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— Chernon ci ha accusate di conoscere dei segreti — disse Stavia girando la testa sul cuscino. Aveva cercato di dormire come aveva suggerito Morgot ma non vi era riuscita. Era in preda alla febbre e all’agitazione. Per tutta la notte aveva sbarrato gli occhi a ogni rumore, a ogni movimento. Adesso era tornata la luce del giorno e Morgot era ritornata. Stavia sentiva la necessità di raccontarle tutto. — Ha detto che le donne hanno dei segreti. Cose che lui voleva sapere per acquisire potere.
Seguì un lungo silenzio carico di significati, un silenzio che le ricordava altri momenti simili che si ripresentavano di tanto in tanto da quando era bambina (silenzi che altre persone avevano imposto quando si erano accorti che lei stava ascoltandole) cosicché aprì gli occhi, aspettandosi quasi di essere tornata di nuovo bambina. Morgot stava guardandola con intensità. — Abbiamo dei segreti — disse. — Naturalmente.
— Lo so — disse Stavia. Nelle penose ore notturne ci aveva pensato, a quelle cose che aveva detto a Chernon inconsapevolmente. — Temo di averne rivelati alcuni a Chernon.
— Per esempio?
— Per esempio come facciamo a sapere di chi è figlio un neonato… il test del sangue.
Morgot non disse nulla per qualche attimo. — Be’, questo non è veramente un segreto, Stavia. Chernon potrebbe non tornare mai qui. Se lo farà e se racconterà ai guerrieri tutto quello che ha saputo da te, non ha veramente importanza.
— Gli ho detto degli impianti contraccettivi.
— Avremmo preferito che non lo sapessero ma questo non provocherà dei danni gravi. Usiamo gli impianti per parecchie cose oltre che per la contraccezione. Si può sistemare tutto, credo. — Cadde un altro silenzio di attesa. — Sei incinta, vero?
— Penso di sì. Chernon mi ha tolto l’impianto un po’ di tempo fa.
— È stato questo che ha spaventato Joshua e Corrig. Ho visto il taglio. Un lavoro non molto ben fatto.
— Non credo a Chernon importasse.
— No, forse no. Ma la domanda è un’altra: lo vuoi o no questo bambino?
Stavia girò il capo con aria stanca; lo voleva quel figlio? Oltre la rabbia che provava verso Chernon c’erano molte ragioni per non volerlo, la sensazione bruciante che provava quando pensava a lui come a una ferita che andava cauterizzata, qualcosa che richiedeva un dolore lancinante per poter guarire. — C’è qualche ragione di salute perché non dovrei tenerlo? — chiese lei, cercando una scusa.
— Non ne siamo sicure. Le ferite che hai sulla schiena sono solo superficiali. Dolorose perché si sono infettate. A meno che non ci sia qualcosa d’altro, qualcosa che non riusciamo a vedere, potrai portare a termine la gravidanza senza danni fisici.
— Bene allora. Cosa aveva detto Myra, quella volta? “Prima o poi si deve pur cominciare.” — Non era così che la pensava ma era troppo malata per rendersi conto realmente di quali fossero i suoi sentimenti. Se si fosse lasciata andare all’ira, essa l’avrebbe sopraffatta, trascinandola via e non avrebbe più ritrovato se stessa. Sebbene ogni giorno fossero più lunghi i periodi in cui era cosciente, non si sentiva più forte; e neppure in grado di affrontare la vita. Non voleva sentire nulla, decidere nulla.
— Ci sono almeno due differenze tra te e Myra.
— Non capisco.
— Tu sei stata forzata e lei no. E tu stai portando in grembo il figlio di un guerriero.
— Anche Myra… — la voce di Stavia svanì in un silenzio doloroso.
Morgot scosse il capo. No. Come un pendolo che oscilla avanti e indietro. No.
Il silenzio divenne più profondo, più vibrante di significati, cose non dette che improvvisamente divennero più importanti di ogni altra frase mai pronunciata. Qualcosa che avrebbe dovuto aver compreso, immaginato.
— Il primo figlio di Myra… il piccolo Marcus. Non era il figlio di Barten — non aveva detto quelle parole come fossero una domanda. Non lo erano infatti.
— Non era figlio di Barten. Non era il figlio di un guerriero. I guerrieri non mettono al mondo figli. Non per noi.
Stavia chiuse gli occhi e una sensazione di torpore s’impadronì nuovamente di lei, trascinandola in una serie di percezioni che la investirono come se la stanza fosse stata spazzata da un forte vento. Qualcosa dentro di lei non funzionava. Qualcosa si era rotto e lei non riusciva a comprendere di cosa si trattasse, era una verità che Morgot non poteva capire, qualcosa si era infranto ed era bruciato come un fuoco dentro di lei. Una frattura che si stava allargando sempre più lasciando penetrare le tenebre.
Quando parlò lo fece così a bassa voce che non riuscì neppure a comprendere se Morgot l’avesse sentita. — Le renne — disse mentre perdeva conoscenza.
— Le renne.