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Era vero. Davanti a Shane il bicchiere era ancora pieno. Dietro di esso, la faccia del barista era magra e curiosa, lo fissava con la curiosità amorale di un furetto.

— Io… — Shane si controllò. Aveva quasi cominciato a spiegare chi era — il che non sarebbe stato prudente. Pochi tra i comuni esseri umani avevano in simpatia i loro simili che erano diventati servitori in qualche casa Aalaag.

— È scosso da quello che ha visto nella piazza, signore? È comprensibile — disse il barista. Si sporse in avanti e sussurrò, — Forse qualcosa di più forte della birra? Da quanto tempo non assaggia un po’ di schnapps?

Il gusto del pericolo si risvegliò nella mente di Shane. Una volta Aalborg era famosa per la sua acquavite, ma questo prima dell’arrivo degli Aalaag. Il barista doveva averlo preso per uno straniero, forse pieno di soldi. Poi all’improvviso Shane si rese conto che non gli importava cosa pensasse il barista, o dove avesse preso il liquore distillato. Era quello di cui aveva bisogno ora — qualcosa di esplosivo per combattere la violenza a cui aveva appena assistito.

— Le costerà dieci… — mormorò il barista.

Dieci unità monetarie erano la paga di un giorno di lavoro per un abile falegname, ma solo una piccola frazione della paga di Shane per le stesse ore lavorative. Gli Aalaag pagavano bene i sudditi delle loro case. Troppo bene, secondo la maggior parte degli altri umani. Questa era una delle ragioni per cui Shane viaggiava per il mondo per conto del suo padrone indossando l’abito povero e dimesso da Pellegrino.

— Va bene — disse. Mise mano alla borsa appesa al cordone che portava intorno alla vita ed estrasse il fermamonete. Il barista si lasciò sfuggire un fischio sommesso.

— Signore — disse, — non vorrà mettersi di questi tempi a sventolare proprio qui dentro quel rotolo, soprattutto un rotolo come quello?

— Grazie. Io… — Shane abbassò il fermamonete sotto la banco mentre sfilava una banconota. — Prendine uno con me.

— Ma certo, sì, signore — disse il barista. I suoi occhi scintillavano come il metallo del toro Cimbriano al sole. — Dato che se lo può permettere…

La sua mano magra si allungò e fece sparire la banconota offertagli da Shane. Si chinò sotto il registratore di cassa e riemerse con due di quei grossi bicchieri, ciascuno pieno per circa un quinto di un liquido incolore. Tenendo i bicchieri tra il suo corpo e quello di Shane, in modo da sottrarli alla vista degli altri clienti, gliene passò uno.

— A giorni migliori — disse, e alzò il bicchiere vuotandolo in un fiato. Shane lo imitò; e l’aspra oleosità del liquore gli fiammeggiò in gola, mozzandogli il respiro. Come aveva sospettato era un liquore grezzo, distillato illegalmente, di gradazione alcolica altissima, che non aveva niente in comune con l’acquavite di una volta, se non il nome. E anche dopo averlo inghiottito, continuò ad infiammare l’interno della sua gola come brace ardente.

Shane prese automaticamente il suo bicchiere di birra ancora pieno per lenire il bruciore. Il barista aveva già tolto i due bicchieri di liquore e si era spostato più in là per servire un altro cliente. Shane inghiottì con sollievo: la densa birra era leggera come acqua dopo il grezzo alcool di contrabbando. Un senso di calore cominciò a diffondersi lentamente nel suo corpo. I ricordi più acuti e dolorosi si smussarono; e sulla scia di questo conforto, stavolta ottenuto senza fatica, riaffiorò la sua fantasticheria consolatrice del Vendicatore. Il Vendicatore, si disse, era stato là nella piazza durante le esecuzioni senza farsi notare, e adesso era in attesa di qualche luogo dove poter assalire gli Aalaag, padre e figlio, per poi fuggire prima che si potesse chiamare la polizia. Aveva in mano una bacchetta nera e dorata, rubata da un arsenale Aalaag, e attendeva accanto ad una finestra aperta, guardando la strada in basso dove due figure in armatura verde e argento cavalcano verso di lui…

— Un altro, signore?

Era di nuovo il barista. Sorpreso, Shane guardò il suo bicchiere di birra e vide che anche quello era vuoto, ora. Un altro sorso di quella dinamite liquida? Oppure un altro bicchiere di birra? Non poteva rischiare nessuno dei due. Esattamente tra un’ora, davanti a Lyt Ahn, doveva essere sicuro di non tradire alcuna emozione nel riferire a che cosa aveva dovuto assistere nella piazza, e non doveva nemmeno mostrare il minimo segno di ubriachezza o dissipazione. Anche queste erano debolezze non permesse ai servitori dell’alieno, dato che l’alieno non le permetteva a se stesso.

— No — disse. — Devo andare.

— Un bicchiere le è bastato? — Il barista inclinò la testa. — Lei è fortunato, signore. Alcuni di noi non dimenticano così facilmente.

Il tocco di sarcasmo di quell’amara osservazione urtò i nervi già troppo tesi di Shane. Un’ira incontenibile, improvvisa, cominciò a scuoterlo, che ne sapeva quest’uomo di quello che voleva dire vivere con gli Aalaag, essere sempre trattato con quella specie di affetto indifferente che è peggio del disprezzo — quello stesso tipo di affetto che un umano potrebbe dare a un bravo animale domestico — e assistere sempre a scene come quella nella piazza, non una o due volte all’anno, ma ogni settimana, forse ogni giorno?

— Sta a sentire… — ribatté seccamente, ma si trattenne. Ancora una volta, aveva rischiato di rivelare chi era e cosa faceva.

— Sì, signore? — disse il barista dopo averlo guardato un momento. — Sto ascoltando.

Shane credette di percepire un’ombra di sospetto nella voce dell’altro. Quella percezione poteva essere solo un’eco del suo tumulto interiore, ma non poteva rischiare.

— Sta a sentire — ripeté, abbassando la voce, — Perché crede che io mi vesta così?

Indicò il suo abito da Pellegrino.

— Ha fatto un voto. — Ora la voce del barista era asciutta, remota.

— No. Non capisci… — L’insolito calore del liquido dentro di sé gli diede un’ispirazione. L’immagine della farfalla si insinuò — e si confuse — con l’immagine del Vendicatore. — Tu credi che sia stato solo un brutto incidente oggi, là fuori nella piazza? Be’, non lo è stato. Non è stato accidentale, voglio dire… non dovrei parlarne.

— Non è stato un incidente? — Il barista corrugò la fronte; ma quando riprese a parlare la sua voce, come qualla di Shane, si abbassò su un tono più cauto.

— Certo, la fine dell’uomo sulle lame… non era previsto che andasse in quel modo — borbottò Shane, sporgendosi verso di lui. — Il Pellegrino… — si interruppe. — Tu non sai del Pellegrino?

— Il Pellegrino? Che Pellegrino? — Il barista si avvicinò. Ora stavano quasi sussurrando.

— Se non lo sai, non dovrei parlartene…

— Ma ha già detto così tanto…

Shane allungo la mano e toccò il suo bastone di quercia levigata, lungo due metri, appoggiato contro il banco accanto a lui.

— Questo è uno dei simboli del Pellegrino — disse. — Ce ne sono altri. Vedrete il suo marchio uno di questi giorni, e saprete che l’attacco agli Aalaag nella piazza non è successo solo per sbaglio. Questo è tutto quello che posso dire.

Era un buon finale ad effetto. Shane prese il bastone, si girò rapidamente e se ne andò. Non si rilassò fino a che la porta del bar non si chiuse alle sue spalle. Restò un attimo a respirare l’aria più fresca della strada, schiarendosi le idee. Vide che le mani gli tremavano.

A mano a mano che la mente riacquistava un po’ di lucidità, il buon senso ritornò. Con l’aria esterna, sentì un sudore freddo coprirgli la fronte. Che gli era preso? Rischiare tutto soltanto per mettersi in mostra con uno sconosciuto barista? Favole come quella a cui aveva accennato potevano arrivare fino alle orecchie degli Aalaag — specificamente alle orecchie di Lyt Ahn. Se gli alieni avessero sospettato che sapeva qualcosa su un movimento di resistenza tra gli umani, avrebbero voluto saperne molto di più da lui; nel qual caso la morte sulla triplice lama poteva diventare qualcosa da desiderare, non da temere.

Eppure, aveva provato un gran senso di esaltazione in quei pochi secondi nei quali aveva diviso col barista la sua fantasticheria, come se fosse stata una cosa reale. Un entusiasmo grande quasi come il trionfo che aveva provato vedendo sopravvivere la farfalla. Per pochi istanti era quasi ritornato a far parte di un mondo che aveva un Pellegrino-Vendicatore in grado di sfidare gli Aalaag. Un Pellegrino che lasciava il suo marchio sulla scena di ogni crimine Aalaag come promessa di una futura vendetta. Il Pellegrino che alla fine avrebbe sollevato il mondo per rovesciare il tiranno, gli alieni assassini.

Si voltò e si mise a camminare in fretta verso il lato opposto della piazza, in direzione della strada che l’avrebbe portato all’aeroporto, dove la nave-corriere Aalaag lo avrebbe preso a bordo. Avvertiva un senso di vuoto allo stomaco al pensiero di dover affrontare Lyt Ahn, ma allo stesso tempo la sua mente era in fermento. Se solo fosse nato con un corpo più atletico e con quello sprezzo del pericolo che facevano il vero combattente della resistenza… Gli Aalaag pensavano di avere eliminato tutte le cellule di resistenza umane già da due anni. Il Pellegrino poteva essere una realtà. Il suo era un ruolo che qualsiasi uomo bene informato sugli alieni poteva sostenere — a patto che non avesse paura, né immaginazione per sognare di notte quello che gli avrebbero fatto gli Aalaag se, come doveva succedere alla fine, lo avessero preso e smascherato. Sfortunatamente, Shane non era un uomo del genere: anche adesso, si svegliava bagnato di sudore, scosso da incubi in cui gli Aalaag lo sorprendevano in qualche piccola mancanza e per la quale stava per essere punito. Alcuni uomini e donne, e Shane fra loro, provavano orrore per le sofferenze inflitte deliberatamente… Rabbrividì, cupamente, mentre l’ira e la paura formavano un miscuglio acido nelle sue viscere, bloccando la sua attenzione al mondo circostante.

Questo ribollire di sentimenti lo lasciò indifferente a ciò che accadeva intorno a lui, il che poteva costargli la vita. Questo, e il fatto che lasciando il bar si era istintivamente alzato sul capo il cappuccio del suo mantello per nascondere i lineamenti; in particolare da chiunque avesse potuto in seguito riconoscerlo per averlo visto in un locale dove avevano raccontato al barista di qualcuno chiamato «Il Pellegrino». Si scosse dai suoi pensieri solo al lieve rumore di passi strascicati sull’asfalto alle sue spalle.

Si fermò, voltandosi rapidamente. A meno di due metri da lui, un uomo con un coltello di legno ed una mazza incrostata di pezzi di vetro, il corpo magro avvolto in stracci come armatura, avanzava furtivamente verso di lui.

Shane si voltò di nuovo per fuggire. Ma ora, nell’improvviso silenzio di tomba e nel vuoto della strada, altri due uomini armati di mazze e pietre stavano uscendo da vie traverse per bloccarlo da entrambi i lati. Era intrappolato fra l’uomo alle sue spalle e i due davanti.

All’improvviso, la sua mente si scoprì brillante e fredda come il ghiaccio. Con un unico balzo era passato attraverso un lampo di paura verso qualcosa al di là del timore, che vibrava come una corda tesa, simile all’effetto sui nervi di una dose massiccia di stimolanti. Automaticamente, i due anni di allenamento presero il sopravvento. Gettò indietro il cappuccio perché non gli bloccasse la visione laterale ed afferrò il bastone nel mezzo con entrambe le mani, a circa mezzo metro l’una dall’altra, tenendolo davanti a sé di traverso, e disponendosi in modo da tenere d’occhio tutti gli attaccanti contemporaneamente.

I tre si fermarono.

Evidentemente, capirono di aver fatto un errore. Vedendolo col cappuccio, e la testa china, dovevano averlo preso per un cosiddetto pellegrino-penitente; uno di quelli che portavano bastone e mantello come simbolo di accettazione non-violenta dello stato peccaminoso del mondo che aveva portato tutti sotto il giogo alieno. Esitarono.

— Va bene, Pellegrino — disse un uomo alto dai capelli rossicci, uno dei due che erano sbucati davanti a lui, — gettaci la borsa e te ne potrai andare.

Per un secondo, l’ironia fu come un acuto sapore metallico nella bocca di Shane. La borsa che un pellegrino teneva appesa al cordone intorno alla vita conteneva praticamente tutti i suoi beni materiali; ma i tre che lo circondavano ora erano «vagabondi» — Nonservi — individui che non avevano potuto o voluto svolgere il lavoro assegnato loro dagli alieni. Sotto il dominio Aalaag, questi reietti non avevano niente da perdere. Assalito da tre uomini del genere, qualsiasi pellegrino, penitente o no, avrebbe consegnato la sua borsa. Ma Shane non poteva. Nella sua borsa, a parte ciò che possedeva, c’erano i documenti ufficiali del governo Aalaag che stava portando a Lyt Ahn; e Lyt Ahn, guerriero per nascita e tradizione, non avrebbe capito né mostrato pietà ad un servo che non era riuscito a difendere gli oggetti che trasportava. Meglio le mazze e le pietre con cui Shane aveva a che fare adesso che il disappunto di Lyt Ahn.

— Venite a prendervela — disse.

La sua voce risuonò strana ai suoi stessi orecchi. Il bastone che teneva stretto fra le mani sembrava leggero come una canna di bambù. Ora i vagabondi gli si stavano avvicinando; era necessario uscire dal cerchio che stavano formando intorno a lui e mettersi con la schiena contro qualcosa, in modo da averli di fronte tutti insieme… C’era la facciata di un negozio alla sua sinistra, proprio al di là del vagabondo basso dai capelli grigi che si avvicinava da quella direzione.

Shane fece una finta all’uomo alto e rossiccio alla sua destra, poi balzò a sinistra. Il tipo più basso vibrò un colpo con la mazza, mentre Shane si avvicinava, ma il suo bastone riuscì a deviare il colpo, e la punta inferiore colpì con forza la parte bassa del corpo del vagabondo. L’uomo crollò senza un grido e giacque raggomitolato. Shane lo scavalcò, raggiunse la facciata del negozio e si voltò per affrontare gli altri due.

Mentre si girava, vide qualcosa nell’aria e si abbassò automaticamente. Una pietra vibrò contro il muro vicino alla vetrina, e rimbalzò indietro. Shane fece un passo di lato per avere il vetro alle sue spalle. I due che erano rimasti ora avevano raggiunto il bordo del marciapiede davanti a lui, ancora in posizione tale da impedirgli la fuga. L’uomo rossiccio fece una smorfia soppesando una pietra nella mano. Ma la fragile lastra di vetro alle spalle di Shane lo tratteneva. Un umano morto o malmenato era niente; ma una vetrina rotta voleva dire immediato allarme automatico alla polizia Aalaag; e gli Aalaag non erano pietosi nell’eliminazione dei Nonservi.

— È l’ultima possibilità — disse l’uomo rossiccio. — Dacci la borsa.

Mentre parlava, lui e il suo compagno si gettarono su Shane simultaneamente. Shane balzò a sinistra per prendere prima l’uomo su quel lato, ed allontanarsi dalla vetrina abbastanza per poter ruotare liberamente il bastone. Sollevò in alto il bastone e lo abbassò in un colpo che andò a scontrarsi con la mazza dell’altro, facendo cadere l’uomo a terra, dove vi rimase, stringendosi il braccio spezzato tra il gomito e la spalla.