123096.fb2 Gli ondifagi - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 2

Gli ondifagi - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 2

Il bar di fronte alla sede della stazione radio era affollato, ma su tutti i presenti gravava uno strano silenzio. Il bar, rispettoso ovviamente del fatto che la maggior parte dei clienti erano impiegati della radio, non aveva un televisore, ma ostentava un massiccio apparecchio radio in un angolo, quasi ad altezza d’uomo, e quasi tutta la gente vi si pigiava intorno.

— Dit, — diceva la radio. — Dit-dah-d’dah-dii-dahditdah-dit…

— Non è stupendo? — sussurrò George e Maisie.

Qualcuno stava cincischiando con la manopola della sintonia. Un altro chiese: — Che frequenza è? — E un terzo rispose: — Quella della polizia. — Un quarto disse: — Prova una frequenza estera. — Quello che cincischiava con la manopola lo fece: — Questa dovrebbe essere Buenos Aires, — annunciò. — Dit-d’dah-dit… — disse la radio.

Qualcuno si passò le mani tra i capelli e intimò: — Spegni quel dannato coso.

Qualcun altro lo riaccese.

George sogghignò e guidò Maisie in un separé sul retro dove aveva visto Pete Mulvaney seduto tutto solo con una bottiglia davanti a sé. George e Maisie gli si sedettero di fronte.

— Ciao, — disse George con voce grave.

— Al diavolo, — ribatté Pete, che era capo della stazione tecnica addetta alle ricerche del MID.

— Una splendida notte, Mulvaney, — riprese George. — Hai visto come la luna cavalcava le nuvole sfilacciate, un galeone dorato sbattuto qua e là sui cavalloni dalle argentee creste in un tempestoso…

— Chiudi il becco, — latrò Pete. — Sto pensando.

— Due whisky doppi, — ordinò George rivolto al cameriere. Poi tornò a girarsi verso l’amico sul lato opposto del tavolo. — Pensa a voce alta, così possiamo sentire anche noi. Ma prima dimmi come sei riuscito a scappare da quella gabbia di matti dall’altra parte della strada…

— Mi hanno mandato a spasso, dimesso, licenziato.

— Stringiamoci la mano. E poi spiegami: gli hai detto dit-dit-dit?

Pete lo fissò con improvvisa ammirazione. — Tu si?

— Ho una testimone. Ma tu, cos’hai fatto?

— Gli ho detto cosa pensavo che fosse… e mi hanno preso per matto.

— Lo sei?

— Sì.

— Bene, — annuì George. — Allora vorremmo sapere… — Fece schioccare le dita. — E la TV?

— Stessa cosa. Lo stesso suono nell’audio e le immagini guizzano e si estinguono ad ogni punto o linea. Ormai è soltanto una macchia confusa.

— Magnifico. E adesso dimmi cosa c’è che non funziona. Non m’importa cosa sia, basta che non sia banale… Ma voglio saperlo.

— Credo sia lo spazio. Lo spazio si è distorto.

— Buon vecchio spazio, — disse George Bailey.

— George, — lo sollecitò Maisie, — per favore, taci. Voglio ascoltare Pete.

— Lo spazio, — proseguì Pete, — è qualcosa di finito. — Si versò un altro bicchiere. — Ti allontani di parecchio in qualunque direzione e ti ritrovi dove sei partito. Come una formica che si arrampica intorno a una mela.

— Facciamo un’arancia, — disse George.

— D’accordo, un’arancia. Supponi adesso che la prima onda radio mai trasmessa dalla Terra abbia compiuto tutto il periplo. In cinquantasei anni.

— Cinquantasei anni? Pensavo che le onde radio viaggiassero alla stessa velocità della luce. Se questo è esatto, allora in cinquantasei anni potevano percorrere soltanto cinquantasei anni-luce, e questo non può costituire il giro completo intorno all’universo poiché ci sono galassie che si trovano, com’è noto, a milioni o forse miliardi di anni-luce di distanza. Non ricordo bene i numeri, Pete, ma la nostra galassia, da sola, supera di parecchio i cinquantasei anni-luce.

Pete Mulvaney sospirò. — È per questo che dico che lo spazio dev’essersi distorto. Da qualche parte dev’essersi aperta una scorciatoia.

— Una scorciatoia così corta? Non può essere.

— Ma George, hai ascoltato quella roba che sta arrivando? Sai leggere il codice?

— Non più. Non così in fretta, ad ogni modo.

— Be’, io so farlo, — disse Pete. — È il gergo dei primi radioamatori americani. È il genere di roba di cui era pieno l’etere prima delle trasmissioni regolari. Sì, è il gergo, le abbreviazioni, le chiacchiere da cortile e da caserma dei radioamatori armati di tasto, d’un rivelatore Marconi o d’un dispositivo Fessenden… e tra poco potrai ascoltare un assolo di violino. E già posso dirti adesso cosa sarà.

— Cosa?

— Il Largo di Haendel. Il primo disco fonografico che sia mai stato trasmesso via radio. Con un Fessenden, da Brant Rock nel 1906. Sentirai questo CQ-CQ da un momento all’altro. Ci scommetto da bere.

— D’accordo. Ma cos’era questo dit-dit all’inizio di tutto?

Mulvaney sogghignò. — Marconi, George. Qual è stato il più potente segnale mai trasmesso, e da chi e quando?

— Quello di Marconi? Dit-dit-dit? Cinquantasei anni fa?

— Sei il primo della classe. Il primo segnale transatlantico, il 12 dicembre 1901. Per tre ore quella grossa stazione di Marconi, a Poldhu, con antenne alte sessanta e più metri, trasmise a intermittenza una S, mentre Marconi e due assistenti a St. Johns in Terranova facevano volare un’antenna a centoventi metri di quota con un aquilone riuscendo alla fine a captare il segnale. Attraverso l’Atlantico, George, con le scintille che sprizzavano dalle grosse bottiglie di Leida a Poldhu e 20.000 volt che sparavano via come calci gli impulsi da quelle tremende antenne…

— Aspetta un attimo Pete, sei sfasato. Se quello è accaduto nel 1901 e la prima trasmissione è stata nel 1906, ci vorranno cinque anni prima che quella roba del Fessenden arrivi fin qui seguendo la stessa strada. Sempre che ci sia davvero quella scorciatoia di cinquantasei anni-luce attraverso lo spazio e sempre che quei segnali non si siano tanto indeboliti durante il viaggio da diventare inaudibili per noi… È pazzesco.

— Te l’avevo già detto che lo era, — replicò Pete, tetro. — Diamine, dopo aver viaggiato tanto quei segnali dovrebbero essere talmente infinitesimi a tutti i fini pratici da non esistere. Inoltre occupano tutte le bande dalle microonde in giù e sono ugualmente intensi su tutte le frequenze. E come tu hai fatto notare, abbiamo superato cinque anni in due ore, il che non è possibile. Te l’ho detto che è pazzesco.

— Ma…

— Sssshh. Ascoltate, — l’interruppe Pete.

Una voce umana, confusa ma inequivocabile, stava uscendo dalla radio, mescolandosi coi segnali scanditi in codice. E poi una musica, sottile e stridula, ma senz’ombra di dubbio un violino. Che suonava il Largo di Haendel.

Solo che tutt’a un tratto la musica prese a scivolar via verso frequenze sempre più alte e insopportabili… e continuò fino a oltrepassare il limite superiore di udibilità e nessuno riuscì più a sentirla.

Qualcuno esclamò: — Spegnete quel maledetto affare! — Qualcun altro lo fece e questa volta nessuno riaccese.

Pete riprese: — Anch’io stentavo a crederci. E c’è un’altra cosa a sfavore, George. I segnali influenzano anche la TV, ma quelle prime onde radio sono della frequenza sbagliata per poterlo fare.

Scosse lentamente la testa. — Dev’esserci qualche altra spiegazione, George. Ora, più che ci penso, più sono convinto di sbagliarmi.

Aveva ragione. Sì, aveva torto.