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Dopo nove anni di assenza trascorsi all’Istituto di Abbyville, Stavia aveva faticato a ritrovare il suo vecchio posto nella casa di Morgot e a pensare a essa come alla sua casa. L’idea di “casa” le ricordava la stanza che aveva occupato all’Istituto, poco più di uno sgabuzzino, eppure un posto che per lei era molto personale, dove poteva tenere tutte le sue cose. Una volta ritornata a Marthatown, nella stanza che aveva occupato sin da bambina, la vedeva con occhi nuovi, come uno spazio ristretto, occupato da altri e per giunta pieno di troppe cose. C’erano, qua è là, brandelli della persona che era stata un tempo. Forse erano parti di sé che dubitava esistessero ancora o cose che altri avevano attribuito a lei. Libri che non desiderava più. Giocattoli con i quali non rammentava neppure di aver giocato. Suppellettili e stranezze che erano sempre state là e che forse appartenevano a persone che neppure conosceva. Dopo una o due settimane di disagio, durante le quali si era aggirata costantemente come un cagnolino alla ricerca di un posto dove acquattarsi, chiese al servitore che aveva preso il posto di Donal di trovare alcune ceste e di portarle nella sua stanza.
— Sono sufficienti? — chiese l’uomo spingendo alcune scatole vuote attraverso la soglia. — Ho pensato che sarebbe stato più facile spostarne diverse più piccole piuttosto che una grossa e nel magazzino ce ne sono parecchie.
— Non lo so — disse lei alquanto incerta, osservando la stanza. — Puoi ripetermi il tuo nome?
— Corrig. Sono ritornato dalla porta con Habby.
— Davvero? Io me ne sono andata all’Istituto poco dopo. — Si volse per osservarlo più da vicino. Era alto, magro, tuttavia dotato di lunghi muscoli: strano, aveva una luce negli occhi molto simile a quella che lei stessa e Morgot possedevano, teneva la spessa capigliatura scura raccolta in una treccia come era abitudine dei servitori, salvo alcune ciocche che ricadevano sulla fronte e sulle orecchie. Aveva la bocca larga, mobile, con il labbro superiore arricciato verso il basso in modo che si vedeva chiaramente solo la pienezza di quello inferiore. Aveva mani grandi molto ben modellate. Possedeva anche una voce profonda e vibrante che aveva già attirato l’attenzione della direttrice del coro. — Dove eri andato? Non sei venuto qui subito. Donal era ancora qui, quando me ne sono andata.
— Ero stato assegnato alla casa di una componente del Concilio che viveva verso la porta orientale. Ci sono rimasto per tre anni, finché non è morta. Donal è stato mandato fuori città per ricevere un qualche tipo di istruzione, e io sentivo già di conoscere la vostra famiglia a causa di Habby. Così ho chiesto di essere assegnato qui al posto di Donal. Ora mi sembra che sia sempre stata casa mia. Ti pare strano?
— Devono essere avvenuti dei cambiamenti a Marthatown — disse lei divertita. — La gente cresce. La gente va. Il Comandante Sandom è morto.
Corrig assentì. — Assieme al Vicecomandante e ad altri ufficiali.
— Sono scomparse anche diverse delle componenti più anziane del Concilio.
— Volevo chiedere se ti sembra strana questa casa.
— È strana ma la casa mi è familiare. È solo questa stanza che mi sembra singolare. Estranea, per la verità. Ti piace questo posto? Sei soddisfatto?
— Tua madre è una donna forte e interessante. Sono molto compiaciuto della compagnia di Joshua. L’associazione è fonte di sostegno e comprensione. Tua sorella era molto turbata quando venni qui. Penso che Morgot le abbia chiesto di andarsene poco dopo la mia venuta.
— Sì — mormorò Stavia. — Ho sentito.
Stavia aveva incontrato Myra un giorno al granaio.
— Non sapevo che fossi tornata dai tuoi studi — le aveva detto Myra con freddezza.
— Oh, sì, infatti sono tornata qualche tempo fa.
— Direi che sei cambiata. — Myra le aveva riservato un’occhiata clinica. — Sei bellissima. Ma immagino che tu lo sappia.
— No, non lo sapevo; è carino da parte tua dirlo. Ti piace il posto dove vivi adesso?
— È meglio che a casa di Morgot — aveva detto Myra con una smorfia di disagio. — Non ci sono servitori, per prima cosa. Zia Margaret è molto più comprensiva di quanto non lo fosse Morgot. Capisce i sentimenti degli altri.
— Be’, sono certa che Morgot abbia provato…
— No. Non la perdonerò mai per avermi scacciato. Mai!
— Ma tu non sopportavi di vivere con i servitori, Myra.
— Morgot ha scelto chi tenere — aveva detto lei cupamente. — Ha scelto di tenere lui e mandare via me. Non le è mai importato nulla di me. Ho la mia vita da vivere. Marcus è andato alla guarnigione. Il Baby Barten andrà presto e ne rimarrà solo uno a casa…
— Ne avrai degli altri.
— No, non posso. Ho avuto un’infezione dopo l’ultimo. Le dottoresse mi hanno dovuto fare una isterectomia…
— Mi spiace — aveva mormorato Stavia. — Mi spiace veramente.
— A me no. Tre figli sono sufficienti. Anche Morgot è d’accordo; ora posso fare quello che voglio.
Stavia non le aveva chiesto delle spiegazioni in proposito. L’espressione ferita comparsa sul viso di Myra le aveva ricordato troppo da vicino quella di un’altra persona. Non aveva voluto sapere cosa Myra volesse; le era stato difficile considerarla ancora sua sorella.
Stavia tornò al presente rivolgendo una domanda a Corrig. — Myra non viene mai qui in visita?
— Una volta ogni tanto, sì. Di tanto in tanto lascia qui il piccolo quando lei va da qualche altra parte. Ne sono felice anche se mi fa molta pena.
— Povera Myra.
— Myra avrebbe dovuto essere un uomo. Le sarebbe piaciuta la vita della guarnigione e sarebbe stata felice. Lei è come i guerrieri, vive di carnevale in carnevale, di gioco in gioco, di guerra in guerra, raccontandosi nel frattempo delle romanticherie sull’onore e sulla gloria. Va persino a vedere le gare sportive dalle mura, per fare il tifo per la centuria alla quale aveva appartenuto Barten.
Stavia assentì, rattristata. — Non so cosa farà quando tutti i suoi figli saranno andati alla guarnigione.
Corrig le posò una mano sulla spalla, comportandosi con una tale confidenza come se l’avesse conosciuta da sempre. — Danzerà. Penso che sia tutto quello che abbia sempre voluto fare.
Era vero. La danza era l’unica cosa che Myra avesse amato, se le fosse stato permesso di non far altro che danzare, avrebbe avuto molto successo. I comandamenti però imponevano che assieme all’arte una persona si impratichisse anche in un’attività scientifica e in una artigianale e Myra non aveva trovato niente che l’avesse soddisfatta, anche se Morgot aveva fatto tutto quanto era in suo potere per aiutarla. Ceramica, carpenteria, giardinaggio, costruzione, Myra aveva rifiutato di impegnarsi in tutte quelle attività così come in medicina, ingegneria e chimica. Non aveva voluto aver nulla a che fare con nessuna attività che non fosse la danza. Ma di quale utilità avrebbe potuto essere una donna che si occupava solo di danza? Una volta vecchia, cosa mai avrebbe potuto fare? Così, Myra si era dedicata con scarso impegno alla matematica, e al cucito a sufficienza per tessere alcune coperte e per insegnare alle ragazzine dell’asilo, odiando ogni attimo che non poteva trascorrere in palestra.
Forse, se l’avessero lasciata danzare senza imporle altre attività, non sarebbe finita nelle braccia di Barten in maniera così famelica come era avvenuto. Come se non avesse avuto niente di suo. Come se avesse avuto bisogno di lui per essere qualcuno. Forse se i comandamenti non fossero stati così esigenti, Myra avrebbe potuto essere più felice con se stessa. Non era la prima volta che Stavia aveva di quei pensieri.
— Myra è così… oh, non so; ha comincianto a coltivare tutte quelle idee per colpa di Barten? È strano il modo in cui riescono a inculcare le loro idee. Morgot e io abbiamo sempre sperato che le avrebbe superate ma non è andata così. Si comporta sempre così male con Joshua? E con te?
Lui si strinse nelle spalle con un sorriso. — La ignoriamo, Stavia, il che offende la sua convinzione di essere importante. Be’, sono sufficienti queste scatole?
— Vedremo — disse lei, spostandosi con aria interrogativa tra gli scaffali mentre cominciava a riporre le sue cose: un brutto soprammobile fatto di conchiglie, un orsetto mal intagliato in un tocco di legno, un alfabeto stampato a grandi lettere chiaramente usato da generazioni di bambini. Senza dire una parola il servitore aprì il sacco di stracci che aveva portato con sé e cominciò a riporre gli oggetti che Stavia gli porgeva.
Un’ora dopo, la stanza era più vuota. Aveva tenuto pochi libri, lo specchio nella sua cornice intarsiata, le bellissime bambole che le aveva scolpito Joshua quando era bambina e i cuscini che aveva cucito Morgot con lana multicolore. Tutto il resto era stato spazzato via per lasciar spazio solo a un letto, alla sedia, agli scaffali vuoti e a un tavolo da lavoro spoglio come le pareti.
— Meglio — approvò Corrig. — Sembra che tu abbia più spazio a disposizione adesso.
Lei gli indirizzò uno sguardo di sorpresa, incontrando i suoi occhi, mentre lasciava che i suoi scivolassero via. Oh, santo cielo, che strano uomo aveva trovato nella sua casa! Aveva compreso le sue necessità e le sue intenzioni con grande facilità. Si schiarì la gola. — Tutti i vestiti e le scarpe in eccedenza dovrebbero essere portati nella Casa del Recupero — gli raccomandò mentre lui scriveva un appunto sulle scatole. — Le tessitrici di coperte imbottite troveranno del buon materiale con cui lavorare. I libri dovrebbero essere portati alla biblioteca principale. Molti di essi sono in ottimo stato, e non ne abbiamo così tanti da doverli buttare. Il resto della roba probabilmente finirà nello sgabuzzino di Morgot. Etichetta le scatole in modo che possa sapere cosa c’è dentro. Alcune di queste cose devono essere state di proprietà delle donne delle famiglie Rents o Thalia, la madre e la sorella di Morgot o persino sua nonna. Morgot potrebbe volerle un giorno o l’altro.
— Se non fosse per le tende sembra una cella della Casa di Quarantena — l’uomo indicò una pietra dalla forma singolare che era rimasta vicino alla finestra. — Cos’è?
— Me la diede un ragazzo — rispose lei, raccogliendola, facendola poi scorrere tra le dita in maniera dolce e strana mentre la rigirava. La forma aveva un nome che, in quel momento, non riusciva a ricordare. Chernon l’aveva trovata sulla spiaggia e gliela aveva regalata durante un carnevale. Era l’unica cosa che le avesse mai regalato.
— Vuoi lasciare la stanza così spoglia? — le chiese lui con tono interessato.
— Non precisamente — rispose lei prendendo un’altra scatola che era rimasta nel corridoio. — Ho portato alcune cose da Abbyville. Potresti aprirmi la scatola?
Essa conteneva alcuni libri, più spessi e molto più densamente stampati di quelli che aveva riposto, una coperta a strisce per la stufa dei colori dell’arcobaleno blu, malva e salmone, e dipinti che ritraevano paesaggi nebbiosi con torri e terre che si profilavano in lontananza, e diverse coppe di creta di colore blu scuro.
— La coperta è un regalo di una collega di istituto. La sua attività artigianale era il ricamo. Le coppe sono di un’altra amica; vengono entrambe da Melissavylle. Ne sento la mancanza — dispose la coperta come copriletto poi mise le coppe sugli scaffali e appese i dipinti sui ganci al posto dei quadri che aveva spostato. — I dipinti sono stati eseguiti dalla mia insegnante di chirurgia. — Quando ebbe terminato la stanza sembrava risplendere di colori, sebbene fosse ancora essenzialmente spoglia.
Corrig prese uno straccio per spolverare la stufa. — Se ti fa piacere, ti cucirò un cuscino di quel colore — disse indicando le coppe blu — e intreccerò un cestino di legno.
— Davvero? Intrecci i cestini?
— Ho imparato da solo, quando ero nella guarnigione, ogni attimo che non si trascorre ad esercitarsi o a pulire, di solito viene impiegato negli sport, ma qualcuno si dedica a un’attività artigianale o a un’altra, giusto per tener le mani in esercizio. La scultura naturalmente è l’attività preferita. Le baracche sono zeppe di pannelli e finestre scolpite. È accettabile costruire i cestelli e anche cucire. Ho realizzato delle coppe decenti per i vecchi guerrieri.
La ragazza si sedette sul bordo del letto e gli fece cenno di sedersi all’unica sedia della stanza; c’era qualcosa che lei cercava disperatamente di capire: — Corrig, parlami della vita nella guarnigione.
Lui, con uno strano sorriso, si sedette posò le sue mani lunghe e belle sulle ginocchia e cominciò a parlare.
Chernon, che ora aveva ventiquattro anni e che tra pochi mesi ne avrebbe compiuti venticinque, aveva saputo del ritorno di Stavia da Michael, tuttavia, quando Beneda gli riferì la notizia, fece finta di non saper nulla. Aveva preso l’abitudine di recarsi al tetto dell’armeria per incontrare sua sorella ogni due settimane circa. Sarebbe stato poco dignitoso se si fosse presentata sua madre, ma la mitologia dei guerrieri prevedeva che le sorelle dei guerrieri fossero sentimentali quasi quanto le amanti e quello era un modo di rimanere in contatto con la famiglia.
— Da quanto tempo è tornata? — chiese cercando di sembrare poco interessato e detestandosi per la sua incapacità di riuscire nell’intento.
— Ti piace ancora! — esclamò Beneda.
— Mi è sempre piaciuta Stavia — rispose lui d’un fiato — non ne ho mai fatto un segreto.
— Non ti sei certo comportato da innamorato dicendole di non volerla più vedere solo perché si era rifiutata di violare i comandamenti.
— È stato meglio così per entrambi, era solo una bambina.
— Aveva dodici anni, quasi tredici e quando se ne è andata ancora soffriva a causa tua. Adesso ne ha ventidue. Vuoi vederla?
A questa domanda Chernon non rispose. Non sapeva neppure quali sentimenti provava al riguardo, ma era quasi certo che Michael volesse la ripresa dei loro rapporti. Michael voleva che Chernon incontrasse Stavia? Michael lo voleva davvero. Il comandante Sandom era morto da più di un anno. Lui e i suoi amici erano di ritorno dal campo degli zingari quando erano stati assaliti da un gruppo di banditi. Solo uno degli armigeri era scampato per poter raccontare cosa era accaduto. Ora era Michael il Comandante.
Michael era il Comandante e i suoi agenti dicevano che le guarnigioni vicine si sarebbero impadronite delle loro città quando la guarnigione di Marthatown lo avesse fatto a sua volta o avesse chiuso un occhio. Quell’anno era stato realizzato il miglior raccolto mai visto. I magazzini erano zeppi e stracolmi di provviste.
— Le cose — aveva detto Michael — sembrano cominciare a procedere per il verso giusto. Potremmo impadronirci della città molto presto. Allora, cosa ne hai fatto di quella lettera che dovevi scrivere a Stavia, Chernon? Non ti ha risposto?
Quasi un anno prima Michael aveva ordinato a Chernon di scrivere una lettera a Stavia ad Abbyville, una lettera in cui la implorava di partire con lui per un viaggio quando sarebbe tornata a Marthatown, non certo per andare al campo degli zingari ma per una fuga romantica, memorabile. Lei non gli aveva mai risposto… una circostanza che Chernon aveva trovato imbarazzante.
— Non era poi così irresistibile come pensavamo, il nostro Chernon — aveva riso Stephon.
Dopo quel fatto per un breve periodo Chernon si era convinto di odiarla, ma odiarla gli era sembrato inutile visto che lei non se ne poteva accorgere. Non odiava neppure Habby, e non pensava neppure più a sua madre. Il tempo era passato e tamburi e fanfare non evocavano più le frenetiche emozioni come era avvenuto alla cerimonia quando aveva avuto quindici anni. Sebbene il suo cuore fosse orgoglioso delle centurie quando sfilavano, e sebbene portasse ancora le insegne di Casimur, oltre a quelle di un altro guerriero morto della cinquantacinquesima (insegne che avrebbe portato per quindici anni finché non fossero state ritirate e depositate con il resto della settantesima centuria) l’entusiasmo che suscitavano era spasmodico, brevi orgasmi di emozioni separati da lunghi periodi di calma, quasi di depressione, che si ravvivavano solo quando Michael, Stephon o Patroclo lo coinvolgevano nei loro piani di ribellione.
Michael diceva che tre altre guarnigioni pianificavano di muovere contro le loro stesse città allo stesso momento: Mollyburg, Peggytown e Aghataville, verso oriente, sebbene Chernon non sembrasse sicuro dei dettagli come pensava che avrebbe dovuto.
— Attaccheremo dopo il raccolto — diceva Michael. — Nel tardo autunno o all’inzio dell’inverno. Dopo che il grano è stato raccolto nei fienili, e il pesce pescato durante l’anno viene seccato e immagazzinato e i commerci dell’ autunno sono terminati. Ci saranno riserve di tutti i generi alimentari quando ce ne sarà bisogno. Una volta che decideremo di muoverci, avremo bisogno solo di pochi giorni per far sapere che i nostri uomini hanno operato e sono entusiasti. Una sera le donne andranno tutte a letto e quando si sveglieranno in ogni casa ci sarà un guerriero.
— Allora è stato inutile aver scacciato Stavia — obiettò Chernon.
— Invece sì, ragazzo. Ancora non sappiamo di quell’arma che Besset afferma di aver visto. Stavia adesso è cresciuta; è più facile che conosca i segreti delle donne di quando era una bambina.
— Se esistono dei segreti, scommetto che nessuno, salvo le componenti del Concilio, li conosce — aveva affermato Chernon. — Del resto non abbiamo mai più sentito parlare di quell’arma da allora. Credo che Besset fosse ubriaco.
— E questo è possibile. Comunque abbiamo fatto in modo che gli uomini corteggino quelle componenti del consiglio che sono abbastanza giovani da essere corteggiate — soggiunse Patroclo — e naturalmente le loro figlie. Non preoccuparti di Besset, il tuo compito è quella ragazza.
Era vero che Chernon aveva sognato di compiere un viaggio, di avventura ed eroismo. Tuttavia, lei non aveva risposto alla sua lettera… Finalmente si decise a rispondere a Beneda.
— Non lo so se voglio rivedere Stavia — disse sapendo bene che lo desiderava ma trastullandosi nell’illusione di poter prendere una decisione indipendente. — Forse voglio vederla. Te lo farò sapere la prossima volta.
— Deciditi — disse Beneda. — Ci sono delle voci che dicono che presto partirà ancora con una spedizione esplorativa.
Non si rese conto del significato di quelle parole che quando fu sceso dal tetto dell’armeria ed ebbe attraversato metà del campo delle parate. Beneda gli aveva detto che, secondo alcune voci, Stavia stava per partire per una spedizione esplorativa.
Spalancò la bocca fermandosi di colpo. Una spedizione esplorativa. Aveva ascoltato quelle parole senza capirle. Forse quella era la risposta alla sua lettera. Ma, se era davvero così, perché non gli aveva mai risposto? Imprecando, Chernon scalciò nella polvere per qualche attimo facendo delle incisioni sul terreno prima di volgersi per tornare sui suoi passi. Beneda stava ancora sulle mura, intenta a osservarlo. Attraversò il campo della parata e salì le scale per raggiungerla, le mani sui fianchi.
— Dille che voglio vederla — disse. — Dille di venire al buco nel muro. Questo pomeriggio, se può. Altrimenti domani al tramonto.
Non attese la risposta canzonatoria di Beneda. Quando aveva quindici anni non gli sembrava così poco dignitoso sopportare le sue prese in giro. Ora ne aveva ventiquattro e non poteva permettere che la sorellina lo canzonasse. Tornato nuovamente sul piazzale si diresse a nord verso le baracche, recandosi poi nel cortile ombreggiato degli alloggi ufficiali. Michael lo vide arrivare e uscì sul portico, con un boccale di birra in mano.
— L’ho appena scoperto — disse Chernon. — Forse Stavia partirà con una spedizione esplorativa.
— Bene, bene, bene — disse Michael, protendendosi verso la porta per parlare a qualcuno. — Hai sentito?
— Ho sentito. — Stephon uscì sul portico chiudendo con cautela la porta alle sue spalle. Nello spiraglio tra il battente e lo stipite, Chernon vide due strani personaggi seduti all’interno. Cospiratori provenienti da altre guarnigioni. — Avevo dimenticato che è venuto il momento di tentare una nuova esplorazione.
— Raramente trovano qualcosa — commentò Michael — l’ultima volta se ne sono tornate con due nuovi insetti e delle piante da tè.
— Potrebbe pensare di portarmi con lei — disse dubbioso Chernon. — Forse.
— Assicuratene, ragazzo — disse Stephon. — Devi mostrarti irresistibile.
— Pensi ancora che sia questo l’anno?
— Sembra di sì, ragazzo. Anche le altre guarnigioni sembrano esserne sicure. Ma ancora dobbiamo risolvere un piccolo e fastidioso particolare. Quell’arma che il vecchio Besset ha detto di aver visto. Lo abbiamo sentito di tanto in tanto e ancora giura di averla vista. Non che importi molto. Solo che potrebbe crearci qualche problema.
— Lo so.
— Be’, non saperlo troppo ad alta voce — ordinò Michael.
— Non farlo se non vuoi sparire come il nostro vecchio amico Vinsas.
Chernon, che non apprezzava l’idea, cambiò argomento: — Veramente credete che Stavia sappia tutto?
Michael indirizzò uno sguardo alla volta di Stephon, come per interrogarlo.
Stephon aggrottò la fronte e assentì. — Abbiamo incaricato un uomo di corteggiare la sorella di Stavia, Myra. Se n’è andata qualche anno fa dalla casa di Morgot, ma ce l’ha ancora molto con la madre e la sorella. Continua a ripetere che Stavia era la favorita, che Stavia si interessa sempre a tutto. Una delle cose interessanti che sono emerse è che Stavia aveva fatto un viaggio a Susantown con Morgot e uno dei loro servitori.
— E allora?
— Be’ la cosa interessante è che Myra ricorda esattamente quando avvenne. Fu proprio prima della guerra con Susantown. Prima che morisse Barten. Myra lo ricorda; non lo ha mai dimenticato. È stato quasi nello stesso periodo in cui Besset e la sua banda videro quel carro che veniva da Susantown.
Chernon cercò di ricordare. — Pensi che Stavia fosse in quel carro. Pensi che sappia cosa è avvenuto?
Stephon si strinse nelle spalle. — Forse. Potrebbe darsi…
— Io penso che Besset se lo sia inventato; oppure era così ubriaco che non ha visto nulla…
Michael rispose con uno dei suoi sorrisi minacciosi. — Ammettiamo di crederti, ragazzo. Fa’ un tentativo. Fatti bello e provaci.
Non era necessario farsi belli per parlare a Stavia attraverso un buco nel muro ma a lui non importava. Il vecchio albero al limitare del campo delle parate nascondeva ancora il buco nel muro. Nascondeva anche il pacco di carta oleata che Chernon vi aveva tenuto nascosto per anni. Un libro che aveva rubato a Beneda.
Si fece strada nel sentiero dietro l’albero dove era possibile sentire se qualcuno arrivava dall’altra parte del muro. Il pacco era ancora là, un involto di carta nascosto in un anfratto dell’albero. Conteneva un libro rosso. Anche se dentro di lui ne conosceva ogni parola, anche se non vi aveva trovato nulla di interessante, averlo era proibito. Il significato risiedeva proprio là, nella sua sfida ai comandamenti, nel suo disprezzo per le regole. Non gli era permesso leggere ma lui avrebbe letto.
Le pagine si erano aperte quasi da sole. — Società migratorie, i lapponi. — Tappandosi le orecchie con le dita per azzittire il lontano rumore proveniente dai campi di gioco, Chernon cominciò il rituale con il quale mostrava il suo disprezzo per i comandamenti delle donne.
Stavia venne più volte a curare il vecchio Bowough, lo fece in numerose occasioni ma la sua condizione non migliorò. Anzi, quasi peggiorò. La respirazione divenne più faticosa. La mente sembrava vagare nel nulla. Septemius era nervoso, si tormentava le mani facendo commenti stupidi ogni volta che Stavia appariva.
— Vieni, amico mio — disse lei, portandolo nella stanza adiacente dove c’erano tre cani grigi accoccolati a terra, che alzarono i musi neri per guardarla, leccandosi le labbra scure con piccoli colpi delle lingue rosate. — Sei preoccupato per lui. Quanti anni ha veramente?
— È vecchio — ammise Septemius. — Sai quanto lo sono io stesso. Lui non lo ricorda, se mai lo ha ricordato. Io so quanti anni ho, sessanta e qualcosa, ma non ho la minima idea di che età avesse quando sono nato io.
— Qualcosa tra gli ottanta e i novanta — scherzò lei. — Ho qualcosa che gli sbloccherà i polmoni, quasi sicuramente, ma non è sulla lista disponibile per gli itineranti. Il che significa, Septemius Bird, che o devo rifiutarmi di dartelo oppure devo rubarlo al Paese delle Donne.
Septemius borbottò qualcosa senza comprendere dove la ragazza volesse arrivare, ma sicuro che avesse in mente qualcosa.
— Vuole qualcosa — gli aveva detto Kostia una sera o due prima. — Quella dottoressa vuole qualcosa da noi, Septemius.
— Qualcosa che non può ottenere in altro modo — aveva confermato Tonia. — È molto turbata. C’è qualcosa di strano in ballo.
— Una cosa mi colpisce — aveva aggiunto Kostia. — Non ha ancora figli eppure ha più di vent’anni.
— Alcune di loro scelgono di non averne — aveva obiettato Septemius.
— Poche — aveva convenuto Tonia. — Sono dannatamente poche quelle che scelgono di non averne.
— Ha trascorso molti anni all’Istituto medico di Abbyville. Non ha avuto tempo di allevare bambini — aveva obiettato Septemius.
— Anche così ci dev’essere qualcosa d’altro, Septemius. Vuole qualcosa da noi. Noi lo sentiamo.
Quante volte li aveva incontrati per caso in strada? Quante volte li aveva invitati a prendere un tè? Quante volte aveva rivolto loro delle domande?
— Raccontatemi dei vostri viaggi a sud — aveva chiesto.
— Non è un argomento piacevole — aveva risposto Septemius cercando di mostrarsi educatamente evasivo.
— Ho una ragione per chiedervelo — aveva detto lei con educazione ma con fermezza. — Apprezzerei se me ne parlaste.
Stringendosi nelle spalle lui aveva acconsentito. — A sud di qui ci sono due piccole città delle donne, molto recenti entrambe, dall’altro lato della desolazione. Emmaburg vicino alla costa e Peggytown all’interno. Nessuna delle due ha caratteristiche particolarmente rimarchevoli. Probabilmente ne sai più tu di me.
— E ancora più a sud?
— Ho sentito dire che c’è un campo fortificato di pastori a sud di Emmaburg. Non c’era l’ultima volta che mi sono spinto a sud molto, molto tempo fa, quando ero bambino. Da quello che ricordo, prima ci sono delle terre devastate e desolate, poi una terra fantastica dove si trovano pilastri, roccia e torri di pietra, dove il vento sibila incessantemente tra gli anfratti. Oltre questa zona, che si estende per chilometri, c’è una catena di montagne che corre da est a sud. Se ci si tiene vicino alla costa si arriva a diverse altre grandi desolazioni. Ma se si attraversano a piedi le montagne, cosa che generalmente non si farebbe visto che il territorio è molto accidentato e zeppo di piccoli canyon, si possono incontrare le popolazioni che vivono in quelle valli, proprio come facevano prima delle Convulsioni.
— Gente ostile, da come lo dici.
— Stavia, quella gente è poco numerosa, sospettosa e quasi sterile. Il corso dei fiumi tende a delineare canyon più che valli, con pareti scoscese dove non è possibile arrampicarsi e non vi è modo di entrarvi se non da nord o molto a sud, dove i corsi d’acqua scendono dalle montagne. Non scendemmo in quelle valli per nostra scelta. Ci fummo costretti per cercare riparo in uno di quei crepacci a causa di una terribile tempesta. Fu molti anni fa. A quel tempo la troupe di acrobati, di mio cugino Hepwell viaggiava con noi, e c’era almeno una dozzina di uomini molto forti. Se non fosse stato per quella ragione saremmo ancora là perché i nativi erano stranamente inclini a impedirci di andarcene. Tuttavia la maggior parte dei loro uomini — i loro Anziani — erano via per qualche cerimonia religiosa e loro non avevano praticamente la forza di trattenerci.
— Tuttavia la terra era fertile?
— Stranamente sì, da quel che ricordo; c’erano dei campi pianeggianti lungo i fiumi. Pascoli. C’erano anche dei boschi lungo i fiumi, ma altrove non vi erano molti alberi salvo che sulle cime. Allevavano pecore, capre e galline, questo lo ricordo, e coltivavano giardini. Alberi da frutta. Non lo ricordo bene, ma deve essere stato trenta o quaranta anni fa, dottoressa. Non posso dire di ricordarmi esattamente.
— Tuttavia la popolazione viveva a piccoli gruppi?
— Da quel che ricordo sì — aveva detto lui interrogandosi sul significato della sua insistenza e della sua espressione delusa.
— Vuole qualcosa da noi — aveva commentato Kostia in seguito.
— Qualcosa che ha a che fare con i luoghi dove siamo stati — aveva detto Tonia — o meglio i luoghi dove tu sei stato, zio Septemius, prima che noi nascessimo.
Così, tornando al presente, l’uomo chiese a Stavia: — Cosa vuoi, dottoressa? C’è un prezzo per la medicina per il vecchio Bowough? Qualcosa che vuoi scambiare?
Lei scosse il capo. — Non lo so, al momento, Septemius Bird. Forse. Ma qualsiasi cosa io possa volere, non direi che la scambierei con la vita del vecchio. Mi piacerebbe di più pensare che, se io ti facessi un favore ora, qualcosa di non indifferente te lo assicuro, in seguito tu potresti farmene uno.
— Cioè?
— Ne riparleremo. — Non era riuscito a saperne di più. Era sfuggente come quei rari pesci che apparivano di tanto in tanto nei fiumi. Tuttavia, quella sera si presentò con una siringa e praticò al vecchio Bowough un’iniezione che sembrò, quando venne il mattino, aver reso più facile la sua respirazione.
Di qualsiasi cosa si occupasse durante la giornata Stavia consumava il pranzo e la cena a casa con la sua famiglia assieme a Morgot, Joshua, Corrig e, molto raramente, con Myra e il figlio più piccolo. L’infante forniva di solito abbastanza da fare da impedire a Myra di mostrarsi sgarbata coi servitori o di rinfacciare vecchie ingiustizie e cattiverie.
Quella sera però si presentò un nuovo pretesto di irritazione.
— Non capisco perché Stavia debba occuparsi di tutto — si lamentò Myra asciugando la salsa di mele dalla bocca del piccolo. — Morgot, hai due figlie, sai?
— Non sono stata io a proporre Stavia per la squadra di esplorazione — rispose con calma Morgot. — È stata assegnata alla missione soprattutto perché è un medico.
— Di certo non manderanno solo gente specializzata in medicina.
— No, naturalmente no. Ma del resto non manderanno neppure delle mamme con bimbi piccoli. Preferiscono gente giovane, senza figli, istruita in qualche attività utile. Non vogliono che partecipi troppa gente. La squadra che andrà a sud sarà composta solo da due persone: una donna, un servitore e uno o due animali da carico. La spedizione avrà due scopi: trovare nuove specie botaniche ed esplorare il territorio meridionale che crediamo possa essere abitato. Non vogliamo che una squadra numerosa possa attirare l’attenzione o provocare guai, solo un piccolo gruppo che possa inoltrarsi nelle colline e scoprire quanto a nord si possano essere spinti gli stranieri.
— Ci sono altre squadre!
— Sì. Due squadre di medie dimensioni andranno a est e a nord, quella diretta a oriente per vedere se le desolazioni sono regredite e quella a nord per esplorare i confini della zona ghiacciata. Anche queste squadre naturalmente saranno incaricate di scoprire nuove specie zoologiche o botaniche di qualche interesse. Un gruppo piuttosto numeroso andrà a ovest con una nave per prendere poi terra ed esplorare se vi sono dei segni che testimonino qualche forma di vita che ci possa essere utile conoscere. Tutti e tre saranno dei viaggi molto faticosi, nulla che tu potresti trovare divertente, Myra.
— Mi avrebbe fatto semplicemente piacere starmene lontana da casa e dai bambini per un poco.
Morgot scosse il capo e rimase silenziosa. Myra aveva scelto di avere tre figli, prima Marcus, poi Baby Barten, quando il primo aveva avuto cinque anni, e ora questo. Ogni suggerimento di lasciare i bambini all’asilo per qualche ora al giorno per potersi dedicare alla sua istruzione avevano trovato un muro di cocciuta incomprensione e lacrime. — Sono tutti maschi! Li avrò con me solo per poco tempo, Morgot. Voglio trascorrere con loro tutto il tempo che posso. — E tutto questo solo per affermare il momento successivo che sarebbe diventata pazza se non poteva starsene un poco in pace. La maternità non aveva cambiato Myra in maniera apprezzabile. Be’, il secondo figlio sarebbe andato da suo padre guerriero nel giro di un mese.
— Hai deciso se accettare o meno l’incarico? — chiese Morgot a Stavia. — Hai già fatto trascorrere molto tempo, ed è venuto il momento di decidere.
Stavia, che già aveva deciso di andare e che temeva di infrangere i comandamenti una seconda volta, aveva cercato di evitare l’impegno sino a quel momento, prendendo più tempo possibile prima di decidere. — Ci sto pensando, Morgot. Hai detto che il viaggio potrebbe durare più di sei mesi. È un bel lasso di tempo.
— Però ci sono dei vantaggi. Mia madre partecipò a una spedizione, e scrisse cose molto interessanti in seguito.
— La mia arte è la recitazione, Morgot. Cosa ti aspetti che faccia? Che mimi il mio viaggio?
— No, francamente pensavo di più ai vantaggi che ne potresti trarre per la tua attività scientifica e artigianale. Al campo dei pastori ci sono pochi medici. E hai più nozioni sulla vegetazione delle altre candidate. Raccogliere campioni di piante non è un’attività da poco.
Stavia rimase silenziosa, imbarazzata. Non ci aveva pensato. — Non è mai stata realizzata una raccolta sistematica?
— No, solo degli esemplari raccolti sporadicamente. Scoprire una nuova radice o una nuova qualità di grano potrebbe essere una ricompensa sufficiente per il tempo che perderai. Magari potresti trovare qualche nuova erba con qualità terapeutiche. Sarrebbe una cosa gradita se riuscissi a trovare qualche nuova qualità di fiori per il giardino.
— Bene — rimase in silenzio, pensierosa cercando di considerare la proposta più come un buon affare che un viaggio periodico di esplorazione — Visto che insisti tanto, Morgot. Se mi assegneranno alla squadra che andrà a sud partirò. Dopo aver trascorso quattro anni a stretto contatto con gli altri ad Abbyville non mi andrebbe di partecipare a una spedizione numerosa.
— È come ti ho scritto nella mia lettera — borbottò Chernon attraverso il buco nel muro. Se solo avesse saputo quanto gli era costato mandarle segretamente quella lettera… — Ho controllato nei comandamenti. Non c’è nulla qui che impedisca di assentarsi per un poco.
— Lo so che è questo che mi hai scritto nella lettera — disse Stavia con pazienza — ma non c’è nulla che dica che tu possa venire. — Chiuse gli occhi, ascoltando la sua voce. Ricordava Chernon come era dieci, undici anni prima. La sua voce aveva un suono diverso, sembrava diverso, ma quel ragazzo era ancora là, nascosto da qualche parte.
— Non c’è nulla che dica che non possa — persistette lui, incapace di ripeterle le rassicurazioni che gli aveva suggerito Michael. — Se vado, al mio ritorno dirò loro solamente che pensavo che fosse permesso. Certo mi sgrideranno. Potranno anche punirmi ma non mi condanneranno per codardia o per qualcos’altro perché non ho ancora venticinque anni. Tra pochi mesi, li avrò compiuti e allora sarà troppo tardi.
Stavia, non vista, si strinse nelle spalle, combattuta tra il buon senso e quelle argomentazioni. Aveva letto la sua eloquente missiva più di una dozzina di volte trovando risposte diverse ogni volta, risposte dettate dalla rabbia e dal dolore, dal riso e dal desiderio. Il giovanotto l’aveva pregata di partire con lui, solo per una volta. L’aveva pregata per avere qualcosa da ricordare negli anni a venire, qualcosa che avrebbe reso la sua vita degna di essere vissuta. — Perché lo vuoi, Chernon? Hai scelto di stare con i guerrieri. Se non ti piace quella vita puoi sempre decidere di tornare dalla Porta delle Donne. Perché questo?
— Perché andarmene per un viaggio come questo non è disonorevole — disse lui quasi furioso. — Potranno dire che sono pazzo o che mi sono sbagliato, persino che mi sono comportato in maniera infantile ma non diranno che ho perso il mio onore.
— Ha così importanza quello che diranno di te?
Scelse di non rispondere a questa domanda. — Stavia, me lo devi. — Era un altro dei suggerimenti di Michael, forse avrebbe funzionato.
— Io?
— Se non mi avessi dato quei libri non avrei cominciato a fantasticare sulle cose; non sono soddisfatto dell’unica scelta che ho fatto. Voglio saperne di più sulla vita. Tu hai fatto in modo che cominciassi a considerare questa possibilità e ora tocca a te darmi soddisfazione in modo onorevole.
Lei mormorò qualcosa che lui non riuscì a comprendere.
— Cosa hai detto?
— Cosa ti fa credere che questo viaggio ti soddisferà?
— Hai la mia parola.
Lei non ci credette veramente. — Perché coinvolgermi?
Colpito, Chernon disse qualcosa che si avvicinava alla verità. Aveva visto Stavia sulle mura con Beneda. Lei era già diventata una bella ragazza l’ultima volta che l’aveva vista. Ora era una donna stupenda, e il pensiero di averla per sé lo aveva tormentato in modi che non credeva possibili. — Perché non posso lasciarti andare da sola. Non riesco a dimenticarti; perché ti amo — implorò. — Per me la cosa essenziale è stare con te, Stavia. Vero? Non è quello che entrambi desideriamo? — Nell’istante in cui lo disse, seppe che era quello che avrebbe dovuto dire da sempre.
Lei si sedette, confusa; era quello che entrambi volevano? Se le avesse rivolto la stessa domanda anni prima, prima che lei partisse per l’istituto, avrebbe detto di sì. Sì, subito e senza pensarci. Aveva sofferto a causa sua, lo aveva desiderato. Anche ora, una parte di lei si sentiva eccitata a quelle parole. Sentiva che stava perdendo il controllo di sé, ansimava appoggiata al muro che li divideva, pronta ad attraversarlo per lui. Una piccola parte di lei si comportava come una sgualdrina eccitata con le gambe tremanti d’emozione. — Sì, voglio stare con te, Chernon — disse, con sincerità, quasi stupita dal desiderio che traspariva dalle sue parole. — Almeno una parte di me lo vuole. Ma penso che potrei aspettare sino al carnevale.
— No — fu quasi un urlo. — Non per il carnevale. Non voglio che accada in quella confusione di bagordi con tutta quella gente che va dentro e fuori dal letto con chiunque…
Lei s’infuriò a quelle parole. — Non intendevo dire che avevo intenzione di entrare e uscire dal letto con chiunque…
— Non volevo dir questo. Non voglio che quello che sento per te sia… — cercò le parole più dolci che riuscì a trovare — non voglio far parte di… un’indulgenza generale; non voglio che siamo circondati da centinaia di guerrieri ubriachi e donne ridacchianti. Io voglio… qualcosa di più tenero. — Quelle erano le parole di Michael e di Stephon, pensate con cinismo ed esposte con disperazione.
— Simels — disse lei con una smorfia quasi divertita.
— Cosa?
— Il vostro poeta guerriero Simels. Non ha composto una canzone in cui parla del desiderio di stare in paradiso con la sua amata?
Silenzio. Poi. — Non mi importa se sarà o meno un paradiso. Ma voglio stare solo con te. Non voglio che nessuna delle donne delle case di appuntamento venga a bussare alla porta per avvertirci che il tempo a nostra disposizione è finito.
Lei non riusciva a rispondergli. L’osservatrice Stavia era come paralizzata, morsa dalla vipera dell’indecisione, incapace di dire sì o no… forse più tardi, lasciami pensare… Non voleva prestarsi a quel sotterfugio, a quella cospirazione. Si sentiva come un’estranea mentre l’altra Stavia stava prendendo il sopravvento. L’attrice. L’attrice che rendeva tutto così facile, giusto o sbagliato che fosse, tutto più semplice.
— Giusto — disse, senza permettersi di provare nessuna sensazione, senza lasciar spazio a nessun pensiero salvo che quello era Chernon, e che il suo cuore palpitava quando lui le rivolgeva la parola. Ad Abbyville a volte si era svegliata di notte, pensando a lui. Non era un guerriero come gli altri, non come Barten, non era un fanfarone vanaglorioso. Era Chernon. Il fratello di Beneda. Le era penetrato nelle ossa. Aveva cercato di scacciarlo ma le era stato impossibile.
— Tra poco partirò per un viaggio di esplorazione a sud — gli disse — farò in modo che tu possa disporre di un mezzo di trasporto che ti conduca molto a sud di Emmaburg e ci incontreremo là. Dovrai coprirti il tatuaggio e raderti la barba, non che tu ne abbia molta. Poi acconciarti i capelli come un servitore.
Un silenzio cocciuto. — Non voglio…
L’attrice Stavia se la cavò bene in quel caso. — Chernon, o così o niente. Non posso farmi vedere in viaggio con un guerriero di qui. Tu potresti non farti vedere ma se accadesse, tu sarai un servitore di nome Brand di Aghataville. Nessuno ti conosce, e tu non conosci nessuno. Io sono l’unico membro della spedizione di Marthatown, nessuno ti farà domande. Salvo quando saremo soli prenderai ordini da me, con educazione. E mi chiamerai signora.
— E che ne sarà del vero servitore, quello che dovrebbe accompagnarti?
— Dovrò inventarmi qualcosa; un modo per mandargli un messaggio dicendogli di non venire. Noi due compiremo l’esplorazione che avrei compiuto comunque, poi torneremo separatamente. Io tornerò in città, tu alla guarnigione. Secondo quanto hai detto ciò dovrebbe soddisfarti. — La sua voce non forniva indizi sul tumulto interiore che l’agitava. Ci ripensò trovando inconcepibile che la sua voce suonasse così fredda mentre lei si sentiva così eccitata.
Chernon fu costretto a cedere alle sue richieste. Le sue fantasie di esplorazioni terminavano sempre con il ritorno alla guarnigione, accolto con tutti gli onori. C’era qualcosa di insoddisfacente nel piano di Stavia, lo percepiva solo vagamente senza neppure riconoscerlo. Se fosse stato in grado di analizzarlo, sarebbe rimasto colpito e turbato di scoprire che in realtà non gli andava l’idea di ritornare.
— Ho portato delle altre medicine per Bowough — disse Stavia sorseggiando il tè nella stanza che Septemius divideva con il vecchio. — E questo è il favore che ti faccio io. Per quel che riguarda il favore che tu puoi fare a me…
— Sì? — chiese lui, interessato, conscio del silenzio che regnava nell’altra stanza dove Kostia e Tonia stavano ascoltando ogni parola.
— Voglio che voi vi mettiate in cammino verso sud, non appena Bowough si sarà ristabilito. Quando vi troverete a circa un chilometro e mezzo dalla città, qualcuno ti chiamerà per nome e ti chiederà un passaggio verso sud. Spero che accondiscenderai a questa richiesta.
— E dove potrebbe voler andare questa persona?
— A sud. Quasi sino al campo dei pastori di cui mi hai parlato l’altra volta. Non dovreste avere problemi a portarlo sin là. Mi faresti un grande favore.
Septemius non disse nulla.
Tonia, che aveva ascoltato con una certa apprensione, arrivò dalla camera vicina. — Credi nella lettura del futuro? — chiese a Stavia.
La ragazza alzò lo sguardo distrattamente. — La predizione del futuro?
— Io e Kostia siamo molto brave. Vorremmo farti le carte, Stavia. Ti dispiace?
Stavia indirizzò a Septemius uno sguardo sospettoso.
— Lascia che lo facciano — sospirò. — Sono molto brave e non ti porterà nessun danno.
Agile come se non avesse avuto ossa, Tonia si chinò sul tappeto davanti alla stufa, spingendo avanti il panchetto che vi stava a fianco. Teneva il mazzo nella mano destra; lo passò a Kostia che mescolò le carte prima di passarle a Stavia. — Mischiale — disse — come vuoi.
Quasi rabbiosamente, Stavia mescolò il mazzo, ricompattandolo con un colpo secco. — Adesso, taglialo.
Divise il mazzo a metà.
— Ora scegli in quale metà c’è il tuo futuro, Stavia.
Sempre rabbiosamente, picchiò il dito sulla metà sinistra. Tonia la raccolse rigirandosela nelle mani.
— Quanti anni avevi quando sono cominciate le tue sofferenze?
— Quali sofferenze? — domandò Stavia, che ora era realmente furiosa.
— Oh, shh — la stimolò Septemius. — Non essere ipocrita. Tu hai delle difficoltà, Stavia, altrimenti non avresti chiesto il nostro aiuto. Quanti anni avevi quando è cominciata?
— Dieci — disse freddamente. — Avevo dieci anni.
Tonia contò le carte sulla panca girando la decima a faccia in su. Una donna con una cappa nera si stagliava sulle stelle in un campo di neve. — La Regina d’Inverno — disse. — La Signora delle Tenebre, portatrice di freddo. Niente di buono può nascere sotto questo segno, Stavia. Quanti anni avevi quando ti ha lasciata?
— Come sai che mi ha lasciata?
— Lo so. Quanti anni avevi?
— Tredici.
Tonia contò altre tre carte girando la terza a faccia in su. Un uomo con un costume multicolore appoggiato a un albero con il viso voltato da un lato sul retro della testa indossava una maschera in modo che il viso guardava in tutte le direzioni. Un lato dell’albero era pieno di fiori. Sull’altro la neve copriva i rami. — Il Mago di Primavera — disse la ragazza — l’uomo dalle due facce. Che dice sì e vuol dire no, o il contrario. Quanti anni hai, Stavia?
— Ventidue.
Altre nove carte. Quella con il dorso girato mostrava un guerriero che stava sul suo nemico ucciso brandendo la spada con cui lo aveva ammazzato. — Il Guerriero d’Autunno — disse Kostia. — Morte, Stavia. Non per te, tuttavia; per qualcun altro.
— Cosa stai dicendo? — domandò lei.
Fu Septemius a rispondere. — Questo viaggio non ti porterà del bene, Stavia. Sarà pieno di menzogne e fraintendimenti. E potrebbe essere pieno di morte.
— Ma non la mia?
— Non necessariamente. Ma qualcuno morirà.
— Stai rifiutandoti di farmi il favore che ti ho chiesto?
Lui scosse il capo con un sospiro. — No, perché dovrei? Sono forse affari miei? Siamo forse parenti che io ti debba dare dei suggerimenti non richiesti? Siamo amici forse? Io sono solo un attore vagabondo, un vecchio, con un padre anziano e due nipoti bizzarre, quattro muli e cinque cani ballerini. Se sono riluttante è solo per il ricordo di mia sorella. Anche lei, ascoltò le blandizie di un guerriero.
— Andò con lui — disse Kostia.
— E rimase incinta di noi — concluse Tonia.
— Lui era un tipico guerriero. Voleva solo figli maschi. Così, quando si accorse che eravamo bambine, la lasciò — disse Kostia.
— E lei morì — disse Septemius. — Ho sempre pensato che fosse morta per il dispiacere, sebbene la levatrice abbia detto di no.
— Probabilmente aveva ragione — commentò secca Stavia — le morti per crepacuore sono più comuni nei romanzi che nella vita vera — se lo era ripetuto per molti anni e non aveva ancora trovato prova del contrario.
— Eppure tu continui ad ascoltare le blandizie di un guerriero…
— Non esattamente — disse lei, cercando tempo per spiegarsi a se stessa — e non sono blandizie. Ho reso infelice qualcuno, senza volerlo. Forse ho cercato il suo amore concedendogli qualcosa pur sapendo che era sbagliato. Anche se non sono stata completamente io la causa della sua infelicità, ho contribuito al suo dolore. È una mia responsabilità. Devo fare quello che posso per rimettere le cose a posto. Forse concedergli qualcosa in cambio di ciò che non ho potuto dargli. Anche se ciò mi costerà molto.
Septemius non disse nient’altro, tuttavia scosse il capo a intervalli per tutta la sera e trascorse la notte a rigirarsi senza pace nel letto.
Stavia dormiva rumorosamente, sebbene non tanto profondamente da non sentire la porta aprisi nella notte e una voce chiamare il suo nome.
— Cosa c’è? — chiese, non completamente sveglia.
— Ho fatto un sogno — disse Corrig, con voce turbata. — Ho fatto un sogno, Stavia.
— Corrig, fa parte dei doveri di un servitore aggirarsi per la casa coinvolgendo le donne nei suoi sogni?
— Il sogno parlava di te. No, in parte ti riguardava.
— Davvero?
— Non farlo. Qualsiasi sia il tuo piano, non fare quello che hai pianificato. Ci saranno problemi, pericolo e sofferenza. Io li ho visti.
— Sembri Kostia e Tonia, Corrig. Hai visto forse la Regina d’Inverno nel mio futuro? O il Mago di Primavera o magari anche il Guerriero d’Autunno?
— Ho visto il dolore.
— Te lo chiedo ancora, ti sembra che sia questo il dovere di un servitore? — Era abbastanza sveglia da essere vagamente arrabbiata, sebbene si sentisse più interessata che irritata.
— È… è dovere dei servitori vedere le cose, Stavia. Ho visto delle cose e ora te le dico. — Non farlo. — Si volse e lasciò la stanza.
La ragazza si lasciò cadere sul cuscino, pensando di aver sognato quel colloquio. Non gli credeva, non più di quanto avesse creduto alle gemelle. Forse era meglio non credere.
— Forse è meglio non sapere, se tutto quello che vedi sono sangue e corpi massacrati — citò tra sé, mentre il suo cervello ripeteva più volte le battute della vecchia commedia.
Che strano da parte di Corrig venire da lei a quel modo. Evidentemente condivideva con Joshua il suo strano dono. — È compito dei servitori vedere le cose. — Vedere quali cose, in ogni modo? Stava vantandosi di possedere delle qualità extrasensoriali? Forse chiaroveggenza?
Fece una smofia. Era una cosa da favole. Comunque le era sembrato molto sicuro.
Improvvisamente ricordò il viaggio che aveva compiuto molti anni prima con Joshua e Morgot. Anche Joshua era sembrato molto sicuro di sé. Dopo quella volta, Stavia si era domandata chi e cosa fosse.
Ora si rivolgeva lo stesso interrogativo su Corrig, rammentando nuovamente una battuta della rappresentazione per rispondersi: — Ma se loro non lo ascoltano quando parla… allora chi è?