121713.fb2 Cronache del dopoguerra - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 15

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Septemius Bird entrò a Marthatown a più di sessanta anni attraverso la Porta degli Itineranti, mostrando il suo libretto di viaggio che recava i timbri e i contrassegni di più di una dozzina di città. Non aveva idea di quanto si sarebbe fermato in città.

— Septemius Bird? — la donna adibita alla guardia dell’ingresso si era mostrata solo leggermente incredula.

— Septemius Bird il ritardatario — disse con una smorfia, appoggiando il dito alla narice come se avesse voluto impedirsi uno starnuto. Le sopracciglia inarcate verso l’alto gli davano l’aspetto di una maschera mefistofelica, che mostrava il suo lato oscuro, quello favorito in circostanze simili.

— Il ritardatario?

— Sempre, inevitabilmente! — sospirò. — A giudicare da quanto sei bella, direi che avrei dovuto venire qui una settimana fa, o magari un mese.

— Non con il passo degli itineranti — sorrise la donna, mostrandosi poco impressionata da tanta teatralità. — Sei venuto per il carnevale, immagino?

— Anche questo è inevitabile — rise lui, mostrando denti bianchi e appuntiti come zanne ai lati della bocca, simile a un vampiro, leccandoli velocemente come se avesse potuto sentire il sapore del sangue. In realtà non erano zanne ma semplici denti un poco più grandi e appuntiti degli altri, si disse la guardiana con un mezzo brivido di piacere. — Sei un mago?

— Diciamo che sono un uomo di spettacolo; un po’ di questo, un po’ di quello — ammise. — È il mio mestiere.

— Sei solo?

— Chi vorrebbe esserlo? — disse con un gesto drammatico. — Solitario, sì, signora, come lo siamo tutti in questi ultimi tempi in cui la desolazione ci riunisce come tanti brufoli sul viso della natura, ma solo no. Ho con me una specie di troupe. Un’assistente, in realtà, o due.

— La tua prima fermata… — cominciò la guardiana.

— Sarà alla casa di quarantena — l’interruppe Septemius. — Lo capiamo. Credimi, signora, non abbiamo desiderio di diffondere malattie in questi ammirevoli dintorni. Senza il Paese delle Donne non avremmo clienti, e noi vogliamo che voi siate nostre clienti, vero? — fece nuovamente una smorfia, sebbene le sue labbra si atteggiassero a una risata solo apparente.

Dal carro variopinto emerse una testa scarmigliata. — Bird, ci siamo? Siamo arrivati? — Era un uomo anziano con il viso sporco nascosto dietro una barba lunga di dieci giorni, che tossiva mentre parlava.

Apparvero altre due teste sopra e sotto di lui, identiche, con ciocche color rame che cadevano davanti alle orecchie deliberatamente in disordine. Le voci di queste due ragazze suonavano come fossero state una sola accompagnata dalla propria eco. — Septemius. — Si udì una vibrazione, simile a quella di una forchetta che raschiava sul piatto, che interruppe il silenzio; dalla gabbia sopra il carro venne un ringhio sommesso, come se uno dei cani danzatori si fosse svegliato.

— Il vecchio signore si chiama Bowough Bird. Le giovani donne sono le mie nipoti. — Mostrò i loro libretti di viaggio e la guardiana si concesse un po’ di tempo per sfogliarne le pagine, cercando di ricostruire i loro viaggi. Avevano percorso tutto il Paese delle Donne. Il libretto di viaggio di Bird recava il numero diciotto ed era quasi completo. Diciotto libretti già pieni! E il vecchio ne aveva completati ventisette!

— Bene, signora — Bird eseguì uno stravangante inchino tenendo un piede ben indietro, un braccio davanti al petto, con la mano stretta sul cappello a larga tesa ornato di piume, mentre l’altro braccio faceva volteggiare una cappa di lino rosso come una grande ala. — Allora?

— Passate pure voi quattro. Considerando quanto siete educati, non vi costringerò a usare l’entrata esterna; la casa di quarantena si trova in fondo alla strada sulla sinistra. Troverete una dottoressa ad aspettarvi.

Il carro si avviò lungo la Strada delle Mura sotto gli occhi della guardiana che scuoteva il capo. Il carnevale portava sempre gente strana al Paese delle Donne. Maghi, mangiatori di fuoco, ballerini, addestratori di animali. E quelli come Septemius Bird. Lanciò uno sguardo allo specchio appeso alle sue spalle sulla porta, considerando che aveva decisamente un bell’aspetto malgrado l’orribile tunica che era tenuta a indossare per identificare il suo ruolo.

Alla casa di quarantena trovarono in servizio una dottoressa giovane, una donna con una folta chioma di capelli biondi, occhi verdi come erba, sebbene pieni di sonno, e una bocca grande e tumida.

— I cartellini della salute — domandò loro con un’occhiata diretta e luminosa, come se li sospettasse tutti o stesse cercando di nascondere il fatto che, quando erano entrati, stava dormendo. Consultò le carte che le erano state consegnate con dei borbottii per far capire che sapeva qual era il significato degli scarabocchi simili a impronte di gallina che vi erano tracciati sopra. — Sette giorni fa a Mollyburg avete ricevuto un sigillo di sanità, nessun altro contatto da allora?

— Se con questa domanda, o mia signora, vuoi chiederci se abbiamo tenuto una condotta lasciva, un comportamento lussorioso o abbiamo fatto delle pause priapiche o lubriche nel nostro viaggio, la risposta è no. Non sono propenso a tali cose per inclinazione. Bowough, questo qui che annuisce con la testa canuta, è incapacitato dall’età. Le mie nipoti invece, per quanto possano apparire precoci, si astengono per preferenza estetica, un difetto che il tempo senza dubbio correggerà.

Stavia, perché di Stavia si trattava, lanciò uno sguardo alle due ragazze. Erano in età prepuberale, certo, sebbene non fosse la prima volta che qualche nomade cercasse di vendere le sue compagne più volte fingendo che si trattasse di vergini. Aveva saputo di tali cose all’Istituto di Abbyville; di tali cose e di un’altra cinquantina di cose che non aveva ancora incontrato. Tuttavia le ragazze non avevano l’aspetto di prostitute. Non vi era in loro la sconcezza che si poteva scorgere negli occhi delle ragazze al campo degli zingari, sebbene vi fosse un’altra specie di luce, l’arguzia della Signora, una certa conoscenza del mondo, forse. Le restituirono il suo sguardo severo con un’occhiata tranquilla, gli occhi azzurri chiari come pozze di montagna che riflettono il cielo infinito.

Lottò per staccare lo sguardo da quelle pozze, tornando a esaminare i loro libretti. No! Quelle ragazze avevano la sua stessa età. Ventiduenni nel corpo di due silfidi? Di certo no. — Sono le tue assistenti?

— Se ci pensi un momento capirai quale valore possono avere due gemelle per un mago, soprattutto se sembrano due bambine. — Le mostrò la sua dentatura con un sorriso da volpe. — Posso presentarti Kostia e Toma? Sono le figlie di mia sorella, verso la quale provo un profondo affetto. — Questa volta non sorrise e Stavia gli credette.

— Per il loro bene, mago, dovresti permettere loro di vivere nel Paese delle Donne.

Lui scosse il capo, abituato evidentamente a quel tipo di suggerimenti, appoggiò le mani sulla scrivania puntando le dita, ciascuna di esse sembrava una creatura di cinque gambe che camminava su è giù. — Ci ho pensato, di tanto in tanto. Tuttavia mia sorella non crede sia un bene. Ci sono dei vantaggi anche nella nostra vita, signora.

— Se vi tenete alla larga dai banditi, senza dubbio — sospirò Stavia. Bird si accorse di quel sospiro. C’era qualcosa che l’attirava nella vita dei nomadi. L’uomo comunque non diede segno di aver udito o compreso quel sospiro.

— Fino a oggi siamo stati fortunati.

Stavia completò gli esami del gruppo, sebbene il suo istinto e la sua esperienza le dicessero che erano a posto. Il vecchio — che rimase seduto durante gli esami quasi immobile, quasi addormentato — aveva più di una piccola congestione al petto, un poco di influenza, forse, che dormire all’aperto sul terreno duro non aveva aiutato a guarire. Era qualcosa di cui tener conto; in quei giorni la polmonite non era una sciocchezza, perché gli antibiotici che si usavano per curarla erano gli stessi impiegati per le malattie veneree. Il Paese delle Donne possedeva solo una fabbrica di medicamenti e la produzione delle medicine avveniva solo su richiesta. Le ragazze scoppiavano di salute e non mostravano segni di malattie sessuali. Tutti e quattro recavano ancora sulla guancia sinistra il marchio di Mollyburg, così lei appose quello della sua città sulla destra. — Alloggerete nell’ostello degli artisti? O nel parcheggio dei carri?

Bird lanciò un rapido sguardo al vecchio Bowough e scosse il capo. — Il mio vecchio amico vorrebbe riposare su un letto soffice, se ne sono rimasti all’ostello.

Stavia provò un moto di simpatia per il vecchio. — Stavo per suggerirtelo anch’io. Vi darò una carta per ottenere razioni supplementari, che gli permetterà di ricevere delle porzioni di cibo più abbondanti per tutto il vostro soggiorno in città. Si sentirà meglio se mangerà qualche uovo e un po’ di latte.

Bird compì ancora una volta il suo stravagante inchino e disse: — È molto generoso da parte tua, dottoressa.

— In realtà no — sorrise lei. — Il Paese delle Donne sembra aver ottenuto un raccolto eccezionale quest’anno. Tutti i magazzini sono pieni e straripano di provviste. Tutte le pecore hanno avuto due agnelli e i pescatori non hanno mai visto tanto pesce colorare d’argento le loro reti. Possiamo dividere un po’di latte e uova con chi ha dedicato la vita a divertirci.

L’uomo s’inchinò nuovamente, questa volta con sincerità, e lei lo scimmiottò ridendo. — Dove farai il tuo spettacolo, mago?

— Visto che sono arrivato così presto, potrò assicurarmi un posto in piazza? — La domanda fu accompagnata da una strizzata d’occhio e da un palpitare di narici.

— Sei tra i primi — annuì lei. — Domani avrò terminato e verrò a dare un’occhiata al vostro amico. Siete insieme da molto?

— Qualcuno potrebbe dire di sì; è mio padre.

La ragazza porse ai componenti del gruppo le carte per ottenere le razioni e rimase a guardarli mentre se ne andavano sul carro scricchiolante sulla strada lastricata, risalendola verso la piazza del mercato.

Septemius, sul sedile del carro, teneva le redini nella mano sinistra e posò la mano destra sul sedile, in equilibrio sulle punte delle dita, ciascuna delle quali trovava una piccola depressione. — Cinque — borbottò tra sé, premendo le dita mentre la sua agile mano compiva cinque veloci flessioni sul sedile. Cinque era il numero magico di Septemius, la sua chiave segreta. Da bambino aveva avuto un lenzuolo con cinque api ricamate. Le dita della sua mano si erano adattate alla posizione di quelle cinque api come un guanto aperto. Da ragazzo aveva scelto il cinque come numero guida; da uomo, aveva confermato la sua scelta. A volte si burlava di se stesso, negandolo, ma al tempo stesso cercava una configurazione di stelle o buchi nel muro o alberi che crescevano nella boscaglia che si adattassero a quello schema. Cinque, contare sempre allo stesso modo: uno-due, uno-due-tre. Tip-tap, tip-tap-tap; se il suo schema veniva seguito da un altro tip-tap era un segnale molto particolare, di sette sillabe, che riproponeva il suo nome. Aveva scoperto che “sept” significava sette in una lingua antica. Cinque e sette erano i suoi numeri magici, che vedeva nei presagi e nelle preghiere.

Non aveva mai parlato a nessuno di ciò. Quando ci pensava tra sé, tutto ciò gli appariva sciocco, infantile, un tentativo di attribuire un ordine a un mondo che ne era quasi privo. Septemius era arrivato a credere che non vi fosse ordine, perfino quando sembrava esservene.

Era stato l’unico bambino nella sua troupe. Questa era composta da Bowough, suo padre, e Genetta, sua madre, poi c’erano Old Brack e Old Brick, i genitori di Bouwough, la zia Ambiose, lo zio Chapper e il cugino Bysell e la zia Netta, che non era esattamente una zia e i suoi figli e figlie, cinque in tutto, tutti già grandi. Tutti loro erano addestratori di animali, maghi, acrobati, o lanciatori di coltelli o qualsiasi cosa d’altro scegliessero di essere in quel momento. Tutti loro possedevano una forte volontà. Era impossibile trovarne due che andassero d’accordo sulla stessa cosa.

Il primo ricordo che Septemius aveva in merito a questa peculiarità della Troupe Bird riguardava i piatti. Lui poteva aver avuto al massimo cinque o sei anni, e stava appena imparando a cantare nei cori del campo. La mamma lo aveva messo su uno sgabello in coda al carro con un asciugamano mentre lei lavava i piatti e glielo porgeva. La vecchia Brick era venuta e aveva spostato lo sgabello dall’altro lato dicendo qualcosa a proposito del fatto che era sciocco lavare da destra a sinistra quando tutte le persone ragionevoli sanno che si lava da sinistra a destra. Allora papà aveva detto che tutto il sistema era sbagliato, che i piatti dovevano essere immersi in acqua saponata poi asciugati tutti in una volta con il vapore. Poi qualcuno, la mamma probabilmente, sebbene forse si era trattato di zia Amboise, gli aveva gridato qualcosa, e loro tutti si erano alzati litigando come una pentola bollente. Septemius era rimasto incollato al suo sgabello mentre a turno gli altri lo sgridavano. — Non è così, ragazzo? Non è così?

Quella era la prima volta che ricordava ma dopo di essa, ricordava poche altre cose. Tutto quello che Septemius aveva cercato di fare aveva condiviso la stessa incertezza. Che si trattasse di dar da mangiare ai muli o di addestrare i cani o di aspergere l’acqua dal ruscello, o di guidare il carro o di lavarsi i calzini. Se lo faceva la mamma, nessuno la disturbava. Se era il papà a farlo nessuno diceva nulla. Ogni membro adulto della troupe poteva fare quello che voleva senza suscitare che qualche brontolio da parte degli osservatori. Se invece era Septemius a fare qualcosa, ogni componente del gruppo insisteva per fargli vedere come si faceva e nessuno era d’accordo con gli altri. Ciascuno affermava di conoscere l’unico modo corretto e accettabile per fare le cose chiedendogli di dire apertamente se era o meno d’accordo. — Non è giusto così, Septemius? Non è giusto così?

Se lui sembrava propendere per una soluzione piuttosto che per un’altra c’erano lacrime e proteste. La cosa più strabiliante era che alla fine le cose venivano portate a termine e che lui non veniva fatto a pezzi.

Septemius aveva cominciato a pensare a sé come un ammasso di rottami che navigava in un canale pieno di gorghi e mulinelli, ciascuno dei quali era imprevedibile e irragionevole quanto il successivo. Dopo un poco di tempo aveva semplicemente imparato a galleggiare in quella turbolenta corrente di domande, a volte toccando la riva qua e là, senza opporvisi mentre volteggiava tra un gorgo e l’altro prima di essere attirato verso una riva, un albero o un letto di canne. Non lo aveva imparato, comunque, prima dell’arrivo di Octobra e lei arrivò troppo tardi per salvarlo.

Aveva avuto quasi dieci anni. Proprio fuori Abbyville, un uomo alto, muto, aveva portato una ragazzina al loro carro consegnandola a Genetta con un biglietto. La ragazzina era Octobra. Era la figlia di una vecchia amica. Ovviamente Genetta la prese con sé. La troupe l’adottò chiamandola Octobra Bird. Un’altra bambina da tormentare.

E ci provarono davvero; la intrappolarono nella loro rete di domande confuse continuando a domandarle: — Non va ben così, Octy? Non sei d’accordo con me?

Lei non rispondeva mai. Non sembrava neppure notarli. Si scioglieva come neve al sole. Dopo un poco smisero, come se avessero cessato di vederla. Non Septemius, naturalmente. Dal momento in cui era arrivata, con i suoi occhi senza fondo e i capelli come il tramonto, non l’aveva persa un attimo di vista.

Ricordava di essere rimasto sdraiato con lei, faccia a faccia sul retro del loro carro dipinto, mentre la luna tracciava scie sottili dalla finestra, a toccarsi con la punta delle dita. Pollice contro pollice, dito contro dito, bambini che facevano magie.

— Non cambiare — l’aveva pregata. — Non lasciare che ti intrappolino. Senza di te, diventerei pazzo. Non cambiare mai, Octy.

— Non cambierò — gli aveva promesso, premendo le dita cinque volte contro le sue come per fare un giuramento; la sua sorellina adottiva. La sua amante; l’unica spiaggia sicura in un mare sconvolto dal disordine. E alla fine anche lei…

Non aveva mai imparato cosa fosse realmente un terreno solido.

Non era stato solo per le continue ed emozionalmente contrastanti domande cui veniva sottoposto, ma anche per i loro continui vagabondaggi. Niente cui attaccarsi. Nessuno da stringere. Con il passare del tempo, diversi di loro lasciarono la troupe o morirono, ma quelli che erano rimasti avevano continuato a tormentarlo fino alla fine. Persino quando erano rimasti solo Bowough e zia Amboise, avevano continuato a mantenerlo in quello stato di incertezza. — Non è giusto, Septimius? Non sei d’accordo con me? Digli che è pazzo, Septemius.

Ora che era rimasto solo, il vecchio Bowough sembrava aver cessato le sue richieste di approvazione. Ora la sua approvazione sembrava non importare a nessuno.

Septemius aveva appreso a navigare nell’incerto fiume della vita per intuizione e per via indiretta. Grazie a segni e a presagi. Senza mai dire definitivamente sì o no… Continuava a rifiutarsi di dare risposte precise riguardo a qualsiasi cosa. Anche se il Paese delle Donne a volte gli pareva molto solido, dotato di una notevole stabilità, stava sempre molto attento a cogliere le correnti sotterranee, un flusso segreto dove inganno e menzogna scorrevano sotto la superficie. Se si fermava, chiedeva implorando di essere ammesso, tutto sarebbe rimasto nel modo che gli sembrava che fosse? O sarebbe tutto cambiato, improvvisamente, lasciandolo inerme, travolto ancora una volta come un sassolino in un ruscello?

Fino a quel momento, gli era sembrato più saggio non tentare la sorte, più saggio servirsi del fascino e sfuggire qualunque permanenza gli venisse suggerita, mantenendo la sua libertà, in caso le cose fossero cambiate. Gli sembrava folle tentare di ottenere delle certezze. — Per cinque — si diceva sempre. — Non cedere alle loro blandizie, Septemius.

Guidò il carro dal mercato al crogiuolo di vicoli che si estendeva a oriente dalla piazza verso l’ostello che ricordava costruito intorno a un grande campo, con ampie stalle per gli animali. Guidava silenziosamente, grattandosi sulla guancia dove l’inchiostro si stava seccando provocandogli un certo prurito, perduto in vecchi ricordi.

— Era molto sofferente per qualcosa — disse Kostia. — Tonia e io lo abbiamo avvertito.

— Di chi parlate, ragazze? — Aveva perso il filo dei ricordi più recenti. Chi? Non sua sorella, la mamma o la nonna? No. — La dottoressa? E perché mai una bella ragazza come quella dovrebbe soffrire? Quanti anni aveva, venti? Ventidue?

— Circa — affermò Kostia — c’è un uomo nei suoi pensieri, Septemius. Un guerriero.

— Oh, per la Signora delle città. Si preoccupa che non venga a un appuntamento, forse? — Septemius sapeva che c’era di più. Voleva solo trovare un conferma alle sue stesse percezioni.

— Più di questo — disse Kostia. — Qualcosa di interessante, Septemius. Qualcosa di molto interessante. Una cosa molto complessa e intricata, come un arazzo dove le figure sono solo abbozzate…

Le lanciò uno sguardo interrogativo ma non proseguì il discorso. Kostia e Tonia trovavano molte cose interessanti e di certo lo avrebbero illuminato quando fosse stato il momento propizio. Per quanto lo riguardava passava molto del suo tempo cercando di non pensare a loro come se fossero Octobra, ritornata, cercando di non pensare che le assomigliavano come fossero state le sue gemelle. Lo erano gemelle, ricordava; pregava di aver eretto un’isola abbastanza forte per permettere loro di viverci sopra o nelle vicinanze, senza sentirsi mai dei relitti guidati da gorghi imprevedibili. Se era così, aveva compiuto quello che considerava il suo dovere. Tutto quello che Octy gli avrebbe chiesto se avesse potuto vivere a sufficienza da poter chiedere.

All’ostello gli fu indicato un posto per i muli nella stalla e due camere comunicanti per la famiglia, pagando una settimana anticipata perché sapeva che in quel modo sarebbe stato meno facile che si dovessero spostare per far posto a qualcun altro quando la città si fosse riempita. I cani, dopo un periodo in cui furono liberi di andare in giro ad annusare, li seguirono docilmente mentre portavano di sopra il bagaglio, o almeno quella parte di esso che era irrinunciabile o sufficientemente leggero per essere trasportato. Il Paese delle Donne era famoso per la sua onestà, ma durante il periodo del carnevale era frequentato da altre persone che erano regredite ad altri sistemi etici.

Le stanze si trovavano al secondo piano, una di esse era situata in un angolo dell’ostello e si affacciava sulla strada. Aveva una caldaia, due letti stretti e un ampio tavolo illuminato da una lampada. Septemius grugnì e depose la sua borsa con un sospiro sul tavolo, prendendone possesso. Il vecchio Bowough si lasciò cadere sul letto più vicino con un sospiro e si addormentò in pochi secondi, mentre a ogni lato del suo giaciglio prendeva posizione uno dei cani bianchi. Septemius rimase a osservarlo, con il viso solcato da linee verticali come il muro di una gola. — Per lui diventa ogni giorno più dura — disse senza rivolgersi a nessuno in particolare.

— Dovremmo fermarci per un poco — disse Tonia. — La ragazza medico alla casa di quarantena ha ragione, Septemius. — La nipote accese una candela e gironzolò tra le porte comunicanti, approvando la pulizia del posto, i muri ricoperti di pannelli di legno, il grande letto a baldacchino, il crogiolo pulito davanti alla stufa nella quale era già acceso un piccolo fuoco. Gli altri tre cani, quelli grigi, giravano in circolo intorno al crogiolo con le orecchie nere e i musi alla ricerca di odori adeguati, con le code che si agitavano ritte sulla schiena mentre cercavano di accordarsi sullo spazio a loro destinato e su chi avrebbe avuto la precedenza a stare davanti alla stufa.

Kostia saltò sul letto un paio di volte, poi cominciò ad appendere i suoi vestiti nell’armadio, prendendo, come sua abitudine, il cassetto sinistro e una serie di grucce. — Dovremmo stabilirci da qualche parte.

— Vorresti fermarti? — le chiese lui dalla soglia, esaminando a sua volta la stanza, cercando di chiudere gli scuri, la maniglia della porta, con gli occhi luminosi come frammenti di vetro tagliente, affilati come aghi, umidi di lacrime trattenute. I ricordi gli facevano quell’effetto, a volte. — Vorresti veramente?

— Forse non ancora — rise Kostia. — Tuttavia dovremmo farlo se nonno Bowough ne avesse bisogno. — Prese una candela e raggiunse la porta, scivolando lungo il muro per individuare i gabinetti — piccole stanzette individuali con toilette composte da vari sanitari come in uso nel Paese delle Donne — e la doccia con il suo grande e capace scaldabagno. Tornò indietro soddisfatta. I bagni erano puliti e ben tenuti come le stanze.

— Potremmo costruire un casetta nel quartiere degli itineranti, fuori dalle mura — scherzò Septemius — per il vecchio e per me. Senza dubbio voi due verreste accettate all’interno delle mura. Le loro stesse cittadine vanno a scuola sino a un’età molto superiore alla vostra. Potreste frequentare le scuole del Paese delle Donne. Non ci sono dubbi sul lavoro che potreste fare.

— Forse non ancora — ripeté Tonia con buona grazia. — Ricordi, zio, tu sei storico di professione. Ci sono ancora delle cose che dobbiamo imparare fuori dalle mura.

Era una loro abitudine quella di assegnargli una professione anche se non era mai stato che un vagabondo; le sue nipoti lo dipingevano in modo migliore di quello che era in realtà, abbigliandolo con i vestiti del professore, come le donne dell’Istituto di Abbyville, dicendo che era uno storico anche se non era altro che un vagabondo che aveva visto ciò che era rimasto del mondo. E lui aveva visto tutto, molte volte. Le imponenti foreste a nordovest, verdi di felci e umide di nebbia, misteriose e meravigliose come una pericolosa terra delle fate, le coste rocciose sulle quali s’infrangevano le onde durante le tempeste, le terre dei contadini dell’interno, colline o pianure, con i campi che giacevano squadrati e pieni di grano o campi di lino così azzurri da sembrare un riflesso del cielo. E le città che sorgevano tutt’attorno, le città del Paese delle Donne. Simili e allo stesso tempo differenti come lo sono i cani tra di loro. Quel posto, Marthatown, aveva il suo odore particolare, in parte era la nebbia del mare, in parte il fumo dei forni dove veniva messo a cuocere il pesce, in parte l’usta delle pecore e della lana delle concerie. Aveva il suo particolare odore che la rendeva diversa da tutte le altre città.

Ma non era poi differente dalle altre. Tutte avevano magazzini dove venivano stivati il cibo dai campi e dalle greggi comuni, il cui ricavato veniva diviso un tanto per ogni famiglia, un tanto per la guarnigione, un tanto destinato al commercio con le altre città. A Marthatown raccoglievano lana e pellame, grano e pesce secco e alcune radici. A Susantown raccoglievano mele secche e carne affumicata, fibra e olio di lino. Su a Tabithatown raccoglievano funghi secchi e tagliavano il legname. La città puzzava sempre di polvere e truccioli e risuonava del rumore delle seghe azionate dal mulino ad acqua. Tutte le città avevano una zona riservata al mercato piena di piccoli negozi e bancherelle. E tutte avevano dei vicoli di artigiani dove vivevano le tessitrici, le fabbricanti di candele e le pescatrici. Ogni città aveva i suoi negozi di candele, di erboristeria e centri di reclamo, strade allineate con piazze, case e cortili dove le nonne vivevano con figlie e nipoti, bambini e servitori.

Tutte le città possedevano una sala del Concilio dove gli ufficiali medici lavoravano e dove venivano conservati i pochi generi di comodità: medicine e vetro, metallo grezzo o lavorato. Avevano tutte una piazza con i cancelli che si affacciavano sul campo della guarnigione. Avevano tutte strade dove lavoravano coloro che provvedevano alla guarnigione, e naturalmente in tutte si festeggiava il carnevale, anche se ciò non avveniva sempre nello stesso momento.

— Siamo stati bene a Mollyburg — disse lui tanto per fare conversazione. — Potremmo vivere per tutto l’inverno con quello che abbiamo guadagnato laggiù. Penso che qui ci potrebbero concedere una licenza di residenza temporanea.

— Il nonno Bowough probabilmente ne sarebbe contento — disse Kostia mordicchiandosi il pollice. — Ultimamente l’ho visto molto stanco.

— Vuoi che veda se possiamo affittare una casetta alla Città degli Itineranti? A Hoboville? O a Journeybourg?

— Lascia che ci pensi — rispose Tonia — per un paio di giorni.

Conversare con Tonia e Kostia era come parlare con una persona sola. Si rubavano l’un l’altra la parola, interrompendo la frase a metà perché l’altra potesse terminarla. Una chiedeva e l’altra commentava. Se si chiudevano gli occhi era impossibile rendersi conto che si trattava di due persone. Così ora Septemius Bird annuì a entrambe, deciso ad aspettare qualche giorno prima di prendere una decisione. Le cose avrebbero seguito il loro corso, decisione o meno. Anche le città erano d’accordo su questo. Qualcuno aveva detto “le Donne propongono, la Signora decide” e un altro detto recitava: “L’unica cosa sicura di un piano è che andrà sempre in maniera diversa da come è stato concepito”.

— L’ultima volta che siamo venuti qui non ci hai detto — domandò Kostia — che Marthatown è stata la prima delle città delle donne?

Septemius assentì, cercando di ricordare quando erano venuti in quella città per l’ultima volta. Quattro anni prima, almeno; era una cosa tipica di Septemius non dire: “Sì” ma “Così si crede nel Paese delle Donne”.

— Marthatown ha generato Susantown che ha generato Melissaville e così via. Tuttavia io credo, personalmente, che Annville esistesse anche prima delle Convulsioni con la sua planimetria e molte delle sue fabbriche.

— Perché si sono divise? Credo che la vita sarebbe più facile se le città fossero più grandi.

Septemius scosse il capo, facendo un ampio gesto come per voler comprendere tutti i campi circonstanti e il mare. — Cibo, carburante, e merci di scambio, nipoti mie. Sono tutte cose che possono essere trovate a poche ore di distanza dalla città. Per andare a tagliare il legname ci mettono un giorno. Tutte le donne possono tornare a dormire dietro le mura di notte, per paura dei banditi. Sebbene i guerrieri abbiano pattugliato la zona più volte tra una guerra e l’altra sono rimasti ancora dei banditi — o forse ce ne sono dei nuovi — pronti a uccidere. Alcuni preferiscono rimanere all’esterno ma per quel che mi riguarda preferisco stare dietro le mura di notte. E immagino che le donne non siano pazze quanto me.

— Quante ce ne sono, zio? A Marthatown? — chiese Tonia.

— Quattordici o quindicimila, forse; molti di loro sono bambini e devono esserci due o tremila servitori.

— E nella guarnigione?

— Quattromila, direi, compresi i ragazzi; ce ne erano di più quando ci sono stato l’ultima volta, ma durante la loro ultima guerra ne sono morti sei o settecento. Quasi tutte le guarnigioni sono così.

— E quando i loro campi saranno così estesi che non ce la faranno a tornare dietro le mura prima di notte, fonderanno un’altra città? — chiese Tonia.

Kostia scosse il capo. — Direi che il confine dei boschi le limita più di quanto non lo facciano i campi. I raccolti crescono ogni anno, ma ci vuole più tempo per far crescere degli alberi, e hanno bisogno di legna per riscaldare le case.

— C’era un tempo in cui la gente si riscaldava con l’elettricità — disse Septemius. — Me lo disse mia nonna. Ora c’è solo un posto nel Paese delle Donne che produce elettricità, e la usano tutta per fabbricare vetro e medicine; bisogna scegliere una cosa o l’altra. — Sospirò, pensando alle cose meravigliose che un tempo si facevano con l’elettricità. Septemius era specialista in cose meravigliose. — Sono prolifiche nel Paese delle Donne — continuò. — Poche sono le donne tra di loro che hanno meno di tre o quattro bambini. Quando si saranno espanse il più possibile dovranno fondare un’altra città. Ho visto farlo una volta, molto a nordest di qui, nel Paese delle Foreste. Donne e guerrieri si mettono in marcia per stabilire nuove mura e una nuova guarnigione.

— Rimangono ancora degli spazi liberi?

— Si stanno spingendo verso le desolazioni. Alcune delle nuove città si trovano vicino al limite. Rimane ancora molta terra vuota, è vero, ma non molta di essa è disponibile per la coltivazione.

— Ci siamo andati vicini — annuì Kostia. — Quando andammo a nord sulla strada per Susantown. Tutto brullo e alberi secchi e il terreno aveva il colore della schiena di un mulo.

— Direi che presto avranno dei problemi a trovare del nuovo spazio. — Tornò alla sua stanza, sedendosi davanti al tavolo per aprire il suo diario e le note giornaliere preparandosi a iniziare sia l’uno che le altre. Alle sue spalle sentì un sospiro.

— Septemius?

— Padre?

— È stata gentile quella giovane donna alla quarantena.

— Certamente lo sembrava.

— Ha detto che dovrei mangiare qualche uovo.

— Mi sembra di ricordare che abbia detto una cosa del genere.

— E latte. Vorrei uno zabaione. Pensi che potrei avere uno zabaione?

— E cosa è uno zabaione, papà?

— Oh, una cosa molto comune prima che tu nascessi, Septemius. Si prepara con il tuorlo e il bianco dell’uovo mescolati, ma montati separatamente, capisci? Il tuorlo viene mescolato con lo zucchero e il latte e condito con il brandy. Penso, Septemius, che poi vi versassero il bianco per renderlo più cremoso e soffice come una coperta.

— Ti ingorgherebbe il gozzo, vecchio.

— Molto gentilmente, Septemius, molto gentilmente.

Non parlarono più, da un angolo provenne solo un silenzioso russare, con un ansito, come se qualcosa di affilato stesse raschiando i polmoni del vecchio. Septemius prese uno dei libri e lo aprì cercando la parola zabaione, che lo portò a zabaione di uova e questo lo portò a cercare le parole brandy e rum. Era un’arte perduta, di qualunque cosa si fosse trattato. Come perdute erano la noce moscata e i chiodi di garofano. Come il pepe. Le spezie non erano altro che parole oggi. Il cioccolato era solo una parola e anche il caffè.

Septemius avrebbe dato i suoi denti posteriori per poterne assaggiare ancora il gusto. Ora, come faceva il vecchio a sapere del brandy? Forse lo aveva saputo dal padre o dal nonno? Il brandy doveva essere stillato e poi lasciato decantare. Osservò con interesse l’immagine del marchingegno che serviva allo scopo. Se riuscivano a fare il vino, perché non avrebbero dovuto poter fabbricare il brandy?

Probabilmente perché il Concilio delle Donne lo aveva proibito e Septemius Bird era troppo vecchio per mettersi arbitrariamente a discutere le decisioni del Concilio. Forse avevano anche ragione. Septemius aveva visto uomini ubriacarsi con la birra leggera, se il brandy era più forte…

Cominciò a stilare le note giornaliere del suo diario, segnando un’annotazione marginale riguardo allo zabaione. Il vecchio dizionario, una delle sue proprietà più preziose, diceva che doveva essere aromatizzato con il vino. Il vino era disponibile. Se veramente avesse avuto a disposizione uova e latte, il giorno dopo avrebbe preparato uno zabaione per il vecchio Bowough.