123552.fb2 I condannati di Messina - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 17

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XVII

Lou corse verso il gorilla. Arrivò in tempo per vedere due biochimici che ne trasportavano un terzo fuori del cancello. Il Grande George era invisibile. Una mezza dozzina di guardie s’era già radunata attorno al cancello e altre arrivavano di corsa, con le armi in pugno.

— Che cosa è successo? — chiese Lou.

Nessuno gli badò. Un paio di guardie raccolse il biochimico svenuto. L’uomo aveva la faccia insanguinata e un braccio che penzolava in modo strano.

Lou afferrò uno dei biochimici per un braccio. — Che cosa succede? Che cosa avete fatto?

Il piccolo orientale guardò Lou con occhi pieni di paura e di collera. In un inglese nasale, con un forte accento cinese disse: — La scimmia si è spaventata per le iniezioni. L’anestetico non era sufficiente. Le funi non abbastanza strette. La scimmia si è sciolta, ha colpito il dottor Kusawa ed è fuggita tra gli alberi.

— Iniezioni, avete detto? — chiese Lou. — I soppressori?

Il biochimico accennò di sì, liberò il braccio dalla stretta di Lou e si allontanò dietro le guardie che stavano trasportando il suo capo.

Lou corse al cancello.

Una delle guardie scosse la testa, facendo segno a Lou di allontanarsi. — No. Pericolo. Via di qui.

— Fatemi entrare. Non mi farà niente. Si è spaventato e sta male.

Le guardie erano radunate attorno al cancello, ormai chiuso a chiave, la maggior parte era intenta a scrutare in mezzo all’intrico di alberi e arbusti. Il Grande George era sempre invisibile. Le altre guardie tenevano d’occhio Lou.

— Pericolo — disse la prima guardia a Lou. — Via di qui.

Lentamente, di malavoglia, Lou si allontanò.

Quella sera, a cena, Kori scosse la testa. — Questo cambia tutto. Bonnie non può rimanere con lui.

— Certo che posso — disse Bonnie. — George a quest’ora si sarà ripreso e le guardie non si sogneranno mai di andare a frugare nel recinto. È il nascondiglio ideale in questo momento.

— No — disse Lou. — Non sappiamo che effetto abbiano avuto le iniezioni su George. È troppo rischioso.

Erano seduti al tavolino della tavola calda, protesi in avanti, indifferenti alla cena che diventava fredda e al locale affollato e rumoroso. Molti occhi li stavano sorvegliando.

Bonnie insisteva nel dire che George stava bene. — Andiamo al recinto a parlargli. Almeno ne saremo sicuri — propose.

Lou annuì. Kori sembrava preoccupato.

Si diressero verso il recinto del gorilla, tenendosi lontani dal cancello, dove c’erano le guardie. Risalirono la collina finché arrivarono all’altezza di una macchia di alberi, all’interno del recinto.

— Georgy — chiamò piano Lou. — Georgy, sono io, zio Lou.

Si sentì sbuffare, e un paio di occhi carichi d’angoscia brillarono nel buio. Lou, suo malgrado, rabbrividì. Erano gli occhi di una belva selvaggia.

Si sforzò di parlare con calma. — Georgy, va tutto bene. Sono io, zio Lou. E c’è anche Bonnie. E un altro amico.

Un brontolio.

Lou si voltò verso Kori. — Forse è meglio che tu ti allontani, Anton. George in questo momento ha molta paura di tutti quelli che non conosce.

— Ma non sembra spaventato.

— Invece lo è.

Kori disse, con ostinazione: — Voglio vedere personalmente la reazione del gorilla. Non voglio errori da parte vostra.

— E piantala! — sbottò Lou, parlando sottovoce per non spaventare il Grande George. — Credi di essere l’unico ad avere cervello? Sta’ tranquillo, non permetterò a Bonnie di correre rischi.

— Smettetela di litigare — disse Bonnie. Poi si rivolse a Kori. — Finché tu rimani qui, non uscirà.

Kori se ne andò, borbottando. Dopo dieci minuti di soffi e brontolii il Grande George si calò dall’albero avvicinandosi al recinto.

— Georgy — disse Lou, aggrappandosi alla rete della recinzione. — Come va?

— La testa… mi fa male la testa.

— Va tutto bene, Georgy — disse Bonnie. — Tra poco non ti farà più male.

— Fa male… uomini cattivi… fa male…

È una mia impressione o ha realmente una voce strana? E come fa fatica a trovare le parole! Lou si accorse che aveva gli occhi pieni di lacrime. — Georgy, non avere paura. Andrà tutto bene. Gli uomini cattivi se ne sono andati. Non torneranno più.

Il gorilla si limitò ad ammiccare.

Bonnie disse, piano: — Georgy, tra poco verrò a stare con te. Ti porterò molta roba da mangiare, e medicine per farti passare il male.

— Male… uomini cattivi…

— Resterò con te — ripeté Bonnie. — E la medicina ti farà passare il male. Non avere paura.

— E io farò in modo che gli uomini cattivi non tornino — disse Lou. — Mai più.

— Zio Lou… — cominciò il Grande George, ma non finì il pensiero.

Lou disse, con estrema gentilezza: — Va tutto bene, George. Non verranno più a farti del male.

Mentre si allontanavano dal recinto, Bonnie posò una mano sul braccio di Lou. — Ma tu tremi — disse.

Lou annuì. — Vedi… l’altra notte non ho chiuso occhio. Ero spaventato. E lo sono ancora, lo ammetto. Stanotte c’è il rischio che ci ammazzino tutti. Però quello che veramente mi spaventava era l’idea che forse avrei ucciso qualcuno. O per lo meno, avrei cercato di ucciderlo. Ma adesso che vedo cosa hanno fatto a Georgy… a un animale innocente come lui… non tremo più di paura. Tremo di rabbia.

— Sta’ tranquillo — disse Bonnie. — Andrà tutto bene.

— Sei sicura che non ti capiterà niente, con George?

— Sì, senz’altro. Gli porterò dei dolci e dei sedativi. Dormirà come un bambino.

Lou annuì.

— Vedrai — disse Bonnie. — Filerà tutto come un congegno a orologeria.

— Sì. — Lou guardò l’orologio. Ora X meno quattro ore e qualche minuto.

Alle undici in punto si ritrovarono, tutt’e tre, all’ingresso degli alloggiamenti. Avevano impiegato quelle ore a mettere a punto gli ultimi particolari, poi si erano ritirati nelle rispettive camere, dicendo che andavano a dormire. S’incontrarono nell’oscurità e si diressero senza perdere tempo verso i laboratori. Avevano scovato, in mezzo ai capi di vestiario, tre maglioni e tre paia di pantaloni neri, identici. Identici pensava Lou, però quelli di Bonnie stanno meglio dei nostri.

Sull’isola c’erano due turbocar. Uno dei due veniva parcheggiato, di notte, davanti al laboratorio. L’altro si trovava in casa di Marcus.

— Credi che ci sorveglino? — chiese Bonnie in un sussurro, mentre procedevano camminando ai margini della strada verso il laboratorio, tenendosi al riparo sotto gli alberi e la vegetazione fitta.

Kori sussurrò la risposta: — Hanno messo le guardie al laboratorio, al recinto del gorilla, alle grotte delle bombe e alla casa di Marcus. Perché dovrebbero tenerci d’occhio? Non possiamo fare niente di male, se non ci avviciniamo a uno di quei posti.

— Comunque, se siamo sorvegliati non tarderemo a scoprirlo — disse Lou, indicando più avanti lungo la strada il riflesso delle luci del laboratorio.

Con un lungo giro sotto gli alberi evitarono la zona illuminata, poi ripiegarono fino all’estremità del recinto del Grande George. Mentre Kori si fermava a distanza ragionevole, Lou e Bonnie si avvicinarono alla rete, chiamando il gorilla sottovoce.

Il Grande George trotterellò fino alla recinzione. — Ciao, Georgy — disse Lou. — Come ti senti?

— La testa… mi fa male…

— Ti ho portato una medicina perché tu stia meglio — disse Bonnie. — E anche dei dolci.

Chiacchierarono per qualche minuto con il gorilla, poi Lou issò Bonnie in cima alla rete. George si allungò e la prese per la vita, circondandola completamente con le mani enormi. La posò a terra, all’interno del recinto, con la leggerezza con cui un ballerino regge la sua compagna.

Lou li stette a guardare, con il cuore che gli batteva forte, pensando alla facilità con cui il Grande George avrebbe potuto uccidere Bonnie. La ragazza si alzò in punta di piedi e batté amichevolmente sulla grossa testa del gorilla. Mentre si allontanava verso gli alberi, Bonnie cercava i dolci nella borsetta che aveva alla cintura.

Lou, nonostante i suoi timori, sorrise vedendo la sottile ragazza bionda e il gorilla enorme.

Guardò l’orologio. Già le undici e mezzo. Ritornando da Kori, Lou ripassò mentalmente, per la milionesima volta, il piano. Punto primo: procurare una macchina a Kori.

Trovò Kori e lo tranquillizzò dicendogli che Bonnie era al sicuro. Ritornarono verso il complesso dei laboratori. Da dietro il laboratorio di Kori, al margine della zona illuminata, videro l’unica guardia che andava lentamente avanti e indietro, da un fabbricato all’altro. L’uomo aveva l’aria annoiata e assonnata. Però dal suo fianco penzolava una grossa pistola.

Kori guardò Lou con un cenno d’intesa. Poi uscì dall’ombra e andò dritto verso la guardia.

— Sentite — chiamò forte, — mi potete dare una mano? Dovrei entrare nel laboratorio. Ho del lavoro da finire.

La guardia si mise all’erta all’istante. — I fabbricati sono tutti chiusi. Non si può entrare fino a domattina.

— Sì, lo so, ma… — Lou non stette a sentire altro. Fece il giro dell’edificio e sbucò dall’altra parte, alle spalle del sorvegliante. Kori era sempre infervorato a discutere con la guardia, che teneva la destra sul calcio della pistola. I due si trovavano a una decina di metri dall’angolo dell’edificio dietro il quale era in agguato Lou, alle spalle della guardia. Nello spazio illuminato tra le due costruzioni, era ferma la macchina di cui avevano bisogno.

Dieci metri. Lou, rapido e silenzioso, si sfilò i sandali e si lanciò di corsa, in punta di piedi. Lo scalpiccio dei piedi nudi sulla ghiaia era addirittura assordante. La guardia si voltò.

Lou superò gli ultimi metri con un salto e afferrò l’uomo per le braccia, mentre Kori lo colpiva alla trachea. La guardia, con un rantolo soffocato, crollò a terra dibattendosi, con Lou addosso. Kori, con tutta calma, si allungò, scostò la faccia di Lou e picchiò duro sulla nuca della guardia. L’uomo si afflosciò inerte. Lou si rialzò ansimando, tutto sudato. — È morto?

— Non credo — rispose Kori. Andò alla porta del laboratorio e premette i bottoni della combinazione. La porta si aprì e le luci si accesero automaticamente.

— Hai visto? — disse Kori, sorridendo. — Niente allarme. L’ho staccato oggi pomeriggio, quando ho cambiato la combinazione della serratura. Dopo tutto, c’è un certo vantaggio a fare il fisico.

Lou trascinò il guardiano all’interno e lo ficcò in uno stanzino, chiudendo la porta a chiave. Nel frattempo, Kori riempiva il contenitore con il materiale che gli serviva.

Senza una parola, uscirono dal laboratorio, chiudendo la porta. Poi si diressero verso la macchina.

— Sei sicuro di farcela da solo? — chiese Lou, mentre Kori caricava il contenitore sul sedile posteriore dell’auto.

— Sì, purché tu li tenga impegnati dall’altra parte dell’isola — rispose Kori. Si sfilò dalla cintura la pistola della guardia. — Tieni. Io prenderò quella della guardia della grotta. Sai adoperarla?

— Credo di sì.

— È facile. Basta alzare la sicura… ecco, ed è pronta a sparare. Poi, premi il grilletto. È caricata con almeno venticinque impulsi laser, che sono micidiali quanto un proiettile esplosivo… un po’ come battere su qualcosa con un martello a ultrasuoni.

Lou annuì, prendendo l’arma. La pistola gli pesava in mano.

— Molto bene — disse Kori. — Aspetterò qui, finché sentirò del baccano, giù al porto.

— D’accordo. — Lou infilò la pistola nella cintola, poi strinse la mano che Kori gli tendeva. — Buona fortuna.

Kori sorrise. — A domani.

— Sì. — Se saremo ancora vivi, domani.

Lou corse verso il porto, alla luce delle stelle. La strada passava davanti alla casa di Marcus, dov’era ferma l’unica altra auto dell’isola. Lou si guardò attorno ma non vide nessuno: si mise al volante e allentò il freno. L’auto si avviò lungo il leggero pendio, e poi per la strada sconnessa.

A un tratto, Lou sentì alle spalle uno scalpiccio. Un uomo gridò: — Wei! Li tsai tso sheng mo?

Lou bloccò il veicolo, scivolò a terra, e si rannicchiò dietro la fiancata. Una luce si accese davanti alla casa. Due guardie osservarono la macchina. Lou estrasse la pistola e alzò la sicura.

Le guardie, a quanto pareva, non si erano accorte della sua presenza. Stavano avvicinandosi lentamente all’auto. Lou si alzò di scatto e fece fuoco sparando al di sopra del veicolo. Si sentì una serie di crepitii secchi quando centinaia di joules di energia elettrica si trasformarono in impulsi invisibili di luce laser infrarossa. La prima guardia fu rovesciata all’indietro, come se fosse stata colpita in pieno petto dal pugno di un gigante. La seconda girò su se stessa e crollò a faccia in giù. Una volta a terra, non si mossero più.

Lou rimise la sicura con mani tremanti e si infilò la pistola nella cintura. Poi si impose di avvicinarsi ai due uomini e di prendere le loro armi. Respirano ancora. Quando tornò alla macchina si sentiva meglio. Buttò le pistole delle due guardie sul sedile anteriore.

Mezzanotte e cinque. Si sta facendo tardi. Si rimise al volante. Accese i fari e vide la strada che scendeva al porto.

È il momento giusto per l’azione diversiva. Respirò a fondo, poi girò la chiavetta dell’accensione. La turbina si accese. Lou premette l’acceleratore fino in fondo. Il motore tossì, poi rombò fortissimo. Nella casa si accesero le luci.

Premette ancora l’acceleratore, innestò la marcia e l’auto si precipitò rombando giù per la strada. Gli alberi e i cespugli che la fiancheggiavano si agitavano violentemente, al passaggio del veicolo, e il vento schiaffeggiava con forza Lou, mentre lui scendeva a rotta di collo la strada tortuosa verso il porto. Intanto le luci si accendevano anche laggiù, e negli alloggiamenti delle guardie.

La macchina piombò con grande fracasso sul piazzale, entrò a razzo nella zona del porto e si fermò con una violenta frenata ai piedi dell’unico molo. All’estremità del pontile era legata una piccola imbarcazione. Il compito di Lou consisteva nel far credere che voleva abbandonare l’isola a bordo di quella barca.

Gli uomini sbucavano nel buio da diversi edifici, gridando in lingue incomprensibili. Lou passò dietro la macchina, alzò il cofano e cercò il condotto del carburante. Lo strappò e sentì il liquido scorrere tra le dita. Allora tornò al sedile anteriore, afferrò le due pistole e sparò diversi colpi nel motore, arretrando rapidamente lungo il molo, mentre faceva fuoco.

Al terzo colpo fece centro, e fiamme violente scaturirono dalla macchina.

Lou si gettò di corsa lungo il pontile, mettendo tra lui e gli inseguitori la macchina in fiamme. Sull’imbarcadero di legno c’era, da un lato, una catasta di cassette da imballaggio. Lou ci si nascose dietro. Aveva di fronte il turbocar in fiamme e, attraverso le ondate di calore che si levavano dal rogo, vedeva gli uomini correre all’impazzata sul piazzale, alcuni con le armi in pugno, avvolti dalla luce rossa dell’incendio. Alle sue spalle c’era il porto, con la barca legata all’estremità del pontile.

Qualcuno però aveva già pensato alla barca. Lou sentì uno strano rumore e, subito dopo, un rovinio di vetri rotti. Si voltò e vide che una grossa sezione del parapetto dell’imbarcazione volava a pezzi, tra nuvole di vapore. Il fucile laser! Fanno a pezzi la barca perché non possa servirmene. Forse credono che sia già a bordo.

Poi un altro pensiero: Appena mi scoprono, mi spareranno addosso con quei fucili!

Lou si sforzò di rimanere perfettamente immobile, minuscolo mucchietto di umanità spaurita, rannicchiato dietro le cassette, cercando di essere completamente invisibile o per lo meno di passare inosservato il più possibile. Lunghi minuti trascorsero. Il rogo della macchina si spense, la barca si inclinò su un fianco e si inabissò gorgogliando.

Sul molo era tornata la quiete. Era difficile, adesso, riuscire a vedere qualcosa; comunque, nel momento della massima confusione, decine di guardie erano state sguinzagliate in giro. Lou sapeva di essere in trappola e di non avere scampo. Ma non era ancora il momento. Era stato colpito da una scheggia al piede sinistro, che adesso gli faceva male. Anche le mascelle erano indolenzite, a forza di tenerle strette. Si chiese che cosa facesse Kori in quel momento.

Sarà opportuno che faccia altro baccano, pensò. Forse le guardie sono convinte che mi trovassi a bordo della barca e che a quest’ora sia già annegato. Però se esco allo scoperto è come se li invitassi a spararmi addosso.

Scosse la testa. Prima o poi, caro il mio eroe, ti scopriranno. Il tuo compito, adesso, è di fare più chiasso possibile, di distrarre la loro attenzione da Kori.

Aguzzando gli occhi nel buio riuscì a distinguere una fila di bidoni, probabilmente di carburante, allineati lungo la banchina a pochi passi dal pontile. Erano una decina e si trovavano a circa cinquanta metri di distanza. Un bersaglio facile.

Al quinto colpo, finalmente, uno dei bidoni esplose, incendiandosi. In un istante, tutti gli altri saltarono.

Le grida e l’andirivieni ripresero immediatamente. Però nessuno pensava a sparare addosso a Lou. Correvano tutti chi verso il rogo, chi per allontanarsi dalle fiamme. Lou non perdeva di vista le guardie. Tipi in gamba, niente da dire. Dopo il primo momento di sorpresa, avevano affrontato le fiamme con estintori a mano, con coperte, con tutto quello che capitava loro a tiro. Finalmente qualcuno arrivò con un estintore schiumogeno e gli uomini si misero a domare l’incendio con ondate di schiuma candida. Ma tutto questo richiedeva tempo, molto tempo.

Il rogo era ormai ridotto a un mucchio fumante, quando Lou sentì: — Christopher! Lo so che siete sul molo. Arrendetevi, non avete scampo. — Era la voce di Marcus.

Lou per poco non scoppiò a ridere. Marcus non sembrava né irritato né spaventato, e nemmeno molto sorpreso. Parlava con la stessa calma del primo giorno in cui si erano conosciuti. Era chiaro che non sapeva ancora che cosa gli stava preparando Kori e neanche che Bonnie era nascosta. A meno che non abbia catturato Kori e Bonnie, e che la partita per noi non sia perduta.

— Christopher, non voglio che finiate ammazzato. Venite fuori e piantiamola con queste sciocchezze.

Come un maestro che sgrida lo scolaro, pensò Lou.

— Non potete sfuggirci, Christopher. Sappiamo che vi nascondete dietro le cassette. Vi… — La voce s’interruppe.

Lou sbirciò da dietro le casse. Marcus stava ascoltando una guardia, che gesticolando gli indicava qualcosa lungo la strada, dall’altra parte dell’isola.

— Allora siete d’accordo tutt’e tre! — La voce di Marcus adesso era stridula. — E va bene, scopriremo gli altri due e li porteremo qui. Allora vedrete che cosa ne sarà di loro.

— Marcus! — chiamò Lou.

Tutti, sul molo, s’irrigidirono. Lou si accorse che era quasi l’alba. C’era abbastanza luce, ormai, per vedere l’intero piazzale del porto.

— Marcus, non hai ancora pensato che magnifico bersaglio rappresenti?

Marcus fece un salto indietro.

— No, non muoverti! — gridò Lou. — Nessuno si muova! Un solo gesto e ti faccio fuori, Marcus. E lo farò!

Marcus rimase immobile sulla banchina. Era in piena vista: la guardia più vicina si trovava a un metro di distanza e il riparo meno lontano era la carcassa carbonizzata dell’auto a una decina di metri. Lou si augurò che nessuno dei presenti pensasse a quanti colpi ci sarebbero voluti per fare centro, da quella distanza.

— Christopher, non riuscirai ugualmente a scappare.

Lou sorrise: — Non ci riuscirò?

Quasi in risposta, la cassa che aveva di fronte andò in briciole, con un fragore assordante e una pioggia di schegge. Lou ebbe l’impressione di volare per aria, al rallentatore, di ricadere al di là del pontile, mentre la terra verde oscillava violentemente e l’acqua ancora più verde gli veniva incontro. Quando finì in acqua perdendo i sensi, l’ultimo pensiero cosciente fu che lo sparatore non aveva centrato la sua testa soltanto per un centimetro.