123607.fb2
Sedettero intorno al fuoco, oziando un po’ dopo la colazione.
— Abbiamo esplorato questo piano e i quattro piani superiori — disse il generale di brigata. — E non abbiamo trovato altro che lo schermo grafico e il gruppo statuario. Tutte le stanze sono completamente spoglie. Non c’è neppure un mobile. Non è rimasto niente di niente. Cos’è successo? Fu una ritirata in buon ordine? Gli abitanti si trasferirono altrove portandosi via tutto ciò che possedevano? Oppure la città fu saccheggiata, oggetto per oggetto? Se è così, chi fu a saccheggiarla? Gruppi come il nostro hanno sfasciato i mobili per usarli come legna da ardere? È possibile, perché probabilmente gruppi come il nostro sono passati di qui per molto tempo, forse per millenni. Avrebbero potuto bruciare i mobili, certo, ma il resto… le pentole e i tegami, i piatti, le ceramiche, gli indumenti, i libri, i quadri, i tappeti, tutta la roba che doveva esserci? Forse li hanno portati via come ricordo, ma ne dubito. Non soltanto qui, in questo palazzo dell’amministrazione, ma dovunque abbiamo guardato. Persino quelle che sembrano residenze private sono completamente spogliate.
— La città fu un fallimento — disse il reverendo. — Era una città atea, e quindi fu un fallimento.
— Io credo che lo fosse — disse Sandra, — perché non aveva cuore. Non c’è traccia d’arte, escluso il piccolo gruppo statuario che abbiamo trovato. Un popolo insensibile, senza cuore, che non concedeva spazio all’arte.
— Quando se ne andarono — disse il generale di brigata, — forse si portarono via le loro opere d’arte. Oppure le presero altri, venuti qui più tardi.
— Forse la città non fu creata come abitato permanente — disse Mary. — Forse non era niente altro che una specie d’accampamento. Un luogo dove sostare mentre attendevano che accadesse qualcosa, un avvenimento che doveva compiersi…
— Se è così — disse il generale di brigata, — hanno costruito molto bene. Non ho mai sentito parlare di un accampamento edificato in pietra e tanto solido. E un’altra cosa che mi sconcerta è il fatto che non aveva difese di nessun genere. In un posto come questo, costruito tanto tempo fa, dovrebbe esserci un sistema difensivo di mura. C’è qualche muro basso qua e là, che delinea il perimetro della città; ma non sono continui, e non avrebbero avuto utilità per la difesa.
— Ci stiamo abbandonando alle allucinazioni — disse il reverendo. — Finora non abbiamo trovato nulla che getti luce sulla ragione della nostra presenza qui. Non abbiamo trovato niente intorno al cubo e non abbiamo trovato niente nella città.
— Forse nessuno di noi ha guardato come avrebbe dovuto — disse Jurgens.
— Dubito che ci sia qualcosa da trovare — disse il reverendo. — Credo che siamo qui per il capriccio irresponsabile di…
— Non posso crederlo — disse il generale di brigata. — Ogni azione deve avere una causa. Nell’universo non possono esserci azioni immotivate.
— Ne è sicuro? — chiese il reverendo.
— Mi sembra ragionevole che sia così. Lei si arrende con troppa facilità, reverendo. Ma io non sono disposto a farlo. Ho intenzione di passare la città al pettine fitto, prima di abbandonare la ricerca. C’è ancora il sotterraneo di questo edificio, e dovremo andare a vederlo. Se non ci troveremo niente, dovremo esplorare altri obiettivi selezionati.
— Come può essere certo che la soluzione sia qui? — chiese Lansing. — Debbono esserci altri posti, in questo mondo.
— Perché questa città è il posto più logico. Una città è sempre il centro di una civiltà, è il perno degli avvenimenti. La soluzione si può trovare dove c’è una concentrazione di gente e di installazioni.
— In questo caso — disse Jurgens, — dovremo muoverci e cercare.
— Hai ragione, Jurgens — disse il generale di brigata. — Scenderemo a fare una ricognizione nel sotterraneo; se non troveremo niente, e tra parentesi sono quasi sicuro che sarà così, allora prenderemo in esame la situazione e decideremo sul da farsi.
— È meglio che prendiamo tutti le torce elettriche — suggerì Sandra. — Sarà molto buio, là sotto. Il resto dell’edificio è già abbastanza buio; nelle cantine sarà anche peggio.
Il reverendo precedette gli altri giù per l’ampia scala. Quando arrivarono in fondo s’intrupparono istintivamente, guardando nella tenebra, e puntarono di qua e di là i raggi delle torce elettriche, rivelando corridoi e vani privi di porta.
— Dividiamoci — disse il generale di brigata, assumendo il comando. — E disperdiamoci. In questo modo esploreremo una zona più ampia. Se qualcuno trova qualcosa, chiamerà gli altri. Dividiamoci a due per due. Lansing, vada con Jurgens lungo il corridoio di sinistra. Mary e il reverendo esploreranno quello centrale; io e Sandra ci addentreremo in quello di destra. Ogni coppia userà una sola torcia elettrica, per economizzare le batterie. Ci ritroveremo qui.
Dal modo in cui l’aveva detto, il generale di brigata prevedeva che sarebbe tornato presto.
Nessuno fece obiezioni. Si erano abituati a sentirlo dare ordini. Si avviarono lungo i corridoi assegnati.
Jurgens e Lansing trovarono le mappe nella quarta stanza che visitarono. Sarebbe stato facile andarsene senza vederle. Il sotterraneo era molto deprimente. C’era polvere dappertutto. Mentre camminavano si sollevava a sbuffi sotto i loro piedi e restava in sospensione nell’aria. Aveva un odore secco, arido. Penetrava nelle narici di Lansing e lo faceva sternutire.
Avevano dato un’occhiata alla quarta stanza e, come tutte le altre, era vuota completamente. Mentre tornavano verso la porta, preparandosi a passare nella camera accanto, Jurgens girò un’ultima volta il fascio di luce sul pavimento.
— Ehi, un attimo — disse. — Non c’è qualcosa, là?
Lansing guardò. Nel cerchio di luce scorse qualcosa d’indistinto, di scuro.
— Probabilmente non è nulla — disse. Non vedeva l’ora di concludere l’esplorazione del sotterraneo. — È soltanto un’irregolarità del pavimento.
Jurgens si chinò in avanti, puntellandosi con la gruccia. — È meglio assicurarcene — disse.
Lansing restò a guardare mentre Jurgens si dirigeva verso l’oggetto. Tenendosi in equilibrio instabile, il robot tese la gruccia per muoverlo. L’oggetto si rovesciò. Dal grigiore della polvere emerse qualcosa di bianco.
— Abbiamo trovato qualcosa — disse Jurgens. — Sembra carta. Forse è un libro.
Lansing si affrettò a raggiungere il robot, s’inginocchiò e cercò di togliere la polvere da ciò che Jurgens aveva scoperto. Il tentativo non riuscì molto bene. Prese l’oggetto e lo scosse. La polvere vortice nell’aria, soffocandolo.
— Usciamo — disse. — Troviamo un posto più adatto per guardarlo.
— Non ha preso tutto — disse Jurgens. — Ce n’è un’altro là. Mezzo metro più a sinistra.
Lansing si chinò e lo prese.
— È tutto?
— Credo di sì. Non vedo niente altro.
Tornarono in fretta nel corridoio.
— Tienimi vicina la torcia — disse Lansing. — Vediamo che cos’è.
Un esame più attento rivelò quattro fogli piegati… carta o forse plastica. Era difficile capire esattamente che cosa fossero, sotto quella crosta di polvere. Lansing infilò tre dei fogli in una tasca della giacca e aprì l’altro. Le piegature erano numerose e rigide, e opponevano resistenza. Finalmente anche l’ultima cedette, e Lansing si trovò in mano il foglio spiegato. Jurgens vi puntò il raggio della torcia elettrica.
— Una mappa — disse.
— Forse di questo posto — disse Lansing.
— Può darsi. Dovremmo guardare meglio. Dove c’è più luce.
C’erano linee e segni strani, e accanto ad alcuni segni c’erano file di simboli interconnessi che potevano essere nomi di località.
— Il generale ha detto di chiamare, se avessimo trovato qualcosa.
— Possiamo aspettare — disse Lansing. — Finiamo di esplorare le altre stanze.
— Ma potrebbe essere importante.
— Continuerà ad avere la stessa importanza anche fra un’ora.
Continuarono la ricerca e non trovarono niente. Tutte le camere polverose erano vuote.
A metà del corridoio, mentre ritornavano verso la scala, sentirono in distanza il richiamo d’una voce tonante.
— Qualcuno ha trovato qualcosa — disse Jurgens.
— Sì, credo di sì. Ma dove?
Il grido echeggiava e riecheggiava cavernosamente, nello spazio vuoto del sotterraneo. Sembrava provenire da tutte le direzioni.
Si avviarono in fretta lungo il corridoio e arrivarono ai piedi della scala. Non era ancora possibile determinare la direzione da cui veniva il grido. In certi momenti sembrava giungere dal corridoio che avevano appena lasciato.
In fondo al corridoio di destra scintillava una luce in movimento.
— Il generale e Sandra — disse Jurgens. — Quindi sono stati il reverendo e Mary a trovare qualcosa.
Dopo pochi passi il generale di brigata li raggiunse.
— Siete qui — disse, ansimando. — Allora quello che grida è il reverendo. Non riuscivamo a capire da dove venisse la voce.
Tutti e quattro si avviarono insieme lungo il corridoio centrale. Arrivarono in fondo e irruppero in una stanza molto più grande di quelle che avevano esplorato Jurgens e Lansing.
— Può smettere di miagolare, adesso — disse il generale di brigata. — Siamo qui. Cos’è tutto questo chiasso?
— Abbiamo trovato le porte — urlò il reverendo, — le mostreremo cosa sono. Porte di un altro genere.
Lansing si fermò accanto a Mary e vide, lungo la parete di fondo della stanza, una fila di luci circolari… Non la luce accecante delle torce elettriche e neppure quella rossa e palpitante di un fuoco: era la luce del sole. E tutte erano allineate all’altezza della testa, rispetto al pavimento.
Mary gli strinse il braccio destro con tutte due le mani.
— Edward — disse con voce tremante, — abbiamo trovato altri mondi.
— Altri mondi? — ripeté lui, stordito.
— Ci sono le porte — disse Mary, — e gli spioncini. Se guardi dagli spioncini, vedi gli altri mondi.
Lo tirò per il braccio; senza capire bene come stessero le cose, Lansing la seguì davanti a uno dei cerchi luminosi. — Guarda — disse lei, affascinata. — Guarda e vedrai. Questo è il mondo che preferisco. Il più bello.
Lansing si accostò e guardò dallo spioncino.
— Io lo chiamo il mondo dei fiori di melo — disse Mary. — Il mondo dell’uccellino azzurro.
E Lansing vide.
Il mondo si estendeva davanti a lui, ed era sereno e dolce, con un’immensa distesa d’erba, di un verde quasi risplendente. Un ruscello scintillante scorreva in mezzo al prato, a una certa distanza, e Lansing vide che l’erba era costellata da fiori celesti e giallo-tenero. I fiori gialli sembravano asfodeli cullati dalla brezza. Quelli azzurri, meno alti e seminascosti tra l’erba, lo guardavano come occhi intimiditi. Su una collina lontana c’era un gruppo di alberelli rosa, completamente avvolti nell’incredibile manto rosato dei fiori.
— Meli selvatici — disse Mary. — I meli selvatici hanno i fiori rosa.
Quel mondo irradiava un senso di freschezza, come se fosse nato da pochi minuti… lavato da una gentile pioggia di primavera, asciugato e spazzolato da una brezza premurosa, lustrato dai raggi d’un sole dolce.
Non si vedeva altro che il prato verde costellato d’un milione di fiori, il ruscello che scorreva scintillante e il rosa dei meli sulla collina. Era un luogo privo di complicazioni, un luogo tutto semplicità. Ma era abbastanza, si disse Lansing: aveva tutto ciò che era necessario.
Distolse il viso dallo spioncino per guardare Mary.
— È incantevole — disse.
— Lo penso anch’io — disse il reverendo. Per la prima volta da quando l’aveva incontrato, Lansing vide che gli angoli della bocca non erano incurvati verso il basso. La faccia perpetuamente ansiosa e perplessa era serena.
— Certi altri — disse con un brivido. — Certi altri, ma questo…
Lansing osservò la porta in cui era situato lo spioncino e vide che era un po’ più grande di un uscio comune, e sembrava di metallo molto pesante. I cardini erano strutturati in modo che si aprisse verso l’esterno, nell’altro mondo, e per tenerla bloccata era fissata da massicce alette di metallo. Le alette erano trattenute da robusti bulloni inseriti nel muro.
— Questo è solo uno dei vari mondi — disse Lansing. — Gli altri come sono?
— Molto diversi — rispose Mary. — Vai a vederli.
Lansing guardò da un altro spioncino. Mostrava una scena artica… un’immane distesa di neve, il velo d’una tormenta furiosa. Nelle pause momentanee tra i vortici si scorgeva lo splendore crudele d’un ghiacciaio torreggiante. Lansing rabbrividì, sebbene quel freddo non lo toccasse. Non c’era segno di vita: non si muoveva nulla, tranne la neve turbinante.
Il terzo spioncino gli mostrò un spoglia superficie rocciosa, parzialmente nascosta da mucchi di sabbia. I minuscoli pezzi di ghiaia, sulla superficie, sembravano animati d’una vita propria. Rotolavano di qua e di là, sospinti dalla violenza del vento che sollevava la sabbia. Non si vedeva nulla, se non in primo piano: l’orizzonte era invisibile. La sabbia portata dal vento cancellava ogni profondità di percezione in una foschia giallastra.
— Sì, vedi — disse Mary, che aveva seguito Lansing.
Il quarto spioncino rivelava un luogo feroce e famelico, una giungla acquatica in cui nuotavano e strisciavano e zampettavano innumerevoli predatori. Per un momento Lansing non riuscì a distinguere quegli elementi vivi: ricevette soltanto l’impressione d’un movimento convulso. Poi, a poco a poco, incominciò a differenziare ciò che vedeva… i divoratori e i divorati, le contese e le lotte, la fame e la furtività. Erano esseri come non ne aveva mai veduti… corpi contorti, fauci enormi, appendici sferzanti, zanne acuminate, artigli fulminei, occhi lucenti.
Voltò le spalle alla porta, nauseato, con lo stomaco sottosopra. Si passò una mano sul volto, come per scacciare l’odio e il ribrezzo.
— Non sono stata capace di guardarlo — disse Mary. — Ho dato solo un’occhiata.
Anche Lansing provava l’impulso di rattrappirsi, di farsi più piccolo per nascondersi, mentre la pelle gli si aggricciava.
— Non pensarci più — disse Mary. — Cancellalo. È colpa mia. Avrei dovuto avvertirti.
— E gli altri? Ce ne sono altri orrendi come questo?
— No, è il peggiore — disse Mary.
— Guardi questo — disse il generale di brigata. — Non ho mai visto niente di simile.
Si scostò per lasciare che Lansing potesse scrutare dallo spioncino. Il terreno era accidentato: non c’era un solo tratto pianeggiante, e Lansing impiegò qualche secondo per comprenderne la ragione. Poi vide che l’intera superficie di quel luogo (se esisteva una superficie) era coperta da piramidi che arrivavano all’altezza della cintura, con le basi esattamente unite. Era impossibile capire se le piramidi erano naturali o se qualcuno le aveva costruite, per chissà quale ragione. Ognuna terminava in una punta aguzza. Se un intruso avesse cercato di addentrarsi in quel labirinto, avrebbe avuto molte probabilità di finire impalato.
— Debbo riconoscere — disse il generale di brigata, — che è lo sbarramento più efficiente che abbia mai avuto modo di vedere. Anche un mezzo corazzato incontrerebbe parecchie difficoltà a passare.
— Pensa davvero che lo sia? — chiese Mary. — Una fortificazione?
— Può darsi — rispose il generale di brigata. — Ma non è logico. Non mi sembra che difenda una roccaforte.
Era vero. Si poteva vedere soltanto la distesa di piramidi: continuavano fino all’orizzonte e non c’era niente altro.
— Credo — disse Lansing, — che non sapremo mai che cos’è in realtà.
Dietro di loro, il reverendo disse: — Un modo per scoprirlo c’è. Basta sbullonare le alette, aprire la porta ed entrare…
— No — insistette in tono deciso il generale di brigata. — È l’unica cosa che non possiamo arrischiarci a fare. Può darsi che le porte siano trappole. Se se ne apre una e si muove un passo oltre la soglia, probabilmente si scopre che la porta non c’è più, che si è entrati in quel mondo senza la possibilità di tornare indietro.
— Lei non si fida mai di niente — obiettò il reverendo. — Dice che tutto è una trappola.
— È la mia mentalità militare — disse il generale di brigata. — E mi è molto utile. Mi ha evitato molte mosse stupide.
— Ce n’è ancora una — disse Mary a Lansing. — Ed è la più triste. Non chiedermi perché è triste: lo è, e basta.
Era veramente triste. Appoggiando il viso allo spioncino, Lansing vide l’oscurità fonda d’una valletta boscosa. Gli alberi che crescevano sui pendii intorno alla valletta erano angolosi e deformi… sembravano uomini vecchissimi e zoppicanti, sebbene non vi fosse alcun movimento, e non vi fosse un filo di vento ad agitare le fronde. E questo, pensò Lansing, poteva essere una parte della tristezza: esseri così pietrificati in eterno nella sofferenza del movimento. Tra gli alberi spiccavano macigni muscosi, profondamente incassati nel suolo, e sul fondo del burrone, Lansing lo sentiva, doveva esserci acqua corrente: ma non poteva scorrere con un mormorio lieto. Eppure non riusciva a individuare la tristezza di quella scena… era deprimente, sì, un luogo deprimente, ma perché doveva essere tanto triste?
Si staccò dallo spioncino e guardò Mary. Lei scosse la testa. — Non chiederlo a me — disse. Non ne ho idea.