121713.fb2 Cronache del dopoguerra - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 7

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Dopo un’altra notte insonne trascorsa a macerarsi nel dolore a causa di Dawid, Stavia si trascinò sino all’ospedale, per il suo turno di lavoro. Morgot uscì dal suo ufficio, le lanciò uno sguardo e le disse di andare a casa. — Stavvy, di solito hai l’aspetto di una venticinquenne, ma oggi sembra che tu abbia cinquant’anni… Ti ho sentita muoverti e rigirarti per la casa tutta la notte. Va’ a casa a riposa un poco.

Stavia, che sentiva sempre più vicino il suo trentottesimo compleanno, era particolarmente irritata dai commenti che Corrig soleva fare sul suo aspetto. — Stavo controllando le finestre.

— Per paura di cosa, dei fantasmi?

— Pensavo che potesse piovere dentro.

— Ha smesso di piovere ieri a mezzogiorno. Va’ a casa, Stavvy. Questo posto è quasi vuoto. Sembra che a Marthatown stiano tutti disgustosamente bene, a quanto pare. Molto meglio di quanto sembri stare tu. Non che la cosa mi sorprenda, sai? Non credo che ci sia una sola donna a Marthatown che creda realmente di aver perso suo figlio sin quando non arriva a quindici anni e la ripudia. Si cerca di essere preparate ma in realtà è impossibile. È come perdere un braccio o una gamba. Va’, concediti un po’ di convalescenza.

— Oh, Morgot, avevo sperato…

— Lo so, amore. Te lo avevamo detto tutti di non farlo ma non saresti un essere umano se non avessi sperato. Ripetiti i comandamenti, ti aiuteranno a prendere sonno. Se non puoi dormire, almeno riposati. Questa notte c’è una riunione del Concilio.

— Me n’ero dimenticata! — si morse un labbro, irritata con se stessa; non era una cosa da scordare quella!

Stavia riabbottonò la sua veste imbottita e lasciò l’ospedale; sbottonando il colletto quando uscì alla luce del sole; la fredda pioggia dell’inizio di primavera per il momento era cessata lasciando posto a una parvenza d’estate, un calore transitorio che induceva a un falso ottimismo. Prima dell’arrivo della vera primavera il freddo sarebbe ricomparso, a dispetto di quanto il sole e il mare cospiravano per suggerire. Era troppo presto per il pranzo. A casa non c’era nessuno; le ragazze erano a scuola e Corrig era andato all’associazione dei servitori, dove insegnava i misteri. Avrebbe avuto la casa a disposizione se avesse voluto schiacciare un pisolino ma non ne aveva voglia, non ancora.

Vagabondò un poco per il mercato, senza rendersi conto che aveva voluto raggiunere le mura finché non raggiunse le botteghe dei fabbricanti di candele al limitare della piazza.

— Stupida sentimentale — si disse mentre saliva le scalinate. — Cosa pensi di poter vedere là sopra?

Ciò che Stavia vide fu il piazzale delle parate deserto con la sua torre e il monumento a Telemaco e dietro questo le palizzate istoriate delle baracche illuminate dal sole. Dietro di esse scorgeva delle macchie nere che correvano sui campi da gioco; la guarnigione era grande solo la metà di quello che era stata quando era bambina e ogni suo componete sembrava o giocare o guardare dai bassi spalti del terreno di gioco. Tre o quattro uomini stavano in osservazione dalla terrazza degli alloggi degli ufficiali. Scuotendo la testa Stavia trovò un angolo riparato e cercò un libro nella tasca della veste. Aveva cercato un punto ombreggiato perché, nei punti dove batteva il sole, faceva troppo caldo. Avrebbe trascorso un paio d’ore ripassando Ifigenia, poi avrebbe acquistato qualcosa da mangiare alla sala da tè prima di tornare a casa per un riposino. A quell’ora sarebbe stata sufficientemente stanca da poter dormire, si disse, sfogliando le pagine per ritrovare il punto dove lei e Corrig si erano interrotti quella mattina.

IL FANTASMA DI ACHILLE appare in cima alle mura — lesse domandandosi come Joshua potesse sopportare di impersonare Achille. Ci si sarebbe aspettati che il personaggio fosse portato in scena da un servitore con un gran senso dell’umorismo e poca dignità, caratteristiche che Joshua certo non possedeva.

ACHILLE: Dov’è la mia serva, Polissena?

IFIGENIA: (rispondendo da sotto) Oh, potente guerriero, non è qui.

ACHILLE: (con voce petulante) Dovrebbe esserci invece. Hanno spruzzato il suo sangue sulla mia tomba, dunque dovrebbe essere qui!

IFIGENIA: Ma non le hanno chiesto se voleva essere la tua serva, oh Achille. Ora i comandi dei guerrieri non hanno più valore, vive nel mondo dei morti.

ACHILLE: Ma è la mia schiava! Era tutto predisposto; fai sprizzare il sangue di una vergine, dal cuore o dalla testa, e lei diventerà tua. Tutti lo sanno.

IFIGENIA: Non è la schiava di nessuno. Nel mondo delle ombre siamo tutti eguali…

ECUBA: Oh, Spirito Vergine, cos’è questo rumore?

IFIGENIA: L’ombra di Achille si staglia sulle mura, con il membro turgido per la lussuria, chiama Polissena.

ECUBA: Povera Polissena.

IFIGENIA: Ora può fare ciò che vuole, sposa di Priamo. Niente la può costringere.

ANDROMACA: Cosa vorrà fare Polissena se non c’è nulla che la costringe? Madre, cosa dobbiamo fare?

ECUBA: Penso che dormirò un poco. Polissena ha sempre adorato dormire. Dormono i morti nell’Ade? Oppure danzano? Forse mangerà, o dormirà. Le piaceva anche danzare.

“Se fossi io” pensò Stavia, “dormirei. Niente danze o banchetti Solo dormire.” Sbadigliò voltando pagina.

ACHILLE: (discende la scala) Se Polissena non vuol servirmi allora mi dedicherò a un altro gioco divertente. Tu sei Ifigenia, la giovane figlia del possente Agamennone?

IFIGENIA: Sì, io ero quella donna.

ACHILLE: Allora siamo fidanzati!

IFIGENIA: (ridendo) Non dire stupidaggini, Achille!

ACHILLE: Ma Odisseo ha promesso che saresti venuta a sposarmi, vero?

IFIGENIA: Un trucco per attirarmi qui, Achille. Non lo chiamano la Volpe per nulla. Maledico quel trucco come maledico mio padre. Del resto tu non sai nulla di promesse di matrimonio. Quando mia madre si è dichiarata d’accordo sulle nostre nozze tu l’hai schernita.

ACHILLE: Questo è vero, ma più tardi ho pensato che non fosse una cattiva unione. Tu sei la figlia di Agamennone, dopotutto. Mi sono offerto di difenderti.

IFIGENIA: (con una risata stridula che riecheggia tra le mura come venisse da un’orda di fantasmi femminili) Oh, Achille, Achille… (declama) Dopo che sono morta hai detto di ammirare il mio coraggio, sebbene non di coraggio si sia trattato! Fu rabbia, verso voi tutti, uomini assassini di altri uomini. Rabbia che mi ha rafforzato, non umiliato. Qualche poeta, udendo le tue fatue parole, ha composto una canzone su quell’atto di sangue e non contento l’ha riempita di menzogne e sentimenti patetici. In realtà è successo che ti sei nascosto e lo sei rimasto sino alla mia morte.

ACHILLE: Non fosti tu a morire. Artemide mandò un cervo che fu ucciso al tuo posto. Tutti lo sanno…

IFIGENIA: La gente sa quel che vuole sapere. Quel cervo arrivò in ritardo e io non lo vidi mai arrivare. Artemide non mandò nessun cervo. Artemide aveva affari più urgenti altrove. Fu il mio sangue a sprizzare sulle pietre ogni volta che il mio cuore fu trafitto, fu il mio cervello a torcersi per il dolore, fu la mia voce che divenne muta, i miei occhi che rotearono nelle orbite scure piene di vermi, Ifigenia, la figlia di Agamennone, morì su quelle pietre imbrattandole col suo sangue, non un povero cervo.

ANDROMACA: Oh, pietà. Pietà.

IFIGENIA: Sebbene i poeti abbiano congiurato per cambiare la verità non ci fu il prode Achille al mio fianco, e nessun cervo mandato dagli dei a prendere il mio posto. Non mi offrii io in sacrificio sebbene tutte le canzoni dell’Eliade lo dicano.

ECUBA: Cosa dici, o spirito?

IFIGENIA: Sto cercando di spiegare a questo guerriero che chi prese il mio sangue mi assassinò, sebbene i poeti dell’Eliade affermino il contrario.

— Ehilà — disse una voce all’orecchio di Stavia.

— Ah! — grugnì Stavia trasalendo quasi addormentata. — Chi… cosa… cosa c’è?

— Joshua, Stavia. Cosa stai facendo qui, mezza addormentata, ad abbrustolirti ai raggi del sole?

— Josh? Non volevo addormentarmi, sebbene ogni poeta dell’Eliade dica di sì — la voce sfuggiva ancora addormentata — Quando sei tornato?

— Circa un’ora fa. Non c’era nessuno a casa. Sono andato all’ospedale e tua madre ha detto che eri tornata a riposarti, ma pensavo di trovarti qui. Tuttavia, dal tuo aspetto, direi che faresti meglio ad andare a dormire. — Si sedette sul parapetto e le lanciò uno sguardo duro, mentre la luce alle sue spalle rendeva la barba grigia luminosa come fosse d’argento. Le rughe attorno agli occhi erano fitte tradendo la sua concentrazione. — È stata così dura, Stavvy?

— Be’, sapevo come ci si sente ma ho mentito a me stessa — confessò, come non avrebbe fatto che con Joshua e Corrig. — Non ho potuto dormire la scorsa notte; pensando a Dawid, domandandomi cosa avrei potuto fare che invece non ho fatto. Ho ricordato quando ero bambina, quando tutto cominciò. Lo sai. Come mi hai trovato? Non potevi vedermi da là sotto — le parole le erano uscite di bocca prima ancora di pensarle, poi arrossì. Naturalmente era chiaro che lui aveva saputo dove trovarla.

Joshua le prese il libro dal grembo, sbirciando la parte del testo che aveva appena letto. — Stavvy, sapevi benissimo che non c’erano possibilità che il ragazzo si comportasse diversamente da quello che ha fatto. Pensa ad Achille. Così è per Dawid. “Non posso offendere i miei amici, ma tu non morirai veramente, madre. Atena manderà un cervo.” Tutti i guerrieri la pensano così altrimenti non rimarrebbero nella guarnigione. Il problema con te, è che ti crei delle fantasie. “Dawid cambierà idea, Dawid supererà il suo retaggio e il suo ambiente. Dawid sarà accecato dalla sacra luce.” Andiamo, Stavvy — si volse e lei, vedendo i muscoli della sua mascella tendersi e rilassarsi, si rese conto che stava cercando di impedirle di vedere la sua espressione. Proprio così. A dispetto di quelle parole severe, aveva voluto bene a Dawid proprio come ne aveva voluto ad Habby, a Byram e a Jerby. Anche lui aveva sperato.

— Vorrei che fossi stato qui a mettere un po’ di buon senso dentro di me prima di andare — disse a mezza voce — o dopo.

— Non ero qui per un’ottima ragione, e lo sai. Ora smetti di tormentarti a proposito di Dawid. Può essere per metà tuo, ragazza, ma è la metà sbagliata. Andiamo, ti porto a mangiare qualcosa.

Quasi la trascinò sino a un negozio che vendeva salsicce, fingendo di avere un’espressione compiaciuta, e mostrando di gradire un piatto di montone condito con aglio e basilico e un piatto di riso, un alimento raro e molto apprezzato. Tra un boccone e l’altro le raccontò le sue storie riuscendo quasi a farla ridere. Quando ebbe terminato il piatto che aveva davanti, chiese: — Perché stai studiando Ifigenia?

Stavia, che stava semplicemente piluccando un piatto di insalata ancora acerba, abbassò lo sguardo sul libro consunto. — Reciterò la parte principale quest’estate. Morgot ha rifiutato di rifarlo e loro sono state molto chiare. Hanno detto che ero la sola componente del Concilio che poteva avere un aspetto convincente per la parte di una ragazza, non ridere, so che aspetto ho oggi, Morgot me lo ha detto.

— L’estate è piuttosto lontana. Io farò Achille, ma non ho intenzione di cominiciare a studiare ancor per diverse settimane.

— Sarei sopresa che tu ripassassi la parte. L’hai recitata per anni; pensavo che se me la fossi riletta ogni settimana l’avrei mandata a mente senza troppa fatica. — Improvvisamente le lacrime le riempirono gli occhi e singhiozzò al ricordo di un dolore intenso, simile a quello che si prova per il parto.

— Stavvy?

— Sto bene, Josh… Solo… stavo solo leggendo la parte per distrarmi… ma ho cominciato a trovare delle somiglianze con la mia storia. Il fatto che Ifigenia fu attirata con inganno ad Aulis. Per sposarsi, le dissero, quando tutto quello che volevano era usarla. Lo sai, tu sai tutto, eppure lasci che…

— Non metterebbero in scena questa commedia tutti gli anni in tutte le città del Paese delle Donne se non ci fosse qualcosa che ricorda la vita vera.

Stavia prese un poco d’insalata, mentre le lacrime si asciugavano agli angoli degli occhi, domandandosi ancora una volta: — Le cose ti capitano quando sei giovane. E pensi di capire cosa succede, ma in verità non capisci. Poi, diversi anni dopo, comprendi di colpo cosa è veramente accaduto; e ti senti stupida perché è troppo tardi per fare qualcosa per riparare agli errori che hai fatto. Continuo a pensare a quei fatti. Quel giorno che io e Beneda salimmo in cima alle mura e Chernon venne dall’armeria per vederci. Ero così eccitata. Pensavo di piacergli. Sembrava una cosa così fortuita, casuale. Non avevo idea di cosa stesse accadendo veramente.

Lui posò le mani sulle sue. — Vuoi che venga a casa con te?

— Non devo solo piangere e non ho bisogno di nessuno che mi aiuti a farlo.

— Sei certa? Non vuoi che ti faccia un po’ di compagnia?

— Sono sicura. Va’ ad aiutare Corrig. Sta insegnando i misteri. A cena ieri sera ha detto di aver bisogno di te per alcune cose. Starò meglio per l’ora di cena. — Gli diede un bacio e lo lasciò, Joshua rimase a spazzolare il piatto di salsicce, la guardò allontanarsi provando dolore di riflesso.

A casa, nella quiete della camera, Stavia si sdraiò sul suo letto, adagiata sui cuscini, con il libro aperto sul grembo. Non aveva bisogno di leggerlo. Lo ricordava perfettamente.

ANDROMACA: Se non è stato come hanno detto i poeti, perché ti hanno uccisa, o vergine?

IFIGENIA: (sospirando con impazienza). Le case degli elladi stavano sopra la costa; i guerrieri erano raccolti a centinaia davanti alle loro navi, pieni di fervore marziale, pronti a venire in aiuto di Menelao, la cui sposa era stata rapita.

ANDROMACA: Questo lo sappiamo. Elena era qui. Noi non la volevamo, ma ella era qui.

IFIGENIA: Non interrompermi. Se perdo il filo del discorso, dimentico ciò che devo dire. Le case degli elladi eccetera eccetera… la cui sposa fu rapita. Ah, vediamo… Si fermarono ad Aulis dove i venti contrari non consentivano loro di salpare per Troia e nell’attesa sentirono il loro sangue raffreddarsi. Alcuni parlavano già di Elena come di una vacca rubata, poco desiderosi di rischiare la vita per una tale sgualdrina. Alcuni parlavano di raccolti che li aspettavano a casa. Altri parlavano di mogli e di figli, sebbene questi ultimi fossero pochi. Finché alla fine anche il loro ospite fu demotivato, non più ossessionato dalla necessità di una guerra. Eppure ogni uomo si vergognava di apparire vigliacco di fronte agli altri. Così alcuni di essi cospirarono per il bene comune e diedero a Calcante dell’oro per prevedere e profetizzare che non ci sarebbero stati venti a tenerli lontani dalla rocca di Troia se mio padre manteneva la promessa che aveva fatto molto tempo prima… la promessa di uccidere sua figlia, di sacrificarla alla vergine Artemide.

ECUBA: (con orrore) Non avrebbe mai fatto una cosa simile!

ANDROMACA: Nessun padre farebbe mai una cosa del genere!

IFIGENIA: Be’, anche loro lo pensavano. Pensavano che Agamennone avrebbe rifiutato e sarebbero tornati tutti a casa.

ECUBA: Sicuramente fece altre offerte in sacrificio.

IFIGENIA: Che non servivano al loro scopo.

ECUBA: E quando non avessero trovato una sostituta…

IFIGENIA: Mandò Odisseo, signore di ogni menzogna, a pregare mia madre di mandarmi perché divenissi la sposa di… Achille, potete crederlo? Invece mio padre mi consegnò ai sacerdoti che mi tagliarono la gola.

ECUBA: E nessuno dei poeti disse la verità?

IFIGENIA: Oh, Ecuba, Ecuba. Sei una donna! Può mai una donna credere a una simile sciocchezza? Pensaci! Ero vergine! Poco più che una bambina. La mia testa era piena di fiocchi e di feste e mi domandavo se avrei mai avuto un amante. Le parole che i poeti misero sulle mie labbra erano le urla piene d’orgoglio. Dissero che mi ero offerta di morire per l’Eliade. Cosa ne sapevo dell’Eliade?

ECUBA: È vero. Quando avevo tredici anni, non avrei voluto morire per Troia.

ACHILLE: (Grattandosi l’inguine con irritazione) Non capisco perché han detto tutte quelle cose se non sono vere. Pensavo che tu fossi destinata a diventare mia sposa e di averti difesa…

IFIGENIA: Mio padre si servì di me come avrebbe fatto di una schiava o di una pecora del suo gregge. Penso che molti altri padri farebbero la stessa cosa. Poi, dopo averlo fatto, proclamò che io mi ero offerta come vittima. Forse questo lo faceva sentire meno vile. Gli uomini amano parlar bene di sé, e i poeti li aiutano.

ACHILLE: (Con voce petulante) Apollo mi ha salvato da una donna astuta. (La scruta da capo a piedi) Tuttavia è stabilito che siamo fidanzati.

IFIGENIA: Puoi scordartelo, Achille. Nessuno scopa nell’Ade.