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— Perché su Venere non c’erano draghi. In ogni modo, quello era un apparecchio telefattore, una cosa abbastanza diversa da un robot.
— Ti seguo — disse, poi: — Adesso spiegami la differenza tra i primi telefattori, e gli ultimi modelli.
Versai altro caffè.
— Le cose furono un po’ più complicate per quanto riguardava i pianeti esterni e i loro satelliti — dissi. — Lì, in primo luogo non disponevamo di operatori in orbita. Problemi economici, ed alcuni fattori tecnici ancora irrisolti. Principalmente però per cause economiche. In ogni modo, gli apparecchi venivano fatti atterrare sul pianeta prescelto, ma l’operatore rimaneva a casa. A causa di ciò, c’era ovviamente un divario di tempo nelle trasmissioni. Ci voleva un po’ per ricevere gli impulsi, e poi c’era un’altra pausa prima che gli impulsi di ritorno raggiungessero il telefattore. Tentammo di compensare queste pause in due modi: il primo sistema era una semplice sequenza di attesa-movimento; il secondo era più sofisticato, ed è in effetti il punto in cui i computer entrano in gioco, nel senso di partecipare alla funzione di controllo. Richiedeva l’elaborazione di modelli di fattori ambientali conosciuti, che venivano poi arricchiti durante le prime sequenze di attesa-movimento. Su questa base, il computer venne quindi utilizzato per prevedere sviluppi a breve termine. Infine, fu in grado di assumere il controllo dello strumento e dirigerlo per mezzo di una combinazione di «controlli di previsione» e di schemi di attesa-movimento. Però, era sempre indispensabile l’aiuto umano, quando si presentava un elemento imprevisto. Così, per quanto riguardava i pianeti esterni, non era né totalmente automatico né totalmente manuale… né totalmente soddisfacente… sulle prime.
— D’accordo — disse, accendendosi una sigaretta. — E il passo seguente?
— Il seguente non fu un passo propriamente tecnico nel settore dei telefattori. Fu un passo economico. I cordoni della borsa furono finalmente allentati, e potemmo permetterci di inviare anche esseri umani. Li facemmo atterrare dove potevamo, ed in molti casi in cui l’atterraggio era impossibile, facevamo atterrare i telefattori lasciando gli uomini in orbita. Come ai vecchi tempi. Il problema del divario di tempo venne abolito perché adesso l’operatore si trovava di nuovo sulla scena dell’operazione. Se non altro, lo si può considerare un ritorno ai vecchi metodi. È quello che fanno spesso ancor oggi, e funziona bene.
Scosse la testa.
— Hai lasciato fuori qualcosa tra i computer e l’ultima soluzione.
Mi strinsi nelle spalle.
— In quel periodo sono state tentate molte soluzioni, ma nessuna si è rivelata efficace come quella che già avevamo nella collaborazione uomo-computer con il telefattore.
— Ci fu un progetto — disse — che tentò di aggirare i problemi del divario di tempo inviando il computer insieme al telefattore. Sai a cosa mi riferisco?
Accesi una delle mie sigarette mentre ci pensavo. — Penso che tu stia parlando del Boia — dissi.
— Esatto, ed è qui che mi perdo. Puoi spiegarmi come funziona?
— In ultima analisi, si è rivelato un fallimento — risposi.
— Ma sulle prime funzionava.
— Apparentemente. Ma solo in casi semplici, come su Io. In seguito si inceppò e venne considerato un fallimento, anche se grandioso. Il tentativo era troppo ambizioso fin dall’inizio. Sembra che coloro che dirigevano il tutto avessero avuto la possibilità di combinare progetti avanguardistici… tecniche che erano ancora sotto studio, ed altre estremamente nuove. In teoria, sembrava che tutto dovesse adattarsi in maniera talmente perfetta che cedettero alla tentazione ed incorporarono troppe cose. Cominciò bene, ma crollò quasi subito.
— Ma chi era implicato?
— Signore! Chi non lo era? Il computer che non era esattamente un computer… D’accordo, cominciamo da qui. Nel secolo scorso, tre ingegneri dell’Università del Wisconsin — Nordman, Parmentier e Scott — svilupparono un apparecchio noto come neuristore a collegamento-tunnel superconduttivo. Due strisce sottili di metallo, con un sottile strato isolante in mezzo. Supercongelatelo e lascerà passare impulsi elettrici senza opporre resistenza. Circondatelo di materiale magnetizzato, e raggruppatene una certa massa — bilioni — e cosa avrete ottenuto?
Scosse la testa.
— Be’, per cominciare avremo ottenuto una situazione impossibile da schematizzare considerando tutti i sentieri e le interconnessioni che possono essersi formati. Esiste una somiglianza evidente con la struttura del cervello. Così, ipotizzavano, è impossibile anche solo tentare di realizzare uno strumento del genere. Bisognerebbe inserire i dati e lasciare che i sentieri preferenziali si stabiliscano da soli, a causa della crescente magnetizzazione del materiale ogni volta che la corrente lo attraversa, diminuendone la resistenza. Il materiale stabilisce la sua struttura in maniera analoga al funzionamento del cervello quando impara qualcosa.
— Nel caso del Boia, hanno utilizzato qualcosa di molto simile e sono riusciti ad impacchettare più di dieci milioni di cellule di tipo neuristore in una zona molto piccola… meno di un metro cubo. Hanno scelto quel numero particolare perché è approssimativamente il numero delle cellule nervose presenti nel cervello umano. È questo che voglio dire quando affermo che in realtà non era un computer. In effetti stavano lavorando nel campo delle intelligenze artificiali, non importa come le chiamavano.
Se la cosa aveva un suo cervello — computer, o quasi-umano — allora era un robot più che un telefattore, vero?
— Sì e no e forse — dissi. — Venne fatto agire come apparecchio telefattore qui sulla Terra — sul fondo oceanico, nel deserto, in zone montuose — come parte della programmazione. Suppongo che si potrebbe parlare anche di apprendistato, o di scuola infantile. Forse quest’ultima definizione è ancora più appropriata. Gli venne mostrato come agire in ambienti difficili, e tornare indenne. Una volta che apprese tutto questo, allora, teoricamente, potevano lanciarlo nel cielo senza controllo da terra e aspettare che riportasse le sue scoperte.
— A quel punto venne considerato un robot?
— Un robot è una macchina che esegue certe operazioni seguendo un programma di istruzioni. Il Boia prendeva le sue decisioni capisci. Ed io sospetto che nel tentativo di produrre qualcosa di così simile al cervello umano come struttura e funzionamento, la casualità apparentemente inevitabile del suo modello venne inevitabilmente inclusa. Non era solo una macchina che seguiva un programma. Era troppo complessa. Questo è stato probabilmente l’elemento che ha portato al fallimento.
Don ridacchiò. — L’inevitabile libero arbitrio?
— No. Come ho detto, hanno messo troppe cose nella stessa borsa. Per esempio, i ragazzi del gruppo psicofisico avevano un apparecchietto che volevano sperimentare, e venne incluso. Apparentemente, il Boia era uno strumento di comunicazione. In effetti, lo trattavano come se fosse realmente senziente.
— Lo era?
— Evidentemente sì, anche se in modo limitato. Quello che avevano ottenuto, perché facesse parte dello strumento telefattore originario, era un apparecchio che stabiliva un debole campo di induzione nel cervello dell’operatore. La macchina riceveva ed amplificava gli schermi dell’attività elettrica provenienti dal Boia e li passava attraverso un modulatore complesso, che li trasformava in impulsi del campo di induzione nella testa dell’operatore… Adesso sono fuori dal mio campo, piuttosto in quello di Weber e Fechner, ma un neurone ha una soglia oltre la quale funziona, sotto la quale agisce. Esistono circa quarantamila neuroni raccolti in un millimetro quadrato della corteccia cerebrale, in modo che ognuno di essi possiede centinaia di collegamenti sinaptici con quelli circostanti. In qualsiasi momento, alcuni di essi possono trovarsi al di sotto della soglia di attività mentre altri sono in condizioni che Sir John Eccles una volta definì «di posa critica»… pronti a funzionare. Se uno di essi riesce a superare la soglia, può provocare la scarica di centinaia di migliaia di altri e nel giro di venti millesecondi. Il campo pulsante doveva fornire una spina in un modo sufficientemente selettiva da offrire all’operatore un’idea di ciò che avveniva nel cervello del Boia. E viceversa. Il Boia doveva avere inserita una versione del medesimo meccanismo. Si pensò anche che ciò potesse servire ad umanizzarlo un po’, così da permettergli di apprezzare meglio il significato del suo lavoro e instillargli doti quali la lealtà, si potrebbe dire.
— Pensi che questo elemento possa aver contribuito al fallimento del progetto?
— È possibile. Come si può dire qualcosa in una situazione peculiare del genere? Se vuoi un’ipotesi, io direi: «Si», ma è solo ipotesi.
— Uh-huh — disse — e quali sono le sue capacità fisiche?
— Struttura antropomorfa — dissi — sia perché in origine era un telefattore, sia a causa dei ragionamenti psicologici di cui ti parlavo. Poteva pilotare il suo piccolo vascello. Non c’era bisogno di un sistema di sostegno vitale, naturalmente. Sia il Boia che il vascello erano riforniti di unità di fissione, cosicché le fonti energetiche non costituivano un problema concreto. Autoriparante. Capace di eseguire una grande varietà di prove e misurazioni sofisticate, di effettuare osservazioni, di completare rapporti, di imparare nuovi sistemi, di ritrasmettere qui le sue scoperte. Capace di sopravvivere quasi in qualsiasi condizione. In effetti, richiedeva meno energia sui pianeti esterni, a causa del minore lavoro delle unità refrigeranti, per mantenere operativo quel cervello.
— Qual era la sua forza?
— Non ricordo tutti i dati. Forse una dozzina di volte più forte di un uomo, in azioni quali sollevare e spingere.
— Ha esplorato Io ed ha iniziato con Europa.
— Sì.
— Poi ha cominciato a comportarsi in maniera incontrollata, proprio quando pensavamo che avesse realmente imparato il suo lavoro.
— Proprio così — dissi.
— Ha rifiutato un ordine diretto di esplorare Callisto, poi si è diretto verso Urano.
— Sì. Sono passati anni da quando ho letto i rapporti…
— I guasti da allora sono peggiorati. Lunghi periodi di silenzio si sono alternati a conversazioni ingarbugliate. Adesso che ne so di più sulla sua struttura, sembra quasi un uomo che si avvicini alla fine.
— L’analogia regge.
— Ma è riuscito a rimettersi in funzione per un breve periodo. È atterrato su Titania, ed ha iniziato ad inviarci quelli che sembravano rapporti appropriati di osservazione. La cosa è durata solo un breve periodo, però. Poi è tornato ancora una volta irrazionale, ha trasmesso che si stava dirigendo per atterrare direttamente su Urano, e l’ha fatto. Dopo di che non abbiamo più avuto sue notizie. Adesso che mi hai spiegato di quali aggeggi mentali è dotato capisco perché uno di questi potrebbe ritrovarsi a non funzionare più.
— Non capisco.
— Io sì.
Mi strinsi nelle spalle. — Sono passati ormai vent’anni — dissi. — E come ho detto, è passato molto tempo dall’ultima volta che ho letto qualcosa in proposito.
— La nave del Boia si è schiantata o è atterrata, a seconda dei casi, nel Golfo del Messico due giorni fa.
Mi limitai a fissarlo.