123645.fb2 Il potere - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 2

Il potere - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 2

Ti ho detto tanto e con tanti particolari perché tu possa osservare come questo Potere non abbia parlato con orgoglio o minacce, cose di cui molti autori dei misteri e delle Operazioni parlano. Si dice* spesso che un adepto debba comportarsi con grande fermezza durante un’Operazione, per evitare che i Poteri da lui evocati lo sopraffacciano. Invece questo Potere ha parlato con voce stanca, ironica, come qualcuno prossimo alla morte. E ha anche parlato della morte. Il che, naturalmente, era una prova e un inganno, siccome i Principi e i Poteri delle tenebre non sono forse immortali?

Aveva in mente qualcosa che non voleva io conoscessi. Perciò ho capito che devo procedere con cautela sulla strada di questa inestimabile opportunità.

Nel villaggio, ho detto al prete d’essermi imbattuto in un demone immondo che mi ha implorato di non esorcizzarlo, promettendomi di rivelarmi dove si trovano certi tesori nascosti che un tempo appartenevano alla Chiesa, tesori che lui non poteva toccare né rivelare a uomini malvagi, poiché erano sacri; poteva però descrivermi il luogo in cui erano celati. Ed io mi sono procurato pergamena, penna e inchiostro, e il giorno seguente sono ritornato da solo in cima alla collina. Era deserta, ed io, dopo essermi assicurato di non essere osservato, e aver gettato il pugnale lontano da me, ho strappato la pergamena che lui mi aveva dato e l’ho buttata per terra.

Quando la pergamena ha toccato il suolo è apparso un così grande tesoro in oro e gioielli che avrebbe potuto davvero far impazzire di cupidigia qualsiasi uomo. C’erano sacchi e cofani e scrigni ricolmi d’oro e di pietre preziose, scoppiati per il peso, spargendo al suolo il contenuto. C’erano gemme che scintillavano alla luce del sole al tramonto, e anelli e collane tempestate di brillanti, e mucchi enormi di monete d’oro d’ogni antico conio…

Johannus, perfino io ho quasi finito per impazzire! Sono balzato in avanti quasi avessi sempre sognato di tuffar le mani nell’oro. Sbavando di cupidigia, riempii le mie vesti di rubini e fili di perle, e gonfiai le saccocce di pezzi d’oro, ridendo tra me come un folle. Sguazzavo nella ricchezza. Mi ci crogiolavo gettando in aria le monete d’oro e lasciando che ricades sero su di me. Ridevo e cantavo da solo.

Poi udii un rumore. All’istante, mi sentii riempire di terrore per il mio tesoro. Balzai accanto al mio pugnale e ringhiai, pronto a difendere le mie ricchezze fino all’ultimo respiro.

Poi una voce disse, in tono beffardo: «Davvero non te ne importa niente delle ricchezze?»

Il Potere se ne stava lì a guardarmi. Ora lo vedevo più chiaramente, ma non del tutto, poiché c’era una nebulosità che si addensava intorno al suo corpo. Era, come ho detto, alto un braccio e mezzo, e dalla sua fronte sporgevano delle antenne nodose che non erano corna, anche se vi assomigliavano, salvo per dei bulbi alle estremità. La sua testa era grossa e… ma non cercherò di descriverlo, poiché avrebbe certo potuto assumere una qualsiasi tra mille diverse forme, per cui, che importanza può avere?

Poi sono stato colto dal terrore, poiché non avevo nessun Cerchio o Pentacolo a proteggermi. Ma il Potere non ha fatto alcuna mossa minacciosa.

«Quelle ricchezze sono vere», disse nuovamente, in tono asciutto. «Han no il colore, il peso e la consistenza della materia concreta. Ma il tuo pugnale le distruggerà tutte».

Disday di Corinto affermò che un tesoro del mistero dev’essere fissato da una speciale Operazione prima di diventare permanente e libero dal potere di coloro che l’hanno creato. Poiché essi, altrimenti, possono sempre tramutarlo in foglie, o in qualsivoglia altra immondizia.

«Toccalo col tuo pugnale», disse il Potere.

Ho obbedito, sudando per la paura. E quando il ferro della lama ha toccato quel grande mucchio d’oro, vi è stato un violento tremore accompagnato da una vampa, e il tesoro — tutto, ti dico, fino all’ultima briciola, alla più minuscola perla! — è svanito davanti ai miei occhi. Il pezzo di pergamena è riapparso, fumante. Si era carbonizzato. E il pugnale mi scottava tra le dita. Rovente, ti dico!

«Ah, sì», ha annuito il Potere. «Il campo di forza ha energia. Quando il ferro l’assorbe, si trasforma in calore». Poi mi ha fissato con uno sguardo non ostile. «Hai portato penna e pergamena», ha constatato, «e quanto meno non hai usato il sigillo per stupire i tuoi compatrioti. E inoltre hai avuto il buonsenso di non produrre altri odori puzzolenti. Può darsi che ci sia davvero un grano di saggezza in te. Ti sopporterò ancora per un poco. Siediti e prendi penna e pergamena… Aspetta! Mettiamoci comodi. Reinfodera il tuo pugnale, o meglio, buttalo lontano da te».

Me lo infilai nella veste, sul petto. Ed è stato, poi, come se lui avesse pensato, e toccato qualcosa sul fianco, e subito tutt’intorno a noi è sorto un bel padiglione con morbidi cuscini e un’amabilissima fontana.

«Siediti», mi ha detto il Potere. «Ho imparato che voi amate questo genere di cose da un uomo del quale un tempo sono stato amico. Era stato ferito e spogliato dai ladroni, cosicché non aveva addosso nessun frammento del metallo maledetto, ed io ho potuto aiutarlo. Da lui ho imparato a parlare la lingua che gli uomini usano oggigiorno. Ma alla fine anche lui mi credette uno spirito maligno e prese a odiarmi».

Le mani mi tremavano ancora, per l’agitazione seguita alla scomparsa d’un così grande tesoro. Era stato un tesoro d’una tale abbondanza che nessun Re aveva mai posseduto, Johannus! Agognavo di riavere quel tesoro fin dal profondo della mia anima! Le monete d’oro, da sole, avrebbero riempito come un uovo la tua soffitta, ma il pavimento sarebbe crollato sotto il loro peso; e i gioielli avrebbero riempito non so quanti barili. Ah, Johannus: quale tesoro!

«Ciò che ti farò scrivere», ricominciò il Potere, «dapprima significherà poco, per te. Dapprima io ti darò fatti e teorie, poiché sono le cose più facili da ricordare. Poi ti darò l’applicazione delle teorie. E voi uomini avrete così la possibilità di dar inizio a quella civiltà che può esistere in vicinanza del metallo maledetto».

«Grande Potestà!» ho implorato con voce umilmente spregevole. «Mi darai un altro sigillo per il tesoro?»

«Scrivi!» mi ha ingiunto.

Ho scritto. E, Johannus, non so dirti neppure io cos’è che ho scritto. Ha detto parole che erano in un cifrario così oscuro che anche adesso, mentre le studio, non hanno alcun significato. Ascolta queste, e cerca in esse una saggezza sufficiente all’esecuzione dei misteri! «La civiltà della mia razza è basata su campi di forza che hanno la proprietà di agire come sostanze in ogni attività essenziale. I campi di forza che la mia gente usa per le abitazioni, gli utensili, i veicoli, e persino le macchine, sono percepibili ai sensi, e agiscono, come solidi. Inoltre, siamo capaci di creare questi campi in forma invisibile, fissandoli a oggetti organici come campi permanenti che non richiedono nessuna energia per la loro conservazione, proprio come i campi magnetici non richiedono nessuna fonte di energia per continuare ad esistere. I nostri campi possono anche essere proiettati come solidi tridimensionali che assumono qualsiasi forma desiderata e hanno qualsiasi proprietà delle sostanze, salvo l’affinità chimica».

Johannus! Non è incredibile che si siano potute mettere assieme delle parole aventi a che fare con i misteri così vuote di qualsiasi indizio riguardante il loro significato mistico? Scrivo e scrivo con la disperata speranza che Lui alla fine mi dia la chiave, ma il mio cervello barcolla davanti alla difficoltà di estrarre le direttive per le Operazioni che un tale cifrario deve nascondere! Te ne do un altro esempio: «Quando un generatore di campo di forza è stato costruito come sopra, si noterà che i campi pulsanti che rappresentano la nostra coscienza fungono in modo perfetto da comandi. Si deve soltanto creare nella propria mente l’immagine dell’oggetto desiderato, attivare il comando ausiliario del generatore, e il generatore modulerà la sua emissione a seconda del campo pulsante della coscienza…».

Durante il primo giorno di scrittura, il Potere ha parlato per ore, e ho scritto fino a quando la mia mano ha potuto reggere ai crampi. Di tanto in tano, riposando, gli ho riletto le parole che avevo scritto. Lui ha ascoltato soddisfatto.

«Signore!» ho detto con voce tremante. «Potente Signore! Vostra Potenza! Questi misteri che mi ordini di scrivere… sono aldilà della mia comprensione!»

Ma lui ha replicato, sprezzante: «Scrivi! Alcuni saranno chiari per qualcuno. Ed io li spiegherò a poco a poco fino a quando persino tu potrai comprenderne gli inizi». Poi ha aggiunto: «Tu ti stai stancando. Tu desideri un giocattolo. Bene, farò per te un sigillo che creerà di nuovo quel tesoro col quale hai giocato. Aggiungerò un sigillo che creerà una barca per te, con una macchina che trarrà potenza dal mare per condurti dovunque tu voglia senza bisogno del vento o delle correnti. E ne farò altri, perché tu possa creare un palazzo dove vorrai, e bei giardini, se ti piacerà…».

E tutto questo l’ha fatto, Johannus. Pare lo diverta scrivere su pezzi di pergamena, e pensare, e poi premerli sul suo fianco prima di depositarli per terra dove potessi raccoglierli. Mi ha spiegato, divertito, che le meraviglie sono completamente contenute nei sigilli, ma in maniera latente, e vengono liberate dallo strappo della pergamena, ma vengono assorbite e distrutte dal ferro. In tal modo continua a usare il suo cifrario, ma a volte scherza!

È strano pensare come, un po’ per volta, io sia giunto ad accettare questo Potere come una persona. Non è conforme alle leggi del mistero. Santo che è solo. Sembra che trovi soddisfazione a parlare con me. Eppure è un Potere, uno dei ribelli che è stato scagliato giù dal Paradiso sulla terra! Di questo parla soltanto in termini vaghi e metaforici, come se fosse giunto da un altro mondo, come il mondo, ma più grande. Parla di se stesso come di un viaggiatore dello spazio, e parla della sua razza con affetto, e del Paradiso (in ogni caso, la città da cui proviene, poiché là debbono esserci grandi città) con uno strano, orgoglioso affetto. Se non fosse per i suoi poteri, che appartengono al mistero, troverei possibile credere che sia un membro solitario di una strana razza, esiliato per sempre in uno strano luogo, e divenuto amico di un uomo a causa della sua solitudine. Ma come potrebbe esistere qualcuno come lui e non essere un Potere? Come potrebbe esserci un altro mondo?

Questa strana conversazione prosegue ormai da dieci giorni o anche più. Ho riempito foglio dopo foglio di pergamena con la mia scrittura. Le stesse metafore si ripetono più volte. «Campi di forza» — un termine senza nessun significato letterale — si ripete spesso. Ci sono altre metafore come «bobine» e «primario» e «secondario» che si trovano situate in un contesto in cui si citano fili metallici di rame. Ci sono descrizioni dettagliate, come se fossero fatte nel linguaggio più piano possibile, di fogli di metalli differenti da immergere nell’acido, e altre descrizioni di piastre di metalli identici che devono esser tenute separate da strati d’aria o di cera d’un certo spessore. E c’è una spiegazione dei mezzi grazie ai quali lui si tiene in vita. «Essendo io abituato a un’atmosfera assai più densa di quella della Terra, sono costretto a mantenere intorno a me stesso un campo di forza che mantiene tutt’intorno a me una densità atmosferica pari a quella del mio pianeta natio per consentirmi di respirare. Questo campo è trasparente, ma poiché deve pulsare in continuazione per cambiare e rinfrescare l’aria che respiro, provoca una certa nebulosità del profilo del mio corpo. È mantenuto dal generatore che porto al mio fianco, il quale allo stesso tempo fornisce energia agli altri manufatti costituiti da campi di forza che utilizzo quotidianamente». Ah, Johannus! L’impazienza mi sta portando alla pazzia. Non avevo forse previsto che un giorno mi avrebbe fornito la chiave del suo linguaggio metaforico, cosicché da esso potessero venir estratti i Nomi e le Parole che danno origine ai suoi prodigi? Quasi ci rinuncerei per la disperazione.

Eppure è diventato quasi gioviale con me. Mi ha dato i sigilli che gli ho chiesto, e li ho provati molte volte. Il sigillo che creerà per te un bellissimo giardino è soltanto uno fra i molti. Dice che il suo più grande desiderio è dare all’uomo tutte le conoscenze che lui possiede, e poi vuole che io scriva cose nel suo cifrario come questa, senza alcun significato: «La propulsione di una nave per viaggiare oltre la velocità della luce è un semplice adattamento del generatore propulsivo già descritto. È sufficiente soltanto modificare i suoi parametri, cosicché, invece di operare nello spazio normale, generi una tensione iperspaziale. Il procedimento é… Oppure (scelgo a caso, Johannus): «Il metallo maledetto, il ferro, dev’essere eliminato, non soltanto da tutti i circuiti, ma altresì dalle vicinanze dell’apparato che funziona con altissime frequenze, dal momento che assorbe l’energia delle vibrazioni e impedisce il funzionamento…».

Sono come un uomo che freme sulla soglia del Paradiso, eppure è incapace di entrarvi perché la chiave gli viene negata. «Velocità della luce!» Un’allegoria… ma di che cosa? Nel linguaggio comune tanto varrebbe parlare della velocità del bel tempo o del granito! Ogni giorno lo supplico invano di darmi la chiave del suo linguaggio. Eppure anche adesso, nei sigilli che prepara per me, c’è un potere più grande di qualunque altro uomo abbia mai conosciuto prima.

Ma non basta. Il Potere continua a parlare di sé come di qualcuno condannato a un’estrema solitudine; l’ultimo membro d’una razza estranea alla Terra… Parla come se ricavasse uno strano piacere dalla mia pura e semplice presenza, e dal fatto di potermi parlare. Ma quando lo imploro di dirmi un Nome o una Parola che mi darebbero un potere ben più grande di quello che mi centellina coi sigilli, si mostra divertito e mi chiama sciocco, seppure in tono cortese e amico. E parla sempre più nel suo linguaggio allegorico, di forze della natura e di campi di forza… e mi ha dato un sigillo che, quando lo userò, creerà per me un palazzo dalle mura d’oro e le colonne di smeraldo! E poi mi ha ammonito, sarcastico, che un solo saccheggiatore munito di un’ascia o d’una zappa di ferro lo farebbe svanire in un attimo!

Sto quasi impazzendo, Johannus! Ma è certo indicibile la saggezza che si può ottenere da lui. Procedendo con cautela, passo passo, sono giunto a comportami come se fossimo soltanto degli amici, di razza diversa, uno dei quali, lui, immensamente più saggio… ma pur sempre amici più che principe e suddito. Però, ricordo sempre gli ammonimenti degli autori più versati i quali affermano che si deve essere sempre sul chi vive contro i Poteri evocati nel corso di un’Operazione.

Sto elaborando un piano. È pericoloso, lo so bene, ma sono in preda a una disperazione crescente. Starmene qui, fremente, sulla soglia di tanto potere e saggezza quali un uomo non ha mai neppure concepito, e poi vedersi negato…

Il mercenario che ti porterà questa mia missiva partirà domani. È sciancato, e potrebbe impiegar mesi per arrivare. Tutto si deciderà prima che tu riceva questa mia. So che mi auguri ogni fortuna.

C’è mai stato uno studioso dei misteri che si sia trovato in una situazione così grama, con tutto il sapere possibile a portata di mano, ma non ancora tutto suo?

Il tuo amico

Carolus

Scritto nella sporca e cadente locanda di Montevecchio

Johannus! Un corriere è diretto a Gand per incarico del mio Signore di Brabante, ed io colgo l’occasione d’inviarti questa corrispondenza. Credo d’impazzire, Johannus! Possiedo poteri che nessun uomo ha neppure immaginato, prima d’ora, e sono qui, angosciato e pieno d’amarezza. Ascoltami!

Per tre settimane sono andato ogni giorno sulla cima della collina al di là di Montevecchio, per trascrivere il linguaggio cifrato di cui ti ho già ragguagliato. Il mio scritto era colmo di sigilli e di misteri, ma non possedevo nessuna Parola di Potere, nessun Nome di Autorità. Il Potere si era fatto sempre più beffardo, ma il suo sarcasmo era sempre più venato di tristezza. Insisteva a dire che le sue parole non contenevano nessun cifrario, e dovevano semplicemente esser lette con un po’ di attenzione. Alcune le aveva ripetute moltissime volte, al punto che erano diventate soltanto delle istruzioni per mettere insieme dei pezzi di metallo, in modo meccanico. Insisté finché imparai a memoria quelle istruzioni. Ma senza Parola, senza Nome,… niente più di un’accozzaglia di pezzi di metallo messi insieme in maniera strana.

Ma com’era possibile che il metallo inanimato, non infuso dal potere dei Nomi o delle Parole, fosse in grado di operare dei misteri?

Finalmente mi convinsi che non mi avrebbe mai rivelato la saggezza che mi aveva promesso. Ero arrivato a una tale familiarità con questo Potere che giunsi a coltivare l’idea di ribellarmi, e a credere persino di avere una possibilità di successo. C’era quella nebulosità intorno alla sua forma che veniva mantenuta da un sigillo che portava al fianco, chiamato «generatore». Se quella nebulosità fosse stata distrutta, non avrebbe potuto vivere, o per lo meno era quello che mi aveva detto. Proprio per quella ragione lui non osava toccare nulla che fosse fatto di ferro. Quella era la base del mio piano.

Finsi di cader malato, e dissi che avrei riposato in una capanna dal tetto di paglia che si trovava ai piedi di quella stessa collina. Era l’abitazione d’un contadino, assai rozza e primitiva, adesso disabitata. Non c’era in essa un solo chiodo di ferro. Se provava per me l’amicizia che dichiarava, mi avrebbe concesso di assentarmi e di riposare là dentro per tutta la mia malattia. Se la sua amicizia fosse stata davvero grande, avrebbe potuto persino venir laggiù a trovarmi, nella capanna. Sarei rimasto solo, là dentro, nella speranza che la sua amicizia arrivasse a tal punto.

Strane parole, queste, da parte di un uomo, nei confronti di un Potere! Ma avevo parlato con lui ogni giorno, per tre settimane. Giacqui, gemendo, tutto solo nella capanna. Il secondo giorno venne a trovarmi. Finsi una grande gioia e mi detti da fare per accendere un fuoco con una candela che avevo tenuta accesa. Lui lo considerò un segno d’onore e di rispetto, ma in realtà era un segnale. E poco dopo, infatti, mentre si stava informando di quella che credeva fosse la mia malattia, giunse un urlo da là fuori. Era il prete del villaggio: un uomo semplice ma assai coraggioso a modo suo. Al segnale dato dal fumo che s’innalzava dalla casa del contadino, si era avvicinato strisciando e, nel massimo silenzio, aveva disteso al suolo tutt’intorno alla capanna una catena di ferro, che aveva avvolto in panni perché non producesse il minimo cigolio. E adesso comparve, in piedi, davanti alla porta della capanna, col crocefisso alzato, intonando a gran voce un esorcismo. Un uomo davvero coraggioso, quel sacerdote, visto che gli avevo dipinto il Potere come un demone immondo.

Il Potere si girò e mi guardò, ed io impugnai con mano ferma il pugnale.

«Ho in mano il metallo maledetto», l’aggredii con rabbia. «Un cerchio dello stesso metallo circonda la capanna. Ora, dimmi in fretta le Parole e i Nomi che fanno funzionare i sigilli! Dimmi il cifrario per svelare tutto ciò che mi hai fatto scrivere! Fallo, e io ucciderò questo sacerdote, getterò lontano la catena di ferro e tu potrai andartene illeso da qui. Ma fai presto, altrimenti…».

Il Potere gettò a terra un sigillo. Quando la pergamena toccò il suolo, l’aria per un attimo si fece confusa e qualcosa di orribile cominciò a formarsi. Ma poi la pergamena fumò e si trasformò in cenere. Il cerchio di ferro intorno alla capanna aveva distrutto il suo potere quando aveva tentato di usarlo. Ora lui sapeva che avevo detto la verità.

«Ah!» esclamò il Potere, con voce aspra. «Gli uomini! Ed io che mi ero illuso che uno di loro fosse mio amico!». Si portò la mano al fianco. «Avrei dovuto immaginarlo. Il ferro mi circonda, la mia macchina si scalda…».

Mi fissò. Gli alzai il pugnale davanti agli occhi, in un gesto spietato.

«I Nomi!» gridai. «Le Parole!» Concedi anche a me il potere, e ucciderò il prete!»