123552.fb2 I condannati di Messina - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 15

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XV

La porta dell’edificio che conteneva Ramo era chiusa. E non aveva una serratura a codice fonico, ma una di vecchio tipo meccanico, di quelle fornite di una serie di pulsanti da premersi secondo la combinazione giusta.

Lou non conosceva la combinazione. E scommetto che Marcus ha installato un sistema d’allarme nella palazzina. Prima ancora che riesca a sedermi, al quadro, avrò addosso una banda di guardie.

Rimase lì davanti, senza sapere che cosa fare. È inutile farti sparare addosso, se poi non riesci a fare il lavoro che ti proponevi, si disse. Poi sorrise. D’altra parte, con un po’ di astuzia e di rapidità, c’è il modo per fare il lavoro, senza ammazzare nessuno.

Sorridendo alla nuova idea, Lou tornò nel suo alloggio, si svestì in fretta e andò a letto. Mise la sveglia sulle sei e chiuse gli occhi. Nel giro di cinque minuti era profondamente addormentato.

Dormì in tutto nemmeno tre ore, ma quando si ritrovò al recinto di George, si sentiva sveglio e in piena forma.

— Ti ho portato un po’ di frutta della colazione — disse al gorilla. — Prendila!

Gettò al di là della rete una banana e due arance. George arretrò con gesto goffo arrivando in tempo ad afferrare la banana con la mano enorme. Le arance caddero a terra.

Si chinò per raccoglierle, poi si cacciò in bocca i tre frutti in una volta sola.

— Grazie, zio Lou — disse, con la bocca piena di succo. Lou rise. — Ciao, Georgy.

Con la coda dell’occhio, vide una guardia che andava da un edificio all’altro, fermandosi a ogni porta per formare la combinazione della serratura. Chiacchierò ancora per un minuto o due con il gorilla, poi, quando fu sicuro che la guardia era fuori tiro, si diresse a passo svelto verso l’elaboratore.

I tecnici a quell’ora stavano ancora alzandosi, pensò, dando un’occhiata all’orologio del quadro di controllo. Infilandosi nella sedia, cominciò senza perdere un minuto a trasmettere le istruzioni a Ramo.

Soltanto a metà mattina ebbe la conferma che il suo sistema aveva funzionato. Nonostante l’aria condizionata quasi polare che regnava nel locale dell’elaboratore, Lou era tutto sudato quando si sedette al quadro di controllo. Si sforzava di fare il suo lavoro ma procedeva con estrema lentezza. Era chiaro che aveva la testa altrove.

Il telefono ronzò. Lou si aspettava la chiamata, ma trasalì ugualmente. Premette il tasto RISPOSTA. La tonda faccia orientale del capo dei biochimici comparve sullo schermo. Sembrava a disagio.

— Stamane, siamo nei guai — disse, senza altri preamboli.

— Davvero? — disse Lou, con aria innocente.

Accigliato, il biochimico disse: — Sì, stavamo controllando, come di consueto, il lavoro di ieri, e abbiamo scoperto che dalla memoria del calcolatore mancano i dati registrati ieri.

— Mancano? — Lou scosse la testa. — È impossibile. Probabilmente cercavate nel punto sbagliato.

Discussero per quasi mezz’ora. I risultati dell’esplorazione spinale del gorilla, la mappa corticale e anche certe formule chimiche che erano state immesse nell’elaboratore settimane prima, erano scomparsi completamente dalla memoria di Ramo.

Lou si sforzò di apparire molto preoccupato. — Farò una revisione completa per ritrovare i dati mancanti — disse, — ma ho l’impressione che uno dei vostri tecnici abbia commesso qualche errore. Vedete, manovrare l’elaboratore non è semplice come battere a macchina. Se aveste affidato a me i dati da registrare… O per lo meno dovreste disporre di un programmatore esperto o di un tecnico capace di svolgere questo lavoro.

— Ma sono tutti tecnici diplomati! — scattò il biochimico.

Lou si strinse nelle spalle. — Evidentemente hanno una preparazione insufficiente. Va bene, cercherò io i vostri dati. Però sono pronto a scommettere che non sono stati immessi a dovere e, di conseguenza, non si trovano nella memoria dell’elaboratore.

Il biochimico era furibondo. — Due mesi di lavoro buttati via! — esclamò in cinese.

Ci volle una settimana per capire che cosa stava succedendo. Lou, di giorno si dedicava al proprio lavoro; poi, alla fine della giornata, rivedeva con Ramo il lavoro dei biochimici. Nel giro di pochi minuti cancellava una parte del loro materiale dalla memoria di Ramo. Lou non eliminava mai troppo materiale alla volta, si limitava al minimo sufficiente per far andare a rilento il lavoro.

I biochimici adesso erano disperati. Il loro capo si aggirava gridando, rosso come un gambero. I tecnici dell’elaboratore che lavoravano per lui avevano un’aria sgomenta. Ogni fine settimana, Lou passava buona parte del tempo coi tecnici, cercando di scoprire perché non riuscivano a svolgere bene il loro lavoro.

Lou non disse a nessuno che cosa stava facendo. Ma Bonnie e Kori capirono lo stesso. Un sabato mentre cenavano tutt’e tre insieme nella tavola calda gremita, Lou disse a Kori:

— Devi trovare un sistema per lasciare l’isola. È una questione di tempo; prima o poi i biochimici scopriranno che cosa non va nei programmi dell’elaboratore, e allora…

— Lo so — disse Kori, chinandosi sulla tavola e parlando pianissimo. — Ho cercato di fare il punto, per stabilire per lo meno dove ci troviamo esattamente. Però, come ufficiale di rotta valgo poco. E il sestante che ho costruito non è molto preciso.

— Ma come facciamo ad abbandonare l’isola? — chiese Bonnie.

Kori scrollò le spalle. — Se costruissimo una zattera…

— O un tappeto volante — disse Lou, acido.

In questo modo, la discussione finì.

Il giorno dopo, quando due guardie armate entrarono nella sala dell’elaboratore, Lou non fu del tutto sorpreso. Era passata precisamente una settimana da quando aveva cominciato a mettere le mani nella memoria di Ramo.

— Che c’è? — chiese Lou, teso.

La guardia parlando con cantilena malese disse: — Il signor Marcus desidera vedervi.

— In questo momento sono occupato. Ditegli…

— Immediatamente — disse la guardia, spostando il pollice sulla fondina che gli penzolava sull’anca.

Lou annuì. — Va bene, ma aspettate che…

— Non toccate i comandi dell’elaboratore — disse la guardia, piano, addirittura cortesemente. Però le dita si chiusero sul calcio dell’arma.

Lou si accorse che gli tremavano le mani, e le tenne ben lontane dai comandi dell’elaboratore: — Va bene, però l’elaboratore è in funzione.

— Se ne occuperanno altri tecnici. Voi seguitemi, prego.

Fuori c’era ad aspettarli la macchina di Marcus, con un’altra guardia al volante. Lou salì, e la prima guardia gli si sedette vicino. Pochi minuti dopo, Lou fu introdotto nello studio in casa di Marcus. Era un ambiente piccolo, pieno di libri, con un’unica finestra ampia che si affacciava sulla baia.

Marcus era seduto a un tavolo, davanti alla finestra. Nella stanza c’erano alcune sedie dallo schienale rigido e un sofà dall’aria comoda. Marcus, quando Lou entrò, stava parlando al videofono sul tavolo. Senza alzare gli occhi dall’apparecchio, fece segno a Lou di sedersi su una sedia, vicino al tavolo.

Se era in collera, non lo lasciava vedere. La faccia aveva la solita espressione calma, mentre diceva tranquillamente all’apparecchio: — Abbiamo scoperto la causa degli inconvenienti riscontrati e riteniamo di riportare in breve la situazione sotto controllo, entro i tempi stabiliti.

Lou non vedeva lo schermo, ma sentì la voce che rispondeva.

— Molto bene. Fate in modo che non ci siano ritardi. Il fattore tempo è estremamente importante.

— Capisco. Buongiorno.

— Buongiorno.

Marcus spense l’apparecchio e rimase a guardare per alcuni secondi lo schermo, poi si voltò verso Lou. — Mi sorprendete — disse.

— Io?

Marcus quasi sorrise. — Smettiamola di giocare, Christopher. Avete sabotato i programmi dell’elaboratore, rallentando il nostro progetto biochimico. Perché?

— Ma come potete affermare che sono stato io? — disse Lou, cercando di guadagnare tempo.

— È del tutto ovvio — disse Marcus, protendendosi leggermente in avanti. — Ascoltatemi bene, Christopher. Ormai non siete più negli Stati Mondiali. Vi trovate in un altro contesto, con leggi diverse. Non sono tenuto a darvi le prove che siete stato voi a danneggiare l’elaboratore. Sono convinto della cosa e resterò della mia idea. Vi ho fatto venire qui per scoprire perché state conducendo quest’azione di sabotaggio e per dirvi che cosa vi succederà se non smettete subito.

Lou sentiva crescere la rabbia. — Ah, è così? Qualcuno rovina il calcolatore e danno la colpa a me. E ora, che cosa mi succederà? Mi fucilerete, per caso?

— No, niente di così drammatico — rispose Marcus. Con voce che sembrava sinceramente commossa disse: — Vedete, ho l’impressione che vi preoccupiate più del vostro gorilla, che della vostra pelle.

— Già, mi sono innamorato del gorilla, adesso.

Scuotendo la testa come un padre paziente, Marcus disse: — E va bene, scherzate pure, se proprio volete. Ma ascoltate bene quello che vi dico, e cercate di non dimenticarlo. Noi abbatteremo il governo mondiale. Non ha importanza chi siamo noi. Ci sono, tra noi, molti personaggi importanti. La posta in gioco è altissima e non permetteremo che né voi né altri ci intralcino il cammino.

— Per questo fate fabbricare bombe a Kori?

— Naturalmente. Avete mai sentito che un governo si lasci rovesciare senza combattere? Su quest’isola, stiamo realizzando tre armi diverse: bombe nucleari, soppressori corticali e ingegneria genetica.

— Cioè, voi intendete annientare i vostri nemici, trasformare i superstiti in altrettanti idioti e, finalmente, quando sarete al potere, controllare i figli di tutti.

— Non è esatto al cento per cento, ma è molto vicino alla verità.

— Non mi sembra molto felice il mondo che state progettando.

— No? E che genere di mondo abbiamo adesso? Un governo che lascia che le metropoli cadano sempre più in basso, che permette che venga al mondo un numero sempre crescente di barbari che tra breve dilagheranno in tutte le zone civili del mondo. Tra quanto tempo, ditemi voi, vedremo dilagare per tutto il mondo l’orda dei topi? Topi a due gambe, che irromperanno da New York, da Rio, da Tokio, da Calcutta, da Roma… da tutte le metropoli del mondo!

— E la vostra soluzione è di bombardarli o di trasformarli in larve.

— Se vi saremo costretti, sì — disse Marcus, con lo stesso tono con cui avrebbe offerto da bere. — Per il momento le bombe devono servire contro le truppe del governo. Quando avremo vinto, disporremo di altri mezzi per trattare i barbari, compreso l’uso dei soppressori.

Lou scosse la testa.

— Vorrei riuscire a convincervi — esclamò Marcus. — Che cosa ha fatto, per voi, il governo? Vi ha mandato in esilio, voi e tutti i vostri amici. Quando saremo noi al potere, potrete ritornare a vivere una vita normale, utile.

— Utile a chi?

Marcus, con grande convinzione, disse: — Ascoltate la ragione, ve ne prego. Voi e gli altri scienziati sarete i personaggi più in vista, nella nuova società. I vostri figli riceveranno le migliori cure genetiche e gliele procurerete voi stessi.

— Fino a che qualcuno deciderà che non gli va quello che facciamo o quello che pensiamo — disse Lou. — Questo governo ci ha cacciati in esilio, ma i vostri amici potrebbero non essere altrettanto miti.

Marcus si abbandonò nella poltrona, come se si desse per vinto.

— Non ho tempo per discutere con voi. Andremo avanti e voi non potrete certo fermarci. Se non la smettete di intralciare il nostro progetto biochimico, avrete dei guai.

— No, non lo farò — scattò Lou. — Avevate bisogno di me per portare a buon fine l’ingegneria genetica, vi ricordate? Il punto è proprio qui. Cogliete pure di sorpresa il governo, abbattetelo, impadronitevi del mondo intero, ma senza l’ingegneria genetica voi non riuscirete mai a dominare il mondo. Adesso comincio a capire come funzionano le vostre teste, e adesso so perché l’ingegneria genetica è tanto importante per voi. Volete comandare a tutti, vero? Fare dei vostri figli dei superuomini, e trasformare gli altri in schiavi. È così?

Marcus scosse la testa. — Non è precisamente così. Voi ne fate…

— Una cosa losca. Infame e losca. Esattamente quello che è. Voi però ne avete bisogno e dunque avete bisogno di me. Io sono l’uomo chiave, me l’avete detto voi stesso.

— Ci sono altri…

— E allora perché mi avete sottratto all’esilio? Perché ci vuole almeno un anno per arrivare al punto a cui sono giunto io. Sono in grado di abbracciare l’intero problema dell’ingegneria genetica, e molte di queste nozioni le ho in testa, e non nella memoria del calcolatore o nei miei appunti. Perciò non cercate di minacciarmi, se non volete aspettare un anno o forse più, prima di poter dominare la futura generazione.

Marcus si appoggiò allo schienale con un’espressione più addolorata che irritata. Scuotendo stancamente la testa, disse: — Non vi rendete ancora conto, a quanto vedo, di chi avete di fronte. Ma perché credete che ci siamo dati tanto da fare per trovare quella vostra ragazza bionda e portarcela qui? Non è necessario che minacciamo voi. Ma se vi preoccupate tanto di quello che faremo al vostro prezioso gorilla, provate a immaginare che cosa potrebbe succedere alla ragazza. Cose indubbiamente molto spiacevoli per lei. Davvero molto spiacevoli.

Lou afferrò i braccioli della poltrona così forte da farsi male alle mani. Represse a stento l’impulso di scagliarsi contro Marcus e di ridurre in poltiglia quella faccia viscida e perversa.

— Controllatevi e fate quello che vi viene detto — continuò Marcus. — Se vi comporterete a dovere, andrà tutto bene per voi. Ma se continuerete a lavorare contro di me… ne andrà di mezzo la ragazza.

— Se le torcete un capello, vi ammazzo!

Lou fu quasi sorpreso delle sue stesse parole e nel sentire il timbro tanto freddo e tagliente della sua voce.

L’espressione di Marcus non cambiò. — Christopher, non è il caso di arrivare alle minacce. Fate il vostro lavoro e non succederà niente di male a nessuno. Non vi chiediamo altro. In quanto al gorilla, con ogni probabilità sarà più felice al suo livello naturale d’intelligenza che non adesso.

La scusa migliore del mondo, pensò Lou. Saranno più felici se faranno quello che io voglio che facciano anziché quello che vogliono loro.

Lou, senza aggiungere una parola, si alzò e si diresse verso la porta.

— Un momento — lo richiamò Marcus. — Non mi avete detto…

Lou si voltò. — Avete già avuto la risposta. Non ho la possibilità di oppormi.

Uscì dall’ufficio tremando di rabbia, passò davanti alla guardia ferma alla porta, lasciò la casa, ignorò la macchina che aspettava all’ingresso e tornò verso il suo alloggio.

Mentre passava vicino al laboratorio, Kori lo raggiunse, correndo.

— Lou, ti ho cercato dappertutto!

Lou non rispose.

— Ho trovato! — sussurrò Kori, tutto eccitato, affiancandosi a Lou. — Ho trovato il modo di richiamare qui le truppe governative. E presto! Nel giro di pochi giorni!

Lou scosse la testa. — Sarà troppo tardi.