni, sai? Alcuni di loro avevano disertato e altri erano come me, rimanevano in contatto con i loro comandanti per far saper loro cosa succede in giro, cercavano di sapere cosa sapessi io e io facevo altrettanto con loro.
— E cosa hai scoperto? — domandò Stephon annoiato. — Non molto, a quanto sembra.
— Non molto — asserì Besset — ma abbastanza. Quasi tutti gli uomini con cui ho parlato dicevano le stesse cose. Tutti sono convinti che le donne abbiano un segreto e non vogliano rivelarlo. Molti pensano che si tratti di qualcosa di religioso. Come la Fratellanza dell’Ariete, sai? Una congrega di donne.
— Non parliamo della Fratellanza dell’ Ariete, Besset. Chernon può essere in gamba ma non è ancora un guerriero.
— Stavo facendo solo un paragone.
— Non farlo.
— Molto bene. È solo quello che ho sentito da alcuni di loro, comunque. Qualcuno parla di prendere possesso del Paese delle Donne ma nessuno lo fa veramente. A Nord, verso Abbyville, non ne parlano neppure per colpa di quello che è successo l’altra volta.
— Davvero? Dove sei stato?
— Be’, ci siamo mossi verso est per un poco ma era quasi la stessa cosa.
— Non mi sembra che tu abbia mangiato molto bene negli ultimi anni — osservò Michael.
— Non eravamo proprio i benvenuti nelle città degli itineranti, sai? Sulla strada prendevamo quello che potevamo, non quello che ci davano. Abbiamo messo a segno un paio di buoni colpi, impadronendoci della famiglia di un carrettiere. Poi lui cercò di scappare e lei morì, e una notte i ragazzi sono scappati con gli animali.
— E poi? — disse Michael con impazienza.
— Adesso te lo racconto. Ci trovavamo a est di qui. È stato un po’ di tempo fa, prima del carnevale di Marthatown. Vedemmo un carro diretto alla città. Pensammo che fosse una famiglia di carrettieri. Un uomo, una donna e una ragazzina.
— Sì.
— Noi eravamo sette, così Chellar, un tipo di Melissaville che aveva il comando, Chellar decise che potevamo divertirci un poco con la donna e la bambina, poi prendere gli animali e venderli al mercato dei muli di Mollyburg. Li abbiamo seguiti sino alla sera poi abbiamo aspettato per un poco che si accampassero. — L’uomo chiamato Besset bevve a lungo dal suo boccale lasciando che la spuma formasse un anello bianco intorno alle labbra sporche.
— Non hai visto di chi si trattava?
— No, solo che una di loro era una donna. L’abbiamo sentita parlare ma era troppo scuro per distinguere qualcosa. Poi ci siamo avventati sul campo o forse dovrei dire che gli altri lo fecero perché io mi tenni indietro; pensavo che, se era davvero gente di qui poteva riconoscermi, sai?
— Quale differenza avrebbe fatto? — chiese Stephon con un tono interessato. — Non avevate intenzione di lasciarli in vita, vero?
Chernon divenne rosso senza che gli altri se ne accorgessero; parlavano di omicidio. E Michael non stava mostrando nessuno stupore.
— Immagino di non averci pensato, per dire la verità. Be’, allora gli altri si avventano sul campo e improvvisamente tutto il posto va a fuoco e quella maledetta lama comincia a sciabolare tutt’attorno. Ho udito Chellar urlare poi la sua testa è rotolata giù per la collina fin dove mi trovavo io e così sono scappato.
— Una lama argentata? — chiese Stephon in tono irritato — l’unica cosa che ci puoi dire è di aver visto un carrettiere armato di una lama argentata?
— Non ho potuto vedere niente di più. Solo quella cosa d’argento, come una ruota e gli uomini che urlavano, nessun altro suono. — Besset bevve un altro sorso di birra, le mani gli tremavano.
— Maledizione — borbottò Stephon con disgusto.
— Aspetta, non ho ancora terminato. Me ne andai allontanandomi per circa un chilometro, nascondendomi in una specie di crepaccio che era laggiù e aspettai sino a mattina. Dopo le prime luci passò un carro con tre persone a bordo, nessun altro. Non si trattava di carrettieri. O almeno non erano vestiti come carrettieri; c’era un servitore, una donna e una bambina del Paese delle Donne. Non li ho riconosciuti, ma sono certo che venissero dal Paese delle Donne. Ho notato qualcos’altro. Giurerei che non ci fosse altro sul carro oltre a loro. Nessun corpo, niente. Ma quando tornai al punto dove si erano accampati, tutto quello che trovai furono i resti di un bivacco. La testa di Chellar era sparita. E così tutti gli altri. Svaniti.
Ci fu un lungo silenzio, durante il quale Chernon si fece piccolo e invisibile, sperando che non lo notassero. Non sapeva cosa pensare di ciò che aveva sentito. Gli venne in mente che Michael avrebbe preferito che lui non avesse udito nulla. I Comandanti non lo guardavano neppure e pensò che si fossero dimenticati che era lì. Probabilmente Besset non stava dicendo la verità, ed ecco perché Michael non sembrava sorpreso; Besset stava mentendo, o era ubriaco, o forse aveva mangiato quei funghi che gli zingari usano per avere delle visioni. Forse. Tuttavia se stava dicendo la verità o qualcosa che vi si avvicinava poteva significare che le donne disponevano di qualche tipo di arma della quale nessuno era informato. O forse si trattava di qualche potere del quale nessuno era a conoscenza.
Chernon voleva credere che si trattasse di una sorta di potere che lui avrebbe potuto apprendere e utilizzare. Più tardi, quando aveva origliato alla finestra davanti ai quartieri degli ufficiali, scoprì che Stephon e Michael pensavano fosse un’arma.
— Ecco di cosa si tratta — borbottò Michael. — Probabilmente è un’arma che stanno nascondendo. La cosa che sanno le donne e della quale non vogliono parlare. Qualcosa rimasto dai tempi delle Convulsioni, probabilmente. È tipico delle donne. Dirci che non dobbiamo toccare nulla che risalga a prima delle Convulsioni, mentre loro stesse se ne servono. Ipocrite! Dobbiamo scoprire di cosa si tratta. Abbandoniamo l’idea di questa guerra con Susantown e concentriamoci per scoprire di cosa si tratta. Forse dovremmo incaricare i giovani. Potremmo infiltrarli tra gli itineranti…
— Come?
— Oh, potremmo insegnare loro qualcosa. Acrobatica o qualcosa del genere. A fare i giochi di prestigio, magari. Ci sono diversi dei nostri giovani che sono piuttosto abili.
Chernon non era rimasto alla finestra a sufficienza per sentire altro. Se avessero mandato qualcuno, lui voleva essere tra i prescelti.
L’autunno arrivò accompagnato da venti freddi e le foglie erano già dorate quando la notizia giunse al Paese delle Donne come una raffica di vento. Le malvagie intenzioni della guarnigione di Susantown furono confermate. La guerra era stata dichiarata.
Tutte le donne e i bambini della città si trovavano sulle mura quando la guarnigione marciò con gli occhi fissi sul campo delle parate. I guerrieri si erano radunati, bandiere al vento, con le armature splendenti come diecimila specchi colpiti dal sole, la gloria sfavillante nei loro sguardi. Barten non indossava la camicia che Myra aveva cucito per lui ma indicò il suo zaino per farle capire che la portava con sé. A Stavia sembrò molto pallido.
— Pensava di avere ancora un anno per decidere — si sorprese a dire a Morgot — e adesso, improvvisamente non ha più tempo.
— Barten? — chiese sua madre. — È vero, Stavia. Ho parlato a Michael durante il carnevale estivo e mi ha confermato che Barten è rimasto piuttosto sorpreso quando gli hanno detto che aveva un anno di più di quello che pensava.
I tamburini e le fanfare intonarono le loro marce, le fila si disposero in una linea senza fine e cominciarono a marciare accompagnate dal frastuono degli strumenti; prima che fosse possibile pensare che se ne erano andati rimase solo uno sventolare di gagliardetti sulla strada e una nuvola di polvere verso oriente a indicare la direzione che avevano preso. Poi partirono i carri carichi di cibo, coperte e stivali, guidati da guerrieri con un occhio solo, monchi e storpi; uomini che probabilmente non erano morti quando ancora erano nel pieno delle forze come forse avrebbero desiderato.
La banda delle donne intonò “Oh,Va’. Va’, guerriero” e Stavia si scoprì a cantare:
Susantown tuttavia non si trovava su una spiaggia lontana, ma ad appena cinquanta chilometri a oriente, e i guerrieri non avrebbero compiuto che metà della distanza, probabilmente perché avrebbero incontrato gli uomini dell’altra città provenienti da occidente. Forse avrebbero stipulato un nuovo trattato e nessuno sarebbe stato ucciso.
Una delle componenti del Concilio venne da Morgot a porle una domanda.
— Banditi? — chiese Morgot. — Ne ho parlato al Comandante della guarnigione, Consigliera.
La Consigliera, una donna anziana che Stavia aveva incontrato una decina di volte ma che non conosceva realmente, borbottò qualcosa che Stavia non comprese.
Morgot rispose a voce bassa ma con chiarezza. — Oh, noi tutte sappiamo che è così, madre, ma non ci sono prove. — Poi si volse lasciando che Stavia sorprendesse sui loro volti uno sguardo particolare, come se volessero tacitare ogni domanda, uno sguardo che imponeva il silenzio a proposito di qualcosa di segreto che aveva visto altre volte sul volto della madre, sebbene di rado. Non per la prima volta, sentì che i meccanismi del Paese delle Donne si muovevano sotto la città, silenziosamente, senza che lei potesse farci nulla.
Come quella notte sulla strada per Susantown.
— Una notte che non è mai esistita — ricordò Stavia. — Che non è mai avvenuta.
Per lungo tempo, dopo quella notte, si era sorpresa a immaginare cosa poteva essere accaduto. Uomini con tatuaggi appartenenti a diverse guarnigioni, tutti insieme, come fossero stati scelti per formare una specie di guarnigione che raggruppava tutte le altre. Per cosa? Era quasi diventata matta domandandosi cosa era avvenuto e infine aveva deciso che, se non poteva parlarne, allora era meglio far finta che non fosse mai accaduto nulla. La parte attrice di lei era in grado di farlo facilmente; per la parte che recitava nulla era accaduto. L’osservatrice, tuttavia, trovava difficile questo atteggiamento selettivo.
Con tutti gli uomini sopra i venticinque anni andati in guerra a eccezione di pochi armigeri e dei cuochi, i guerrieri più giovani e i ragazzi rimasti erano più o meno liberi di muoversi nel territorio della guarnigione come volevano e Stavia trovò Chernon che l’aspettava sul tetto dell’armeria la prima volta che lei e Beneda salirono sulle mura. Il suo cuore rallentò, poi cominciò a tambureggiare e si sentì terrorizzata.
— Benny, mi lasci parlare da solo con Stavia, per favore?
— Stavia è troppo giovane per un appuntamento, fratello — disse Beneda, facendo finta di non aver portato Stavia sulle mura dietro sua richiesta.
— Non sto cercando un appuntamento; ora te ne vai, per favore?
Beneda arrossì, fingendo di essere irritata. Sperava con tutte le sue forze che Chernon tornasse a interessarsi a Stavia. O almeno così credeva.
— Stavvy. — I suoi occhi erano così chiari; la pelle della mano che era salita ad accarezzarla era soffice come quella di un bambino.
Voleva che la toccasse, che l’abbracciasse. — Mi sei mancato — balbettò. — Vorrei che non ti fossi arrabbiato con me.
— Io… non ero arrabbiato con te. Non veramente. So cosa stai cercando di fare, Stavvy, e questo è il motivo che mi ha portato qui. Devo spiegarmi, capito?
“Falle capire che non vuoi accontentarla, ragazzo” gli aveva detto Michael. “Falle capire che non è importante per te. Allora si romperà il collo per diventarlo. Le donne son fatte così.”
“Stavia è… una persona indipendente” aveva obiettato Chernon.
“Non importa quanto pensino di esserlo” era scoppiato a ridere Michael. “Sono tutte uguali”.
— Che cosa devi spiegarmi? — domandò Stavia, tremante.
— I quindicenni dovranno scegliere tra pochi mesi. Devo spiegarti che rimarrò con la guarnigione.
Stavia ascoltò quelle parole senza sorpresa. Bene, era così dunque. Che utilità c’era a stare là ad ascoltarlo ancora? Poteva andarsene adesso, andare a casa, a macerarsi nel dispiacere. Morgot diceva che era necessario farlo, abituarvicisi. Non aveva senso continuare quel colloquio.
— Stavvy — c’era qualcosa sul suo viso che lo spaventò. Michael poteva aver torto. Poteva aver sbagliato. Non sa nulla. Michael non riesce a far parlare Morgot, e così non sa nulla. — Stavvy.
— Sì.
— Non guardarmi così — temporeggiò, cercando di far sembrare le sue parole meno secche e incontrovertibili. Michael non avrebbe agito a quel modo, ma Chernon pensava che fosse necessario. — Non vedi? Se non fosse per la guerra, non avrei agito così. Ma non ora, non con la guerra. Non con tante possibiltà di essere uccisi, non con tanti uomini che torneranno feriti e che avranno bisogno di aiuto. Avrò ancora dieci anni per chiarirmi le idee e decidere se tornare al Paese delle Donne. Dopo la guerra, quando tutto si sarà calmato.
— Non capisco perché non puoi farlo ora.
— Non posso lasciare i miei amici — disse lui con voce severa, come se stesse pronunciando il Giuramento del Difensore. — Non ora.
— Ma credi che lo farai in seguito?
— Be’… non posso dirlo ora, Stavvy, salvo che per i libri. Ci sono così tante cose da scoprire. Cose che tu sai. So che dovrei venire al Paese delle Donne per farlo; ma non posso comportarmi da egoista.
— Capisco — il tono della sua voce faceva comprendere che in realtà non era così.
— Non capisci; ma spero che lo capirai in seguito e mi rispetterai per questo.
— Noi rispettiamo i guerrieri — rispose lei con tono formale, come in un ritornello. — Farai quella cosa terribile a tua madre? Le dirai che ha insultato la tua virilità?
La domanda lo aveva colto di sorpresa. In realtà, e con molta soddisfazione, aveva pianificato di fare proprio così. — N-n-no — borbottò. — Non è obbligatorio. Non credo che lo farò.
— Be’, è già qualcosa.
— Ma tu continuerai a portarmi dei libri, per favore? Per favore, Stavvy. Non posso farne a meno. Veramente non posso — i suoi occhi erano pieni di lacrime, le labbra tremavano; veramente non poteva rinunciare ai libri. Stava dicendo la verità.
Sebbene tutto dentro di lei volesse rispondergli di sì, Stavia scosse il capo. Non sapeva. Doveva chiedere consiglio a qualcuno. Forse a Joshua.
— Non lo so — disse. — Non ne sono sicura; non sono sicura che la guerra faccia qualche differenza; le guerre ci sono sempre.