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— Assolutamente impossibile — disse il dottor Kaufman.
Lou era in piedi, in fondo al tavolo delle riunioni, nello studio di Kaufman. Kori gli era seduto accanto. I membri del Consiglio mostravano tutti i vari tipi di emozione: dallo scetticismo pensoso al disprezzo più scoperto.
— È assolutamente impossibile! È la proposta più assurda che abbia mai sentito — continuò il dottor Kaufman.
Lou si controllò. — Perché dici così? Il progetto è tecnicamente possibile.
— Trasformare l’intero satellite in una nave spaziale. Dargli un’accelerazione pari a quella dello Starfarer, se non di più? Sciocchezze!
— Con i motori a fusione che siamo in grado di costruire — disse Kori, — è possibile accelerare questa sequenza di ruote e farle raggiungere Alpha Centauri in meno tempo dello Starfarer. Dopo tutto, lo Starfarer è stato lanciato due generazioni fa, e si trattava di una nave primitiva rispetto a quello che siamo in grado di produrre adesso.
— Le vostre riprese, però — disse Mettler, uno degli europei membri del Consiglio di Kaufman, — hanno dimostrato che i pianeti di Alpha Centauri non sono sufficientemente simili alla Terra per servirci da nuova patria.
— Siete fuori strada — ribatté Lou. — L’importante è che Alpha Centauri abbia dei pianeti. La stella di Barnard ha anche lei dei pianeti, e sono stati visti dalla Terra. Tra le stelle più vicine, sette hanno pianeti, e uno di essi, con tutta probabilità, è abbastanza simile alla Terra, per essere adatto a noi.
— Sì, lo so. Comunque, ci vorrà un secolo se non due, per scoprire un pianeta identico alla Terra.
— Vorrei fare un’altra domanda — disse Charles Sutherland, con la sua voce nasale. — Avete pensato alle tensioni enormi cui sarà sottoposta la struttura del satellite, se vi applicate un propulsore a fusione?
Kori rispose: — Ho fatto alcuni calcoli. Il risultato non è tanto disastroso. Ovviamente, per fare il lavoro come si deve, avrei bisogno di un calcolatore.
— E qui non c’è — disse Sutherland, con un sorriso sarcastico. — E il governo non ce lo darà di sicuro. Come non ci daranno i propulsori a fusione. Di conseguenza, l’intero progetto è privo di significato.
— Io, invece, sono convinto che ci daranno qualsiasi cosa — disse Lou, — appena sapranno che solamente in questa maniera si potranno liberare di noi per sempre.
— Per sempre non c’è dubbio, in un modo o nell’altro — disse Sutherland.
Kaufman corrugò la fronte. — Chiedendo al governo di tentare questa pazzia, ammettiamo implicitamente di rinunciare a ogni speranza di ritorno sulla Terra. Riconosciamo di essere esiliati per il resto della vita.
— Perché, tu non credi di restare qui per il resto della tua vita? — disse Kurtz.
— No! — Kaufman batté sul tavolo col palmo della mano. — Ho amici sulla Terra che stanno occupandosi di noi in questo preciso istante, per porre fine a questa follia. Ne sono sicuro. E altrettanto faranno i capi degli altri laboratori, sparsi in tutto il mondo. Non è possibile che il governo mantenga in piedi questa farsa per sempre.
Lou scosse la testa. — Ho parlato personalmente con il Presidente Generale. È evidente che ha intenzione di farci stare qui.
— È un povero vecchio. Tra poco sarà sostituito.
— Da Kobryn — disse Mettler. — Il quale non ci accorderà nessuna grazia.
Greg Belsen si rivolse a Kori, che gli era seduto vicino. — Credi davvero di riuscirci? Di portarci sulle stelle?
— Ma certo. È solo questione di ottenere l’attrezzatura e l’appoggio necessari dalla Terra.
— E di trovare il pianeta giusto — aggiunse Lou.
— Non è indispensabile che il pianeta sia identico alla Terra — disse Greg. — Potremmo modificare geneticamente i nostri figli, in modo da renderli fisicamente adatti alle condizioni del nuovo mondo. So che questa è soltanto un’idea, per ora. Comunque, saremmo sempre in grado di creare un mondo che sarà la patria dei nostri figli, anche se non ci sarà possibile trovarne uno perfettamente adatto a noi. Per conto mio, vale la pena di tentare. Proviamo. Se non altro, avremo qualcosa di concreto per cui lavorare.
— Fino a quando il governo si rifiuterà di darci quello che ci occorre — borbottò Kaufman.
— Passiamo ai voti — propose Greg.
— Un momento — disse Kaufman. — Prima di votare… C’erano già tre mani alzate: Greg, Ron Kurtz e Mettler.
Stringendosi nelle spalle, Tracy, l’altro europeo del Consiglio, alzò anche la sua. Soltanto Kaufman e Sutherland erano contrari al progetto.
Kaufman sbuffò. — E va bene. Prenderemo in esame il progetto. Dottor Kori, chiedete ai vostri colleghi di darvi una mano per la missilistica e l’astronautica. — Era evidente, dal tono della voce, che Kaufman si aspettava che gli altri scienziati missilistici considerassero Kori un pazzo.
Effettivamente, per alcuni fu così. Scuotendo la testa, si allontanarono da Kori, increduli. Alcuni però accettarono l’idea. Più come un diversivo, forse, che non come una possibilità effettiva. Comunque si misero a buttar giù note, equazioni. Nel giro di una settimana, l’intero gruppo di scienziati e ingegneri missilistici che si trovava a bordo del satellite era al lavoro, anche se per alcuni il progetto appariva del tutto insensato. In breve si diedero da fare attorno ai calcolatori da tavola del satellite, attenti ai numeri che lampeggiavano negli schermi, sempre più entusiasti.
Greg Belsen si appassionò al lavoro fin dall’inizio. Considerava la possibilità di congelare i soggetti, di metterli in animazione sospesa in unità criogeniche di sonno. Era già stato fatto sulla Terra, in rari casi di necessità clinica e per pochi giorni. Greg pensava di sprofondare nel sonno criogenico tutti i settemila abitanti del satellite, per decenni. — Il fatto è — spiegava a Lou, — che, o tutta questa gente resta addormentata per quasi tutto il tempo, o saremo costretti a trasformare questa nave in una casa di pan di zucchero. Hai idea di quanti milioni di tonnellate di viveri divorano, nel giro di un secolo, settemila persone?
A poco a poco, anche altri biochimici si misero a lavorare con Greg. E qualche genetista finì per essere attratto dal problema, benché fosse del tutto estraneo al proprio campo.
Nel giro di un mese, Lou chiedeva a un esperto governativo d’elaboratore, estremamente diffidente, di eseguire alcuni controlli sugli elaboratori ad alta velocità. Dopo una settimana di discussioni con gli scienziati terrestri e i funzionari governativi, l’uomo dell’elaboratore diede il permesso a Lou di stabilire un contatto diretto radio e Tri-Vi con il grande calcolatore governativo dell’Australia.
— Controllano due volte che non ci infiliamo di nascosto qualche ricerca di ingegneria genetica. Così il lavoro va a rilento, ma ce la faremo ugualmente Kori dice che niente ci può fermare. Purché riusciamo, naturalmente, a costruire i propulsori e gli schermi antiradiazioni e il resto dell’attrezzatura.
Bonnie accennò di sì. Aveva chiesto alle autorità che le concedessero di rimanere ancora a bordo del satellite, per collaborare al lavoro che stavano svolgendo Lou e gli altri. Il Presidente Generale le aveva firmato personalmente il permesso di risiedere sul satellite indefinitamente. Però se Lou l’avesse osservata più attentamente, si sarebbe accorto che la ragazza non sorrideva più, anche quando si sforzava di farlo.
Ci vollero sei mesi, prima di avere la certezza della riuscita. Sei mesi di lavoro febbrile, di calcoli, di riunioni che duravano per ore, di discussioni, di lusinghe. Sei mesi in cui Lou vide Bonnie due o tre volte alla settimana, quando andava bene, a volte anche meno. E parlava senza tregua di lavoro, progetti, speranze. E lei non diceva mai niente.
Poi, a un tratto, Lou riferì a Kaufman. — Non ci sono più dubbi, ormai. È possibile trasformare questa prigione in una nave spaziale. Congeleremo gli abitanti. Raggiungeremo le stelle. A questo punto, è opportuno che chiediamo al governo l’attrezzatura necessaria.
Kaufman disse, con riluttanza: — Chiederò un incontro con le autorità competenti.
Scuotendo la testa, Lou ribatté: — Il Presidente Generale mi ha detto di rivolgerci a lui, se avessimo avuto bisogno di qualcosa. Mi rivolgerò a lui. Direttamente.
Il tempo sembrava essersi fermato, come quando ci si ritrova nello stesso punto di alcuni mesi o di alcuni anni prima. Nel medesimo punto, precisamente.
Lou era nello studio del Presidente Generale, accompagnato da Bonnie e da Kori, e in quel preciso istante le porte dell’ascensore si richiudevano con un leggero soffio. Nella stanza non era cambiato niente. Il Presidente li chiamò, dal suo tavolo. I sei mesi trascorsi a bordo del satellite sembravano un sogno remoto e spiacevole. Ma sono vissuto realmente a bordo di quella prigione di plastica? In quel piccolo mondo artificiale? Dopo la corsa in auto dal campo dei missili, attraverso la campagna verde e i paesini calcinati, nella brezza profumata e tra il mormorio della risacca, e poi la traversata della città rumorosa, affollata, piena di vita, il satellite sembrava del tutto irreale.
Il Presidente ascoltò pazientemente la loro storia, annuendo e dondolandosi avanti e indietro nella poltrona di cuoio, sorridendo anche, una volta o due. Poi, Lou finì di parlare.
Per un po’ il Presidente tacque soprappensiero. Poi, finalmente, disse: — La vostra inventiva, in un certo senso, mi lascia sbalordito. D’altra parte, però, non sono veramente sorpreso che abbiate avuto un’idea tanto straordinaria. — Li guardò, uno dopo l’altro, con gli occhi limpidi, nonostante i segni dell’età. — Non intendo commentare il motivo che vi induce ad abbandonare per sempre il nostro mondo — disse il Presidente. — Immagino che anche la morte tra le stelle sia preferibile, per voi, a una lunga vita in esilio. — Rise piano, tra sé. — Non mi sarei mai aspettato, non c’è dubbio, di essere messo di fronte a una decisione simile. Non mi sarei mai aspettato che il primo tentativo dell’uomo di raggiungere le stelle avvenisse nelle condizioni in cui ci troviamo ora.
— Dunque, ci darete il consenso alla partenza? — chiese Lou, con slancio. — Ci aiuterete, ci darete l’attrezzatura necessaria e…
Il Presidente gli impose il silenzio, alzando un dito ossuto.
— Molti tra voi, così mi avete detto, sono contrari al progetto… Molti non intendono salpare verso le stelle.
— Sì — dovette ammettere Lou. — Il lavoro che abbiamo svolto fino ad oggi si è limitato a dimostrare che la traversata è tecnicamente possibile. Il dottor Kaufman, però, e molti altri, soprattutto i più anziani, non ne vogliono sapere.
Il Presidente sospirò. — Vi renderete conto, immagino, che la faccenda si riduce a una questione di denaro. Come tutto, a quanto pare. Prima o poi.
— Denaro?
Annuendo, il Presidente spiegò: — Ci vorranno miliardi perché il vostro satellite sia messo in grado di affrontare un viaggio sulle stelle…
— Abbiamo fatto qualche calcolo — disse Lou. — È costoso, non c’è dubbio, ma meno costoso che tenerci per sempre in orbita. In questo modo, pagate subito un grosso impegno, dopo di che noi spariremo. Ma se ci tenete in orbita, dovrete darci i viveri, le medicine, tutto…
— Mi sembra di essere il Faraone che discute con Mosè — osservò il Presidente. — Sarei lietissimo di spendere il necessario per aiutarvi a partire, se è questo che volete. Ma quelli di voi che non intendono partire? Non mi è possibile mantenere un gruppetto in orbita e contemporaneamente spendere la somma necessaria per spedire altri sulle stelle. O l’uno o l’altro. Entrambi, non è possibile.
— A questo punto, bisognerà votare — disse Lou.
— Sì — disse il Presidente. — Immagino che dobbiate farlo.
Lasciarono lo studio del Presidente, ripresero l’ascensore e salirono sull’auto che li portò attraverso la campagna semi tropicale delle coste siciliane fino al campo dei missili. Ma adesso l’erba e il sole e le casette sparse erano altrettanti segni crudeli, per ricordare loro sadicamente che il satellite era una realtà permanente e che loro, su questo splendido mondo, erano soltanto visitatori, mentre la prigione li stava aspettando.
Viaggiarono in silenzio sui sedili posteriori del turbocar, tenendo gli occhi bene aperti e tutti i sensi all’erta per assaporare ogni immagine, ogni voce, ogni odore: tutte cose che in passato avrebbero considerato banali e senza importanza, mentre adesso erano altrettanti miracoli che forse non avrebbero mai più ritrovato.
Una seconda macchina li seguiva a distanza ragionevole, e, in alto, ronzava pigramente un elicottero. Non c’erano dubbi: erano prigionieri.
Quando furono abbastanza vicini al campo da intravvedere le sagome tozze dei razzi, Bonnie si rivolse a Lou.
— Non dovevi portarmi con te, oggi. Non dovevi.
— Perché no? — chiese Lou, sorpreso.
— Perché non sono forte come te — rispose lei, gridando per coprire il rumore del vento e il ronzio della turbina. — Lou… non posso lasciare tutto questo per sempre. È già tremendo quando guardi la Terra dagli oblò del satellite. Ma lasciarla per sempre… andare nello spazio nero… no, Lou, non posso. Se la votazione è favorevole alle stelle, io farò ritorno sulla Terra.
— Io credevo…
Anche Kori, seduto dall’altra parte di Bonnie, sembrava scosso.
— Mi dispiace, Lou… non posso farci niente. Me ne sono accertata stamane: il governo è disposto a lasciarmi tornare, se lo desidero. Non posso lasciare, per sempre, la Terra. Non posso!
— Ma… io ti amo, Bonnie. Non posso andarmene senza di te.
Lei chinò la testa e pianse.