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— Lo spettro di Polissena appare in cima alle mura — disse la regista. — Lentamente, scende lungo le scale.
Stavia, diventata membro del Concilio, interpretava Ifigenia. Con la bambola che rappresentava Astianatte tra le braccia, si volse e lanciò uno sguardo lungo la scala che simulava le mura; la donna che recitava il ruolo di Polissena era rannicchiata alla sua sommità; per un momento Stavia non riuscì a ricordare le battute poi, quando il suggeritore iniziò, rammentò la parte.
IFIGENIA: Così sei venuta alfine, Polissena. Ti prego vieni a prendere questo bimbo.
POLISSENA: Non mi piacciono i bambini. Forse le bimbe che hanno qualche speranza di vita ma non i bambini. I bambini giocano con la morte come se fosse una gara, affilando denti e spade. No, non mi piacciono i bambini.
IFIGENIA: Apprezza questo. È tuo fratello.
POLISSENA: Il figlio di Ettore? Be’, allora lo hanno ucciso dunque.
Stavia cercò di pronunciare la battuta successiva, ma avvertì un dolore al petto, proprio sotto le costole come un colpo di pugnale. — Be’ lo hanno ucciso, dunque — disse, ripetendo la battuta di Polissena. Udì la sua voce con disappunto, che inconsciamente si affievoliva.
La regista le lanciò un’occhiata poi interruppe la prova, aspettando che gli altri si allontanassero prima di chiedere: — Cosa succede, Stavia?
— È solo che… è solo che sono le stesse parole che disse mia sorella, molto tempo fa. Ultimamente sono stata piuttosto sconvolta. Troppi ricordi — cercò di sorridere senza riuscirvi.
La regista sospirò. — Sei stanca, ecco tutto. Ti ho fatto ripetere tutto troppe volte. Colpa mia. Non so cosa voglio finché non lo vedo, e voi continuate a ripetere finché io non ottengo quello che voglio. Oggi abbiamo lavorato a sufficienza. Riposati un poco. Domani proveremo di nuovo.