123635.fb2 Il mattatore - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 6

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L’impiegato abbassò un altro interruttore. Il manichino si alzò lentamente, castamente nudo come quello di una vetrina. Sempre sorridendo a Thorny, il manichino ebbe un sussulto e digrignò i denti.

— La fermi! — urlò con voce rauca.

— Che ti piglia, amico?

Thorny udì scattare un altro interruttore. Il manichino si stirò graziosamente e sbadigliò. Si sdraiò di nuovo nella cassa, chiuse gli occhi e incrociò le mani sul seno. Il ronzio tacque.

— Che le rode? — brontolò l’impiegato, sbattendo di nuovo il coperchio sulla cassa. — Sta male o che cosa?

— La… la conoscevo — ansimò Ryan Thornier. — Ero abituato a lavorare… — Si scosse con rabbia e afferrò l’imballaggio.

— Aspetti, le do una mano.

La rabbia gli risvegliò nuove forze. Alzò senza aiuto la cassa, la mise sul carrello e poi la caricò sul camion. Dopo tornò indietro per scarabocchiare il suo nome sul modulo assicurativo.

— Lei se la prende troppo calda — brontolò l’impiegato. — È meglio che si calmi, davvero, meglio che si calmi.

Thornier, mentre si inseriva con il camion nel fiume del traffico, imprecò a bassa voce. Forse Giada aveva pensato che fosse divertente mandarlo a prendere il manichino di Mila. Giada ricordava come era andata tra loro due… se pure si era data la pena di pensarci. Thornier e Stone… una coppia che aveva costantemente richiamato ai vecchi tempi l’attenzione di giornalisti pettegoli. Voci di fidanzamento, voci di un matrimonio segreto, voci di litigi e riconciliazioni, di divisioni e riunioni, e alcune di queste voci erano state abbastanza vere. Forse Giada aveva pensato che fosse veramente un’idea geniale mandarlo a ritirare il manichino.

Ma no… la rabbia gli sbollì mentre percorreva il viale… lei non ci aveva pensato. Probabilmente si era sforzata di non pensare mai più ai vecchi tempi.

Di nuovo la tristezza gli ripiombò addosso, sostituendo la rabbia. Era ancora ossessionato da quella sensazione di orrore provata nel vederla alzarsi come un cadavere risvegliato e sorridergli. Mila… Mila…

Erano stati bene insieme, e male anche. Piccole parti e fagioli mangiati in un appartamento gelido. Parti di primo piano e bistecche da Sardi’s. E poi… amore? Era proprio questo? Ci pensò a disagio. Un’attrazione ipnotica l’uno per l’altra, forse, nella reciproca intossicazione del loro successo… ma non era stato necessariamente amore. L’amore era calma, unicità e durata, e lo si paga dedicandovi la propria vita: Mila non aveva voluto pagare. Li aveva calpestati. Se n’era andata alla Smithfield e aveva acquistato la sicurezza sacrificando i princìpi. C’era un nome per definire quello che aveva fatto. «Crumiro» dicevano.

Si riscosse. Non andava bene pensare a quei tempi. Il tempo muore con il passato di ogni minuto. Ora la gente pagava 8 dollari e 80 per guardare il pupazzo di Mila, che si muoveva come Mila, aveva la sua faccia, gli stessi gesti e camminava con la stessa andatura leggera. E il manichino era sempre giovane, mentre Mila era invecchiata di dieci anni, anni passati a raccogliere le percentuali trimestrali sui suoi manichini e a vivere comodamente.

I grandi attori immortali, era uno dei brevi slogan della Smithfield. Ma l’impiegato aveva détto che vi era una produzione discontinua dei manichini di Mila Stone. Sovrapproduzione.

La promessa di una relativa immortalità non era stata che un’esca. I sindacati degli attori avevano resistito all’autodramma, perché ovviamente per i generici e quelli poco noti non ci sarebbero state richieste. Costruendo dozzine, anche centinaia, di copie dello stesso attore, si sarebbero potuti avere attori di talento per ogni parte; e il manichino di un solo attore avrebbe potuto recitare contemporaneamente dozzine di parti in tutto il paese. I sindacati avevano resistito, ma pochi comunque venivano richiesti dalla Smithfield, e l’esca era molto attraente. La promessa di altissime percentuali era abbastanza allettante e inoltre… immortalità per l’attore, tramite la duplicazione dei manichini. Autori, artisti, commediografi erano sempre riusciti a sopravvivere al loro secolo, ma gli attori venivano ricordati soltanto da quelli del mestiere e i loro nomi brevemente citati negli annali del teatro. Shakespeare avrebbe vissuto ancora un migliaio di anni, ma chi si ricordava di Dick Burbage che aveva una compagnia ai tempi del Bardo? Carne e ossa, cuore e cervello, questi erano gli strumenti dei commedianti e la loro arte non poteva sopravvivere a questi strumenti.

Thorny conosceva la brama di sopravvivere e non se la sentiva di odiare coloro che si erano arresi. Per quanto lo riguardava, l’industria dell’autodramma gli aveva fatto un’offerta tentatrice, ma lui aveva resistito in parte perché era ragionevolmente certo che l’offerta sarebbe stata ritirata durante la procedura delle prove. Alcuni attori non erano “cibergenici”; non potevano essere adeguatamente schematizzati nei facsimili elettrorobotici. Questi erano gli intimisti, la cui arte era rivolta all’intimo e le cui parti dovevano venir vissute più che recitate. Nessun facsimile poligrafico avrebbe potuto registrare il loro talento e Thornier sapeva di essere uno di loro. Gli era stato facile resistere.

All’angolo dell’Ottava Strada, si ricordò del nastro di riserva e della testina magnetica per il Maestro. Ma se fosse tornato indietro subito, avrebbe ritardato la prova e Giada si sarebbe infuriata. Si prese mentalmente a calci e guidò il camion verso l’entrata di servizio del teatro. Lasciò il manichino imballato ai macchinisti e ritornò al deposito senza aver visto l’impresario.

— Ehi, amico — disse l’impiegato — il tuo capo ha telefonato. Sembrava piuttosto infelice.

— Chi… D’Uccia?

— No… be’, sì, anche D’Uccia. Ma lui non era infelice, solo un attacco di nervi. Volevo dire la signorina Ferne.

— Oh… dov’è il telefono?

— Da quella parte. La signorina era quasi isterica.

Thorny deglutì con fatica e si diresse verso la cabina. Giada Ferne era una buona amica, ma se la sua sbadataggine le avesse mandato all’aria il programma…

— Ho già preparato il nastro e la testina magnetica — gli gridò dietro l’impiegato. — Me lo ha detto la signorina quando ha telefonato. Amico, lei è davvero nel pallone oggi… eh sì, un bel po’ nel pallone.

Thorny si sentì avvampare e formò il numero nervosamente.

— Grazie a Dio — si lamentò Giada. — Thorny, abbiamo fatto la prova con Andreyev che sembrava uno zombie. Il Maestro si è mangiato la copia del nastro di Peltier e stiamo andando avanti senza l’analogico di uno dei protagonisti. Pupo, ti ammazzerei!

— Mi dispiace, Giada. Credo d’essere un po’ sfasato.

— Non importa. Sbrigati a portare il meccanismo magnetico per Thomas e il nastro di Peltier. E non naufragare. Sono le due e stasera c’è la “prima” e non abbiamo ancora il protagonista. E non abbiamo neppure il tempo di far arrivare i ricambi in aereo dalla Smithfield.

— In un certo senso, niente è cambiato, vero, Giada? — brontolò, pensando all’eterno isterismo che regnava dietro le quinte e che durava fino a quando le luci si spegnevano mentre, miracolosamente, dal caos prevalente nascevano bellezza e calma.

— Non filosofeggiare, sbrigati a venir qui! — sbottò lei e attaccò.

Quando uscì dalla cabina l’impiegato aveva già preparato i pacchi. — Senta, amico, stia bene attento a questo nastro di Peltier — lo avvisò. — È l’ultimo disponibile. Ne ho ordinati altri, ma non arriveranno prima di un paio di giorni.

Thornier fissò pensosamente il pacco più piccolo. L’ultimo Peltier?

Il piano, si ricordò del piano. Questo l’avrebbe reso più facile. Naturalmente, il piano era solo una fantasia, un sogno vendicativo. Non era possibile attuarlo. Sabotare lo spettacolo sarebbe stata una coltellata per Giada.

Udì la propria voce, come se fosse quella di un altro: — La signorina Ferne mi ha anche detto di prendere un nastro di Wilson Granger e un paio di calettature da tre pollici.

L’impiegato lo guardò sorpreso. — Granger? Non c’è nell’Anarchico, no?

Thornier scosse la testa. — No… credo che lo voglia per una prova. Forse è per il prossimo spettacolo.

L’impiegato si strinse nelle spalle e andò a prendere il nastro e le calettature. Thornier aspettava torturandosi le mani. Naturalmente non aveva intenzione di portarlo fino in fondo: era soltanto un’idea balzana.

— Dovrò fare uno scontrino separato per questi — disse l’impiegato ritornando.

Firmò le bollette di consegna come se fosse in coma, poi salì sul camion. Si allontanò di tre isolati dal magazzino e poi si fermò in un parcheggio. Aprì con cura l’imballaggio dei nastri usando un coltellino, togliendo il nastro adesivo in modo da poterlo rimettere a posto. Tolse dalle loro piccole scatole metalliche i due nastri a schemi perforati, tolse attentamente i sigilli e li mise per il momento nel cruscotto. Srotolò i primi cinquanta centimetri del nastro di Peltier; non era perforato, ma vi erano stampati i dati di identificazione e di fabbricazione. Fortunatamente non si trattava di un nastro nuovo; era già stato usato altre volte e lo si poteva vedere da svariati segni d’usura. Un taglio non avrebbe sollevato sospetti.

Tagliò con il coltello l’etichetta di identificazione e la mise da parte. Poi fece lo stesso lavoro sul nastro di Granger.

Granger era grasso, gioviale, sulla cinquantina: il suo manichino interpretava i caratteri brillanti.

Peltier era giovane, magro, malinconico… il malvagio intellettuale, il fanatico convinto. Una buona scelta per la parte di Andreyev.

Le mani di Thornier si muovevano come per volontà propria, eseguendo automaticamente una parte lungamente provata. Tagliò i nastri; prese una delle scatole delle calettature a caldo e strappò la linguetta che dava il via alla reazione chimica. Aspettò quindici secondi controllando l’orologio poi aprì la scatola e vi inserì il capo tagliato del nastro di Granger e l’etichetta di identificazione di Peltier, li fece attentamente combaciare, poi richiuse la scatola. Quando smise di fumare la aprì per controllare il montaggio. Un taglio netto, ma scarsamente visibile, sul liscio nastro di plastica. L’analogico di Granger classificato come fosse Peltier: e il corpo del manichino era quello di Peltier. Lo rimise nella sua scatola e riapplicò il sigillo.

Cacciò nell’altra scatola il nastro di Peltier, l’etichetta di Granger e la bolla di consegna. Poi guidò il camion fuori dal parcheggio e si inserì nel traffico caotico come un pazzo, fidando nel radar antiurto per uscirne sano e salvo. Mentre attraversava il ponte buttò fuori dal finestrino il nastro Peltier che finì nel fiume. E così non vi era più modo di tornare indietro.

Giada e Feria erano seduti nell’orchestra e stavano guardando l’ultimo atto della prova con un Andreyev imbambolato. Quando Thorny fu al loro fianco, Giada finse di tergersi la fronte dal sudore.

— Grazie a Dio, sei tornato! — gli sussurrò mentre le mostrava gli attesi pacchetti. — Corri tra le quinte e portali a Rick, nella cabina di controllo, ti spiace? Sto impazzendo, Thorny.

— Mi dispiace, signorina Ferne. — Temendo che la sua colpevole agitazione gli si leggesse in faccia, scivolò velocemente dietro le quinte e consegnò i pacchetti a Thomas, nella cabina di controllo. Il tecnico era così intento a controllare il Maestro durante la prova che fece soltanto un breve cenno con la testa e un gesto di saluto.

Thorny si rifugiò in vecchi corridoi polverosi e camerini fuori uso, dove ora si ammucchiavano cianfrusaglie e stracci dei giorni andati. Doveva farsi forza, doveva smetterla di tremare. Girò senza meta nelle zone deserte dell’edificio aprendo vecchie porte per sbirciare in oscuri cubicoli dove grandi dive si erano agghindate in altri tempi, in altre serate. Ora erano pieni di bauli e specchi rotti, tele cerate e manichini rotti. Vi aleggiavano leggeri odori, odori inquietanti, sudore, cerone, un vago profumo che ancora impregnava i muri. Muffa e polvere, l’aroma del tempo. I suoi passi risuonavano sordamente in quelle stanze abbandonate mentre gli echi smorzati delle prove giungevano attraverso le pareti: l’isterica preghiera di Marka, la volgare risata di Piotr, gli stivali in marcia delle guardie rivoluzionarie, un’esplosione di musica verso la fine della scena.

Si voltò bruscamente e si avviò verso il palcoscenico. Era inutile nascondersi così. Doveva comportarsi normalmente, fare quel che faceva di solito. Il nastro manomesso di Peltier non avrebbe provocato il disastro fin dopo la fine della prima prova, quando Thomas l’avrebbe inserito nel Maestro, rimontando la macchina e preparandola per l’inizio della seconda prova. Fino a quel momento doveva agire con naturalezza, ma dopo?…