121713.fb2 Cronache del dopoguerra - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 21

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Septemius Bird sedeva comodamente sul sedile del carro, lasciando a Chernon il compito di guidare i muli, cosa che, al quarto giorno del loro viaggio, era arrivato a fare piuttosto bene. Il vecchio Bowough era sdraiato sulla stuoia, nel carro dietro di loro con Kostia e Tonia al suo fianco, che si erano intestardite a venire malgrado le ripetute insistenze di Septemius che avrebbe voluto che rimanessero a Marthatown. Ricordava la sua precedente visita a sud e non voleva assolutamente far correre rischi alle gemelle anche se rammentava molto poco di quel posto. Da quanto ricordava le donne erano poche. Ora, se non erano avvenuti dei significativi cambiamenti, la situazione poteva essere disperata. Avrebbe voluto parlarne con Stavia ma non ne aveva avuta l’opportunità. Stava ancora cercando di decidere se doveva metterla in guardia tramite quel giovane imberbe che sedeva al suo fianco. Septemius provava una leggera vergogna ma non riusciva a trovare simpatico il giovane Chernon, sebbene questi si dimostrasse abbastanza educato nonostante i suoi limiti.

No, decise, meglio parlarne direttamente a Stavia quando l’avesse vista. — Dove incontrerai Stavia? — chiese, una domanda che giudicò tardiva. — Non me lo hai detto.

Chernon si destò dai suoi pensieri. — Oh, ci siamo accordati su un segnale. Me ne andrò dopo che avrete stabilito il campo. Quando arriverete le dirai dove mi avete lasciato e lei riuscirà a trovarmi. — Stavia si era messa in viaggio due giorni prima che il vecchio Bowough Bird si fosse sufficientemente rimesso da poter viaggiare e, quando Chernon fosse giunto, sarebbe già arrivata da qualche tempo al campo fortificato verso la quale erano diretti. Aveva assicurato a Chernon che si sarebbe liberata del servitore che avrebbe dovuto viaggiare con lei e che sarebbe stata sola. Quale vantaggio avrebbe potuto portarle un servitore, Chernon non riusciva a immaginarlo. Nella guarnigione era opinione comune che coloro che tornavano al Paese delle Donne venissero castrati dalle dottoresse e Chernon ne era quasi convinto. Quantomeno i servitori non avevano figli, visto che ogni bambino nato nel Paese delle Donne doveva essere inviato al suo padre guerriero. Alcuni dicevano che i servitori erano usati per mettere al mondo le figlie, ma Chernon ne dubitava. Le sue letture proibite gli avevano insegnato delle nozioni elementari di biologia che mettevano in dubbio quella supposizione.

Be’, qualunque fosse l’utilità di avere con sé un servitore, Stavia non ne avrebbe avuto uno con sé.

Come se gli avesse letto nella mente il vecchio gli disse: — Non è arrivata da sola sin laggiù, vero?

— Mi ha detto che sarebbe stata perfettamente al sicuro.

— E tu hai creduto alle sue assicurazioni?

— Nel Paese delle Donne si usa così — disse Chernon, solo leggermente sarcastico.

— Ma sarà al campo fortificato al quale siamo diretti?

— È quello che avevamo stabilito.

Septemius era irritato. Non gli piaceva quell’affare, neanche un po’. Se solo le due gemelle avessero acconsentito a rimanere in città avrebbero potuto vivere per un poco nel quartiere degli itineranti fuori dalle mura occidentali frequentando le scuole del Paese delle Donne. I Concilii delle varie città incoraggiavano un tale atteggiamento tra le donne degli itineranti, e neppure si preoccupavano che potessero passare il loro sapere ai loro uomini, sebbene non permettessero loro di copiare i libri. Nondimeno, le ragazze avevano insistito a mettersi in viaggio, e lui non voleva far correre loro dei rischi portandole nelle vicinanze delle terre devastate.

— Potrebbe non essere sicuro come ha detto Stavia — disse infine. — Quando vi metterete in viaggio, fate molta attenzione. — Non riusciva a impedire che la sua voce assumesse un tono preoccupato che irritò il giovane. Proseguirono la marcia praticamente in silenzio per qualche tempo con un reciproco e crescente disagio.

— Vuoi che ti prediciamo il destino, Chernon? — disse Kostia. — Possiamo farti le carte?

— Che carte sono? — chiese lui, distolto da un sogno a occhi aperti in cui lui e Stavia erano le figure centrali, felice di ogni pretesto che impedisse all’ansia di Septemius di infettarlo con simili preoccupazioni. Si era sentito a disagio sin dal momento in cui aveva lasciato la guarnigione ma non voleva veramente esaminare le cause di quella tormentosa agitazione; pensarci lo portava su strade che non voleva percorrere. Gli era passato, molto brevemente, per la testa che manipolare Stavia in quel modo era un atteggiamento che avrebbe potuto assumere Barten, ma aveva scacciato nervosamente quel pensiero come una colpa della quale nessuno avrebbe potuto ritenerlo colpevole. Non stava attirando Stavia fuori dalla città solo per i suoi fini personali, lei sarebbe partita comunque. Non stava rischiando la sua vita e la sua salute per il proprio piacere, non aveva malattie, e non aveva intenzione di beccarsene in futuro. Michael gli aveva promesso che, quando fosse venuto il momento in cui i guerrieri avrebbero preso il controllo di Marthatown, Stavia gli sarebbe appartenuta, se ancora l’avesse desiderata. Chernon immaginava che l’avrebbe voluta ancora, e questa constatazione gli chiarì le idee. Non stava facendo nulla, non stava pianificando nulla che non avrebbe avuto una continuità in futuro. Alla fine anche lei ne sarebbe stata contenta. Michael glielo aveva assicurato.

I nove decimi del suo pensiero cosciente erano occupati da pensieri lubrichi, non poteva negarlo, né faceva alcuno sforzo — una volta che le tenebre scendevano e gli effetti fisici delle sue fantasticherie diventavano ovvi — per tenere a freno quei pensieri che erano sempre più strani, impazienti ed estremamente piacevoli. Oh, sì, la voleva, la voleva per lui, per lui, senza preoccuparsi di incertezze o problemi. Gli costava fatica attendere di percorrere la distanza che separava la sua posizione attuale dal luogo dove tutto sarebbe accaduto. Fino a quel momento preferiva non preoccuparsi senza ragione per questioni secondarie e scrupoli di coscienza. — Di quali carte stai parlando? — ripeté con la voce roca di tumida impazienza. Tonia protese il capo dalla porta aperta nella parte frontale del carro, dietro il sedile, e gli mostrò il mazzo di carte a faccia in su che teneva nel palmo della mano. — Le carte del destino, Chernon. Non le hai mai viste prima?

— Ti spiegherò cosa sono — disse Kostia sbucando da dietro la spalla di Tonia. — Ci sono quattro semi nel mazzo, uno per ogni stagione; ogni seme ha un Re e una Regina e un’altra figura come la triade reale — porse a Septemius una bottiglia di vino e quattro coppe, badando di distribuirne equamente il contenuto; c’era un’altra bottiglia dietro di lei. Kostia e Tonia avevano deciso di far ubriacare Chernon almeno un poco.

— Nel seme di Primavera — disse Tonia — il Re porta uno scettro di fiori e la Regina è incinta, mentre il Mago di Primavera guarda sia verso i campi pieni di frutti e il caldo sia verso il freddo.

— Nel seme d’Estate il Re conduce una coppia di buoi — continuò Kostia, porgendo a Chernon la coppa ricolma. Indicò una carta. — Sono questi i buoi. Una specie di mucche. Non ce ne sono più. La Regina porta abbondanza di grano, frutta e verdure. La Profetessa d’Estate è nuda sotto la veste trasparente; indossa una foglia di edera e porta davanti a sé un aspersorio d’incenso. Il fumo le nasconde il volto.

Tonia continuò la storia. — Il Re d’Autunno ha la barba grigia e porta un bastone di quercia in cima al quale ci sono delle foglie rosse. La Regina alza le mani e da esse cade la pioggia sui campi. Il Guerriero d’Autunno si appoggia alla sua spada.

— Alla fine — concluse Kostia — in Inverno si vede il Re trascinato dalle renne sul suo cocchio. Non ce ne sono più neanche di quelle…

— So cosa sono le renne — borbottò Chernon, che aveva quasi prosciugato la sua coppa di vino.

— Il Re ha una barba bianca e una veste rosso sangue. Poi ci sono la Regina con la cappa scura che si staglia davanti alle stelle e la Principessa d’Inverno, avvolta in una pelliccia, con gli occhi di fuoco che possono gelare o ardere a sua scelta. Ha un pugnale in una mano e una spiga di grano nell’altra per nutrire gli animali. Il segno del seme di Primavera è il bocciolo, dell’Estate il grano maturo, dell’Autunno la foglia di quercia e dell’Inverno la foglia di agrifoglio. Ci sono dieci carte numerate in ogni seme — tornò a riempire la coppa di Chernon.

Chernon porse le redini a Septemius e prese le carte che la ragazza gli aveva offerto, sfogliandole. Erano magnificamente dipinte a mano e verniciate, solo i bordi erano leggermente consunti. Ne depose due sul sedile del carro. Il cinque di agrifoglio e l’asso di grano. Kostia sospirò.

— Un sospiro pesante — la canzonò Chernon — carte sfortunate?

— L’asso di grano significa distruzione — rispose lei.

— Perché? — Mostrava un uomo con un falcetto alla cintura con una singola spiga tra le mani. La testa dell’uomo era rivolta all’indietro in modo che fosse impossibile vederne gli occhi, ma la bocca era aperta e i nervi del collo erano tesi come se avesse appena urlato o imprecato. — A me sembra rappresenti un raccolto.

— Ha tagliato il grano ma non ha seminato — disse Tonia. — Il cinque di agrifoglio mostra un albero con cinque rami, gravato dalla neve con lo sfondo del cielo grigio. Si trova a metà del mazzo, non troppo presto, non troppo tardi. Non ci sono figure in questa carta. È una carta di attesa. Una carta che simboleggia il passaggio del tempo.

— Non puoi fermarti a due carte — intervenne Kostia — devi scartarne ancora una, almeno.

— Perché? — chiese nuovamente lui con cocciutaggine.

— Tre, cinque, sette, undici, o tredici — disse Kostia. — Numeri che non possono venir separati in parti uguali.

— Numeri primi — suggerì Septemius. — Numeri divisibili solo per se stessi. Hanno sempre avuto un significato arcano.

— Oh, va bene — disse Chernon, con un sorriso che voleva lasciar intendere che non credeva o comunque che non si preoccupava di tutto ciò. Prese un’altra carta e la mise vicino alle altre due che già stavano sul sedile. Kostia trattenne il fiato e gli portò via le carte. — Be’, hai scelto la Principessa d’Inverno, Chernon.

— E cosa significa? — Vuotò la sua coppa un’altra volta e riprese le redini dalle mani di Septemius. — Senza dubbio qualcosa di orribile.

— No — disse lei. — Solo che ti aspetta una donna che può essere sia un’amante che una nemica.

— Stronzate — disse lui rudemente. — Ecco cosa sono. Naturale che il tempo passi, che avvengano delle distruzioni e tutte le donne possono essere amanti o nemiche, a volte entrambe le cose. Mi avete detto solo cose ovvie o inevitabili.

Kostia gli lanciò uno sguardo offeso e chiuse la porta silenziosamente lasciando la bottiglia sul sedile del carro.

Chernon rise mentre riempiva nuovamente la coppa. Ne aveva abbastanza delle fattucchiere. Lanciò a Septemius un’occhiata di sguincio sorprendendo un’espressione turbata sul suo volto. — Non crederai mica a quella roba, eh, mago? Proprio tu? Tu che per vivere prendi in giro la gente con questi trucchi? — Chernon aveva già da lungo tempo deciso che era necessario che lui non si preoccupasse di quello che Septemius poteva dire, fare o pensare. Nessuno avrebbe dato credito a un mago vagabondo, e quando i guerrieri avessero preso la città, il vecchio e le ragazze avrebbero fatto quello che veniva detto loro di fare.

— Oh, sì — ammise il vecchio. — È così che mi guadagno da vivere. Fare in modo che la gente pensi di vedere quello che non vede. Far credere alla gente che ho fatto quello che non ho fatto. Conosco tutte le bugie che la gente ama raccontarsi. Io li aiuto a mentire a se stessi, è la mia abilità. E io, Septemius Bird, ti dico, Chernon, che quando Kostia e Tonia leggono le carte, spesso dicono più verità di quello che io voglia sapere.

— Meglio per me, allora, che ho letto da solo le carte — replicò Chernon — aizzando i muli. Aveva fretta di giungere a destinazione. — Be’, le carte hanno ragione, Septemius. Il tempo passerà. Posso tagliare qualche ramo lungo la strada, per il nostro bivacco e questo sicuramente avvererà la predizione riguardo alla distruzione. Potrei trovare la Sacerdotessa d’Estate, lo sai? Quella con il viso nascosto. Quando incontrerò Stavia, vedrò il suo corpo — scoppiò in una risata volgare, lubrica, che tradiva molto più di quello che immaginava — ma forse non il suo volto. Nessuna di loro, delle abitanti del Paese delle Donne, ci mostra mai il suo vero volto, non lo sai?

— Mi soprende che tu lo dica — nella voce di Septemius c’era una nota più aspra di quanto egli volesse. Questa volta fu lui a riempire la coppa di Chernon.

— Oh, non sono stupido, mago. Ci ho pensato molto, sai? Ho potuto leggere dei libri prima che Stavia decidesse di tradirmi e di non darmeli più; sono riuscito comunque a tenermene uno, che apparteneva a mia sorella Beneda. Gliel’ho rubato. Non se ne è neanche accorta; Beneda non è molto portata alla lettura comunque.

— Ce l’hai ancora? — chiese Septemius, incuriosito.

— Oh, sì che ce l’ho con me. Racconta tutto sugli animali e sui popoli che vivevano prima delle Convulsioni. Ho letto di elefanti e coccodrilli, di lapponi, e abitanti di isole tropicali, di gente che viveva su grandi barche sopra i fiumi. Una volta la vita era varia, mago. Non come adesso.

— Potrebbe esserlo ancora — replicò il vecchio — oltre le Desolazioni chissà cosa c’è?

— E a chi importa se non possiamo raggiungerli? Qui è sempre lo stesso. Il Paese delle Donne dentro le mura, le guarnigioni fuori. Zingari e banditi che si muovono tra noi come gli sciacalli dei quali ho letto nei libri. E naturalmente ci sono gli itineranti come te. Gente di spettacolo. Maghi. Attori e acrobati. Scavaterra che traggono il metallo dalle rovine delle vecchie città e vagabondi che sembrano passare la maggior parte del loro tempo trasportando roba da un posto all’altro. — Aizzò nuovamente i muli e sorrise cinicamente. — Ci ho pensato. Il mondo sembra tutto uguale in superficie, ma c’è molto più di quello che si vede, mago, sebbene non abbiamo modo di impossessarcene.

Septemius rabbrividì, senza lasciarsene avvedere. Quando Chernon diceva “noi” si riferiva ai guerrieri? — Non capisco ciò che dici.

Chernon tornò a sorridere in maniera spiacevole, pensò Septemius. — Be’, c’è una cosa che ti spiegherò, per esempio. Le donne dipendono da noi per la difesa, vero?

Il vecchio si limitò ad assentire, temendo che la voce potesse tradirlo.

— Così dovrebbero essere interessate a mantenere in forza le guarnigioni, vero? Voglio dire, noi siamo il loro scudo; senza di noi, sarebbero travolte dalle guarnigioni di altre città o rapite dai banditi. — Si rivolse a Septemius in attesa di un cenno di assenso prima di continuare.

— Be’, dovrebbero essere preoccupate di mantenerci forti, ma di questo non sembrano interessate. Tutto quello che vogliono è tenerci a casa. Comunque tu possa pensarla, io le considero come due ruote che girano in senso opposto. Queste grandi, grandi ruote una dentro l’altra, che ruotano e producono una specie di ronzio profondò, martellante. A volte posso sentirlo.

Septemius si schiarì la gola. — Non si tratta forse dell’inevitabile conflitto tra le necessità personali e sociali e i desideri personali? La società delle donne ha bisogno di voi per difendersi, sì. Ma le singole madri e le sorelle in questa società vogliono che i loro figli e i loro fratelli rimangano a casa, dove sono al sicuro. Così fanno del loro meglio per soddisfare entrambe le necessità. Onorano i guerrieri, ma fanno tutto ciò che possono per spingere i loro cari a tornare a casa; a me sembra perfettamente comprensibile. Come sistema non funziona male, vero?

— Elimina quelli che non sarebbero di grande utilità sul campo di battaglia — convenne il ragazzo — o la maggior parte di loro almeno. E ciò fornisce alle donne delle città alcuni uomini che lavorino con loro. Immagino che ne abbiano bisogno. Ricordo Minsining, il servitore di mia madre, da quando ero bambino. Mi faceva dei dolci e giocava a cavalluccio con me; non riuscivo a pensare che avrebbe potuto dimostrarsi utile in qualche modo in guerra. Ma non è questo ciò che voglio dire. Intendo, c’è più del sistema che conosciamo — singhiozzò silenziosamente, ignaro che il vino gli stava facendo dire di più di quello che voleva. — Tutta la guarnigione lo pensa. Michael… Stephon… dicono che alle volte le donne s’incontrano segretamente. Gli incontri del Concilio.

Septemius rise, in maniera sincera e convincente. — Mi sembra di aver sentito che anche nelle guarnigioni si svolgono degli incontri segreti. Non si tratta di una specie di società segreta, di qualche gruppo di iniziati la Fratellanza dell’Ariete? Non ho forse sentito parlare di un giuramento che viene prestato ai piedi del monumento che sta in fondo al campo della parata?

Chernon arrossì. — È differente. È come quando le donne vanno al tempio. È una cosa… religiosa.

— Be’, forse anche le donne del Concilio sono religiose, ma non credo sia per questo che si riuniscono segretamente; la ragione è abbastanza semplice, immagino. È che il Concilio deve decidere la divisione delle razioni e delle scorte, Chernon. Cercano di farlo con equità, da quel che ne so, e ciò probabilmente richiede molte discussioni che è meglio fare in privato in modo che la gente non si agiti. Un poco come le riunioni dei vostri ufficiali. I vostri comandanti prendono le decisioni in privato, vero? Non chiedono alle centurie cosa ne pensano prima di andare in battaglia.

Chernon pensò che l’argomento fosse esaurito, arricciando il naso e il labbro superiore; sembrava plausibile, ma molte delle cose femminili sembravano plausibili. Non aveva intenzione di accettarlo. — Se dici che è così, sarà vero — disse, senza crederci. Se fosse stato così semplice Michael lo avrebbe saputo. C’era una cosa sulla quale tutti i guerrieri si dichiaravano d’accordo e che faceva infuriare la maggior parte di loro: le donne facevano e sapevano cose segrete. Potenti segreti.

Septemius osservò il viso del ragazzo con il cuore che gli si stringeva in petto. Si era aspettato… cosa si era aspettato? Un giovane romantico? Un’infatuazione alimentata dalla separazione e dall’immaginazione di qualcosa di trascendente? Un volo gioioso?

Nulla di tutto ciò. C’era qualcosa di freddo e calcolato in Chernon, sebbene il suo atteggiamento fosse sostenuto dalla lussuria che era probabilmente abbastanza sincera.

Septemius sospirò. Non voleva essere coinvolto in quella storia.

Mancavano tre giorni ancora di viaggio verso sud lungo la costa sino a Emmaburg, nella migliore delle ipotesi. Il campo fortificato indicato da Stavia come la ultima tappa del loro viaggio verso sud si trovava a due giorni e mezzo verso sud est. A quel punto si sarebbero trovati a sud della Desolazione, e viaggiando quattro giorni verso nordest sarebbero arrivati vicino a Peggytown. Fortunatamente a Peggytown ci sarebbe stato il carnevale quando vi fossero arrivati. La strada costiera era solo poco più lunga di quella abituale, a est da Marthatown fino al Riposo del Viaggiatore. Tutte le strade in quella parte del Paese delle Donne facevano un giro intorno alla desolazione, Tabithatown e Abbyville erano a nord, Maliessaville e altre città invece si trovavano a est.

Septemius non era realmente preoccupato per la strada fino al campo fortificato. Quello che non gli piaceva erano i quattro giorni di viaggio da là fino a Peggytown. Era sì una strada ma non molto frequentata; c’erano foreste, colline e crepacci. A nord c’era la desolazione, e a sud viveva gente che ricordava ostile. Così si irritò mentre guidava domandandosi se quello non fosse uno di quei periodi sfortunati, un tempo di pessime scelte. Di tanto in tanto doveva guardare nel retro del carro, alle guance rosate del vecchio Bowough, per convincersi che si era comportato almeno parzialmente secondo etica.