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Dopo aver lasciato Septemius, Chernon aveva abbandonato la pianura raggiungendo un’altura di moderate dimensioni, dove si era accampato, trascorrendovi una notte virtualmente insonne e aveva acceso un piccolo fuoco all’alba. Stavia si era alzata presto, aveva cercato il fumo e, quando Chernon aveva spento il fuoco — cosa che aveva fatto dopo pochissimo tempo — si trovava già fuori dal cancello a nord del campo fortificato. Tutto stava procedendo esattamente secondo il piano. La ragazza si mise in viaggio verso di lui con una sensazione di fatalistica attesa, non precisamente felice, ma con più soddisfazione di quanta ne avesse provata da qualche tempo, visto che la sensazione di essere in colpa nei suoi confronti diminuiva.
Le occorsero diverse ore per raggiungerlo. Sebbene lui si tenesse ben nascosto nella foresta come lei gli aveva racomandato, la osservava dalla cima di un’alta cresta di roccia, più impaziente ed eccitato a ogni momento che passava.
Quando Stavia arrivò si accorse di non aver parole con cui salutarla. Le sue fantasie lo avevano tenuto sveglio per la maggior parte della notte, il suo corpo in perenne agitazione aveva fatto il resto. La prese tra le braccia mentre ancora si stava avvicinando al campo, strappandola dal mulo e trascinandola verso le coperte adagiate sul terreno, coprendole la bocca con la sua in modo da impedirle di parlare. Non le diede tempo, né possibilità di far nulla, travolgendola con una frenetica smania che, seppure non la sorprese completamente, la lasciò, quando il ragazzo scivolò via da lei, completamente inappagata e tremante in uno stato di dolore e rabbia. Il ragazzo si era rincantucciato tra le coperte, con gli occhi chiusi, il respiro pesante. Se non era stato esattamente uno stupro ci era andato molto vicino.
Stavia raccolse i suoi vestiti e si alzò, scivolando via da lui come avrebbe fatto con qualsiasi animale domestico che improvvisamente diventa pericoloso. Chernon si era addormentato profondamente e lei si ritirò ancora di più nel bosco dove il suo animale da soma aspettava pazientemente con le redini appoggiate sul dorso. Scaricò il bagaglio, impastoiò l’animale a un albero, cercò fino a trovare un rigagnolo di acqua in fondo a un canalone boscoso, poi si spogliò per lavarsi. Versò l’acqua sul suo corpo con le mani a coppa più e più volte, eseguendo l’operazione in maniera molto silenziosa e cercando di impedirsi di urlare o di tornare al punto dove Chernon stava dormendo e di ucciderlo. C’era del sangue sulle sue cosce ma quello se lo era aspettato. Da quell’incontro aveva ottenuto più dolore che piacere, ma sapeva che non era una cosa inusuale. Aveva iniziato a studiare materie femminili a dieci anni, aveva frequentato corsi di piscologia e pratiche sessuali, alla sua età la maggior parte delle sue coetanee aveva già avuto esperienze sessuali ma non era meno preparata di quanto lo fossero state loro. Chernon non le aveva dato semplicemente tempo o possibilità di far nulla o essere nient’altro che un ricettacolo della sua impaziente passione. Non era spaventata o ferita, ma furiosa.
Non le aveva detto una parola! Neanche una frase amorosa, neanche un accenno di sentimento. Nessun corteggiamento; l’aveva presa come se fosse stata una delle ragazze del campo degli zingari.
— Avresti dovuto fermarlo — osservò l’attrice Stavia da un oscuro e profondo recesso della sua mente. — Avresti dovuto respingerlo, Stavia.
— Non è il fatto di fermarlo che conta. Volevo qualcos’altro da lui, non da me. — Non era quella la vera ragione. No, cercò ancora di trovare delle giustificazioni. — Ero così sorpresa che non ruscivo a pensare a cosa fare, ed era già tutto finito. — E poi: — Non era quello che pensavo che volesse.
— Meglio che lasci fare a me.
— Va bene — Di sicuro non poteva cavarsela da sola. Lo avrebbe ucciso se avesse potuto. Meglio lasciare che se ne occupasse l’attrice Stavia.
Si rimise i vestiti, allacciandoli stretti, tornò al fuoco dove lo aveva incontrato e gli sferrò un violento calcio alle costole.
Lui si destò con un gemito, sbarrando gli occhi.
— Se lo fai un’altra volta — gli disse — sarà l’ultima volta che mi vedrai.
— Fare… — borbottò lui, mettendola lentamente a fuoco — fare… che cosa ti aspetti che faccia?
— Mi aspetto che tu ti comporti da persona civile. Non mi aspetto di venire assalita. È questo il genere di comportamento che viene considerato onorevole nella guarnigione?
Lui non poteva risponderle. “Certo che sì. Non lo era nel Paese delle Donne ma nella guarnigione, naturale che era una cosa onorevole. Con… con… certi tipi di donne. Donne che lasciano la città per te…”
Lei si accorse dello sguardo con cui lui la stava osservando, di sottecchi con fugaci occhiate lubriche. — Così, Chernon — domandò l’attice Stavia — è questa la tua idea di fare l’amore?
Lui arrossì. Forse. Un poco. Era proprio quella.
— E ti aspetti che a me piaccia? Che l’accetti?
Lui scosse il capo, cercando una risposta accettabile, ricordandosi troppo tardi che era stato inviato per sottrarle con l’inganno delle informazioni. — Non ci ho pensato. Io… Io ti ho aspettato per settimane. Continuavo… continuavo a pensare a te. Non potevo… non potevo aspettare, questo è tutto. — Arrossì nuovamente poi si alzò. — Mi spiace, Stavia. Non ero… non ero in me, immagino.
— Possiamo chiarire alcune cose?
Lui assentì, dando un’artefatta immagine di sicurezza mentre in realtà cominciava a sentirsi offeso. Chiederle scusa una volta avrebbe dovuto essere sufficiente. Lei avrebbe potuto sorvolare. Non era una cosa su cui tornare.
— Noi dovremmo essere compagni di viaggio in questa spedizione. Ho accettato questa cosa almeno parzialmente perché ti avevo offeso quando eravamo bambini. Be’, quando io ero una bambina — quanti anni avevo? Dieci, undici? — abbiamo deciso di intraprendere questa specie di avventura. Per appagare in qualche modo le fantasie di entrambi. Giusto?
Lui assentì; naturalmente era quello che si erano detti, soprattutto quello che lui aveva detto; pensava che se lo fosse dimenticato?
— Non sono una ragazza che hai sedotto e portato al campo degli zingari per il tuo piacere. Il piacere dovrebbe essere reciproco. Questo significa che ognuno di noi deve fare qualcosa per procurarne all’altro e deve preoccuparsi dei suoi sentimenti.
Lui non riusciva a immaginare nessuna risposta opportuna; certe cose di quell’incontro lo avevano colpito e lui stava ancora cercando di capire cosa fare.
Dopo un poco lei disse: — Ho fame — affermò con una voce neutra che nascondeva una leggera nausea. Prese le provviste necessarie sul carico del mulo e cominciò a preparare un pasto a base di pane e formaggio accendendo un piccolo fuoco senza fumo per scaldare l’acqua per il tè. — Sono partita molto presto — continuò, sempre con voce impersonale e priva di tono — prima di colazione.
Mangiarono insieme, nel più completo silenzio sebbene Chernon facesse uno o due commenti sul suo viaggio insieme a Septemius. Stavia pensò che quelle osservazioni fossero inutilmente critiche ma non disse nulla. Forse lui cercava solo di essere divertente.
Finalmente lui riuscì a capire la ragione del suo disagio e osservò: — Era la prima volta che tu… vero?
— Sì.
— Pensavo che iniziaste da giovanissime. Beneda stessa ha iniziato presto.
— Beneda deve averti preso in giro. So per certo che non aveva avuto nessuna relazione quando ho lasciato la città per andare ad Abbyville.
— Ma sono passati nove anni — disse lui con voce ostile, come se, restando vergine, l’avesse offeso in qualche modo.
— Lo so.
— Diciotto carnevali — asserì. — Io…
— Sono certa che hai preso parte ai carnevali, Chernon; non mi aspettavo che non lo facessi; ma, salvo il fatto di aver danzato e ballato un poco all’ultimo, io non ho fatto niente. Non avevo tempo. — Gli lanciò uno sguardo che lui non le restituì. Cos’era che lo rodeva? Non riusciva a trovare una spiegazione a quell’ostilità priva di ragioni. — Guarda, noi non siamo mai stati “amanti”. Io ti amavo, penso; nel modo in cui amano le ragazzine. Infatuazione direi. Per quanto ti riguarda… be’, ero l’amica di tua sorella e ti davo dei libri. Poi mi sono resa conto di quello che stavo facendo e ho smesso. Allora ti sei arrabbiato con me. E poi me ne sono andata. Ecco cosa c’è stato veramente tra noi. Non far finta che ci sia stato di più.
Non gli disse nulla di tutto il tempo che aveva trascorso ad Abbyville, dei carnevali che aveva disertato, sempre pensando a lui, a Chernon, al ragazzo con i capelli color del grano e lo sguardo triste. Aveva desiderato che lui l’ascoltasse, comprendesse le sue parole. Aveva desiderato che lui le dicesse qualcosa, che le dimostrasse che per lui aveva qualche importanza. — Questa avventura… è il mio modo di dirti: “Mi spiace di averti fatto soffrire quando eravamo bambini”.
“Il mio modo di dirti che ti amo, Chernon.”
— Ma non posso continuare a meno che non sia soddisfacente per entrambi… — Non lo stava realmente guardando, davanti a lei c’era il corpo di un uomo, il viso di un uomo. Lei vedeva ancora il ragazzo, ed era proprio il ragazzo che voleva. Il ragazzo non era là. Se n’era andato; in qualche modo Chernon si era trasformato in qualcosa di differente; non era semplicemente cresciuto ma era cambiato radicalmente. — A meno che entrambi non lo troviamo divertente — continuò la sua voce.
Una frase trita. Cosa significava divertente? Tutto quel discorso era un luogo comune. E lui non le stava rispondendo.
Dentro di lei, pianse. Era stata tutta una stupida idea, Septemius aveva tentato di dirglielo. Kostia lo aveva compreso. E anche Tonia. La sua stessa identità di bambina di dieci anni lo avrebbe compreso. Cosa aveva detto lei stessa riguardo all’infatuazione di Myra per Barten? “Non dimostra nessun buon senso.”
“No” aveva sbadigliato Morgot. “Nessuna di loro ne ha. E neppure io ne avevo alla loro età.”
“Rifiuto di avere quell’età” aveva affermato Stavia.
“Ti auguro buona fortuna” aveva risposto Morgot.
Voleva dire che tutte loro attraversavano quella fase, prima o poi. Tutte. Sappiamo cosa è la cosa giusta da fare eppure ci comportiamo stupidamente.
Ed eccola qui. Stavia l’attrice, che cercava di recitare al meglio la sua parte mentre dentro di lei la parte innamorata e stupida piangeva la perdita della propria infanzia.
E poi lui le sorrise, come il sole che spunta, improvvisamente, senza avvisaglie. Lei lo vide sul suo volto: capitolazione, la decisione di non essere furioso. Ciò che vide non fu la necessità emotiva di riconciliarsi con lei, ma una decisione conscia che la rabbia non lo avrebbe aiutato. Non poteva intuire quali fossero le ragioni della sua decisione, tuttavia vide che stava ragionandovi sopra. — Hai ragione, Stavia. Io mi sono comportato come… come un appartenente a uno dei popoli antichi del libro di Beneda. Come un barbaro. Ricominciamo da capo — e le sorrise ancora.
Lei percepì che quelle parole erano frutto di una decisione presa a freddo, una gelida manipolazione, ma decise di ignorarlo. Erano estranei l’uno all’altra dopotutto; lasciò che dentro di lei la rabbia svanisse per dar forma a un sentimento nuovo e più dolce.
L’attrice Stavia era volata via.
— Oh, Chernon — disse lei, aprendo le braccia.
Stavia non aveva mai avuto un amante prima di allora, non aveva quindi nessun termine di paragone. Tuttavia metteva Chernon a confronto con altri uomini di sua conoscenza. Con Joshua. Con Corrig. Con il suo istruttore chirurgico ad Abbyville.
Chernon sembrava ansioso, piuttosto che avido, di darle piacere e a volte ci riusciva, sebbene ciò accadesse il più delle volte per caso piuttosto che per una reale comprensione da parte sua di quello che stava facendo. Era così concentrato nell’analisi delle sue sensazioni che non era capace di porre molta attenzione a lei. Stavia invece imparò in fretta a compiacerlo, compito non molto complesso. Aveva bisogno di pochi preliminari e non aveva voglia di aspettare molto. Le ricordava un poco gli arieti che aveva visto accoppiarsi con le pecore nei dintorni del campo, o gli agnelli improvvisamente affamati che si avventavano sulle tettarelle delle madri per saziarsi in fretta. Tutto subito. Niente attesa. Ricordò ciò che le aveva detto Beneda a proposito del fratello anni prima: “Quando viene a casa, mangia continuamente, tutto, ingoia tutto senza preoccuparsi molto di sentierne il gusto…”.
Il che era, come le avevano confermato i suoi studi in materia di sessualità, un atteggiamento molto comune nei giovani maschi. Chernon aveva ventiquattro anni ma era ancora molto giovane nel contesto della guarnigione dove un uomo contava molto poco prima di aver superato la prova della battaglia, persino quando aveva messo al mondo dei figli. Nel Paese delle Donne una ragazza diventava adulta a sedici o diciassette anni. Stavia ci pensava, di tanto in tanto, insoddisfatta e un po’ triste per quegli accoppiamenti maldestri, sebbene Chernon non li definisse così. Nel Paese delle Donne si pensava generalmente che gli amanti migliori erano gli uomini più maturi, che avevano vissuto molti carnevali e che si dedicavano a corteggiamenti tra una ricorrenza e l’altra — lettere, versi poetici, regali — per alimentare la loro stessa passione e l’affetto delle loro compagne. Stavia pensava che quel genere di corteggiamento tra un accoppiamento e l’altro fosse piuttosto carino, ma non lo suggerì. Era arrivata alla conclusione che accondiscendere alle richieste di Chernon le avrebbe fatto sprecare meno energia di quello che si era aspettata. Gliene sarebbe rimasta a sufficienza per portare a termine il compito, se tutto fosse proceduto nella maniera più semplice possibile. Il sentimento richiede anch’esso un impiego di energie; e lei non disponeva di energie supplementari. Il sentimento avrebbe dovuto aspettare; prese questa decisione a freddo, quasi per ripicca per quello che aveva letto sul suo volto, senza riconoscere che l’emozione dominante che provavano l’uno per l’altra era ostilità.
Si avviarono verso est, poi a sud, stabilendo il campo per la notte nel tardo pomeriggio e lasciandolo a metà mattina. La raccolta di erbe aumentava, e le annotazioni che Stavia tracciava sulle mappe diventavano più consistenti. Chernon era solo tiepidamente interessato a quello che la ragazza faceva, e altrettando tiepidamente era interessato alla raccolta dei campioni.
— Avrei detto che eri molto ansioso di fare questo viaggio — gli disse lei stancamente, al termine di un lungo giorno di trasferimento. — Una volta mi hai detto che pensavi che i guerrieri feriti necessitassero di cure migliori. Alcune di queste erbe offrono degli eccellenti rimedi per le ferite.
— Come posso saperlo? — disse lui stringendosi nelle spalle.
— Provale. Sicuramente voi uomini vi fate delle piccole ferite quando vi esercitate nelle armi. Potresti provare delle erbe differenti per vedere quali di esse hanno proprietà curative.
— Ce la caviamo abbastanza bene con le pomate di pane rappreso — disse lui. — Il pane è sempre disponibile. Alcune di queste erbe potrebbero non crescere nelle zone in cui ce ne fosse bisogno.
Lei gli lanciò un mezzo sorriso pieno di stanchezza e lasciò cadere il discorso. Il suo desiderio di libri probabilmente nascondeva più la volontà di stabilire una forma di dominio che la bramosia di sapere, questo era chiaro. Forse costringerla a dargli dei libri era stato più importante per lui di quanto vi era contenuto.
Tuttavia portava sempre con sé quel libro che aveva rubato a Beneda. Che cosa significavano i libri per quel ragazzo?
— Una volta volevi leggere i libri di biologia — tentò.
— Volevo conoscere i segreti — sbottò lui. — Quelli che voi donne conoscete, questo è tutto. — Si era domandato per diversi giorni come abbordare l’argomento e ora gli era uscito dalle labbra come un rospo dallo stagno.
Distesa vicino al fuoco che avevano acceso per la notte, la ragazza cercò di opporsi a quelle idee. Pensava veramente che nei libri delle donne ci fosse nascosto qualcosa di magico? Che quelle stesse informazioni, se le avesse scoperte da solo, avrebbero avuto un effetto differente? Forse non era la conoscenza che voleva. Era la magia cui anelava. La magia e il potere che essa avrebbe conferito.
— Lo sai — tentò di spiegargli. — I libri sono scritti dalla gente. Solo dalla gente.
— Gente che viveva prima delle Convulsioni — ribatté lui. — Sapevano cose che noi ignoriamo. — Il suo tono di voce era dogmatico, vibrante di potere come una profezia. — Sapevano… delle armi. E di altre cose. — Voleva dirle qualcosa, estendere la conversazione, fare in modo che potessero discutere di armi e di altri argomenti.
Lei invece non disse nulla; non stava assolutamente pensando alle armi. Pensava che in parte lui avesse ragione, naturalmente. I popoli vissuti prima delle convulsioni erano stati a conoscenza di cose che le donne ignoravano. Ma aveva anche parzialmente torto. Molti dei libri erano stati scritti di recente, stampati da poco e contenevano informazioni che la gente del periodo antecendente alle Convulsioni aveva ignorato o non aveva ritenuto sufficientemente importante da registrare. Si domandava se fosse saggio cercare di convincerlo di ciò, poi si rese conto che farlo le avrebbe richiesto delle ore, per cui decise di non dir nulla. Qualsiasi cosa lei dicesse lui ne cambiava il significato, come per magia. Lei gli forniva rassicurazioni e lui riusciva a ricavarne frasi che lo offendevano e lo irritavano. Era successo così con Sylvia, per tutti quegli anni, a proposito di Vinsas. Non c’era necessità di iniziare una discussione senza fine. Meglio fornire meno argomenti possibile di fraintendimento. O occasioni di fingere di aver frainteso. La maggior parte dei fraintendimenti tra di loro era stata preordinata e lei era stata una stupida a non rendersene conto.
Il fuoco si spense e i due giovani si accomodarono tra le coperte, cercandosi l’un con l’altra come razziatori esperti, che rubano tesori già conosciuti, a piene mani senza preoccuparsi di nulla. Niente del loro rapporto sembrava implicare la nozione di “dopo” come se il loro comportamento non avesse potuto essere differente. C’erano degli amanti a Marthatown che s’incontravano a ogni carnevale per decenni, fedeli come se fossero stati “sposati”, ma nulla nel comportamento o nelle parole di Chernon manifestava il desiderio che sarebbero potuti essere amanti anche in futuro. “Non al carnevale” aveva detto “Non allora”. I loro assalti reciproci li lasciavano senza fiato, lei gemeva, un grido silenzioso che si perdeva nell’ululato del vento tra le cime degli alberi.
— Mi darai un figlio, vero? — domandò Chernon schiacciandosi sopra di lei, mentre il suo pene diventava flaccido dentro il suo ventre, e teneva i denti vicino al suo orecchio. — Un figlio.
— Forse, un giorno — disse lei senza pensare, amandolo e odiandolo al tempo stesso.
— Ora — chiese lui. — Presto.
— Non posso — mormorò lei casualmente. — Non durante questo viaggio, Chernon. Ho messo un impianto per evitare di averne.
Lui si scostò ruvidamente dal suo corpo mettendosi a sedere e osservandola con occhi sbarrati. — Cosa vuol dire?
— Voglio dire che mi sono fatta inserire un impianto per impedirmi di rimanere incinta durante questo viaggio — disse lei, improvvisamente conscia di ciò che aveva detto. Non era il genere di cosa che si discutesse con i guerrieri. Ora lo rammentava. Loro non potevano capire.
— E da chi, scusami se te lo chiedo, pensavi di doverti proteggere? Dal tuo “servitore”? — pronunciò quella parola come se fosse un’oscenità.
— No — rispose lei con sincerità. — Naturalmente no. Non ho mai incontrato quell’uomo. Ma ci sono banditi per le strade, e zingari, spesso le donne sono state catturate e stuprate. Non essere sciocco, Chernon.
— Come si chiama — ringhiò il ragazzo. — Quello che doveva venire con te.
Lei lo osservò, il suo viso avvampava di rabbia e per il riflesso del fuoco. — Credo si chiamasse Brand. Aveva quasi terminato gli studi di botanica a Tabithatown, e doveva essermi di aiuto nella raccolta dei campioni.
— Quanti anni ha?
— Non ne ho idea. Non l’ho chiesto — in realtà era proprio così. Aveva però pensato che potesse trattarsi di uno di quei servitori speciali, come Joshua, magari in possesso di uno di quegli strani e inusuali talenti che anche Joshua possedeva. Morgot non l’avrebbe lasciata partire da sola, altrimenti.
— E tu non l’hai mai visto — le disse lui, acido.
— No, mai. E se non la smetti, Chernon, potrei non vedere neppure te per sempre. Cos’è che ti irrita? — Stavia cominciava a sentire la rabbia ribollire dentro di sé.
— È una delle ragioni per cui sono voluto venire — disse lui a denti stretti — per avere un figlio. Uno del quale sarei stato sicuro che fosse mio.
— Uno del quale saresti stato sicuro che fosse tuo? — lei scosse il capo incredula.
— Sì, maledizione. Uno che fosse mio sicuramente. Non uno che mi avresti mandato a cinque anni e che avrebbe potuto essere mio o di qualcun altro. Oh, non far finta di non capire cosa sto dicendo. Tutti alla guarnigione sanno che voi donne fate l’amore con tutti. A volte anche con tre o quattro uomini diversi ad ogni carnevale. Come fate a sapere chi è il padre?
Lei gli restituì un sorriso con le labbra strette. — Hai dato un campione di sangue alla clinica, vero Chernon? Sì, lo hai fatto come tutti i guerrieri. È quello di cui abbiamo bisogno. Prendiamo un poco di sangue dal bambino, dal cordone ombelicale non appena è nato, e possiamo stabilire chi è il padre. Ecco perché, quando portiamo dei bambini alla guarnigione il cui padre è morto, diciamo questo è il figlio del tal-dei-tali anche se è morto. Per la Signora santissima, Chernon, voi uomini siete impossibili.
Si alzò, con la schiena nuda che riluceva come un fantasma nell’oscurità degli alberi. Si rivestì e prese le coperte lasciandolo solo.
— Dove te ne vai? — domandò lui con un tono di rabbia mista a dolore. — Dove?
— Dove posso dormire — rispose la ragazza. — Sono stanca.
Lui si morse la lingua, così furioso che quasi non riusciva a parlare, ricordando Michael e ciò che questi voleva sapere. — Mi spiace, Stavia.
— Anche a me — disse lei, pensando che lui non sembrava tanto dispiaciuto. — Ma io sono stanca e non ho voglia di discutere ancora — mentre si allontanava, Stavia si rese conto che quel gesto aveva qualcosa di simbolico oltre che essere reale. Stava lasciando Chernon, il Chernon che pensava di conoscere. Nello stesso momento si rese conto che aveva infranto i comandamenti senza una buona ragione e si domandò con un moto di profonda e nauseante colpevolezza, se si sarebbe mai perdonata.
Solo una cosa era certa. Si era staccata da Chernon e non sarebbe tornata sui suoi passi. Per quanto la riguardava, era morto.