121713.fb2 Cronache del dopoguerra - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 14

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Per cinquanta giorni dopo la guerra con Susantown, Casimur, un guerriero di trentun anni, aveva atteso che la morte venisse a chiamarlo… aveva aspettato, diffondendo attorno a sé un odore nauseabondo e urlando finché tutti, nella casa dei Vecchi Guerrieri, erano stati costretti a tapparsi le orecchie con batuffoli di lana e a ubriacarsi per rendersi insensibili. Sarebbe stato un atto di pietà ucciderlo, un atto di pietà portargli l’Acqua della Fontana della Dolce Fine che le donne gli avevano offerto ma che lui aveva rifiutato. Anche adesso che era sicuro di morire, Casimur era molto preoccupato per il suo onore. Urlava a proposito di questo argomento continuamente, finché la gola non diventava secca per le grida e riusciva a emettere solo un rauco lamento, simile al rumore che produce una forchetta sfregata contro una pentola.

Chernon sedeva accanto a Casimur per accudirlo. Doveva stare sempre vicino al suo giaciglio, pronto a ricevere le sue ultime volontà o istruzioni o quant’altro Casimur volesse rifergli. C’era sempre un ragazzo accanto a chi stava per morire, incaricato di quell’onorevole incombenza. Cinquanta giorni era rimasto là, cambiandogli le fasciature e lavandolo quando, cercando di mangiare, si sporcava.

Quando Casimur non urlava, Chernon tentava di riposare. Nel sonno, Chernon tormentava il cuscino alla ricerca di una via d’uscita, lontano da qualunque cosa gli stesse accadendo nel paese dei sogni. Questo luogo immaginario grondava sangue. Chernon sognava di camminare coperto di ferite orribili, sollevando le mani lorde di sangue, vomitando a causa del fetore dei cadaveri. Vagolava nelle paludi del paese del sonno, inoltrandosi in una profonda caverna, guidato dal sogno. — Passa di qui la via per uscire? — Non importava con quanta gentilezza ponesse la domanda, non era mai abbastanza gentile da provocare una risposta. A volte in quei sogni si ritrovava potente ed eccitato. Non c’erano mura o catene in grado di trattenerlo eppure non riusciva a trovare una via di uscita. Nei suoi sogni oscuri non c’erano mappe o, se ce n’erano, non erano scritte sul cuscino sul quale si destava.

Si rigirava nel sonno, sudando, sporgendosi tra i pilastri di roccia della caverna, sperando di vedere una strada, un segnale, un dito che gli indicasse la via, ma dappertutto vedeva solo il volto agonizzante di Casimur che sbraitava parlando dell’onore.

Chernon credeva nell’onore, così come lui lo intendeva e come Michael e gli altri gli avevano spiegato. Era onorevole proteggere le donne perché i guerrieri avevano bisogno di loro per concepire e allevare i loro figli e — così diceva il dogma — erano incapaci di proteggersi da sole, sebbene potesse esserci qualche dubbio riguardo a questo, ora che si parlava di una strana arma, o forse di un potere, diffuso tra di loro. Michael diceva che le donne non erano abbastanza forti per servirsi del potere o delle armi e, se si fosse scoperto che quelle voci erano vere, sarebbe stato perfettamente onorevole sopraffarle per portar via loro quella cosa. Le donne non possiedono il tipo giusto di mentalità per servirsi di certe cose adeguatamente, sarebbe stato molto onorevole sottrarle a quel pericolo. Michael gli aveva parlato di Besset. Gli aveva spiegato come, per il bene comune, a volte fosse necessario fare delle cose spiacevoli. Per esempio lasciar libero Besset di unirsi ai banditi in modo che potesse raccogliere informazioni. Anche se quei banditi avevano ucciso delle persone, le informazioni erano più importanti delle vite sacrificate.

Tutti erano concordi nell’affermare che era un disonore ritornare dalla Porta del Paese delle Donne. Solo i codardi lo facevano. I codardi e coloro che erano fisicamente deboli; sebbene questi ultimi potessero essere messi al lavoro nelle cucine della guarnigione o adibiti a qualche incarico di sussistenza, se confessavano la loro debolezza al Comandante. Al di là del fatto che venivano derisi non se la passavano male.

Era un disonore costringere una ragazza a unirsi agli zingari perché questo la rendeva inutile per la procreazione, o costringere un ragazzo a prostituirsi perché lo si sottraeva alla vita dei guerrieri. Tutti dicevano che era un disonore, tuttavia gli uomini a volte facevano tali cose. Erano disonorevoli ma non meritevoli di disprezzo. Tornare attraverso la Porta delle Donne, quello sì che suscitava disprezzo. In quanto al fatto di portare qualche ragazza fuori dalla città, be’, nessuno ti avrebbe sputato addosso per questo.

Era un disonore, durante il carnevale, bere a tal punto da non ricordare con quali donne si era stati, ma erano molti gli uomini che si rendevano colpevoli di una cosa del genere. Più di un uomo aveva ricevuto una lettera dalla donna addetta agli appuntamenti dopo il carnevale, firmata da una donna che il guerriero non riusciva a ricordare. Le cartoline dicevano sempre la stessa cosa: “Se sarà un maschio lo porterò da suo padre guerriero quando avrà cinque anni”. Le missive erano appuntate nei registri degli uomini al quartier generale. Un uomo poteva non ricordare esattamente ma nessun uomo con una tale cartolina nel suo registro si sarebbe azzardato a ripudiare il figlio quando il ragazzo gli veniva consegnato sei anni dopo. Sarebbe stato come ammettere una mancanza di virilità. Naturalmente alcuni guerrieri erano semplicemente troppo vecchi per fare del sesso e altri preferivano rivolgersi alle zingare e avere meno problemi e, per così dire, non c’era nulla che glielo impedisse.

L’opinione dominante nella guarnigione era che non aveva molta importanza se un uomo ricordava più o meno chiaramente di essere andato con una donna. Anche se tutti sapevano che le donne erano pettegole per altri argomenti, di solito erano oneste e sincere per quel che riguardava i figli dei guerrieri, perché era nel loro interesse esserlo. Le donne sapevano che i guerrieri le proteggevano solo perché potevano mettere al mondo i loro figli; così era interesse delle donne fare in modo di procreare e allevare i figli che sarebbero stati affidati ai loro padri legittimi. Sebbene Chernon nutrisse dei seri dubbi in proposito, era vero che ogni guerriero aveva almeno un figlio. Erano molto pochi i guerrieri che non partecipavano ai carnevali. E molto pochi degli uomini che potevano fare sesso non lo praticavano, anche se molti dopo non ricordavano granché. I figli erano la cosa più importante nella vita di un guerriero e le donne lo sapevano. “Mettendo al mondo un figlio per un guerriero una donna si guadagna la vita.” Erano quelle le frasi usate per indottrinare i ragazzi. “Tua madre si è guadagnata la vita così.” Un altro detto recitava: “Non c’è utilità o giustificazione per una donna senza bambini”. Tuttavia, naturalmente, tutti si rendevano conto che in realtà esistevano molte scusanti. Senza le vecchie che tessevano, seccavano il pesce e tosavano le pecore, le riserve di cibo e abiti sarebbero state scarse. Tutti lo sapevano. Quando i centurioni requisivano parte del raccolto di grano per produrre la birra, qualcuno levava il calice alle “nonne” che avevano raccolto il grano.

Tutte queste cose avevano qualcosa a che fare con l’onore; ma da nessuna parte in quel groviglio di onore e disonore, da come la vedeva Chernon, c’era qualcosa che parlava di dover stare per cinquanta giorni vicino a un moribondo. Casimur avrebbe dovuto prendere l’Acqua della Fontana della dolce Fine. Morgot stessa era andata da lui e gliela aveva offerta per tre volte. Ogni volta Chernon si era nascosto per non farsi scorgere, perché non voleva pensare né a lei né alla sua famiglia. Non voleva pensare a Stavia.

Era andato tutto per il verso sbagliato con Stavia. Lui si era comportato esattamente come Michael gli aveva suggerito ma non aveva funzionato. Invece di diventare l’informatrice di Chernon, Stavia si era allontanata da lui. Un pomeriggio era stata là, a cullarlo mentre piangeva lacrime ingiustificabili, da bambino. Cinque giorni dopo, quando aveva cercato di rintracciarla per dirle che quelle lacrime non significavano nulla, se ne era andata. Era andata ad Abbyville all’istituto medico, gli aveva detto Beneda. Se n’era andata due anni prima di quanto ci si fosse aspettati. Si era allontanata per nove anni e avrebbe potuto tornare a casa in visita solo una o due volte. Ciò lo faceva sentire furioso, non tanto perché se ne fosse andata, ma perché non lo aveva mai avvertito delle sue intenzioni. Non gli veniva in mente che forse non gliene aveva parlato perché non avrebbe voluto andare.

No, si disse, aveva semplicemente sbagliato a pensare che Stavia si sarebbe comportata in maniera diversa dalle altre donne. Tutte le donne mentivano. Sua madre mentiva, pure Beneda, e anche Stavia.

Ripensò ai tempi di quel pazzo di Vinsas. Vinsas aveva ordinato a Chernon di andare a casa e riferire a sua madre certe cose, cose non propriamente piacevoli in verità, ma che avevano un certo interesse. “L’ho tagliata sulla punta del capezzolo con il mio coltello” aveva detto Vinsas. Quando diceva quelle parole le labbra gli si contorcevano e la saliva gli scendeva lungo il mento. “Le ho lasciato una cicatrice. L’ho morsa in un certo posto. Le ho lasciato il marchio dei miei denti. Fattelo mostrare…” Chernon aveva pensato che fosse interessante vedere la reazione della madre quando avrebbe riportato le parole di Vinsas. Quella prima volta sua madre avrebbe potuto dirgli di non parlare di quelle cose, invece aveva voluto spiegargli di Vinsas. Se non voleva parlare di lui, avrebbe dovuto dirlo la prima volta. Ma lei aveva detto alcune cose. Cose che riguardavano le donne e come gli uomini le guardavano e quali erano i loro desideri. Chernon non aveva avuto intenzione di farla piangere, ma era interessante che fosse accaduto. Il fatto che lei gli parlasse in quel modo lo aveva fatto sentire più grande e forte. Ne aveva voluto parlare ancora ma dopo la seconda volta lei si era rifiutata di discutere l’argomento; invece lo aveva scacciato, a casa della zia Erica.

E Stavia. Era successo lo stesso con Stavia. — Devi costringerla a contravvenire alle regole, ragazzo — aveva detto Michael. — Pensano di essere al sicuro finché rispettano le regole. È come se i loro stupidi comandamenti fossero una protezione per loro. Se le costringi a infrangere le regole, non avranno più protezione; e l’unica protezione di cui potranno disporre sarai tu; e così saranno costrette a compiacerti, giusto?

Così aveva indotto Stavia a infrangere le regole, ma lei gli si era rivoltata contro. Aveva minacciato di andare al Concilio.

— Ridalle il libro — aveva detto Stephon. — Tienila calma. Aspetta qualche mese, poi ricomincia.

Ma non ci sarebbe stata la possibilità di riprovarci. Se ne era andata. Andata. Per anni.

Non ci si può fidare delle donne. Ecco cosa aveva detto Michael. Non ci si può fidare delle donne. Aveva ragione. Persino di Beneda. A volte, quando andava a casa durante il carnevale lei gli aveva chiesto cosa voleva da mangiare per prepararglielo, ma l’ultima volta era stata troppo occupata. Le donne non dovrebbero avere il diritto di fare una cosa e poi smettere di farla. Di dire sì e poi no. Accadeva a volte che a un guerriero una donna promettesse di stare con lui durante il carnevale, ma al momento opportuno si sottraeva dicendo che non sarebbe andata con lui ma con qualcun altro. Persino Barten aveva raccontato una cosa del genere riguardo a una ragazza. Lei aveva promesso che sarebbe rimasta al campo degli zingari a sua disposizione e poi se n’era andata. Le donne non avevano il diritto di agire a quel modo. Una volta che una donna aveva acconsentito a fare qualcosa, doveva mantenere la sua parola. Non poteva rinunciare o sottrarsi all’impegno.

La cosa peggiore del fatto che Stavia se ne fosse andata era che Chernon provava la sensazione di non essere più di alcuna utilità per Michael. Ora poteva solo aspettare! Aspettare fino al ritorno di Stavia, se mai avesse fatto ritorno… Cosa che comunque non sarebbe avvenuta presto. Michael aveva deciso che, per il momento, non ci si poteva far nulla.

— Ho sviluppato questa filosofia — aveva detto Michael con la sua voce pacata, sonnacchiosa. — Si può pianificare tutto e, tuttavia, le cose forse si realizzano e forse no. La vita è come la città. C’è un muro intorno con un cancello. La Porta dei Guerrieri. Una volta ogni tanto la porta si apre e, se sei pronto, puoi entrare prima che si richiuda. Bisogna sempre essere pronti. Un giorno o l’altro la porta si aprirà, anche per te, Chernon. Se sarai pronto quando accadrà, potrai entrarvi e otterrai ogni genere di gloria dall’altra parte. Spingere una porta già pronta ad aprirsi è… stupido. Spingere la porta prima del tempo può farti venire solo l’ernia — aveva riso, portando la testa all’indietro e mostrando la sua forte dentatura bianca. — Entrerò ma non voglio farmi male.

Stephon aveva borbottato d’impazienza, ansioso di fare qualcosa ma Michael gli aveva riso dietro.

— Hai troppi pruriti, Stephon. Vai al campo delle zingare e calmati. Stai solo pronto, questo è tutto. Non ha importanza se l’opportunità si verificherà adesso o più avanti. Bada solo di essere pronto.

Così avevano deciso di aspettare.

Anche se in quel momento non stava facendo nulla di utile, Chernon era deciso: nel momento in cui il cancello si fosse aperto, quando avrebbe avuto l’opportunità, lui ne avrebbe approfittato. Avrebbe appreso i segreti che rendevano potenti le donne.

Perché c’erano dei segreti. Più Chernon ci pensava più ne era sicuro. Del resto perché avevano mandato via Stavia? Perché avevano paura che lei gliene parlasse, ecco perché. Per un certo periodo aveva pensato di poter scoprire quei segreti nei libri che Stavia gli aveva dato, ma non c’erano misteri là dentro. Solo numeri e nomi concernenti cose e storie che riguardavano il modo in cui la gente aveva vissuto molto tempo prima… non si trattava neppure di persone potenti, solo comuni pastori e tessitori e gente che coltivava il raccolto. Avevano avuto renne invece di pecore e cotone invece di lana, ma non vi era nulla di utile in tutto ciò. Nessuna conoscenza misteriosa. Nulla che riguardasse armi meravigliose. Nulla di quella roba che lui era convinto dovesse trovarsi nascosta da qualche parte. Stavia non gli aveva dato i libri giusti, quelli che contenevano il potere, quelli segreti. Forse neppure la stessa Stavia li aveva mai visti, quei libri. Forse solo le donne più anziane li conoscevano. Ma che li avesse visti o meno, Stavia doveva aver appreso qualcosa da essi. Anche Michael lo pensava, Chernon ne era convinto.

— Tornerà alla fine — diceva Michael a Chernon. — Forse non ha importanza. Tutto può essere stato inutile, forse non avremo bisogno di scoprire quello che sa, ma se fosse così, tu lo scoprirai. Quando tornerà, Chernon, dovrai pensare a un modo per convincerla a rinunciare alle sue convinzioni. Finché rimarrà legata a Morgot e al suo gruppo non riuscirai a far nulla con lei.

Così sognava di convincere Stavia ad andarsene. Un viaggio di esplorazione, magari. Era una cosa che un guerriero poteva fare senza disonorarsi. Le saghe erano piene di viaggi emozionanti, di ricerche pericolose. Nella saga di Odisseo si parlava di un lungo viaggio durante il quale l’eroe lottava per tornare alla sua vecchia guarnigione dopo la guerra di Troia. In uno dei suoi sogni favoriti, Chernon si immaginava nei panni di Odisseo che lasciava il campo di battaglia dopo la vittoria. Era ferito, solo quel tanto che bastava perché, vedendo le tracce di sangue sulla sua fasciatura, si capisse che era stato in battaglia. Poi cominciava il suo viaggio verso la guarnigione e allora scoppiava una violenta tempesta. Il gruppo veniva separato e quando la tempesta cessava, lui si ritrovava solo, a viaggiare e a scoprire nuovi paesi.

Sulle prime questa idea della ricerca, un viaggio, era stata solo una fantasia ricorrente, qualcosa che lo aiutava a sfuggire lontano dalla guarnigione mentre gli altri giocavano o intagliavano nuove insegne o scritte per le baracche, attività che inducevano Chernon nella sonnolenza. In seguito era diventata una ossessione. Avrebbe voluto portare con sé Stavia come testimone, come scriba. Qualcuno che avrebbe registrato le sue avventure, qualcuno al quale far vedere che la vita doveva essere non abitudinaria ma onorevole. Stavia avrebbe rimpianto di non avergli voluto dare i libri. Si sarebbe accorta che lui non era un guerriero come gli altri. E allora Chernon avrebbe scoperto quello che lei sapeva, davvero.

Ogni volta che la vita della guarnigione si faceva noiosa, triste o spaventosa, lui si perdeva in sogni a occhi aperti di altri luoghi dove avrebbe voluto andare. Poteva così ignorare le seccature della vita di guarnigione. La guarnigione era solo il posto che conosceva, un luogo che avrebbe lasciato molto presto, in un battito d’occhi, quando ne avesse avuto voglia. Per il momento, non aveva ancora deciso di farlo; nel frattempo avrebbe fatto quello che la guarnigione gli richiedeva; ma sarebbe venuto il giorno in cui ciò non sarebbe stato più necessario. Del resto, per il momento non poteva abbandonare i feriti, non poteva lasciare Casimur.

Infine Casimur morì, permettendo a Chernon di tornare a dormire alle camerate dei quindicenni, nelle quali continuò ad agitarsi martoriando il cuscino come prima. Anche se era venuto il momento di pensare all’onore, non pensava all’ onore di Casimur, né al suo. Il suo sogno lo portava in luoghi che stavano oltre l’onore; posti scuri e misteriosi al termine di un viaggio che ancora non aveva iniziato. Nel sogno andava in cerca di quei posti, attraverso profondi tunnel e riecheggianti taverne, e, a volte, quasi riusciva a trovarli. — Segreti? — sussurrò una volta nel sogno pregando le tenebre prive di volto di spiegargli perché lui si trovava ancora là, ancora nella guarnigione quando c’era un altro luogo che lo aspettava.

Dal tetto dell’ armeria rullava un tamburo.

I soliti rumori mattutini. Nella camerata c’era più silenzio del solito perché quello era il giorno della scelta e alcuni dei giovani di quindici anni stavano per attraversare la Porta delle Donne. Tutti nella centuria lo sapevano da qualche tempo; non che qualcuno dicesse qualcosa. Quelli che pensavano di andarsene potevano cambiare idea. All’ultimo momento potevano decidere di compiere il loro dovere e comportarsi con onore, purché non fossero stati insultati. Così nessuno diceva nulla.

Chernon si sedette, facendo penzolare le gambe dal bordo della branda, evitando di guardare Habby che stava alla sua sinistra. Habby avrebbe attraversato la Porta delle Donne. E con lui Breten, e Garret e Dorf. E Corrig, naturalmente. E questo era un bene!

— Chernon! — era solo un mormorio, ma lo costrinse ad alzare lo sguardo. Habby gli stava tendendo la mano. — Chernon, non avrò altra occasione per salutarti.

Chernon ignorò la mano. Non voleva che lo vedessero stringere la mano ad Habby. Habby era il fratello di Stavia e non voleva che nel Paese delle Donne circolassero delle storie. Michael comunque diceva che avevano ancora bisogno di Stavia. Meglio lasciare Habby con un gesto che Stavia avrebbe apprezzato.

— Wills e il suo gruppo potrebbero tentare di suonarle a te e ai tuoi dannati amici — disse con calcolato candore. Avvertirlo non significava prendere le sue parti. Si era ripromesso di non farlo.

— Lo so, ma noi siamo cinque e ci terremo uniti. Hai qualche messaggio per Stavia?

Chernon scosse il capo, mantenendo distante il tono della voce. Anche se avesse avuto un messaggio per la ragazza non glielo avrebbe mandato tramite il fratello. — Le ho spiegato perché ho deciso di restare.

— La guerra è finita, Chernon.

— Sarebbe da vigliacchi tornare indietro adesso. — Era un commento duro. Era quello che aveva già detto altre volte. Erano le parole rudi di un guerriero e nessuno poteva rimproverarlo per averle dette.

— Trovano sempre un modo di farti sembrare un vigliacco. Non importa quando lo fai. — Habby gli stava rivolgendo uno sguardo strano, grattandosi la fronte come se gli facesse male.

— È una questione d’onore — disse lui cocciuto. — Bisogna comportarsi con onore. — Sebbene avesse sognato di lasciare la guarnigione migliaia di volte non aveva pensato mai neanche una volta di passare attraverso la Porta del Paese delle Donne. La sua partenza, nei sogni, era stata sempre diversa da quella. Un caso del destino. Qualcosa di totalmente inevitabile. Qualcosa che sarebbe semplicemente accaduto, come una tempesta, l’inverno. Qualcosa per cui non avrebbe potuto essere rimproverato. — È una questione d’onore — ripeté.

Habby si strinse nelle spalle. — È solo il modo in cui lo chiama la guarnigione, Chernon. Io non la penso così e non voglio litigare con te.

Chernon si volse, tentando di dominare l’ira. Stavia gli aveva detto la stessa cosa. E anche Beneda.

E anche sua madre. — L’onore è solo un’etichetta per quello che loro vogliono che tu faccia, Chernon. Loro vogliono che tu rimanga e allora dicono che è una cosa onorevole.

— Vuoi che torni? Pensi che sia onorevole?

— No — aveva detto sua madre Sylvia. — Anche se ci costa un grande sforzo cerchiamo di non definire cosa sia tornare, Chernon. Ti stavo solo dicendo che ti vogliamo bene e che vorremmo che tu tornassi a casa.

E Stavia gli aveva detto la stessa cosa. Niente libri. — Devi fare la tua scelta, Chernon. Non posso continuare a infrangere le regole mentre aspetto che tu faccia la tua scelta. Io devo decidere adesso se confessare ed essere punita per quello che ho fatto. Devi scegliere un modo di vita o l’altro. Non entrambi.

Lui poi si era messo a piangere, soprattutto per la rabbia. In seguito aveva rimpianto di aver versato quelle lacrime. Quando piangi dai agli altri un potere su di te. Non devi piangere mai. Aveva cercato di vedere ancora una volta Stavia, per dirle che quelle lacrime non significavano nulla, ma lei se n’era andata. Andata via. Per molto tempo. Anni forse.

Si alzò e cominciò a vestirsi, senza rivolgere più la parola ad Habby. Non c’era nessun vantaggio a complicarsi la vita. Wills non faceva molto caso a chi pestava e se non fosse riuscito a mettere le mani su Habby si sarebbe accontentato di Chernon. Wills era un poco come Barten. Un bullo che non la smetteva mai di picchiare sulla grancassa. Era sempre là a gridare “all’attacco!” anche quando non c’era ragione per farlo. Era sempre pronto a dare a qualcuno del servitore, del poppante o del mostro. Ora, Corrig era veramente un mostro, un uomo selvaggio. Corrig sarebbe tornato dalla porta e a nessuno sarebbe importato. Lui e quei suoi strani occhi che vedevano cose che gli altri non potevano scorgere, lui che sapeva cose che gli altri non volevano sapere. Tutti sarebbero stati meglio senza di lui.

Era una mattina fredda, maleodorante, umida e il vento sibilava dal mare. Chernon indossò la sua cappa e infilò i calzettoni di lana lunghi sino alla coscia prima di mettere gli stivali. I calzettoni si allacciavano alla cintura e lui lottò con la fibbia. Intorno a lui tutti gli altri stavano facendo la stessa cosa, salvo Habby, Corrig e gli altri tre. Si erano riuniti assieme in fondo alla stanza, in attesa di uscire a piedi nudi, vestiti di nient’altro che delle tuniche. Habby era furbo. Habby doveva aver pianificato tutto ciò. Una tunica si leva in fretta. Nulla da togliere o da sbottonare. Non c’era la possibilità di colpire uno che si era chinato a slacciare gli stivali se era già a piedi nudi. Meno vestiti si era quando si faceva la scelta, più veloci ci si spogliava. E così si offrivano meno opportunità agli altri di picchiarti mentre ti stavi spogliando.

— Nudi passate dal grembo di vostra madre e nudi dovete tornare dalla Porta delle Donne. — Gli ufficiali avrebbero detto quelle parole quando li avrebbero introdotti nella stanza del cerimoniale sotto il muro. — Siete venuti al mondo sanguinanti e sanguinanti tornerete al Paese delle Donne — avrebbero potuto dire altri, sottolineando le parole con un lancio di pietre.

Poi sarebbero venuti gli insulti dalla guarnigione.

Chernon considerò la pratica degli insulti; in un certo modo, era quello che Vinsas aveva cercato di fare con Sylvia, una sorta di insulto… per ferirla. Qualcosa in tutto quel ragionamento era sgradevolmente disgustoso, come un piatto che uno non sa decidersi se apprezzare o meno e lui scacciò quei ragionamenti abbottonando strettamente la tunica per riparassi dal vento. Habby e gli altri non sembravano accorgersi del freddo. Se ne stavano silenziosi, pronti a tutto. Fuori, nell’ingresso, Wills stava cercando di aizzare alcuni dei suoi compagni senza grandi risultati. Habby era un buon combattente e, naturalmente, Corrig era pazzo. Corrig poteva ucciderti se lo voleva. Persino Wills, per quanto fosse stupido, lo sapeva.

L’assemblea. Il momento in cui Wills avrebbe potuto far più danni era passato. Fuori dalle baracche i guerrieri formavano dei quadrati dieci a dieci; la quindicesima centuria. Tutti avevano più o meno quindici anni. Una centuria completa era formata da cento ragazzi. Quella di Chernon non sarebbe rimasta completa a lungo. Nel giro di un’ora avrebbe perso cinque ragazzi.

— C’era un tempo — aveva detto Casimur in uno dei suoi intervalli di lucidità — c’era un tempo in cui una centuria non aveva neppure uno spazio vuoto. Meno di cinque uomini su cento se ne andavano, capisci? Meno di cinque su cento. Ora… ora è tutto un disonore; venti su cento. Ce se sono molti che ritornano oggi. Venti su cento…

— Quando — aveva chiesto Chernon — quando è stato che solo cinque su cento sceglievano di tornare?

— Ai tempi di mio nonno — aveva risposto Casimur. — Me lo ha detto lui. Ai tempi di mio nonno.

Quando si erano schierati sul piazzale della parata, il vento agitava le tuniche, arrossando i nasi, e facendo lacrimare gli occhi; Chernon pensava alle parole di Casimur, in attesa che la ventiquattresima centuria marciasse con lo sguardo fisso in avanti, distante da Habby che stava al suo fianco. Quando furono passati i ventiquattrenni scacciò le lacrime portate dal vento freddo e contò i mancanti. Ventun spazi nelle fila. Settantanove uomini. Casimur aveva ragione. Diciamo che cinque se ne andavano all’età di quindici anni, poi un paio ogni anno finché la centuria non fosse arrivata all’età in cui si cominciava a combattere. L’hanno prossimo quella centuria sarebbe diventata la venticinquesima e avrebbe contato meno di ottanta uomini nelle sue fila.

— Ma saranno i migliori a rimanere — pensò Chernon, ripetendosi quello che gli aveva detto il centurione. — I migliori guerrieri; meglio avere ottanta buoni guerrieri che cento tra cui venti codardi…

— FATE UN PASSO AVANTI — urlò il centurione. — COLORO CHE SCELGONO L’ONORE FACCIANO UN PASSO AVANTI.

— Arrivederci — disse Habby, dalla sua posizione di fianco a Chernon, con un sussurro.

Insieme a novantaquattro compagni della sua età, Chernon si fece avanti lasciando che gli altri cinque si spogliassero delle loro tuniche rimanendo nudi, esposti alle folate di vento freddo. Quando la centuria ebbe compiuto un giro di marcia sempre mantenendo lo sguardo avanti, i cinque ragazzi nudi se ne erano andati, scortati alla garitta per la cerimonia.

Nessuno sembrò notarlo. Nessuno avrebbe mai ripetuto i loro nomi. La quindicesima centuria tornò a passo di marcia poi alla posizione di partenza, dove li aspettava il comandante con i suoi attendenti che portavano i picchetti con le insegne d’onore.

— Quindicesima centuria — esclamò il Comandante mentre la sua voce tagliava il vento come un coltello fa con il formaggio tenero. — Onorevoli guerrieri della guarnigione di Marthatown. Vi diamo il benvenuto nelle nostre fila dove troverete doveri, disciplina e pericolo. Vi diamo il nostro benvenuto nella compagnia della gloria. Vi diamo il benvenuto come compagni d’onore e a voi noi concediamo il primo di molti nastri blu a testimonianza della vostra onorevole scelta.

Poi tutte le centurie sfilarono per il campo della parata mentre i cerimonieri e gli attendenti passavano tra le fila della quindicesima appuntando nastri blu a ogni uomo cui veniva offerta anche una coppa di vino. Chernon sentì che le lacrime gli scendevano sul viso, si sentì pieno di vergogna finché non si accorse che anche i compagni che gli stavano a fianco piangevano. Povero Habby. Povero Habby che non si era reso conto di quello che stava facendo. E per cosa?

Poi i nuovi guerrieri si girarono su un fianco. I tamburi cominciarono a rullare la marcia funebre. Casimur era morto il giorno precedente e in quel momento stava sfilando la trentunesima centuria. Passarono quanrantacinque uomini; venti posti erano stati lasciati dai codardi che erano tornati nel Paese delle Donne e altri venticinque da onorevoli guerrieri morti al cui posto sfilavano i ragazzi che portavano il loro nastri. — Onorevole Chernon — ordinò il Comandante. — Chernon, sfili con le insegne di Casimur.

E così fu. Stretta tra le mani di Chernon, c’era la lancia di Casimur con l’impugnatura ornata da nastri luccicanti in così grande numero da sembrare code di gatto che sventolavano al vento. Chernon andò a riempire il posto vuoto nella trentunesima come riserva. Fanfare e tamburi accompagnarono la sfilata della trentunesima centuria ancora in forze, con i vivi che sfilavano accanto ai morti rappresentati dai ragazzi che ne reggevano le insegne. Gli unici buchi vuoti erano quelli lasciati dai codardi.

Le centurie riunite resero gli onori, con voce sempre più forte, sino a diventare un ciclone. Le campane suonarono. Le fanfare urlarono al cielo. I nastri sventolavano sul viso di Chernon come piccole mani, schiaffeggiandolo e raccomandandogli: — Fai attenzione.

Il sangue gli ribolliva nelle vene. La musica delle fanfare lo esaltava. Il martellare dei tamburi divenne il martellare del suo stesso cuore. I piedi degli uomini che picchiavano all’unisono, la frustata delle insegne, i nastri, le piume, e tamburi, tamburi, tamburi… Onore, gridavano le fanfare. Onore, ribattevano i tamburi. Potere, urlava la guarnigione. E fu evidente che era l’onore di Casimur di cui parlavano ed era Casimur stesso che marciava occupando con onore il suo posto. Casimur che aveva rifiutato la Tazza della Dolce Fine e che non aveva scelto di tornare attraverso la Porta delle Donne.

Era come se le vene di Chernon fossero state piene di fuoco. Ecco perché era ancora là. Era là per imparare tutto ciò, la possente confusione di movimenti e suoni, la marcia in cui Chernon non era che uno dei fili, scintillante come l’oro, i fili di tutte le centurie intorno a lui, i centurioni, i quindicenni, i venticinquenni, i trentunenni e tutti gli altri sino ai settantenni, una centuria composta da un solo uomo circondato dalle insegne dei compagni che non sarebbero più tornati.

Era una gloria tonante e lui ne faceva parte; ora ne era diventato improvvisamente parte.

Se avesse potuto essere nella stanza del cerimoniale, avrebbe spogliato Habby, gli avrebbe sputato addosso, lo avrebbe insultato e avrebbe aiutato gli altri a picchiarlo e non gliene sarebbe importato nulla delle storie che sarebbero circolate sul suo conto nel Paese delle Donne.