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— Be’, in ogni modo non devi averne paura — ripeté Nitty.
Poi Mr. Parker spiegò a Little Tib dove pensava fossero le chiavi della porticina laterale, e disse che se non le avesse trovate avrebbe dovuto aprirgli dall’interno la porta principale. Nitty gli chiese se aveva voglia d’ascoltare un po’ la televisione, quindi accesero l’apparecchio su un canale che trasmetteva uno show di musica Western e Country, finché non venne l’ora di andare. Con Nitty che teneva Little Tib per mano i tre s’incamminarono per le strade della città. Il ragazzino avvertiva la tensione nelle dita che stringevano le sue. Sapeva che Nitty stava pensando a ciò che sarebbe stato di loro se qualcuno li avesse scoperti. Sentendo in distanza della musica (non i ritmi Country e Western che aveva trasmesso la televisione) e per distrarre un poco Nitty dalle sue preoccupazioni gli chiese che cosa fosse.
— Quello è il Dr. Prithivi — rispose Nitty. — Sta facendo musica per chiamare gente, così avrà degli spettatori per il suo sermone e per lo spettacolo in costume.
— La sta suonando lui?
— No, è roba che ha registrato. C’è un altoparlante sul tetto dell’autobus.
Little Tib tese gli orecchi. La musica doveva essere piuttosto distante, ma echeggiava come se fosse molto più lontana di quel che era. Quasi che non appartenesse affatto alla città di Martinsburg. Ne domandò a Nitty il motivo.
Fu Mr. Parker a rispondere: — Quella che tu avverti è una lontananza nel tempo, George. La musica indiana per flauto risale, forse, al V secolo prima di Cristo. Oppure anche al XV. È come una creatura antichissima che si è dimenticata di morire, e ancora vaga come un fantasma sulla Terra.
— Ma qui non è mai venuta prima d’ora, vero? — chiese Little Tib. Mr. Parker disse che aveva certo indovinato, e lui osservò: — Allora non può essere poi tanto antica. — Mr. Parker rise, ma Little Tib ripensò al periodo in cui la donna che abitava in fondo alla strada aveva avuto il suo ultimo bambino. Era un esserino fiacco, piccolo e sdentato, come sua nonna, e lui aveva creduto che fosse vecchio. Poi qualcuno gli aveva spiegato che invece era qualcosa di nuovo, e che sarebbe vissuto anche fin dopo che la madre fosse morta di vecchiaia. Si domandò chi altro sarebbe sopravvissuto tanto a lungo… Mr. Parker e il Dr. Prithivi?
Svoltarono un angolo. — È appena un po’ più avanti — mormorò Nitty.
— C’è gente che ci sta guardando, qui?
— Non preoccuparti. Non faremo niente finché c’è gente in vista.
D’improvviso sentì le mani di Mr. Parker che gli tastavano le spalle e i fianchi. — Sì, dovrebbe passare — disse l’uomo, — snello com’è.
Girarono un altro angolo, e sotto i piedi di Little Tib ci furono foglie morte o vecchi giornali. — Certo che è buio, qui — sussurrò Nitty.
— Come vedi — disse Mr. Parker, — nessuno può scoprirci. Ecco, è qui, George. — Prese una mano di Little Tib e la sollevò, facendogli toccare una sbarra. — Allora, ricapitoliamo: attraverso il magazzino, poi attraverso il salone principale, girare a destra, oltrepassare sei porte… almeno, ne ricordo sei, poi giù per una breve rampa di scale. Lì c’è la porta del locale caldaie, e contro il muro alla tua destra troverai il banco del portinaio. Le chiavi devono essere appese a un gancio accanto al banco. Portale qui e dammele. Se non le troverai, torna qui lo stesso e ti dirò come arrivare alla porta principale e aprirla.
— Le chiavi le rimetterà a posto lei? — chiese Little Tib. Stava infilando la gamba sinistra fra le sbarre, cosa che non presentò difficoltà. I suoi fianchi scivolarono dentro, e sentì l’imposta pesante e scrostata ruotare all’interno sotto la pressione del ginocchio.
— Sì, la prima cosa che farò dopo che mi avrai fatto entrare sarà di andare nel locale caldaie a rimettere le chiavi a posto.
— Benissimo — disse Little Tib. Sua madre gli aveva detto che rubare era male, benché da quand’era fuggito di casa avesse più volte sgraffignato del cibo.
Per un poco ebbe paura di strapparsi via un orecchio, poi finalmente la testa passò. Sentì il lieve tonfo della finestra contro la parete, quindi sotto i suoi piedi ci fu il pavimento. Avrebbe voluto chiedere a Mr. Parker dove fosse la porta del suo ufficio, ma questo gli avrebbe forse fatto pensare che aveva paura. Poggiò una mano sul muro, protese l’altro braccio e cominciò ad avanzare a tentoni. Gli sarebbe piaciuto avere il suo bastone, ma in quel momento non riusciva a ricordare dove l’avesse lasciato.
— Permetti che ti faccia strada io.
Era l’ometto dall’aria più buffa che Little Tib avesse visto.
— Io sono molle. Se vado a sbattere contro qualcosa non mi farò male.
Non era per nulla un uomo, pensò Little Tib. Soltanto un vestito raffazzonato, e una testa pitturata in alto sopra di esso. — Perché riesco a vederti? — chiese Little Tib.
— Tu sei al buio, non è così?
— Penso di sì — rispose Little Tib. — Non posso dirlo.
— Infatti. Adesso, quando la gente che ci vede è alla luce, può vedere le cose che le stanno attorno. E quando è al buio non può vederle. È giusto o no?
— Suppongo di sì.
— Ma quando tu sei alla luce, non puoi vedere le cose che sono lì. Perciò è naturale che quando sei al buio tu veda cose che non ci sono. Capisci com’è semplice?
— Sì — disse Little Tib, che non aveva capito affatto.
— Ora te lo dimostro. Guarda: questo lo puoi vedere, e non si tratta certo di una cosa semplice. — Il Vestito-Uomo aveva messo una mano (un vecchio guanto, notò lui) sulla maniglia di una grossa porta metallica, e nell’istante in cui l’aveva toccata anche Little Tib era riuscito a vederla. — È chiusa — disse il Vestito-Uomo.
Little Tib stava ancora riflettendo su quello che l’altro aveva detto prima. — Sei davvero abile — disse al Vestito-Uomo.
— Questo è perché possiedo il miglior cervello del mondo. Mi è stato dato dal grande e potente Stregone in persona.
— Sei più intelligente del computer?
— Molto, molto più intelligente del computer. Ma non so come si apre questa porta.
— Ci hai provato?
— Be’, ho premuto la maniglia… solo che non si muove. E ho cercato di spingere. Questo è provare, suppongo.
— Penso anch’io — disse Little Tib.
— Ah, tu stai pensando… questo è bene. — Little Tib era davanti alla porta, e il Vestito-Uomo si scostò per lasciargliela toccare. — Se tu avessi le pantofole di rubino — continuò, — potresti sbattere i tacchi tre volte, esprimere il desiderio di passare dall’altra parte, e ci saresti in un batter d’occhio. Ma naturalmente tu sei dall’altra parte.
— No, che non ci sono — replicò Little Tib.
— Sì, ci sei — insistette il Vestito-Uomo. — Tu vorresti essere di là: di conseguenza questa è l’altra parte.
— Vorrei — ammise Little Tib. — Però non posso oltrepassare questa porta.
— Non devi farlo, adesso — disse il Vestito-Uomo. — Sei già dall’altra parte. Solo, bada a non inciampare negli scalini.
— Quali scalini? — chiese Little Tib, e nel parlare fece un passo indietro. I suoi calcagni urtarono in qualcosa che non s’era aspettato, e cadde a sedere su qualcos’altro la cui altezza era superiore a quella del pavimento su cui era passato poco prima.
— Questi scalini — rispose con calma il Vestito-Uomo.
Little Tib li stava tastando con le mani. Erano in ruvida pietra con l’orlo metallico, e continuavano ad essere solidi sotto le sue dita come lo erano stati sotto il suo sedere quando vi era caduto. — Non ricordo di essere sceso per questa scala — si lamentò.
— E non l’hai fatto. Ma devi salirla per arrivare alla sala di sopra.
— Quale sala di sopra?
— Quella la cui porta si apre nel corridoio — lo informò il Vestito-Uomo. — Devi passare dal corridoio, girare come ti è stato detto e…
— Lo so — disse Little Tib. — Mr. Parker me l’ha detto e ripetuto. Ma non mi ha parlato di questa porta chiusa, né di questi scalini.
— Dev’essere perché Mr. Parker non si ricorda l’interno di questo edificio esattamente come credeva.