123632.fb2 Il mangiatore danime - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 10

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Lodin XI somigliava a Punto Nord come un cannone a laser somiglia a una fionda. La prima avvisaglia della sua complessità erano le stazioni di rifornimento orbitanti. Nessun mondo di città commerciali della frontiera galattica possedeva i mezzi, e il volume di affari, per creare strutture così complesse e proprio per questo la Deathmaker, come quasi tutte le navi di frontiera, era costruita per atterrare su un pianeta.

Ma i depositi di carburante erano solo il primo indizio della complessità del pianeta. Lodin XI era diviso in diciassette nazioni — cosa inaudita sugli altri mondi di frontiera — e in ogni nazione c’erano da dieci a cinquanta città. All’ultimo censimento risultava che la popolazione umanoide indigena parlava undici lingue diverse e forse più del doppio di dialetti. Democrazia, repubblica, monarchia e dittatura convivevano fianco a fianco senza apparente discordia. Anche l’uomo aveva costruito su Lodin XI centri di affari e di abitazione tanto da costituire attualmente il quattro per cento della popolazione totale.

L’urbanistica era… aliena, apparentemente priva di una progressione logica. Dove ci si aspettava che una strada si allargasse invece spariva. Alcuni edifici a un solo piano erano completamente trasparenti, mentre parecchi grattacieli erano privi di finestre. Enormi magazzini e fabbriche spuntavano in mezzo a disordinati centri residenziali, che a loro volta sconfinavano in un aeroporto o in uno zoo. In mezzo a questa confusione architettonica c’erano a tratti ampie zone in cui nessuno si era preoccupato di costruire. Cerano viali che serpeggiavano collegando zone che non avevano niente a che fare tra loro, mentre alcuni fra i più importanti edifici pubblici avevano come unico accesso un brullo deserto.

Lane lasciò la sua nave a Portolibero, una colonia umana alla periferia di Belarba, il più grande centro commerciale del pianeta, e passò il resto della giornata a occuparsi della sistemazione dei suoi animali, giungendo alla conclusione che il costo di spedizione dell’intero carico sarebbe stato inferiore a quello che avrebbero chiesto i conciatori e gli imbalsamatoli del posto. Calcolò che sarebbe occorsa almeno una settimana prima che fossero pronti tutti i documenti e si mise alla ricerca di un alloggio.

Portolibero era una città di 150.000 abitanti e quindi non era facile trovare un emporio dove si trattava ogni genere di affari come quello di Tchaka. Lane scelse l’albergo più imponente e lussuoso, ma quando gli dissero che non avrebbe potuto tenere il Mufti in camera andò alla ricerca di un altro meno lussuoso e con meno restrizioni.

Ma a quanto pareva le restrizioni erano all’ordine del giorno. Nessun Lodonite aveva libero accesso a Portolibero senza documenti d’identità incredibilmente complessi, ed essi rispondevano per le rime sia nei riguardi degli umani e — anche se con minor severità — sia in quelli degli abitanti delle numerose colonie di esseri d’altri mondi che si erano stabiliti nei dintorni.

C’era una specie di terra di nessuno, un settore internazionale — o meglio interplanetario — fra Portolibero e Belarba, composto in massima parte di centri culturali, ristoranti e frequentato da uomini d’affari che trafficavano nel mercato nero. Correva voce che lì si potesse comprare uno schiavo di qualsiasi razza della galassia; nessuno prendeva sul serio questa diceria, il che indubbiamente spiegava il motivo per cui sia diceria sia traffico continuassero a persistere.

Lane aveva molto tempo libero, e così decise di visitare quella terra di nessuno per vedere cosa poteva offrirgli. Per prima cosa, come sempre andò al museo, dove erano esposte, perfettamente imbalsamate, centinaia e centinaia di creature esotiche, quasi tutte uccise da uomini come lui per saziare la curiosità di chi non osava seguirlo quando varcava i limiti della frontiera.

La prima bestia che vide fu un Gufo-diavolo. Enorme, cornuto, coi denti che sporgevano in tutte le direzioni, aveva un aspetto veramente satanico. Era stato imbalsamato alla perfezione, tuttavia era chiaro che l’imbalsamatore non aveva mai visto uno di quegli animali da vivo. La testa era piegata in modo sbagliato, e le gambe erano completamente distese, cosa che non si verificava quasi mai.

Poi Lane passò all’acquario e si fermò a guardare un paio di Finti Tuffatori, col loro muso squadrato da cui assorbivano l’acqua che poi espellevano dalla parte posteriore dei loro enormi corpi, come motori a reazione, le enormi pinne taglienti come rasoi e la coda che li spingeva a rapidità fantastica in mare ed era in grado di tagliare a fette una preda.

Mentre li guardava si chiese se non era matto chi andava a dargli la caccia nel fondo di un mare opaco e denso dove la visibilità era quasi nulla o non c’era facilità di manovra.

La targa, scritta nelle otto principali lingue di Lodin XI, oltre al Terrestre e al Canphorite, diceva:

FINTI TUFFATORI

Carnivori originari di Pinnipes II, solitamente reperibili alla profondità di un chilometro e più. Questa coppia è stata uccisa da Nicobar Lane, razza umana, anno 4062 E. G.

Lane scosse la testa stupito chiedendosi come fosse riuscito a sopravvivere a quell’incontro.

Passò poi nella sala degli Esseri Intelligenti, dove numerosi indizi rivelavano che nessuno degli esemplari era stato ucciso dai cacciatori, ma che tutti erano stati spontaneamente regalati al museo dai mondi d’origine dei defunti. La vetrina destinata all’Uomo era vuota, e quella degli abitanti di Lodin XI mostrava una scena in cui tutti i protagonisti erano vestiti, mentre gli altri esemplari — una cinquantina e più — erano nudi.

Lane continuò a camminare e di tanto in tanto vide altre vetrine vuote. Alcune recavano cartelli che spiegavano come il museo fosse in attesa dell’esemplare che doveva contenere.

Su una, enorme, larga una sessantina di metri e alta la metà, il cartello diceva: RISERVATO ALLA BESTIA DEI SOGNI.

Lane si chiese se la direzione del museo avesse la più pallida idea delle dimensioni e della natura di quell’essere, e giunse alla conclusione che si trattava di un trucco pubblicitario quando s’imbatté in altre vetrine destinate ad altrettante fantastiche creature.

Uscito dal museo si recò alla galleria d’arte poco lontana, lungo una strada che si allargava e si stringeva senza motivo apparente con un seguito di curve altrettanto inspiegabili.

L’imbalsamazione non variava da mondo a mondo, ma l’arte era un’altra cosa. I Lodoniti non dipingevano, e quasi tutta la loro produzione consisteva in bassorilievi non proprio astratti ma diversi da qualsiasi cosa Lane avesse mai visto. I colori erano piuttosto monotoni e noiosi, ma c’era da aspettarselo in una razza il cui spettro dei colori andava solo dal giallo al blu. Lane sostò qualche minuto cercando di capire il senso dei bassorilievi, ma alla fine ci rinunciò e passò alla sezione dedicata alle creazioni artistiche dell’uomo.

C’erano i soliti paesaggi, le solite marine, i panorami spaziali, i nudi prosperosi, le nature morte, le imitazioni delle sculture di Michelangelo (il Rinascimento stava tornando di moda nel sistema Deluros, e questo voleva dire che presto molti altri mondi l’avrebbero imitato).

Lane si stancò presto. Tavole e tele non lo interessavano più degli animali imbalsamati, e decise che ne aveva abbastanza.

Passò il resto del pomeriggio e i due giorni seguenti nella biblioteca cercando senza successo di scovare qualche altra informazione sullo Spazzastelle. Passò un’altra giornata a scartabellare nelle due librerie, una moderna e una antiquaria di Portolibero, ma senza risultato.

Tornato in albergo trovò un radiomessaggio di un cliente, Blessfull, che protestava perché gli esemplari che lui gli aveva mandato erano in pessime condizioni. Quattro animali erano in stato di avanzata decomposizione e finché non fossero stati sostituiti non l’avrebbe pagato. Lane accusò ricevuta del messaggio, poi ne inviò uno al suo avvocato dandogli istruzione perché si facesse pagare da Blessfull l’importo per sette esemplari intatti e controllasse le condizioni degli altri quattro.

Poi, seccato e nervoso, tornò nella terra di nessuno con l’intenzione di svagarsi. Non trovò niente che lo attirasse, così si recò da un tizio che trafficava nel mercato nero e comprò da lui i documenti falsi che gli permettevano l’ingresso a Belarba.

Il sole era appena tramontato quando entrò nella città indigena. Non sapeva nemmeno lui cosa si fosse aspettato: forse quartieri esotici come aveva visto in altri mondi di frontiera, mentre Belarba era una città qualsiasi, diversa, sì, ma non nel modo che aveva pensato.

Per prima cosa notò gli sguardi palesemente ostili che molti gli rivolgevano mentre bighellonava per le vie. Si fermò in un ristorante indigeno e, non essendo in grado di leggere il menu poiché non conosceva i caratteri della lingua locale, con grande imbarazzo fece capire al cameriere di portargli quello che meglio credeva. Si sentiva molto a disagio aspettando su una sedia disegnata per esseri il cui grasso era concentrato solo nelle natiche e che avevano i gomiti all’altezza delle spalle. I braccioli della seggiola lo chiudevano quasi in gabbia, gli doleva la schiena e aveva le gambe intorpidite. Diede appena un’occhiata alle vivande che un ragazzotto imbronciato depose finalmente con malagrazia sul tavolo, pagò il conto e uscì, senza aver mangiato un boccone.

Poi entrò in un bar. Il liquore era discreto ma molto leggero, e quando Lane vide che un paio di indigeni dall’aria poco rassicurante gli si stavano avvicinando, preferì tagliare la corda, dopo di che si limitò a vagare per le strade, cercando di capire le mentalità che aveva creato quegli edifici e quelle vie così assurdi. Pareva un brutto sogno. I Lodiniti erano abbastanza simili agli uomini perché le loro costruzioni e i loro manufatti avessero una somiglianza superficiale con quelli cui lui era abituato, ma osservandoli attentamente parevano il frutto di una mente folle. C’erano case prive di ingresso, negozi che praticamente regalavano la loro mercanzia a chiunque la osservasse con interesse, fabbriche che costruivano piccoli congegni di legno e di metallo apparentemente inutili.

Finalmente rinunciò a capirci qualcosa e decise di tornare nella terra di nessuno, e fu allora che scoprì come il cacciatore che si era avventurato attraverso giungle di pianeti sconosciuti, adesso si fosse perduto.

Vagò per due ore lungo vie tortuose che tornavano dopo molte giravolte al punto di partenza, oppure terminavano davanti a una casa o in aperta campagna. Infine vide dall’altra parte della strada un uomo e, pieno di vergogna, gli spiegò il suo problema.

— Chiedete a un Lodinite — gli rispose l’uomo.

— Non posso, non conosco la lingua.

— E allora come avete ottenuto il permesso… oppure? — Si rabbuiò. — Sapete che è un reato entrare illlegalmente a Belarba, vero?

— Sì, lo so, ma cercate di capirmi. Tutto quello che voglio sapere è come uscire da questa gabbia di matti.

Le istruzioni furono molto complesse perché Lane si era allontanato parecchio dalla terra di nessuno, e solo a giorno fatto trovò la strada dell’albergo.

Dormì per tutto il resto della giornata tormentato dai soliti incubi, e si svegliò mentre calava la sera. Si rase, fece una doccia, si vestì e dopo aver ordinato che gli portassero in camera una bottiglia di cognac Cygniano, si mise a sedere sul letto, indeciso sul da farsi.

Non aveva ancora visitato un locale, dove a quanto si diceva davano spettacoli di varietà molto audaci, non aveva messo piede né in una fumeria né in un bordello, ma queste prospettive non lo attiravano. Dalla finestra della stanza lo sguardo spaziava fino al deserto rosso al di là della periferia. Lane rimase a guardare per un po’ il panorama, poi alzò gli occhi verso il cielo.

La creatura era lassù, si cibava di polvere cosmica, emanava una opaca luminosità rosso-arancione, e si spostava senza difficoltà nel vuoto. A suo modo era bella, e dotata di un immenso potere. Non certo quello di smuovere le montagne, costruire città o distruggere pianeti, quel tipo di potere era riservato all’uomo; ciononostante era potente, aveva la facoltà di assimilare un milione di morti e sbatterle in faccia al suo assalitore, il potere di ritorcere le minacce a chi lo minacciava. Nessun uomo che avesse provato questo poteva voler ripetere l’esperienza.

E con una sincerità quasi dolorosa, Lane finalmente capì quel che sapeva da mesi, e ne gioì.