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— Nessuno scopa nell’Ade — recitò l’undicenne Stavia assumendo una posa drammatica davanti a Beneda mentre pronunciava quelle parole. Le due ragazzine erano sedute al sole in cima alle mura della città. Stavia aveva accettato di aiutare Beneda, in matematica — sebbene fosse quasi completamente ignorante in materia — se Beneda l’avesse aiutata a recitare la parte di Ifigenia. La prova per la rappresentazione si sarebbe svolta la settimana successiva. — Mi piace questa battuta, suona bene.
— Ho visto le prove ieri — osservò Beneda. — Michy non vuol dire la parola “scopare”; dice che non è femminile.
— La madre di Michy è una persona molto strana. Morgot dice che non ha quasi mai preso parte al carnevale. Non le piace il sesso.
— Certe donne sono così. Sai cosa ho sentito? Dicono che ci sono anche degli uomini così. Ci credi?
— Che non gli piace il sesso?
— Che non possono farlo o qualcosa del genere.
— Oh, sicuro. È un problema fisiologico o a volte psicologico. Nei libri di medicina se ne parla.
— Posso leggerli?
— Se ne hai voglia. È roba noiosa, comunque. Parla solo di ormoni e di prostata.
— Oh, pensavo che si trattasse del pene.
— Be’, sì. Solo che il pene è la prolusione di qualcos’altro, sai? Non esiste di per se stesso.
— Salvo che per i guerrieri.
— Che cosa vuoi dire?
— Loro credono che esista indipendentemente da tutto il resto — Beneda indicò il campo cintato davanti a loro. — Guarda quella cosa che hanno eretto al limitare del campo della parata; è quattro volte più grande della statua del padre e del figlio. È come una torre.
— Dicono che sia un monumento della vittoria — obiettò Stavia, osservando realmente il pilastro per la prima volta. Assomigliava a un fallo.
— Oh, per l’amor dei cieli, Stavvy, ha persino il prepuzio!
Stavia sbadigliò. — Non mi importa neppure se ha un epididimo o quello che è. Tutto quello che mi importa è il fatto che i corsi di studio saranno terminati tra un mese e ci sarà il carnevale e i ragazzi torneranno a casa. Sento la mancaza di Jerby.
— Cosa farà Myra?
— Oh, probabilmente continuerà la sua relazione con Barten — disse Stavia con un tono di disapprovazione. — Ha deciso che tutta la faccenda tra Tally e Barten è stata un errore di Tally, se riesci a crederci. Secondo Myra, Tally ha sedotto Barten e si è offerta di andare al campo degli zingari. Ogni volta che Barten fa qualcosa di disonorevole, Myra accampa delle scuse e se le beve lei stessa. Non è stupida. Morgot si limita a scuotere la testa e spera che vivere veramente una relazione aiuterà Myra a dimenticarlo.
— Lo dici come se fosse un’infezione.
— Stavo solo ripetendo le parole di Morgot. Be’, almeno Myra si comporta così, tutta febbri e deliri. Continua a dire di volere un figlio da lui, solo perché è bello.
— Non c’è niente di male in questo — disse Beneda dubbiosa — o no?
— È fisicamente matura; immagino che non ci sia nulla di male. Dovrebbe esserci qualcosa di sbagliato, tuttavia, se capisci quello che intendo.
— Perché lui si comporta così?
— Be’, non credi? Voglio dire, alcuni dei guerrieri sono persone a posto, vero? Alcuni di loro sono anche belli. Ma Barten non è certo una persona perbene. Non mi sembra che sia giusto che diventi padre, visto che è così.
— Però è bello. Se dovessi avere un bambino non vorresti che fosse bello?
— Immagino di sì. Ma pensa se fosse una bambina e crescesse come lui!
— Già. Una sgualdrina! Una gallina — Beneda mise la mano destra sulla testa come una cresta e quella sinistra dietro la schiena per simulare una coda.
— Proprio quello che pensavo. Tuttavia, qualunque cosa ne pensi Myra, Morgot le ha dato tutti i ricostituenti della dieta — le dita di Stavia si arcuarono per poi stendersi. — Myra farà quello che vuole, comunque!
Beneda posò il libro che fingeva di studiare e disse: — Stavvy, parlare di galline mi ha fatto venire in mente una cosa. Mia mamma mi ha detto di passare al mercato a prendere delle uova.
— Va’ avanti — disse Stavia — ti aspetterò qui.
— Vieni con me.
— Non ne ho voglia. Va’ tu. Se, come al solito, ti fermi a chiacchierare, ci metti due ore invece di cinque minuti. Se ti aspetto qui non diventerò impaziente.
— Cosa farai qui da sola?
— Leggerò — lanciò uno sguardo ai libri sparsi attorno a loro. — Società preconvulsive. Leggerò il tuo libro di antropologia, poi ti farò delle domande.
— È un libro stupido; parla solo di isole tropicali e lapponi.
— Cosa sono i lapponi?
— Vuoi leggere? Scoprilo da te. — Beneda si alzò e si spazzolò i capelli. — Torno presto.
Se ne andò non troppo dispiaciuta di andarsene da sola. Beneda amava chiacchierare con la gente al mercato, Stavia no. La madre di Beneda non faceva parte del Concilio mentre la sua sì. Beneda poteva dire tutto quello che le passava per la testa — e di solito lo faceva — e nessuno ne avrebbe tratto delle conclusioni; ma se Stavia diceva “sembra che pioverà” tutti cominciavano a domandarsi se ciò avesse un significato particolare a causa di qualcosa che Morgot aveva detto a casa. Morgot però non diceva mai nulla a casa! Era muta come una tomba.
Allontanati questi pensieri, Stavia prese il libro rosso che Beneda stava leggendo. Società preconvulsive, tribù delle isole tropicali. Tribù che vivevano di commercio; tribù migratorie… lapponi.
Stavia lesse, entrando nel loro mondo di vesti imbottite e alti stivali (non dissimili da quelli che si usavano d’inverno nel Paese delle Donne), un popolo che sceglieva la renna più docile dal branco perché potesse guidare le loro greggi di pascolo in pascolo senza perderne nessun capo. Poteva quasi sentire l’odore dei grandi branchi di animali che si muovevano da nord a sud a seconda delle stagioni, quasi riusciva a sentire gli ululati delle fiere, i morsi gelidi della neve, il peso degli abiti imbottiti e degli stivali, il verso del capobranco che guidava il gregge. Si perse nelle parole, diventando una dei nomadi, sentendo…
Quando Beneda tornò, Stavia stava seduta sul muro con il libro aperto sul grembo e le lacrime che le rigavano il viso.
— Stavvy? Cosa è successo?
— Le renne — disse quasi soffocata dalle lacrime.
— Cosa vuoi dire con “le renne”?
— Non ce ne sono più.
Beneda spalancò le labbra. — Stavvy, onestamente. Ci sono un sacco di cose che non ci sono più. Non abbiamo più… le macchine per asciugare i vestiti, i trasporti meccanici, le fornaci che riscaldano la nostra casa e il cotone e la seta… mucche e cavalli e… molti tipi di animali e uccelli e… un sacco di cose insomma.
— Ne sento la mancanza.
— Non li hai mai visti.
— Sì, ma so della loro esistenza. E questo rende tutto differente.
— Sei strana — Beneda le gettò le braccia al collo e la strinse quasi ridendo. — Ti voglio bene, Stavvy, perché sei strana. Sarai sempre la mia migliore amica?
Stavia rise tra sé, asciugandosi le lacrime con il bordo della gonna. — Sarò sempre la tua migliore amica, Beneda, per sempre. E lo so che sono strana. È quello che dice anche Morgot.
— Vorrei che fossimo sorelle.
— Perché? Non significa molto essere sorelle — rispose Stavia con una smorfia pensando a Myra.
— Oh, solo perché vorrei che fossi parte della mia famiglia. Vorrei che appartenessi a me. — Beneda arrossì imbarazzata da quella dichiarazione. — Sembra stupido.
— No, non lo è. È carino quello che dici, ma non è necessario che io sia tua sorella per appartenerti, Beneda. Ci apparteniamo entrambe, non è vero? — Posò il libro che stava leggendo e abbracciò Beneda, improvvisamente piena di una gioia calorosa che venne a riempire il vuoto evocato dal libro. — Non piangevo veramente di dolore, immagino. Odio quelli che hanno causato tutta questa desolazione, ecco tutto. Ci hanno derubato.
— Questo è il motivo per cui dobbiamo obbedire ai comandamenti, in modo da non derubare i nostri stessi discendenti — citò Beneda, aspettando che Stavia si riprendesse. — Vuoi farmi delle domande sui lapponi?
— Parlami dei lapponi — chiese obbediente Stavia ancora con gli occhi umidi, tenendo la mano dell’amica.
— Vivevano nel nord dove c’era freddo e neve per la maggior parte dell’anno. Ricavavano i vestiti dal feltro, come noi. Seguivano le greggi delle renne. Era difficile tenere insieme quegli animali, così scelsero dei maschi che non correvano troppo e li allevavano per guidare i branchi. E li mungevano, voglio dire le femmine, le renne. E usavano le pelli per vestirsi. E solo la Signora sa cosa facevano per ottenere verdure fresche, perché il libro non ne parla…
— Mi domando se sono ancora là…
— Dove?
— In Lapponi a. Mi domando se ne esistono ancora. Potrebbe essere, sai?
— Be’, non lo sapremo mai. È dall’altra parte del mondo; ma il libro dice che la loro vita dipendeva dagli animali e dalla loro capacità di addomesticarli, così potrebbero ancora esistere.
— Forse, uno di questi giorni, quando il Paese delle Donne invierà una spedizione di esplorazione, troveranno una via. O forse decideranno di mandare una nave attraverso l’oceano.
— Lo fecero centinaia di anni fa, Stavia. La nave non tornò mai indietro.
— Forse decideranno di provare di nuovo; le cose potrebbero essere cambiate. In ogni modo, quando tra dieci anni partirà la prossima spedizione esplorativa forse io ci andrò come ufficiale medico.
— Non ci sono molte possibilità — Beneda le fece una smorfia canzonatoria.
— No, non ci sono molte possibilità. Penso che andrò ad Abbyville per frequentare l’istituto medico. Forse per un paio d’anni. Quella potrebbe essere una possibiltà — si interruppe, con l’occhio aveva colto un movimento sul piazzale delle parate sotto di loro. — Qualcuno sta facendoci un cenno — Stavia saltò in piedi, stupita.
Qualcuno stava attraversando il campo delle parate diretto verso le scale che portavano al tetto dell’armeria; solo pochi metri dividevano il tetto dell’armeria dal muro di cinta, che era il posto prediletto per gli appuntamenti amorosi. — È Chernon? — chiese Stavia. Aveva visto Chernon solo con la tunica bianca il giorno della cerimonia. Quel ragazzo indossava una consunta tuta da lavoro di pecora.
— Stavia? — la chiamò salendo in cima alle scale. — Ti ricordi di me?
— Chernon?
— Esatto. È Beneda quella vicina a te?
— Sei mio fratello? — Beneda si protese dal muro e Stavia fu costretta a trattenerla per paura che cadesse di sotto.
— È da quando avevi sei o sette anni che non ti vedo — rispose Chernon con un sorriso indagatore.
— La madre mi ha detto cosa è successo, mi spiace Chernon.
— Anche a me. Quel guerriero, quel pazzo, quello che mi minacciava adesso è morto; è stato ucciso durante un raid di banditi. Vorresti dirlo a nostra madre? Per favore. Mi piacerebbe venire a casa questo carnevale; o alme no a farvi visita. La zia Erica è buona, ma vorrei vederti. E anche la mamma — i suoi occhi stavano implorando sinceramente adesso, e le labbra parevano tremare, anche se solo un poco.
— E vedere le ragazze.
— E anche le ragazze — lanciò uno sguardo rapido al piazzale della guarnigione — non posso star qui. I ragazzi non devono rimanere in questo punto, solo i guerrieri possono farlo. Del resto ho il turno di guardia stanotte. Devo far la guardia all’ottava centuria. Ascolta, c’è un terrapieno nel muro oltre l’estremità occidentale del campo delle parate; se ci vai troverai un buco attraverso cui si può parlare o passare messaggi. Alcuni dei guerrieri lo usano per gli appuntamenti. Portami la risposta là, va bene? Sarò là domani a mezzogiorno…
La sua voce svanì mentre si diffondeva il rumore di un tamburo che risuonava dietro le baracche. — I quattordicenni. La mia centuria — disse, poi a bassa voce, mentre scendeva le scale, aggiunse: — Ricordati.
Le due ragazzine si guardarono l’un l’altra quasi incredule per quell’incontro. — Chernon — sospirò Beneda — Oh, Stavvy, è magnifico; penso che tu gli piaccia, sai? L’ho capito dal modo in cui ti guarda.
— Andiamo a cercare quel posto che ti ha detto — suggerì Stavia con un tono pragmatico; ma dentro di lei non si sentiva affatto pragmatica. Si sentiva liquefatta. Era un sentimento strano, quasi indecente; e non voleva confrontarcisi o neppure considerarlo. — Se devi andarci domani a mezzogiorno per portargli il messaggio devi scoprire dove si trova.
C’erano delle scale che conducevano dalle mura alla strada che scendeva leggermente a est della piazza; da quel punto attraversarono il piazzale, superarono gruppi di persone venute a consumare il pasto al sole e trovarono un sentiero tortuoso che portava dal muro sino agli edifici a due piani dove si svolgevano i convegni d’amore, che in quel momento avevano le porte-finestre aperte per la semestrale pulizia prima del carnevale. Lo spazio tra le case di appuntamento e il muro era coperto di ragnatele e pieno di spazzatura, ma qualcuno aveva tracciato un sentiero attraverso i rifiuti sino al muro. Il buco era al livello del spalle; un’apertura larga quanto una mano, la luce vi passava dall’altro capo creando una macchia chiara illividita dalle ombre.
— È nascosto da un albero — osservò Stavia — ecco perché nessuno se ne è accorto.
— Noi non lo racconteremo, vero Stavia?
— No. Almeno finché non avremo detto a Chernon quello che pensa tua madre.
— Non credo che dovremo comunque parlarne — disse Beneda esaminando il sentiero polveroso tra i rifiuti sul quale si vedevano le impronte di diversi piedi. — Ci vengono in molti.
Chernon andò direttamente dall’armeria a fare rapporto al Vice comandante Michael, seduto con Stephon e Patroclo sotto le fronde di un albero vicino agli alloggi degli ufficiali. I sedili di ardesia e i bassi tavoli che si trovavano sotto quell’albero facevano parte del territorio degli ufficiali e, quando questi fecero cenno a Chernon di raggiungerli, il giovane sperò che qualcuno della sua centuria lo vedesse. Non capitava di frequente che gli ufficiali parlassero con un ragazzo che non era ancora un guerriero.
— L’hai vista? — domandò Michael.
— Sì, signore.
— E allora?
— E allora cosa, signore?
— Come ha reagito?
— Bene. Voglio dire, mi è sembrata interessata.
— Tua sorella?
— Nossignore, voglio dire, sì, signore, anche Beneda era interessata, ma stavo pensando a Stavia.
— Voleva dire proprio Stavia, ragazzo — sorrise Stephon, un centurione alto e spigoloso con un viso tirato e lungo con molte rughe attorno agli occhi. — Il tuo comandante vuol sapere se sei riuscito a… entrare nelle sue grazie. — Il sorriso divenne freddo come la lama di un coltello, e le sue sottili sopracciglia scure sembrarono unirsi sopra il naso.
— Sissignore, penso di sì.
— Sai di cosa si tratta, vero?
— Sissignore, Michael me lo ha detto.
— E cosa ti ha detto? — disse queste parole rivolgendo uno sguardo d’intesa confidenziale verso Michael, che stava appoggiato allo schienale osservando Chernon di sottecchi da sotto le palpebre grosse da sembrare gonfie. Quando Chernon cercò un cenno di incoraggiamento in quegli occhi essi non ammiccarono.
— Mi ha detto…
— Parla pure, ragazzo.
— Mi ha detto che le donne sanno qualcosa. Qualcosa che ci tengono nascosto.
— Tutte le donne? — questa volta era stato Patroclo, il terzo ufficiale, un uomo massiccio, con la barba.
— No, no, signore. Questo no, probabilmente; quelle che fanno parte del Concilio. E la madre di Stavia è una consigliera. Michael ha detto che probabilmente potrei scoprire di cosa si tratta se riesco a convincere Stavia a venire da me durante il carnevale… o se riesco io ad andare da lei…
— Molto bene, Chernon — mormorò Michael — e naturalmente ci racconterai tutto quello che scoprirai, vero?
— Naturalmente, signore.
Gli fecero cenno di andarsene e lui obbedì, con la testa piena di orgoglio, lusingato per quello che era appena successo. Molti ragazzi della sua età non parlavano neppure agli ufficiali, e ancor meno svolgevano incarichi per loro.
— Non ci sono molte possibilità che scopra qualcosa, vero? — disse il barbuto Patroclo agli altri quando il ragazzo uscì di vista. Patroclo aveva peli dove gli altri avevano solo pelle liscia; persino la sua voce suonava profonda e cavernosa, quasi avesse avuto peli anche sulla gola.
— Non si sa mai — disse Michael. — Abbiamo raccomandato ai nostri uomini più avvenenti di corteggiare le donne del Concilio e le loro figlie per scoprire qualcosa. Non possono essere tutte così riservate come Morgot. Forse il ragazzo, o uno degli altri, riuscirà a scoprire qualcosa.
— E forse non scopriranno nulla. Magari Jik ha mentito solo per salvarsi la pelle.
— Anche questo è possibile — Michael si stiracchiò con uno dei suoi sorrisi annoiati. — La prossima volta che mentirà su una donna perderà una parte vitale del suo corpo. Nel frattempo, tuttavia, non possiamo rifiutarci di credergli solo perché è un ladro. È stato a Emmaburg e ad Abbyville. È stato a Tabhitatown che si trova dannatamente a nord rispetto a qui. Jik sente un sacco di cose. Se dice di aver sentito che le donne ci nascondono qualcosa, probabilmente è vero. Segreti, dice.
— Che genere di segreti ha detto? — chiese Stephon.
— Solo che sta succedendo qualcosa che non sappiamo. Qualcosa che ha a che fare coi servitori e con il Concilio. — rispose Michael.
— Non so perché ci preoccupiamo dei loro piccoli segreti. Perché vogliamo scoprirli? — le labbra di Stephon si contrassero in una smorfia di disgusto mentre sibilava: — Stupide, pecorelle belanti! Perché non prendiamo il controllo della città? Potremmo farlo. Ogni guarnigione potrebbe farlo. Perché no?
Michael scoppiò a ridere con un impeto di sincero divertimento. — Oh, quale guerriero ambizioso! C’è solo il piccolo problema del comandante Sandom. Il comandante Sandom trova lo stato attuale delle cose perfetto.
— L’ho sentito — borbottò Stephon. — Uno dei ventiduenni l’altro giorno gli ha chiesto perché lasciamo che siano le donne a governare e il vecchio Sandom ha risposto: “Io sto steduto qui con indosso una veste fatta nel Paese delle Donne, a bere birra prodotta nel Paese delle Donne. Questa notte Bilby mi preparerà il pranzo e lo farà con carne, fagioli e formaggio del Paese delle Donne. Volete andare nei campi a coltivare? Volete godervi il fango e il freddo? Vuoi diventare un pastore, ragazzo? Lascia che siano le donne a fare tutto. A loro piace e perché dovrei preoccuparmene io?”.
— In questo ha ragione — disse pacatamente Michael.
— Sì, se uno ragiona come un mollusco — borbottò Stephon. — Il problema di Sandom è che non ha ambizioni.
— Be’, diciamo che per il momento passiamo sopra a questa sua debolezza. Vuoi veramente andare a sgobbare nei campi?
— Non essere stupido. Certo che no. Tocca alle donne farlo.
— Naturalmente — disse Michael — ma pensi che continuerebbero a farlo se occupassimo la città? Noi “prendiamo il controllo della città” e loro potrebbero non voler più far nulla. Potremmo scoprire di dover lavorare come le donne. Nessun divertimento salvo che durante i carnevali? È questo che vuoi? Razioni ridotte quando il raccolto è cattivo, è la città a subire le restrizioni, non noi. Lo hai dimenticato?
— In primo luogo, se fossimo noi a comandare, potremmo divertirci quando vorremmo. E fare in modo di stabilire le razioni come preferiamo.
— E credi che le donne continuerebbero a fare tutto il lavoro?
— Penso — ribatté Stephon — che ci siano dei mezzi per incoraggiare le donne a fare il loro dovere anche se prendiamo noi il comando.
— Stai dicendo quello che noi tutti immaginiamo.
— Non ho detto nulla fino a ora. Sto solo sostenendo che non vedo perché dobbiamo starcene qui fuori, nella guarnigione, mentre sarebbe meglio vivere all’interno delle mura della città. Perché dobbiamo accontentarci delle zingare quando la città è piena di belle donnine?
Michael sorrise mentre i suoi occhi si stringevano a fessura. — Il tuo problema, Stephon, è che non ti siedi vicino al fuoco la sera per ascoltare i vecchi. Uomini che ricordano cosa è accaduto trenta o quaranta anni fa. Dovresti starli a sentire di più, Stephon. Lo sai cosa è successo ad Annville?
— Quando?
— Oh, vent’anni fa, almeno. Quando tu ancora stavi ad ascoltare le favole.
— Non ho mai ascoltato le favole.
Michael rise a lungo, divertito, grattandosi la pancia. — La guarnigione ad Annville decise di prender possesso della città; e lo fece. Una notte penetrarono dalla porta e ogni guerriero entrò in una casa. Be’, quasi in ogni casa. E tre giorni dopo la guarnigione di Tabithatown era accampata intorno alle mura. E il giorno dopo c’era anche la guarnigione di Abbyville. Tutti quelli che uscivano non facevano ritorno. Le donne uscirono per coltivare i campi e non fecero ritorno. Il cibo cominciò a scarseggiare in città; molto presto gli uomini cominciarono ad andarsene. Da ultimo successe che gli ufficiali furono impiccati sul piazzale delle parate e la guarnigione fu divisa tra Tabhitatown e Abbyville.
— Non ne avevo mai sentito parlare.
— Pensi che sia una di quelle cose che vogliono si sappia? Lascia che ti dica una cosa, Stephon. Io potrei prendere Marthatown. E anche tu. Tutti noi ci abbiamo pensato. Potrei farlo. Ma ogni volta che mi viene in mente di prendere la città farei meglio a ricordami un paio di cose. La prima è che dovrei accertarmi che anche tutte le altre guarnigioni facciano altrettanto. O dovrei cercare di convincerle a guardare da un’altra parte.
— E cos’altro?
— Dovrebbero esserci grandi scorte di cibo. Dovrebbe esserci stato un enorme raccolto. L’interruzione degli scambi tra le varie città dovrebbe essere terminata così potrebbero esserci dei surplus nei magazzini.
— Non vedo…
— Fino a ora siamo vissuti di raccolto in raccolto, Stephon. Usa occhi e orecchie. Ascolta le donne quando parlano. Tu sei convinto che le donne lavorerebbero ugalmente se noi guerrieri prendessimo possesso della città e forse lo farebbero. Ma ci vorrebbe molto per convincerle. I tuoi uomini soffrirebbero la fame, e comincerebbero a disertare. Non puoi controllare una città senza uomini e non puoi controllare gli uomini senza dar loro da mangiare.
— Diavolo — grugnì Stephon. — Potrebbe volerci un’eternità.
— Be’, stiamo solo parlando — rispose Michael con un tenue sorriso — io sono come il veccho Sandom, sto bene qui. Sono giovane, ho tempo; se dovessi essere coinvolto in un progetto simile, dico “se” dovessi partecipare a qualcosa del genere (diciamo come riprenderci il giusto posto nel mondo) se mai lo facessi, pianificherei tutto prima. Parliamo di ambizione, se vuoi. Se l’ambizione significa fare cose stupide quando non è il momento, non ho ambizioni più di quante non ne abbia Sandom. — Osservò il viso di Stephon scorgendo un lento cenno di dissenso fare la comparsa nei suoi occhi. Stephon era scaltro. Era un buon tattico, uno dei migliori che Martathown avesse mai avuto. Se Stephon riusciva a rilassarsi e a lasciare che le cose andassero per il loro verso, be’, allora Michael lo avrebbe potuto sfruttare. Michael non era indolente o privo di ambizioni come sembrava, ma non aveva intenzione di rischiare la vita e la posizione.
— Dovrebbe capitare un incidente al comandante Sandom — soggiunse Stephon. — Questo è certo.
— Be’, sì; e non solo a Sandom. Anche ai suoi collaboratori. L’armiere Jander. Il capo approvvigionamenti Genner. Il Vicecomandante Thales e forse anche qualcun altro. Sono molto popolari, Stephon. E sono tutti più anziani di noi.
— Sono molto più “vecchi” di noi. Non vivranno a lungo.
— No, potremmo scommetterci, vero? Nel frattempo — sbadigliò — Chernon e gli altri ragazzi di bell’aspetto vedranno cosa possono scoprire; ho detto a tutti loro di tenere aperte le orecchie. Di ascoltare le conversazioni, roba del genere. A lungo termine voglio che Chernon si leghi alla figlia più giovane di Morgot…
— La figlia di Morgot? È anche tua figlia, vero, Morgot non passa il carnevale con nessun’altro che con te, vero?
Michael rise. — I guerrieri non hanno figlie; possono generare occasionalmente una ragazza, amico mio, ma non hanno figlie. Dovresti saperlo. No, tu hai usato le ragazze per quello che servono. Dimenticati delle figlie. Stavia non è niente per me, e neppure Myra. Barten sta corteggiando Myra e lei gli mangia nella mano. È in gamba, Barten.
— Di tanto in tanto protesta — osservò Sytephon.
— Be’, Myra non era quella che aveva scelto. Mettiamola così — convenne Michael — è un po’ magra e ossuta, direi; gli piaceva la succosa Tally. Ci sono volute alcune istruzioni paterne ma Barten farà il suo dovere per la guarnigione.
— Se pensi che Morgot sappia tante cose, non capisco perché tu non scopra da lei il segreto che ci nascondono — suggerì maliziosamente Stephon. — Secondo le tue parole non ti lascerà certo da solo.
— Morgot è brava in alcune cose ma non parla — disse Michael — ma delle ragazzine alla prima relazione… — rise con aria di chi la sa lunga — oh, parlano sempre, vero, cantano come pollastre. Non riesci a farle star zitte.
— Barten ha scoperto qualcosa?
— Non molto, ma ha cominciato ad aizzare Myra contro i comandamenti. Roba così; se funziona, Stavia potrebbe essere la prossima. È tutto quello che vogliamo, due gallinelle innamorate, che fanno diventar matta la loro madre e che chinano il capo davanti ai nostri giovani galletti.
— Forse avresti dovuto sbarazzarti prima di Vinsas, avrebbe reso più facile il riavvicinamento del ragazzo alla sua famiglia.
— Non prendo provvedimenti contro un guerriero solo perché me lo chiedono le donne — rispose Michael con astio. — Non faccio nulla che siano le donne a chiedermi.
— Naturalmente no — disse Stephon a mezza voce — ma uccidere quel bastardo di Vinsas è stata una buona idea, qualunque sia stata la ragione.
Stavia raccontò a Morgot che Chernon desiderava tornare a casa durante il prossimo carnevale mentre stavano preparando la zuppa per la sera. — Ha detto che quel guerriero, Vinsas, è morto.
— È strano — disse Morgot — non ho sentito dire che nessuno dei guerrieri sia morto recentemente.
— Chernon ha detto che è accaduto durante una scorreria dei banditi.
— Ne avrei sentito parlare… — Morgot sembrava stupita e turbata ma, leggendo la preoccupazione sul viso di Stavia, le sorrise e continuò. — Be’, almeno questo è un bene per Chernon. Sylvia probabilmente sarà d’accordo che venga a casa.
— C’è qualche altra ragione per la quale potrebbe non volere?
— Ci sono molte ragioni ma alla fine penso che accetterà. È difficile riprendere a casa il proprio figlio e forse soffrire ancora a causa sua quando è tutto passato e superato.
— Non capisco.
Morgot aveva uno sguardo distante negli occhi tristi. — Concepisci un figlio. Quando è ancora un bambino pensi già che lo perderai a cinque anni. E questo ti addolora. Ma lo superi. Poi viene il giorno in cui tuo figlio compie cinque anni e deve andare da suo padre. E di nuovo soffri. Poi guarisci. E ogni volta che viene a casa durante il carnevale riapre quella ferita; e ogni volta guarisci. Poi, quando raggiunge i quindici anni forse sceglie di rimanere con la guarnigione e nuovamente ne soffri. Giaci a letto, di notte, con gli occhi che bruciano e il cuscino bagnato di lacrime. Soffochi le lacrime e queste bruciano, te lo assicuro. Ti domandi se andrà in battaglia, se sarà ferito, se morirà; ogni battaglia significa… ogni battaglia significa che qualcuno muore. Forse tuo figlio e l’amico di tuo figlio. Alcune donne non ce la fanno a sopportarlo. Alcune cercano di dimenticarlo, non parlano mai dei loro figli dopo che hanno raggiunto i quindici anni. Altre donne continuano a osservarli, salutandoli dalle mura, mandando loro dei doni — la voce si fece rotta e Morgot volse il capo.
— Non pensi che Habby e Byram torneranno? — il dolore di Morgot era inaspettato e spaventoso e Stavia voleva essere rassicurata, anche se pensava di conoscere già la risposta.
— Non lo so, Stavvy. Spero di sì; ma non possiamo saperlo — gli occhi di Morgot erano lucidi e cercò un modo di cambiare discorso. — Perché non vai a dire a Myra di venire a pelare queste patate?
— Mi ha già detto di no. È stata intrattabile per tutta la giornata — disse Stavia con uno sguardo sdegnato.
— Penso che siano solo capricci.
— Be’, quello che sono — lanciò uno sguardo alla madre che sembrava aver recuperato il controllo di sé.
— Va’ a chiederglielo comunque.
Stavia se ne andò, prendendo tempo anche per dare la possibilità a Morgot di ricomporsi. Myra arrivò in cucina e cominciò a pelare le patate con uno sguardo di lontano disgusto. Stavia e Morgot parlarono del più e del meno; la loro conversazione, come acqua che gira attorno a una roccia semisommersa, fu accompagnata dal più completo silenzio da parte di Myra. Stavia pensava che le loro chiacchiere familiari giungessero a sua sorella, distante mille anni. Myra le rimproverava per quello che Barten aveva fatto a Tally, risentendosi sia con Morgot che con Stavia per essere state presenti quando lo aveva scoperto. Tuttavia non era risentita con Barten e questo, per Stavia, era la cosa più grave.
— Sei andata al centro medico oggi? — chiese Morgot alla figlia che se ne stava sempre silenziosa.
— No — fu la sua monosillabica risposta.
— Per favore, vuoi andarci domani?
— Non ho ancora deciso.
— Myra, ne abbiamo parlato già molte volte. Se non vuoi startene rinchiusa in casa durante il carnevale, devi andare al centro medico per un controllo e ricevere un timbro.
— Tu non sei timbrata.
— No, perché non ho intenzione di alzarmi la gonna e partecipare al carnevale. Non quest’anno. Tu invece sì, probabilmente.
— E se non volessi?
— Sai molto bene cosa succederà se non vai al centro medico. Se sarà così te ne starai in casa durante il carnevale come hai deciso di fare l’anno scorso e quello passato; del resto è stata una decisione saggia. Non eri interessata a nessuno in particolare e non ero certo io a suggerire a una ragazzina di quindici anni di andare a prendere il primo che capitava nelle taverne. Tuttavia adesso hai diciassette anni e sei interessata a una persona; non voglio che tu te la prenda con me perché non vuoi obbedire ai comandamenti e poi decidi di vedere Barten e non puoi.
— Starò a casa. Comunque quelle regole sono stupide.
Stavia che era convinta anche lei che alcuni dei comandamenti fossero stupidi ma non lo avrebbe mai detto, s’irritò per il commento di Myra.
— Bene, se questa è la tua decisione. Ricordati che, se uscirai nelle strade, sarai presa e messa in reclusione e ti assegneranno probabilmente a una delle squadre di lavoro che puliscono le case di appuntamento.
Myra sbatté a terra la ciotola di patate pelate e scappò via a chiudersi in bagno.
— Si va a nascondere — disse Stavia.
— Lo so, poverina. È tutta agitata e si dibatte tra quello che vuole il suo corpo e tutte quelle cose drammatiche e romantiche che Barten l’ha aiutata a immaginare. Amore senza fine. Promesse eterne.
— Myra è fatta così — disse Stavia incerta.
— Be’, siamo tutte così, Stavvy. Io stessa ho sentito parecchie di quelle promesse dai giovani guerrieri. Ho avuto anch’io qualche drammatica e sentimentale speranza di tanto in tanto. Ci piace inventare mondi che siano migliori di questo, migliori per gli amanti, migliori per le madri… per quel che ne so Barten ci crede lui stesso. Molti dei guerrieri ci credono.
— Come i poeti.
— Quali poeti?
— Quelli di Ifigenia a Troia. Quelli che hanno trasformato ciò che è accaduto a Ifigenia in una cosa diversa. In verità fu assassinata ma ciò faceva sentire in colpa gli uomini, così hanno fatto finta che sia stata lei a offrirsi come vittima sacrificale. Barten sa perfettamente cosa ne sarebbe di Myra se andasse al campo degli zingari ma lo trasforma in qualcosa di differente nelle storie che le racconta.
— Mmm. Sì. Direi che è un paragone calzante. È una delle cose che noi del Concilio cerchiamo di tenere a mente, la necessità di tenere romanticismo e sentimenti fuori dalle nostre decisioni… lasciamo il romanticismo ai guerrieri. Non possiamo permettercelo nel Paese delle Donne.
— Potresti dire a Myra di capirlo finché può. Nessuno scopa nell’Ade.
— Stavia!
Stavia arrossì poi assunse una colorazione pallida, sentendosi in colpa. Era una frase più letteraria che femminile; udì un colpo di tosse e si volse scorgendo la madre china sul tavolo da cucina, con gli occhi pieni di lacrime, perduta in una risata silenziosa.
L’ultimo giorno possibile, Myra andò al centro medico dove le fu applicato un impianto nel braccio. Vitamine, disse Morgot, perché non si era nutrita adeguatamente. Alla stessa visita fu timbrata per il carnevale. Il marchio di inchiostro rosso era nascosto da una ciocca di capelli ramati che le ricadeva sulla parte destra del viso ed era scarsamente visibile. Tuttavia una volta che l’ebbe ottenuto sembrò più tranquilla e smise di comportarsi sgarbatamente. Non rispose più male a Joshua, sebbene non lo trattasse più come faceva una volta, con affezionato rispetto. Tuttava ciò rese più piacevole la vita per Morgot e per Stavia e, senza dubbio, anche per Joshua. Il carnevale non era mai un bel momento per i servitori. Per la maggior parte restavano nei quartieri residenziali e nelle zone private per evitare ogni scontro con i guerrieri che un tempo potevano aver conosciuto. Non che qualcuno della guarnigione, eccetto Habby e Byram potesse aver conosciuto Joshua. Era venuto da Susantown quando aveva solo diciotto anni. Gli uomini che ritornavano dalla Porta delle Donne spesso sceglievano di cambiare città rispetto a quella dove erano nati, per evitare i loro vecchi vicini. Se Habby fosse ritornato dalla Porta delle Donne avrebbe scelto di andare a Susantown o a Mollyburg o in un’altra dozzina di altre città. Morgot e Stavia avrebbero sempre potuto andarlo a trovare.
Beneda aveva portato un messaggio a Chernon, dicendogli che sarebbe stato il benvenuto a casa. Stavia passò i suoi esami in materie femminili e fisiologia e fu assegnata a un programma di giardinaggio. La sua recitazione in Ifigenia fu giudicata accettabile e le fu affidata la parte. Riuscì a scrivere sul diario dei compiti la parte assegnatale dei comandamenti, facendo solo pochi errori di punteggiatura. Poi tutti gli studi e i programmi furono sospesi per un mese per permettere alle istruttrici di fare i preparativi per il loro carnevale. Salvo che per queste vacanze semestrali la scuola durava per tutto l’anno, una stagione dopo l’altra. Non importava quanto si fosse anziane, tutte le donne della città dovevano studiare qualcosa.
— Dopo le Convulsioni — disse Morgot — molta della conoscenza andò perduta perché la gente non sapeva nulla al di fuori della propria area ristretta e i libri erano andati perduti. Anche a settant’anni puoi imparare qualcosa, in caso possa servire.
Il pensiero di dover studiare ancora a settant’anni faceva venire il mal di testa a Stavia.
L’arrivo di Chernon a casa di sua madre coincise con la possibilità per Stavia di disporre di più tempo del solito per vedere Beneda… e Chernon naturalmente, visto che era là. Lui aveva comunque fatto in modo di chiedere a Beneda di invitarla.
— Perché mi hai parlato il giorno in cui abbiamo portato Jerby da suo padre? — gli chiese. Si trovavano nel portico superiore della casa di Stavia, a stendere il bucato. Beneda aveva portato il carrello del bucato e Stavia si era offerta di appenderne il contenuto se Chernon le avesse tenuto il cesto sulla scala.
Lui pensò attentamente cosa rispondere. Di certo non voleva dire a Stavia che lo aveva fatto perché era stato Michael a dirglielo. — Non osavo andare da mia madre o da Beneda — disse temporeggiando. — Non sapevo se sarei stato il benvenuto e, del resto, loro erano troppo lontane. Volevo darti un messaggio per loro ma non c’è stato tempo — scrollò un telo bagnato e glielo porse tenendolo per gli angoli.
Lei pose il telo in fila con gli altri e stese il bucato sul cortile. — Ti è permesso di mandare messaggi scritti, vero?
— Sì, se proprio devo. E se voglio passare un sacco di tempo a discutere e a spiegarmi con gli ufficiali. Se avessi avuto otto o nove anni nessuno ci avrebbe fatto caso. Faccio la guardia notturna per i bambini di quell’età e molti di loro hanno nostalgia di casa. Ma quando hai tredici o quattordici anni, ci si aspetta che tu vada a casa solo per dovere; nessuno si aspetta che tu lo voglia davvero.
— Immagino che pensino che sia un atteggiamento femminile. — Stavia terminò di appendere l’ultimo capo, la sottoveste di Beneda, e asciugò le mani sui calzoni.
— Già, e anche peggio. Tuttavia non c’è niente di male a sentire la mancanza dei piatti cucinati da tua madre.
— Beneda dice che li hai divorati — in realtà Beneda aveva detto che ne aveva fatto un solo boccone senza preoccuparsi neppure di assaporarne il gusto.
Lui arrossì e lei cambiò argomento. — Perché quel guerriero ha insultato tua madre?
Sul viso di Chernon comparve una strana espressione, metà furiosa e metà imbarazzata.
Stavia si affrettò a dire: — Oh, mi spiace. Morgot dice che la mia lingua sarà la mia rovina. Non volevo essere indiscreta.
— Non ti preoccupare; non credo che l’abbia mai conosciuta. Mia madre dice di averlo incontrato una volta. E ha detto che non è mai stata… capisci… con lui. Lui si vantava di averla messa incinta ma che lei non voleva ammettere che lui fosse il padre di suo figlio per dispetto.
— È stupido, Chernon.
Le lancio una rapida occhiata che Stavia interpretò come uno sguardo inaspettamente scettico, poi sorrise senza convinzione. — Oh, una pazzia. A volte diceva perfino che ero suo figlio, ma io so che non è così. L’ho anche chiesto a mia madre, ma lei mi ha detto di no. Probabilmente non ha mai avuto un figlio; probabilmente nessuna donna gli ha mai consegnato suo figlio.
— E perché hai fatto tutto quel pasticcio?
Il ragazzo sembrò irritato da quella domanda. — Voi donne non capite. Mia madre voleva che gli mentissi e io le ho detto che era una cosa disonorevole; lei replicò che dire la verità a un pazzo era inutile e anche tua madre diceva la stessa cosa. Ma Vinsas era il mio superiore, il mio mentore e comunque dovevo comportarmi in maniera onorevole. I guerrieri non si raccontano bugie. Ho cercato di spiegare a voi donne questo concetto.
— Voi donne?
Avvampò di imbarazzo. — Mia madre, tua madre. Ho cercato di spiegare che dovevo fare quello che Vinsas mi aveva chiesto anche se era pazzo, perché è così che si fa nella guarnigione; obbediamo agli ordini e non ci domandiamo se un ufficiale è pazzo o meno.
— Sapevi che era pazzo?
— Durante il carnevale… uno dei guerrieri ha detto che durante il carnevale c’erano sempre sei donne con lui, dovunque andasse e bastava che lui ne guardasse una che tutte si gettavano ai suoi piedi. Ho sentito… che una volta ha persino costretto un ragazzo.
— Chernon! Ma è proibito — Stavia si morse un labbro; persino durante i tempi prima delle Convulsioni era noto che la cosiddetta “sindrome gay” era causata da uno scompenso ormonale durante la gravidanza. Le dottoresse ora identificavano quella condizione come “un maladattamento riproduttivo ormonale” e lo correggevano prima della nascita; c’erano molto pochi invertiti, sia uomini che donne nel Paese delle Donne, sebbene ci fossero di tanto in tanto dei casi di persone asessuate o bisessuali che avrebbero, così dicevano le istruttrici, potuto accoppiarsi con una persona del loro sesso. Se il guerriero aveva “costretto un ragazzo” lo aveva quasi sicuramente fatto per vizio o per dominarlo piuttosto che per libidine; le necessità sessuali erano considerate normali e utili quali componenti dell’esistenza; il vizio no. Lo stupro non veniva tollerato nel Paese delle Donne. — Avrebbe dovuto essere giustiziato per quello — disse lei con serietà. — Non riesco a capire perché non lo hanno fatto.
— Nessuno poteva provare nulla — rispose Chemon a disagio. — In ogni caso era solo una voce.
— Non potevano controllarlo?
— Gli ufficiali vuoi dire? Vinsas era agli ordini di Michael e io credo che Michael avrebbe potuto far qualcosa se avesse voluto. Ma quando mia madre è andata da Michael lo ha irritato, e così non ha voluto far nulla. Vinsas era pazzo, veramente. La maggior parte degli altri lo evitava. Poi è morto. Penso che qualcuno lo abbia ucciso.
— Assassinato?
— Ucciso. Penso che sia avvenuto durante una campagna che la sua centuria ha condotto contro i banditi. A volte abbiamo sospettato che non fossero stati i banditi a ucciderlo. Tutti sono stati contenti che sia morto.
Stavia si morse il labbro mentre raccoglieva il cesto per portarlo al piano di sotto. Anche se Chernon si era comportato in maniera irragionevolmente acida verso la sua famiglia, lei lo scusava per causa di quello che aveva passato. Il pensiero le fece bruciare gli occhi. Scosse il capo furiosamente, portando l’ultimo indumento bagnato al viso per asciugare le lacrime. — Hai pensato di ritornare a casa?
— Vuoi dire come adesso, per il carnevale?
— Voglio dire per sempre. Attraverso la porta… — colse sul suo viso uno sguardo improvvisamente lontano e leggermente irritato.
— Non dirlo, Stavia. Naturalmente ci ho pensato ma non voglio parlarne. Non è una cosa di cui parliamo.
Questa sua ritrosia la sorprese e la spaventò. Non aveva rifiutato di parlare di nessun altro argomento. — Giusto. Parliamo di qualcos’altro. Conosci Barten?
Il ragazzo si rilassò, nuovamente sul terreno sicuro. — Oh, tutti conoscono Barten. Dici che la tua lingua ti mette nei guai, be’ Barten ha una lingua lunga il doppio della tua. Passa tutto il tempo a vantarsi. Saremo tutti contenti quando avrà venticinque anni e potrà combattere veramente invece di limitarsi a parlare di quanto diventerà famoso. Forse qualcuno gli taglierà la lingua e così saremo tutti contenti.
— Non ti piace molto, vero? — Appese un’altra molletta in un angolo del panno osservandolo sventolare al vento.
— Barten piace a se stesso abbastanza per tutti noi. Soprattutto a causa di suo padre.
— Chi è?
— Michael. Sono sempre insieme. Non lo sai?
Stavia scosse il capo senza credere alle sue orecchie. Così, in definitiva Barten poteva essere suo fratellastro. Myra era la sua sorellastra? No. No, se fosse stato così, Morgot avrebbe detto qualcosa. Non che una relazione con un fratellastro fosse considerata una cosa cattiva. Dipendeva dalle circostanze. Si sedette sul terrazzo guardando oltre il cortile, verso il mare.
— Cosa stai pensando? — le chiese il ragazzo.
— Genetica.
— Cosa?
— La scienza di come le persone passano le loro caratteristiche alla propria prole.
Ci fu un lungo silenzio. Lui si sedette sul terrazzo vicino a lei, con la testa girata. Se avesse potuto vedere il suo volto, Stavia avrebbe potuto accorgersi che il ragazzo era pensoso, come colto da un pensiero improvviso.
— Cosa c’è? — domandò lei.
— Mi fai sentire… ignorante — rispose con una voce ferita. — Io non le so queste cose.
Stavia gli rivolse uno sguardo sorpreso. — C’è in tutti i libri; la guarnigione ha una biblioteca.
— Romanzi, Stavia. Racconti di battaglia, saghe. Dipinti di armature. Igiene. Mantenimento delle proprietà della guarnigione. Lo sai! Niente delle cose della vita; niente di medicina, ingegneria o amministrazione.
— Sono studi riservati alle donne.
— Lo so che lo sono. Ho solo detto che mi fai sentire ignorante; questo è tutto — sembrava ancora ferito. — Non è una bella sensazione.
— Posso prestarti dei libri quando vieni a casa. Potrei anche dartene alcuni vecchi da portare con te alla guarnigione, se vuoi. — Aveva fatto l’offerta prima di pensarci e una parte di lei si rivoltò, furiosa, per quello che aveva detto. Dare dei libri del Paese delle Donne ai guerrieri era strettamente proibito.
— Non potrei farlo — le sue labbra avevano parlato ma gli occhi la guardavano di sottecchi, valutando la sua offerta. — Mi procurerebbero delle punizioni.
Lei quasi sospirò di sollievo. — Non ti permettono di leggere?
— Non cose del genere. Non argomenti femminili.
— Ah — lei cercò un compromesso. — Beneda ha dei libri che puoi leggere quando torni a casa.
— Non ha il genere di cose che vorrei sapere — disse lui con tristezza calcolata, lo sguardo si spostava da lei verso qualcosa di distante, un atteggiamento che aveva sempre commosso Sylvia costringendola a implorarlo di dirgli che cosa c’era che non andava, a chiedergli cosa avrebbe potuto fare per aiutarlo.
Produsse un effetto simile anche su Stavia. La ragazzina si scoprì a domandarsi cosa avrebbe potuto fare. Dopo tutto, non c’era nessun comandamento che le impedisse di leggere per lui, o di parlargli di qualcosa che aveva letto. Che differenza c’era? Questo non faceva altro che dimostrare quanto fossero stupidi alcuni comandamenti. — Non avevo mai pensato che un guerriero potesse volere dei libri, ma, se sei interessato…
Lui si volse verso la ragazzina, avvampando, con un’espressione avida quanto lo sarebbe stata quella di Jerby se gli avessero promesso le caramelle. E la sua riluttanza le sembrò arbitraria e ingiusta. E tuttavia… era contro i comandamenti.
Stavia cercò deliberatamente di sdrammatizzare. — In cambio devi farmi un favore…
— Chiedi.
— Dimmi come i guerrieri chiamano il monumento che c’è in fondo al campo delle parate.
— La statua di Odisseo?
— No. Quella più alta.
Lui divenne rosso. — Lo chiamo la postazione di osservazione.
Lei scosse il capo esasperata. — È stupido. Non ci si può stare sopra.
Nuovamente il ragazzo arrossì.
— Andiamo Chernon, come la chiamate?
— È l’erezione del campo delle parate — bofonchiò lui.
Stavia ci impiegò un po’ a comprendere. — Capisco. Cosa è veramente?
— Quello che sembra — borbottò lui nuovamente. — I veri guerrieri vi prestano giuramento d’onore. È un simbolo della virilità.
— L’adorazione del pene?
— È una cosa simbolica — rispose lui risentito.
— Sì — assentì Stavia stupita. — Certamente lo è.
E venne il momento del carnevale. Habby, Byram e Jerby vennero tutti a casa. Joshua e Morgot prepararono il pranzo facendo regali a tutti. Popcorn dal forno, torte per la vacanza, tutta la famiglia uscì assieme per vedere i maghi e i fuochi artificiali. Tutti salvo Myra. Lei usciva ogni mattina con le guance rosse e un sorriso stupido, aveva cambiato i pantaloni che portava di solito con vesti più corte e colorate — per le quali Habby e Byram usavano un nome più corto e volgare — andando due volte al giorno alla casa degli appuntamenti a bere vino e birra e a ballare con Barten nelle taverne del carnevale per tutta la notte.
Non c’era tempo per sentire la sua mancanza o per preoccuparsi di lei con tutti quei maghi e saltimbanchi itineranti, i razzi che salivano urlando nel cielo notturno, gli acrobati e la città piena del suono della musica dei tamburi e dei cori. C’erano dei concorsi di canto tra guerrieri e donne ma erano quasi sempre i guerrieri a vincere. I guerrieri avevano molto tempo per far pratica, quando non erano occupati a combattere o a esercitarsi alla pratica delle armi o nelle loro interminabili gare sportive. Cantavano soprattutto di epiche battaglie, sebbene si esibissero anche in alcune divertenti canzoni popolari o d’amore che tutti conoscevano: “Va’ via, Oh, va’ via guerriero” e “La centuria perduta” e “Cosa porta il guerriero sotto il kilt” e “Ho perduto il mio amore al carnevale”, una canzone veramente lagnosa. Le donne non avevano molto tempo per esercitarsi ma cantavano anche loro e la città risuonava delle loro voci.
Dopo cinque o sei giorni, Stavia ebbe l’impressione che Myra fosse stanca.
— Solo perché ho sbadigliato — la rimbrottò la sorella — non vuol dire che sia stanca.
— Puoi saltare un giorno, se vuoi — disse Morgot.
— Non voglio.
— Bene, forse potresti bere un po’ meno stasera e magari dormire un poco.
— Barten non vuol bere da solo.
— Non vuol stare da solo, Myra — sbadigliò Habby, scimmiottando la smorfia di sua sorella. — Troverà qualcun’altra.
— Habby — Myra rossa in viso era veramente arrabbiata. O comunque ferita.
— Habby — osservò Morgot — terrei i miei suggerimenti per me se fossi in te.
L’ottavo giorno, Myra non uscì del tutto. Dalla sua camera venivano improvvisi singhiozzi e lamenti.
— Hanno litigato — spiegò Morgot.
— Hanno litigato — disse Stavia — Chernon me lo ha detto; tutti i guerrieri hanno deciso di litigare con le loro ragazze dopo sei o sette giorni. Così possono cercarsi delle altre ragazze.
— Un proposito fondamentalmente autodistruttivo — sospirò Morgot — visto che anche le altre stanno piangendo.
Sembrava esserci un certa logica in quel ragionamento. Un messaggero portò le scuse di Barten che chiedeva a Myra di tornare da lui.
Lei andò, raggiante.
— Oh, merda — disse Stavia — non ha veramente nessun giudizio.
— No — sbadigliò Morgot — nessuna di loro ne ha. Neanche io ne avevo alla sua età.
— Rifiuto di avere la sua età.
— Ti auguro buona fortuna.
E infine anche il carnevale terminò. Chernon tornò alla guarnigione. Altrettanto fecero Habby, Byram e Jerby, i primi due con rassegnazione, il terzo in lacrime. Era facile capire quale fosse il loro stato d’animo, ma Chernon? Chi poteva sapere quali erano i sentimenti di Chernon?
— Gli piaci, vero? — esclamò Beneda con gli occhi sfavillanti. — Quando sarete grandi forse diventerete amanti.
— Beneda! — protestò Stavia.
— Forse sì. E forse potresti avere un bambino da Chernon e allora saremo veramente sorelle.
— Beneda! Non voglio neanche parlarne. — Il suo viso avvampò. Non riusciva neppure a parlare di una cosa del genere. Si avvicinava troppo ai suoi desideri segreti ed era una sensazione della quale non aveva controllo o comprensione.
Il grande portale centrale dal quale i guerrieri erano andati e venuti nelle ultime due settimane fu chiuso sulla piazza ancora una volta. Soprapensiero le donne cominciarono a ripulire le strade. Le taverne adibite al carnevale furono chiuse, i barili furono asciugati fino alla successiva occasione. Nelle case d’appuntamento, sui mobili, furono deposti dei teli, gli impianti igienici ripuliti e le porte furono nuovamente richiuse.
In città quasi regnava il silenzio, un silenzio da funerale; le porte venivano chiuse silenziosamente. Le voci mormoravano. Perfino la Fontana della Dolce Fine sembrava aver cessato la sua musica, e le canzoni degli uccelli suonavano come domande confuse piuttosto che affermazioni di vitalità. Sembrava un periodo di dolore. — Il distacco — disse Morgot citando un poeta del Paese delle Donne. — Il silenzio della separazione, un recipiente di silenzio per raccogliere il dolore, per coloro che si sono detti arrivederci, addio. Il momento per recuperare quelle cose non tanto perdute quanto dimenticate.
— Penso che siano tutti stanchi — disse Stavia pragmatica. Lei comunque sapeva di essere stanca. Stare senza Chernon le pareva impensabile ma stare con lui a volte la faceva sentire irritabile in modi che le sembravano strani. — Solo stanchi — preoccupata dei propri confusi sentimenti, non vide lo sguardo di apprensione che Morgot le aveva rivolto.
La settimana dopo Stavia tornò allo studio.
Non prima di aver mandato un libro a Chernon, tuttavia. A dispetto di quanto pensava essere giusto o del comune buonsenso, l’osservatrice Stavia implorava l’attrice Stavia di essere ragionevole. L’attrice Stavia lo fece comunque, asserendo che i comandamenti erano stupidi, arbitrari e che Chernon era diverso dagli altri.
— Me ne porterai degli altri, vero? — la implorò Chernon attraverso il buco nel muro mentre le loro dita si sfioravano, tremando come piccoli animali che si adorano a vicenda. — Ti prego, Stavia. Attraverso il buco nel muro. Tutto. Tutto quello che posso leggere.
— Sarai scoperto — disse lei, sperando che lui non esagerasse. Sarebbero stati problemi per entrambi… forse. Eppure ciò li avrebbe legati ancora di più, forse…
— Non voglio farmi scoprire. Verrò qui durante le ore libere e starò qui a leggere poi lascerò i libri proprio qui, nascosti sotto l’albero. Oh, so che lo farai. Per favore, Stavvy.
— Va bene, Chernon — gli promise sciogliendosi allo sguardo liquido che lui le riservò, una sensazione che giudicò essere la famosa “infatuazione”. Non sapeva quale altro nome dargli. Prestargli qualche libro le sembrava un sacrificio così piccolo per evitare che assumesse quello sguardo triste e ferito. Non poteva sopportare di vederlo così.
Diversi giorni dopo il carnevale, Myra andò al centro medico, portando Stavia per farle compagnia. Dopo un’ora, Myra uscì con un’aria furiosa e scombussolata e se ne andarono assieme.
— Ti sei presa qualche malattia? — chiese Stavia.
— No, non ho preso niente. Sto bene.
— E allora qual è il problema?
— È che… sono così rozzi. La dottoressa fa sempre le stesse domande. Quando ho avuto l’ultimo ciclo? Lo sa bene. È stato proprio prima di carnevale e mi ha anche sottoposto a un esame. Stai prendendo i miei supplementi alimentari? Hai dei problemi sessuali?
— Non mi sembrano domande così rozze.
— C’è qualcos’altro. Mi ha fatto distendere sopra il tavolo e mi ha aperto come un pesce inserendo un affare di metallo, pungendomi con siringhe e roba del genere, poi l’hanno chiamata per un’emergenza e mi ha lasciato là sul tavolo.
— Capitano delle emergenze, Myra. Davvero.
— Be’, sarebbe potuto venire qualcuno a liberarmi. Sono stata là distesa sulla schiena per più di mezz’ora.
— Pensa che tu sia incinta?
— Dice che potrà dirmelo tra circa sei settimane.
— Vuoi affrontare la gravidanza?
— Sicuro. Voglio dire, bisogna cominciare prima o poi, giusto?
— Ma vuoi veramente un bambino? Da Barten?
— Sarebbe il bambino più bello di tutti, Stavvy. Ho sempre odiato questi miei capelli. E le lentiggini. Odio le lentiggini. Il figlio di Barten avrebbe capelli scuri, occhi blu e la pelle bianca come lana appena filata.
— Di questo non puoi essere certa, Myra.
— Be’ c’è una buona possibilità.
— Stavo solo dicendo di non esserne sicura. Il bambino potrebbe avere capelli rossi e lentiggini come te e non sarebbe bello che tu facessi capire che non ti va.
— Oh, per carità, Stavia, non sei l’unica nella nostra famiglia ad aver frequentato i corsi sull’allevamento dei figli. Per la Signora, a volte sembri Morgot. Hai solo undici anni e ti comporti come lei.
Stavia fu colpita da quella brusca conclusione del discorso, lasciò che Myra andasse avanti da sola. Era vero. A volte parlava come Morgot. La colpì perché non aveva mai pensato a se stessa come simile a Morgot. Una versione più piccola. Le pareva brutto che Myra le avesse ricordato che aveva solo undici anni. Era vero, ma questo non significava nulla, salvo che in senso fisiologico. Non aveva seno. E ancora non aveva il ciclo mestruale. Probabilmente entrambe le cose sarebbero venute presto. Quando giaceva a letto di notte, toccandosi per darsi piacere pensava a Chernon, desiderando che gli anni passassero fino a… Divenne rossa, rendendosi conto del calore che aveva invaso il suo corpo. Questo significava che dal punto di vista sessuale era normale. E che ormai aveva la mente di una donna.
Dentro di lei i pensieri fluivano liberamente. Se era vero che Morgot e Stavia erano molto simili, allora Morgot avrebbe capito perché Stavia dava dei libri a Chernon, lo avrebbe capito e approvato…
Il pensiero le sfuggì come l’acqua di un’irrigazione sfugge da un buco nel canale, tutte le sue giustificazioni consolatorie e razionali se ne andarono lasciando dietro di sé solo una triste certezza. Lei, Stavia, poteva anche essere come Morgot o una sua gemella, simile come potevano esserlo madre e figlia, ma Morgot non avrebbe approvato che desse dei libri a Chernon. Morgot avrebbe citato i comandamenti. Morgot avrebbe detto: “Se vuole dei libri, lascia che torni al Paese delle Donne e potrà avere tutti i libri che vuole…”.
Era vero. Joshua aveva dei libri. Molti. E anche il piccolo Minsining e ogni altro servitore che li desiderasse.
Ma non i guerrieri. Un uomo che sceglie di essere un guerriero sceglie di combattere per la guarnigione e la sua città. Un guerriero ha bisogno di tutta la sua concentrazione. Avere altri irrilevanti pensieri in testa poteva rivelarsi rischioso. Oltre a ciò poteva essere pericoloso per un guerriero sapere troppo su certe cose. La metallurgia, per esempio. Un guerriero poteva ottenere uno spiacevole vantaggio se imparava cose che gli altri ignoravano. Al di là della lealtà alla sua guarnigione, un guerriero avrebbe potuto realizzare degli oggetti che potevano riportarlo ai tempi precedenti alle Convulsioni. Solo degli scontri ad armi pari tra guerrieri di eguali mezzi potevano decidere le questioni senza mettere gli altri in pericolo, senza creare la minaccia di una nuova devastazione…
Poteva quasi sentire le parole di Morgot. Ma poteva sentire anche quelle di Chernon: “Ti prego, Stavia. Li desidero così tanto. Ci sono cose che devo sapere…”.
Quando la implorava in quel modo, Stavia si scioglieva. Dopo tutto non era migliore di Myra che diventava una pappetta quando uno stupido uomo la implorava: “Ti prego, Stavia”. I suoi occhi erano chiari come quelli di Jerby, quasi da bambino. I capelli avevano il soffice colore dell’oro, come quelli di Beneda. Assomigliava molto a Beneda, con quell’amabile faccia ossuta, tutta piani e angoli.
No. Non avrebbe potuto dir nulla a Morgot. E, in quanto a Chernon, avrebbe dovuto dirgli con fermezza che avrebbe potuto avere tutti i libri che voleva se fosse tornato a casa.
Solo che lui non le avrebbe lasciato affermare una cosa del genere. Chernon aveva chiesto i libri adesso, non in un futuro domani.
Picchiò il piede irritata, mordendosi la guancia su un lato fino a farsi male. Non poteva smettere di dare libri a Chernon. Non adesso; ma non era una cosa veramente sbagliata, non ancora. Non era ancora un guerriero. Non lo sarebbe stato fino a quando non avesse compiuto quindici anni…
— Merda — mormorò rivolta alle pietre sotto i suoi piedi. — Oh, merda.